Ai REFERENDUM del 12-13 Giugno 2011 HO VOTATO SI alla Abrogazione : NUCLEARE, ACQUA 1, ACQUA 2, LEGITTIMO IMPEDIMENTO

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Luglio 2011 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gi07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gi14. Ve15. Sa16. Do17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gi28. Ve29. Sa30. Do31.

Giugno 2011 Me01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30.

Maggio 2011 Do01. Lu02. Ma03. Me04. Gv05. Ve06. Sa07. Do08. Lu09. Ma10. Me11. Gv12. Ve13. Sa14. Do15. Lu16. Ma17. Me18. Gv19. Ve20. Sa21. Do22. Lu23. Ma24. Me25. Gv26. Ve27. Sa28. Do29. Lu30. Ma31. Aprile 2011 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gi07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gi14. Ve15. Sa16. Do17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Do27. Lu28. Ma29. Me30.

Marzo 2011 Ma01. Me02. Gv03. Ve04. Sa05. Do06. Lu07. Ma08. Me09. Gv10. Ve11. Sa12. Do13. Lu14. Ma15. Me16. Gv17. Ve18. Sa19. Do20. Lu21. Ma22. Me23. Gv24. Ve25. Sa26. Do27. Lu28. Ma29. Me30. Gi31. Febbraio 2011 .Ma01. .Me02. .Gi03. .Ve04. .Sa05. .Do06. .Lu07. .Ma08. .Me09. .Gi10. .Ve11. .Sa12. .Do13. .Lu14. .Ma15. .Me16. .Gi17. .Ve18. .Sa19. .DO20. .Lu21. .Ma22. .Me23. .Gi24. .Ve25. .Sa26. .Do27. .Lu28. Gennaio 2011 Sa01. Do02. Lu03. Ma04. Me05. Gv06. Ve07. Sa08. Do09. Lu10. Ma11. Me12. Gv13. Ve14. Sa15. Do16. Lu17. Ma18. Me19. Gi20. Ve21. Sa22. Do23. Lu24. Ma25. Me26. Gi27. Ve28. Sa29. Do30. Lu31. Dicembre 2010 Me 01. Gv02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11. Do12. Lu13. Ma14. Me15. Gv16. Ve17. Sa18. Do19. Lu20. Ma21. Me22. Gv23. Ve24. Sa25. Do26. Lu27. Ma28. Me29. Gv30. Ve31. Novembre 2010 Lu 01. Ma02. Me03. Gv04. Ve05. Sa06. Do07. Lu08. Ma09. Me10. Gv11. Ve12. Sa13. Do14. Lu15. Ma16. Me17. Gv18. Ve19. Sa20. Do21. Lu22. Ma23. Me24. Gv25. Ve26. Sa27. Do28. Lu29. Ma30. Ottobre 2010 Ve01. Sa02. Do03. Lu04. Ma05. Me06. Gv07. Ve08. Sa09. Do10. Lu11. Ma12. Me13. Gv14. Ve15. Sa16. DO17. Lu18. Ma19. Me20. Gi21. Ve22. Sa23. Do24. Lu25. Ma26. Me27. Gv28. Ve29. Sa30. Do31. Settembre 2010 Me 01. Gi02. Ve03. Sa04. Do05. Lu06. Ma07. Me08. Gv09. Ve10. Sa11.

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-10-21 ad oggi 2011-08-02 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

GIUSTIZIA

 

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

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Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto,

pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio.

Per conoscer le mie idee Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF

Il mio commento sull'argomento di Oggi è :

…………………………………………………………..

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-10-17 ad oggi 2011-08-02

AVVENIRE

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2011-08-02

2 agosto 2011

APPALTI G8

Verdini, no della Camera

all'uso delle intercettazioni

L'Aula della Camera ha accolto a maggioranza la proposta della Giunta di negare l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato e coordinatore del Pdl, Denis Verdini. La decisione di negare ai magistrati l'uso delle intercettazioni è stata presa con 301 sì, 278 no e tre astenuti.

 

 

 

 

 

2011-07-29

29 luglio 2011

POLITICA E GIUSTIZIA

Processo lungo al Senato

il governo incassa la fiducia

ll governo ha incassato al Senato la fiducia sul processo lungo con 160 sì, 139 no. Il provvedimentotorna all' esame della Camera. Il voto è stato preceduto da passaggi molto duri nelle dichiarazioni dell'opposizione. "Il corpo della politica è invasa dalle metastasi per colpa vostra, siete causa dell'antipolitica - ha detto il senatore dell'Idv Luigi Li Gotti - Affondate nella sfiducia del popolo italiano, sarete ricordati come la pagina più buia della Repubblica".

La capogruppo Anna Finocchiaro si è rivolta così ai colleghi della maggioranza: "Sarebbe il tempo dei liberi e forti e non dubito che molti di voi sarebbero in grado di esserlo e di esprimere la loro natura di liberi e forti e di dare oggi all'Italia la prova che questo governo è capace di badare adaltro che a un premier braccato che si chiude nelle sue stanze".

Secca la replica di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl, che ha fatto riferimento alla vicenda che vede coinvolto Filippo Penati. "Non accettiamo lezioni di moralità da chi non ha titolo per impartirne. Se un regime c'è lo si vada a cercare a Sesto San Giovanni dove di padre in figlio i sindaci alimentano un sistema di illegalità che riguarda la vostra storia".

Secondo il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, il provvedimento va "nella direzione opposta rispetto all'Europa". "Il Csm - ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino - ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il Governo non ha voluto fare lo stesso".

LE POLEMICHE DI GIOVEDI'

Sul "processo lungo" il governo pone la fiducia numero quarantotto. E al Senato, come evoca il numero, scoppia la rivolta. I due schieramenti si rinfacciano le colpe. Così svanisce quel clima di concordia registrato due settimane fa per la manovra e chiesto anche in questa occasione dal presidente di Palazzo Madama Renato Schifani.

Tutto accade proprio nella mattinata in cui la più alta carica dello Stato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, torna a sottolineare che "la politica è debole e irrimediabilmente divisa, incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise". Il Colle chiede uno "scatto", una svolta, "non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale". Infine, il capo dello Stato, denunciando il "punto critico insostenibile" a cui è giunta la questione giustizia (e carceri), punta il dito sui "conflitti fatali tra politica e magistratura".

Intanto alla fine di una mattinata concitata la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama fissa il voto per stamane alle 10. Mentre montano le reazioni alla decisione dell’esecutivo crescono. Nelle quali viene chiamato in causa il neoministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, accusato da Pd e Idv di aver esordito male con questa fiducia. La capogruppo dei democratici Anna Finocchiaro gli chiede di andare subito in Parlamento a spiegarne i motivi. Anche nella maggioranza in verità qualche mal di pancia si registra. Tanto che il leader della Lega Umberto Bossi ammette: "Meno fiducie si mettono meglio è".

Ma ormai è fatta. All’annuncio della fiducia, dato in aula del ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito, gli argini si rompono. Il vicepresidente del gruppo Pd Luigi Zanda grida al "regime". Il governo "abusa degli strumenti legali per istituzionalizzare una prassi di fatto antidemocratica", rincara la dose la presidente del partito Rosy Bindi. Tutta colpa dell’ostruzionismo delle opposizioni, sostengono i vertici del Pdl al Senato. Atteggiamento che è pure "tardivo", visto che il ddl era parcheggiato da mesi e nei giorni scorsi la Conferenza dei capigruppo aveva deciso all’unanimità di calendarizzarlo per l’aula prima della pausa estiva. Il vice del gruppo Gaetano Quagliariello rimanda, poi, al mittente l’accusa formulata da Zanda, perché a furia di gridare al lupo, "quando il regime dell’antipolitica arriva veramente si rischia di non accorgersene". Caustico anche il capogruppo del Carroccio Federico Bricolo: "Se porre la fiducia vuol dire regime, cosa dovremmo dire noi sul fatto che voi al governo la mettevate ogni giorno?". Insomma, a motivare l’atto dell’esecutivo sono state le barricate alzate dalle opposizioni, che mercoledì aveva presentato ben 11 pregiudiziali di costituzionalità contro un provvedimento definito "ad personam". Schieramento che ieri non ha digerito la controffensiva. Durissimo il commento del capogruppo dell’Udc Gianpiero D’Alia che parla di "calcio dell’asino" dato al Parlamento da un governo che "dovrebbe dimettersi". Saranno i "delinquenti" a ringraziare per questo provvedimento che "mette a soqquadro il sistema giudiziario italiano", mette agli atti Felice Belisario, presidente dei senatori dell’Idv. Anche i finiani partono all’assalto. Con la presidente della Commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, per la quale processo breve e lungo vanno combattuti, perché "inaccettabili" e "ancora una volta ad personam". Gianni Santamaria

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

28 luglio 2011

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Fiducia sul "processo lungo"

È scontro al Senato

Il governo ha posto la fiducia al ddl cosiddetto "allunga processi" in discussione nell'Aula del Senato. È stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ad annunciare che il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge. La seduta dell'Aula di Palazzo Madama è stata subito sospesa per consentire la riunione della conferenza dei capigruppo. E tra opposizione e maggioranza si è subito aperto lo scontro.

 

 

28 luglio 2011

DIGITALE TERRESTRE

Ue conferma: "Mediaset deve

rimborsare aiuti per decoder"

La Corte ha dunque confermato che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 "costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Le emittenti radiotelevisive che hanno beneficiato indirettamente degli aiuti di Stato sono tenute a rimborsare le somme corrispondenti ai vantaggi in tal modo ottenuti".

Con la legge finanziaria del 2004 - si ricorda nel dispositivo - l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro ad ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri. Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro. Il consumatore che avesse però scelto un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non poteva ottenere il contributo: contro i contributi le emittenti televisive Centro Europa 7 e Sky Italia hanno inoltrato esposti alla Commissione.

Con la decisione del 2007, Bruxelles osservava, in effetti, che detti contributi costituivano aiuti di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi televisivi a pagamento nonchè degli operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento, ordinando il recupero degli aiuti. Mediaset ha allora presentato un ricorso, ma nel giugno del 2001, il Tribunale lo ha respinto, confermando che il contributo costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri.

Oggi anche la successiva impugnazione di Mediaset è stata respinta. Ora "spetterà al giudice nazionale

fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla

Commissione".

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-21

20 luglio 2011

LA DECISIONE

La Camera ha detto sì

all'arresto di Alfonso Papa

La Camera ha detto sì all'arresto dell'onorevole del Pdl Alfonso Papa, avanzata dai magistrati che indagano sulla vicenda P4: 319 i sì, 293 i contrari. Il voto è stato a scrutinio segreto, come richiesto da trenta deputati. Papa, intervenendo in un dibattito ad alta tensione, si era detto innocente e del tutto estraneo alle accuse. La Lega ha chiesto di dire sì all'arresto, lasciando però libertà di voto ai propri deputati. Lasciando l'Aula, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commentato: "Siamo stati coerenti".

Duro il giudizio del capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto: "È stato un voto liberticida, la maggioranza alla Camera si è assunta una grande responsabilità". Chiaro il riferimento alla diversità di vedute sulla questione tra il Pdl e il Carroccio.

Quasi contemporaneamente, il Senato ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari per Alberto Tedesco (ex Pd, ora iscritto al Gruppo misto) con 151 no e 127 sì. Tedesco è indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità pugliese. Poco dopo si è scatenato il parapiglia con spintoni, urla e insulti. Uscendo dall'Aula ci sono stati spintoni tra Domenico Gramazio (Pdl) e il senatore del Pd Paolo Giaretta, sui voti in più che ha registrato il no all'arresto.

Giovanni Grasso

 

 

 

 

 

 

 

 

20 luglio 2011

TENSIONI NELLA MAGGIORANZA

Decreto rifiuti, Governo

battuto alla Camera

La Camera ha dato il via libera al rinvio del decreto legge sui rifiuti in commissione. In precedenza, con i voti della sola opposizione era passata una parte di una mozione dell'Idv, su cui il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo si è astenuta contrariamente ai deputati di maggioranza e tutti i ministri. Prestigiacomo si è poi astenuta mentre tutti i membri del governo in aula votavano no. Il testo dell'Idv, su cui comunque il ministro aveva espresso parere favorevole, è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Dai banchi di opposizione si è ripetutamente urlato: "Dimissioni, dimissioni".

Alla fine il governo è risultato battuto per 296 voti a favore e 287 contrari (sei astenuti) e la mozione dell'Idv è passata. La scena si è ripetuta sulle altre mozioni: anche quando il ministro Prestigiacomo ha reso parere favorevole, maggioranza e membri del governo hanno votato contro. Il Pdl ha ritirato lapropria mozione. In aula è un continuo di conciliaboli tra membri di maggioranza e membri del governo.

 

 

20 luglio 2011

INCHIESTA

Caso Papa, resta l’incognita Lega

Per la richiesta di arresto del deputato del Pdl Alfonso Pa­pa si prevede un finale de­gno di un film giallo. Questo po­meriggio alle 16 l’aula di Monteci­torio dovrà infatti votare se deci­dere a favore della custodia cautelare per il magistrato napoletano rima­sto invischiato nel­la inchiesta sulla cosiddetta 'P4'. Gli schieramenti sulla carta sembre­rebbero favorevoli alla richiesta dei giudici di Napoli. Con la Lega che, dopo ordini e con­trordini, si è ieri assestata su una soluzione 'salomonica'. Ovvero il gruppo si pronuncerà ufficial­mente per l’arresto di Papa, ma contemporaneamente lascerà li­bertà di coscienza. Il segretario del Pdl ha fatto sapere che voterà con­tro: "Sì al partito degli onesti – ha sintetizzato – no alle manette".

Ad aumentare la tensione sull’esi­to finale sarà la richiesta del voto segreto, sul quale da tempo sem­bra contare sia Papa, sia il Pdl, sia anche la Lega. Le votazioni alla Ca­mera sono sempre palesi, recita il regolamento, a meno che non si tratti di votazioni sulle persone. In questo caso deve essere richiesto alla presidenza esplicitamente, con l’appoggio di 30 deputati. Il Carroccio ha annunciato che non intende ricorrere allo scrutinio se­greto, ma con ogni probabilità sarà il gruppo dei 'responsabili' a fare il primo passo. Domenico Scilipo­ti già si è detto disponibile. E cer­to, in questo caso, non sarebbe affatto difficile trovare i trenta deputati ne­cessari. Nel segreto dell’urna, potrebbe uscire di tutto. Il Pd è sembrato molto preoccupato da questa evenien­za.

Anche perché teme che, se Papa verrà 'salvato' con­testualmente al pd Tedesco su cui si vota in Senato, l’opinione pubblica griderebbe al­la 'combine'. Ed è esattamente quello che il segretario Pierluigi Bersani sta cercando di evitare, convinto strenuamente della ne­cessità di dividere i comporta­menti del suo partito da quelli che vengono comunemente indicati come i privilegi della Casta. Il pre­sidente della Giunta per le auto­rizzazioni a procedere, Pierluigi Castagnetti (Pd), ha provato con una soluzione alternativa: ovvero quella di invitare Papa alle dimis­sioni spontanee. Un appello riba­dito, con motivi opposti, cioè per risparmiare al centrodestra una possibile sconfitta parlamentare, dal leader della Destra Francesco Storace. Il voto segreto finirebbe insomma per provocare polemi­che senza fine. Nei corridoi di Montecitorio si spargono notizie mischiate a vele­ni, difficili da separare. Come quel­le che vedrebbero una piccola par­te del Pd propensa a votare con­tro, per bloccare le ingerenze dei magistrati o comunque per garan­tismo, visto che Papa (si dice) non ha più la possibilità di inquinare le prove e certo non fuggirà all’este­ro. Allo stesso modo si parla di un drappello di ex An del Pdl pronti a votare a favore per dare un segna­le forte a Berlusconi e ad Alfano. Mentre nella Lega si scontrebbero i filo-Maroni (favorevoli all’arre­sto) e i lealisti ultra bossiani.

Giovanni Grasso

 

20 luglio 2011

MILANO

Corruzione, Filippo Penati indagato

per l'area Falk di Sesto San Giovanni

Il vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati (Pd), e altre persone, sono indagati a vario titolo per concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Monza sull'area Falk di Sesto San Giovanni. La Gdf sta effettuando 7 perquisizioni negli uffici del Consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni.

L'inchiesta -- coordinata dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia -- è nata con l'invio a Monza di parte della documentazione, per competenza territoriale, dell'indagine della procura di Milano sulla mancata bonifica dell'area di Santa Giulia e le presunte irregolarità fiscali della società Risanamento.

Una nota della Gdf spiega che in queste ore sono in corso diverse perquisizioni in abitazioni private, sedi di società ed alcuni uffici del Comune di Sesto San Giovanni. "Secondo l'ipotesi accusatoria -- si legge nel comunicato -- sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio".

 

 

20 luglio 2011

MILANO

San Raffaele, si lavora

per evitare il fallimento

Mentre il nuovo mana­gement lavora al sal­vataggio dell’Ospe­dale San Raffaele, l’inchiesta sulla morte di Mario Cal pro­cede spedita. Questa mattina, a Milano, sarà eseguita l’au­topsia dell’ex vicepresidente della Fondazione San Raffae­le che si è tolto la vita lunedì sparandosi un colpo di pisto­la alla testa. La dinamica dell’episodio ap­pare chiara, tuttavia il sostitu­to procuratore della Repub­blica, Maurizio Ascione, ha a­perto un’indagine per istiga­zione al suicidio a carico di i­gnoti. Un "atto dovuto". Già poche ore dopo il decesso, il pm ha ascoltato i testimoni intervenuti a prestare i primi aiuti a Cal. Tra questi anche il responsabile della sicurezza dell’Ospedale San Raffaele che, per facilitare i soccorsi, ha spostato la pistola infilan­dola poi in un sacchetto. A­scione non esclude di ascol­tare anche i vertici del gruppo - compreso lo stesso fondato­re, il 91enne don Luigi Verzè ­provato dalla morte del suo al­ter ego - , per ricostruire i mo­tivi di preoccupazione che hanno indotto Cal a spararsi.

Motivi che sarebbero in larga parte riconducibili alla grave situazione debitoria dell’isti­tuto che, però, secondo fonti della procura, non giustifi­cherebbero il suicidio. Cal si sarebbe anche sentito "assediato mediaticamente" e avrebbe meditato a lungo di togliersi la vita. Il magistrato inquirente sta anche analiz­zando le due lettere lasciate dal dirigente alla moglie e al­la segretaria; brevi scritti in cui avrebbe chiesto perdono. I­noltre, il nipote di Cal avreb­be dichiarato al pm che tre giorni fa lo zio si sarebbe infor­mato circa la capacità della Smith & Wesson calibro 38, che Mario Cal deteneva legal­mente, di ammazzare una persona. "Non mi ero reso conto delle sue intenzioni", a­vrebbe spiegato il nipote. Intanto, i riflettori restano puntati sulla situazione con­tabile della Fondazione.

In se­guito al suicidio di Cal i pm Luigi Orsi e Laura Pedio han­no acquisito fascicoli e docu­mentazione appartenuta al­l’ex numero due. I debiti, sti­mati in oltre 900 milioni di eu­ro, in parte dovrebbero esse­re ripianati dal nuovo gruppo dirigente. I termini dell’inter­vento finanziario della nuova compagine, però, non sono stati ancora comunicati uffi­cialmente nonostante l’avve­nuto insediamento nel consi­glio di amministrazione. Per­ciò al vaglio della Procura di Milano c’è l’ipotesi di avanza­re un’istanza di fallimento. A questa decisione i magistrati arriverebbero qualora non si giungesse, in tempi strettissi­mi, a presentare un piano di ristrutturazione e rilancio.

Venerdì è prevista la riunione del cda dell’istituto che pochi giorni fa ha visto il passaggio di consegne al management voluto dalla Santa Sede. Men­tre lunedì prossimo l’azienda incontrerà i sindacati, "preoc­cupati " dalle vicende finan­ziarie della holding sanitaria. Il cda uscente avrebbe dovu­to presentare entro ieri al tri­bunale fallimentare la do­manda di concordato, così da evitare l’avvio delle procedu­re di fallimento. Il cambio dei vertici offre però alla Fonda­zione ancora qualche giorno di respiro prima di correre in tribunale a fermare il conto al­la rovescia.

Vito Salinaro e Nello Scavo

 

 

 

 

 

 

2011-07-15

15 luglio 2011

IL CASO

P4, la giunta dice sì all'arresto di Papa

Bossi duro: "In galera"

La Giunta per le Autorizzazioni della Camera ha detto sì all'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa, indagato nella vicenda P4. Ora la palla passa all'Aula, che si esprimerà mercoledì. Intanto Papa ha deciso di autosospendersi dal gruppo Pdl della Camera. E lo ha fatto con una lettera inviata al presidente dei deputati berlusconiani Fabrizio Cicchitto.

Alla votazione hanno preso parte Pd, Idv, Fli e Udc. Il Pdl ha lasciato l'Aula della Giunta e la Lega si è astenuta "per ragioni procedurali". Giovedì sera Bossi aveva detto che sarebbe stato meglio votare a favore.

La proposta di arrestare Alfonso Papa è passata in Giunta con 10 sì e 3 astenuti. A favore della richiesta del gip di Napoli di arrestare il deputato del Pdl, oltre ai membri dell'opposizione, si è espresso anche il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti. "È stata una pagina nera della democrazia parlamentare - commenta l'ex relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl) - è stato violato l'art.18 del regolamento. Io ho formulato una documentata e regolare proposta per dire che non si sarebbe potuto concludere il lavoro in giunta, ma sarebbe stato meglio demandare all'Aula la soluzione della vicenda, a causa della nuova documentazione di 15mila pagine depositata due giorni fa da Papa".

Non la pensa così invece il centrista Pierluigi Mantini che parla direttamente di "sabotaggio indecente" da parte della maggioranza.

"La Lega oggi - interviene Donatella Ferranti (Pd) - ha di fatto smentito il proprio leader Umberto Bossi. E si è trincerata dietro una astensione motivata da cavilli procedurali, per non uscire allo scoperto".

In serata proprio Bossi è tornato sull'argomento. Ai cronisti che gli chiedevano di Alfonso Papa ha risposto con un lapidario "In galera".

 

 

 

 

 

2011-07-14

14 luglio 2011

ROMA

P4, arresto di Papa in Giunta un altro rinvio

Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Sisto, del Pdl, ha ritirato la proposta di votare contro l'arresto di Alfonso Papa. L'esame slitta a domani. Contraria l'opposizione. La marcia indietro del relatore serve ad evitare una spaccatura della Lega, divisa tra favorevoli e contrari all'arresto. La giunta non presenterà così un parere all'Aula, che deciderà il 20 luglio a scrutinio segreto.

Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Francesco Paolo Sisto ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa. La Giunta adesso si è aggiornata per domani alle 12. Non c'é stato dunque nessun voto sul caso del parlamentare coinvolto nell'inchiesta P4.

''Domani in Giunta si votera' comunque perche' verra' messa ai voti una proposta. Chi la presentera'? Potra' farlo chiunque, anche l'opposizione''. Il presidente della Giunta per le Autorizzazioni Pierluigi Castagnetti risponde cosi' a chi gli chiede cosa succedera' nella seduta di domani. ''Non esiste che si decida di non decidere'', precisa Castagnetti. E il riferimento e' alla decisione del relatore Francesco Paolo Sisto di ritirare oggi la proposta presentata nei giorni scorsi di dire 'no' all'arresto di Alfonso Papa. Proposta che si sarebbe dovuta votare prima in Giunta e poi in Aula.

''La maggioranza ritira la proposta del relatore sul caso Papa? Ebbene, ne stiamo per depositare noi una che chiederemo di mettere ai voti domani in Giunta''. Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro prende l'iniziativa in Giunta per le Autorizzazioni alla Camera per ''bypassare'' l'atteggiamento ''furbesco e pilatesco'' del Pdl e della Lega che sul caso di Alfonso Papa vorrebbero votare solo in Aula e con il voto segreto. ''Cosi' - aggiunge Di Pietro - presenteremo noi una proposta da mettere domani ai voti in Giunta, nella quale ovviamente diremo 'si' all'arresto di Papa. E ci diciamo sin da ora disponibili a fare noi da relatore al posto di Francesco Paolo Sisto''.

"Denunciamo l'atteggiamento truffaldino del Pdl e l'atteggiamento pilatesco della Lega che vuole tirare in lungo per non votare in Giunta e far sapere che loro non hanno il coraggio di consegnare Papa alla magistratura". Così il leader dell'Idv, dopo lo stallo di questa mattina in Giunta per le autorizzazioni sul caso Papa, sottolineando che "ancora una volta questa maggioranza vuole fare del Parlamento il luogo dell'impunità". Pdl e Lega, aggiunge Di Pietro, "sperano così che nel segreto del voto in Aula ognuno poi potrà dire che non è colpa sua se Papa sarà salvato". L'Idv, conclude l'ex pm, "é per mandare Papa, Milanese, e tutti coloro che hanno a che fare con la giustizia, davanti al loro giudice naturale".

 

 

13 luglio 2011+

PALERMO

Mafia, chiesto processo

per il ministro Romano

La Procura di Palermo ha depositato questa mattina la richiesta di rinvio a giudizio del ministro per l'agricoltura Saverio Romano, imputato formalmente da oggi di concorso in associazione mafiosa. L'atto, firmato dal Pm Nino Di Matteo e dall'aggiunto Ignazio De Francisci, segue di quattro giorni la decisione del Gip di Palermo di rigettare l'istanza di archiviazione inizialmente presentata dalla Procura e di imporre ai magistrati inquirenti l'imputazione. Ora il Gup dovrà fissare entro due giorni l'udienza preliminare, ma il termine è solo ordinatorio.

 

 

 

 

 

 

2011-07-09

9 luglio 2011

MILANO

Lodo Mondadori, Fininvest

dovrà pagare 560 milioni alla Cir

La Fininvest dovrà pagare. I giudici della Corte d'Appello di Milano hanno condannato la holding del Biscione a risarcire Cir per la vicenda del Lodo Mondadori per 540 milioni circa di euro alla data della sentenza di primo grado dell'ottobre 2009, più gli interessi e le spese decorsi da quel giorno. La cifra quindi arriverebbe intorno ai 560 milioni di euro.

Immediate le reazioni. La Cir ha espresso "soddisfazione", sottolineando come le sia stato riconosciuto il diritto "a un congruo risarcimento" per un "danno, enorme già in origine" e che si è poi "notevolmente incrementato" col passare del tempo. Secondo la Cir la sentenza "riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all'attualità politica", e "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell'interesse di Fininvest".

Durissima Marina Berlusconi, figlia del premier e presidente Fininvest: "Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti nè nelle regole del diritto".

"È una sentenza che sgomenta e lascia senza parole - ha continuato - La Fininvest, che ha sempre operato nella più assoluta correttezza, viene colpita in modo inaudito, strumentale e totalmente ingiusto". Secondo Marina Berlusconi "è una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico".

Infine, ha annunciato che "anche di fronte ad un quadro così paradossale e inquietante, non ci lasciamo però intimorire. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione. Siamo

certi di essere assolutamente nel giusto, dobbiamo credere che le nostre ragioni verranno alla fine riconosciute".

LA CAUSA

La causa non è altro che la conseguenza, in sede civile, di un processo penale finito nel 2007 con le condanne definitive, per corruzione in atti giudiziari, del giudice Vittorio Metta e degli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. La Cassazione aveva confermato che la sentenza del 1991 della Corte d'Appello di Roma sfavorevole a Carlo De Benedetti nello scontro con Silvio Berlusconi per assicurarsi il controllo della casa editrice fu 'comprata' corrompendo il giudice Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti dai conti esteri di Fininvest. Il premier venne prosciolto per prescrizione in modo irrevocabile nel novembre 2001.

Avviato nell'aprile 2004 il procedimento civile il 3 ottobre 2009 ha visto la sentenza di primo grado che stabiliza che la holding di De Benedetti "ha diritto" al risarcimento da parte di Fininvest "del danno patrimoniale da perdita di 'chance'" per "un giudizio imparziale". Risarcimento che aveva quantificato in 749.995.611,93 euro a cui si aggiungono gli interessi legali, le spese del giudizio e, tra l'altro, due milioni di euro per gli onorari.

 

 

 

 

 

 

2011-07-04

Stangata su banche e titoli

Interni

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4 luglio 2011

LE MISURE DEL GOVERNO

Manovra, stretta sulle pensioni

Stangata su banche e titoli

Il testo definitivo del decreto Manovra è stato trasmesso al Quirinale intorno alle 12.30. Il provvedimento è composto da 39 articoli e due allegati: il primo articolo riguarda gli stipendi dei politici e l'ultimo il riordino dei giudici tributari. Confermate tutte le misure anticipate nei giorni scorsi, nonostante le polemiche nella maggioranza.

Nel testo torna il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta relativi alle energie rinnovabili. "Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese - dice l'articolo 35 - a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni.

La manovra toglie risorse alla politica: previsto un ulteriore taglio del 10% al finanziamento dei partiti "cumulando così una riduzione complessiva del 30%". Ridimensionati anche gli "aerei blu", previsti solo per le prime cinque cariche dello Stato.

Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%". Confermato al 2014 l'avvio della misura che aggancia l'età pensionabile alla speranza di vita. La norma precedente faceva cominciare questo processo dal 2015.

A partire dal 2011 torna il superbollo: "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato".

Stangata Irap per banche e assicurazioni. Per gli istituti di credito e per le altre società finanziarie l'Irap sale al 4,65% mentre per le assicurazioni passa al 5,90%. Salasso anche per i depositi di titoli: il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia.

Fa discutere l'inserimento di una norma che potrebbe sospendere l'esecutività del mega risarcimento di 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori.

Si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione.

LA PUNTUALIZZAZIONE DEL COLLE

In mattinata la stessa presidenza della Repubblica aveva precisato di non aver ancora ricevuto il testo, prendendo le distanze dai mezzi di informazione che l'hanno descritta come già al vaglio del capo dello Stato. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della presidenza della Repubblica già da venerdì, si precisa che a tutt'oggi la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge".

La puntualizzazione, per quanto affidata ad un comunicato asettico, è apparsa irrituale e ha dato lo spunto alle opposizioni per un nuovo attacco all'esecutivo. Secondo il Pd, per bocca del senatore Francesco Ferrante, "la nota del Quirinale conferma il fatto che sulla manovra il governo alle prese con un work in progress".

 

 

 

4 luglio 2011

TORINO

Processo Eternit, l'accusa chiede

20 anni di carcere per due dirigenti

Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto una condanna a 20 anni di carcere per due ex alti dirigenti della società Eternit Spa nell'ambito del processo per i danni alla salute degli operai nelle lavorazioni dell'amianto, cui è attribuita la morte di quasi 3.000 persone in quattro stabilimenti italiani a partire dagli anni 50.

Lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne sono imputati per omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro doloso. L'accusa contesta alla Eternit di non aver adottato le opportune misure di sicurezza pur essendo a conoscenza dei rischi corsi da operai e dalla popolazione.

I pm, durante le 50 udienze, hanno sottolineato che si tratta di una "strage che continua ancora oggi". Alcuni periti hanno testimoniato che nella zona di Casale Monferrato il picco delle morti è previsto tra una decina di anni. Le persone morte, operai e residenti nei dintorni delle fabbriche, hanno riportato mesoteliomi pleurici, asbestosi e tumori polmonari insorti a causa della polvere di amianto.

L'amianto, allora largamente usato come materiale di coibentazione nell'edilizia anche per una scarsa conoscenza dei relativi rischi, si può ritrovare ancora oggi in molti edifici privati e in alcune strutture pubbliche. Le udienze, nel corso delle quali sono state presentate oltre 2.000 richieste di costituzione di parte civile, hanno avuto un grande seguito e si sono svolte nella maxi aula 1 del Palazzo di Giustizia di Torino con un collegamento video nella maxi aula adiacente.

 

 

 

 

 

 

2011-04-18

18 aprile 2011

GIUSTIZIA E POLITICA

Napolitano: "Siamo al limite

dell'esasperazione"

In una lettera inviata al vice presidente del Csm Michele Vietti e resa nota dal Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annunciato la decisione di dedicare la celebrazione della Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, prevista il 9 maggio prossimo al Quirinale, "in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro - sottolinea Napolitano -, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche".

"La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - afferma Napolitano - costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".

Dopo mesi di gelo, in cui i due ex alleati non si erano più rivolti la parola, le accuse di Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini di aver siglato "un pactum sceleris" con i magistrati alzano immediatamente il livello della tensione. È il premier a fare la prima mossa e nel corso di una manifestazione elettorale a sostegno del sindaco di Milano Letizia Moratti, ribadendo la ferrea volontà di non mollare, di andare avanti, e lanciando l'ennesimo attacco alle "cellule rosse" presenti nella magistratura. Quindi l'affondo contro il presidente della Camera che, a suo dire, in accordo con alcuni giudici avrebbe stoppato ogni provvedimento sulla giustizia. Un'accusa che il leader dei futuristi respinge sdegnato al mittente affidando ad una nota al vetriolo la replica: "L'escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile", attacca Fini che invita il Cavaliere a provare con i fatti le sue parole accusandolo di "non sapere cosa sia la parola vergogna".

Il Cavaliere è un fiume in piena e in 60 minuti torna su quanto detto ieri davanti ai militanti radunati dal ministro del Turismo Michela Brambilla a Roma: "guerra alla "magistratura politicizzata" che insieme all'opposizione "tenta e tenterà ancora l'eversione". Nella schiera dei "nemici" c'è poi posto per l'ex alleato. L'accusa di aver siglato un patto con i giudici il Cavaliere l'aveva già tirata in ballo in modo generico in altre occasioni, questa volta però Berlusconi ne fornisce i dettagli dicendo di "aver saputo tutto da un magistrato" che lo ha "informato dell'accordo" siglato dalla terza carica dello Stato. Parole che scatenano l'ira del leader di Futuro e Libertà: "Lo sfido a dimostrare quel che dice - attacca - faccia il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà, cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna". Oggi Fini, incontrando in Parlamento una delegazione dell'Associazione magistrati, ha aggiunto di apprezzare la "posizione istituzionale assunta in questi giorni dall'Anm".

Ma il presidente della Camera non è l'unico bersaglio. Le accuse del Cavaliere sono a 360 gradi: nella lista ci sono i giornali e i programmi tv come Annozero e Ballaro, che lo "azzannano continuamente". Così come l'opposizione che "cerca di dare una spallata al governo". Ma l'affondo più duro è sempre per i pubblici ministeri, in particolare quelli della Procura di Milano: "Le accuse su cui si basano i miei processi e sostenute dalla cellula rossa dei pm sono assolutamente infondate, l'ho giurato sulla testa dei miei cinque figli e sui miei nipoti", è l'attacco del Cavaliere che rilancia ancora una volta la riforma della giustizia insieme alla riforma della legge sulle intercettazioni (bollate come "una cosa immonda e non degna di uno Stato libero").

L'affondo prosegue poi contro la Corte costituzionale che "da organo di garanzia è diventato un organo politico la cui maggioranza è composta da giudici di sinistra" colpevoli di aver bocciato "il lodo Schifani, il lodo Alfano ed il legittimo impedimento" consentendo che il capo del governo "finisse in pasto ai Pm di sinistra". Ecco perchè Berlusconi non esita a definire "un errore" l'abrogazione dell'immunità parlamentare, forse - dice - "il più grave errore commesso dalle precedenti maggioranze".

Avanti dunque con le riforme "quella dell'architettura istituzionale, quella della giustizia e quella tributaria" grazie a una maggioranza "più esile nei numeri, ma più coesa". Con una certezza totale: "Il berlusconismo non è al tramonto".

ANM, DA DELEGITTIMAZIONE PERICOLI DEMOCRAZIA

La delegittimazione delle magistratura, per gli effetti che può avere nei processi che si celebrano quotidianamente, può portare alla "messa in pericolo seria della democrazia". Lo ha detto il presidente dell'Anm Luca Palamara nel corso di un'intervista al Tg3. Nel pomeriggio il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini nel corso della trasmissione In mezz'ora aveva parlato di un "metodo di avvelenare le acque". Quando Berlusconi dice che l'Anm avrebbe firmato accordo con Fini dice una bugia, una grave calunnia. Inviterei presidente del Consiglio a fare nomi e a farci vedere il documento documento di cui parla". "L'attacco alla persona del magistrato che sostiene l'accusa o il magistrato che giudica è un metodo barbaro", aveva aggiunto Casini sottolineando lo "scempio istituzionale" creato dal fatto che si facciano leggi "per determinare effetti su singoli processi".

DI PIETRO, SE OK REFERENDUM NAPOLITANO SCIOLGA CAMERE

"Se si vince il referendum, il capo dello Stato dovrebbe sciogliere le Camere". È quanto chiede il leader dell'Idv Antonio Di Pietro intervenendo alla trasmissione tv In mezz'ora. Di Pietro torna ad appellarsi a Napolitano affinché intervenga contro un presidente del Consiglio che attacca "in questo modo un altro potere costituzionale" come quello della magistratura.

 

18 aprile 2011

MILANO

Caso Ruby, la Minetti prende le distanze

Nell'ambito dell'inchiesta principale sul cosiddetto caso Ruby, l'avvocato della consigliera regionale lombarda Pdl Nicole Minetti ha presentato ai pm una memoria che di fatto scarica le responsabilità nei confronti degli altri due indagati, il direttore del Tg4 Emilio Fede e l'impresario Lele Mora, soprattutto in relazione all'accusa di prostituzione minorile. Lo hanno riferito oggi fonti giudiziarie. Nell'ambito di questa indagine, che ruota attorno alla giovane marocchina Karima el Mahroug detta Ruby, è stata stralciata la posizione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il cui processo con rito immediato con l'imputazione di prostituzione minorile è iniziato il 6 aprile davanti al Tribunale di Milano.

LA REPLICA DI FEDE

"Ho letto una sintesi della memoria difensiva di Nicole Minetti assistita dall'avvocata Daria Pesce - dichiara in una nota il direttore del Tg4 Emilio Fede -. L'unico elemento mancante è che entrambe avrebbero bisogno dell'assistenza di uno psichiatra". Il consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti ha depositato oggi, tramite il suo legale, una memoria difensiva nell'ambito del filone di inchiesta appena chiuso sul caso Ruby in cui l'ex igienista dentale di Silvio Berlusconi è indagata insieme a Emilio Fede e a Lele Mora di induzione e favoreggiamento della prostituzione di 32 ragazze maggiorenni e della minorenne Ruby.

MINETTI: NON ACCUSO NE' FEDE NE' MORA

La consigliere regionale Nicole Minetti, accusata di induzione e sfruttamento della prostituzione nell'ambito dell'inchiesta Ruby, ha negato di avere accusato nella memoria difensiva Emilio Fede e Lele Mora. "Il mio legale Daria Pesce - ha detto - ha presentato una memoria difensiva da cui si evince che non ho portato Ruby ad Arcore. In questa memoria, ci tengo a sottolinearlo, non accuso né Emilio Fede né Lele Mora".

 

18 aprile 2011

MILANO

Manifesti antigiudici

Lassini è indagato

Roberto Lassini, già sindaco democristiano di Turbigo e presidente dell'associazione "Dalla parte della Democrazia", candidato alle comunali di Milano per il Pdl, e autore dei manifesti "Via le Br dalle procure", è indagato con altre due persone per vilipendio dell'ordine giudiziario dalla Procura milanese in relazione ai manifesti con la scritta "Via le Br dalle procure", attaccati abusivamente nel fine settimana negli spazi destinati alle affissioni elettorali. L'intervista di Lassini di domenica al Giornale è stata acquisita agli atti delle indagini. Le indagini coordinate dai pm Armando Spataro, Grazia Pradella e Ferdinando Pomarici sono ancora in corso e si stanno effettuando accertamenti anche per individuare altri possibili responsabili. Tra gli indagati non ci sarebbero. Il reato contestato ai tre indagati è previsto dall'articolo 290 del Codice penale.

Per procedere, la Procura deve chiedere l'autorizzazione al ministero della Giustizia, che verrà inoltrata non appena saranno completati tutti gli accertamenti necessari. Il reato è contestato ai tre indagati "fino al 16 aprile", e le contestazioni riguardano sia il manifesto "Via le Br dalle Procure" che un altro che recitava "Toghe rosse. Ingiustizia per tutti". Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, di sponda con il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, avrebbe avviato un pressing sul coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani per convincere l'autore dei manifesti anti-pm Roberto Lassini a rinunciare alla sua candidatura nella lista del Pdl alle prossime comunali. A quanto si è appreso nel corso di una riunione politica nella sua abitazione milanese il primo cittadino avrebbe prospettato a Mantovani l'intenzione di firmare una lettera di dissociazione dalla candidatura di Lassini nel caso non ci fosse stato un suo passo indietro dalla corsa elettorale a Milano. A sostenere Letizia Moratti si sarebbe speso in prima persona anche Lupi che avrebbe rinnovato la sua condanna sui manifesti già dichiarata pubblicamente ieri a margine della convention nel capoluogo lombardo con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Visto che le liste sono già state depositate, l'unica strada percorribile per placare la bufera sarebbe la rinuncia di Lassini alla propria candidatura. Dal canto suo Mantovani ha lasciato la riunione a casa del sindaco Moratti senza rilasciare dichiarazioni ai cronisti. Alle insistenti domande su quanto potrebbe ora succedere, il coordinatore del Pdl si è limitato a dire: "Lo stabiliremo presto".

BAGARRE IN CONSIGLIO

E sulla vicenda è scoppiata la bagarre in consiglio comunale. Il centrosinistra si è presentato in aula esponendo cartelli con le scritte "Lassini sei la vergogna di Milano", "chi non lo dice è complice", "solidarietà ai magistrati" e con la richiesta: "Non vogliamo Lassini in consiglio comunale". Dov’è il sindaco Moratti che dice che deve ritirare la sua candidatura? Il sindaco chieda chiaramente che la ritiri", ha detto il capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino prendendo la parola in aula, dove si è scatenata la bagarre. Inutili i richiami all’ordine del presidente del consiglio comunale, che ha quindi sospeso la seduta. Parla di equivoco Roberto Lassini, presidente dell'associazione che ha firmato i manifesti con la scritta "Via le Br dalle procure". Ammette che l'espressione "è molto forte", ma precisa che "non ha nessuna intenzione di autosospendersi" e che quindi resta candidato nella lista del Pdl per le prossime comunali di Milano. Lassini dice di non aver ideato lui la frase, ma è il presidente dell'associazione "Dalla parte della democrazia" che firma i manifesti affissi a Milano.

 

 

18 aprile 2011

PROCESSO A MILANO

Parmalat, tutte assolte le banche

Banche straniere e manager assolti al processo Parmalat. I giudici della seconda sezionale penale del Tribunale di Milano, chiamati a decidere sulle accuse di aggiotaggio informativo nel crac della società di Tanzi, hanno così dato ragione alla difesa. Assolte per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste le quattro banche estere e i sei funzionari chiamati a processo: le banche per avere violato la legge 231 del 2001, che impone l'adozione di modelli organizzativi per prevenire i reati commessi dai dipendenti, e i funzionari con l'accusa di aver dato false comunicazioni al mercato per "gonfiare" il titolo Parmalat oltre il proprio reale valore di mercato. Dopo il crac, le indagini si chiusero a marzo 2005, mentre il rinvio a giudizio fu chiesto il 13 giugno 2007. Il processo era stato aperto nel gennaio del 2008, mentre l'inchiesta - che a Milano rappresenta il secondo filone sul caso Parmalat - era stata chiusa nel maggio del 2005. Parte civile sono circa 40mila risparmiatori Parmalat, di cui oltre 30mila rappresentati da Carlo Federico Grosso.

LE ACCUSE

La Procura, al termine della requisitoria il 17 gennaio scorso, aveva chiesto la condanna degli istituti di credito a una sanzione di 900mila euro ciascuno e la confisca di 120 milioni di profitti ritenuti illeciti: in particolare, 14 milioni di euro a Deutsche Bank, 70 milioni di euro a Citigroup, 30 milioni e 705.000 euro a Bank of America e 5,9 milioni di euro a Morgan Stanley . I legali delle banche, nel corso delle arringhe, hanno definito le accuse infondate, proclamando la correttezza dell'operato degli istituti, chiamati a rispondere del reato di aggiotaggio per la responsabilità amministrativa nei confronti delle condotte illecite dei propri funzionari per effetto della legge 231.

ASSOLTI ANCHE I MANAGER

Il Tribunale ha poi assolto per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste i dirigenti dei quattro istituti: Paolo Botta (Citibank), Giaime Cardi (Credit Suisse), Marco Pracca e Tommaso Zibordi (Deutsche Bank) e Paolo Basso e Carlo Pagliani (Morgan Stanley). Per le persone fisiche la pubblica accusa aveva chiesto condanne che andavano da 1 anno a 1 anno e 4 mesi, tranne che per Cardi per la quale era stato chiesto il non doversi procedere per prescrizione.

"NON E' SUCCESSO NIENTE"

Dopo la lettura della sentenza che ha mandato assolti le banche e i loro manager imputati a Milano per il crack Parmalat, prima in aula si è sentito un brusio poi è scoppiata la gioia dei legali. Due addirittura, fuori dall'aula, gremita di persone, si sono abbracciati dicendo "Non è successo niente". "Siamo soddisfatti della decisione del Tribunale" ha detto un portavoce di Morgan Stanley. Per Bank of America "ancora una volta è stato confermato che nessuno dei dipendenti di Bank of America fosse a conoscenza della frode di Parmalat che la stessa è stata perpetrata solo da alcuni suoi esponenti con l'assistenza di alcuni revisori contabili".

LA SODDISFAZIONE DELLE BANCHE

"Per noi è una vittoria, è stato fatto uno sforzo incredibile ma il nostro cliente era totalmente innocente" ha affermato il legale di Deutsche Bank aggiungendo che questi "sono processi che all'inizio hanno avuto una violentissima reazione pubblica, gli imputati hanno rischiato di perdere la carriera ma il periodo lunghissimo ha avuto una visione più razionale". Citi ha parlato di Tribunale "forte e indipendente" ricordando di aver "sempre sostenuto di esser stati defraudati" e tuttavia di aver offerto risarcimenti ai risparmiatori "per ragioni morali". Per Bank of America "ancora una volta è stato confermato che nessuno dei dipendenti della banca fosse a conoscenza della frode di Parmalat e che la stessa è stata perpetrata solo da alcuni suoi esponenti con l'assistenza di alcuni revisori contabili".

CODACONS

L'assoluzione delle banche estere "è una vergogna, i magistrati italiani scendono in campo contro processi brevi e prescrizioni, appellandosi proprio a cause di valenza sociale come Parmalat e crack vari, e poi, quando si trovano a decidere su tali vicende, danno torto ai cittadini e assolvono le banche che hanno venduto carta straccia". È il commento del presidente Codacons, Carlo Rienzi sulla vicenda. "Invitiamo i risparmiatori - continua Rienzi - a proseguire la battaglia in sede civile, al fine di far valere i propri diritti contro i potentati bancari".

 

 

 

 

 

 

2011-04-15

15 aprile 2011

LA STRATEGIA DEL GOVERNO

Il premier suona la carica:

adesso le intercettazioni

L'aveva già fatto trapelare a poche ore dal voto sulla prescrizione breve: "È solo la prima tappa...". Ieri Silvio Berlusconi ha confermato che la "guerra" continua. "Ora è chiaro a tutti che abbiamo una maggioranza... bene, usiamola!", dice con toni gladiatori ai capigruppo di Pdl, Lega e responsabili convocati a Palazzo Grazioli per un pranzo di lavoro. I fronti da cui ripartire "subito" sono tre: il rilancio del ddl intercettazioni, che Maurizio Paniz dà per approvato già entro l’estate e non nella forma "annacquata" cui si era giunti dopo le mediazioni con i finiani, la riforma costituzionale della giustizia (incardinata l’altroieri a Montecitorio) e la riforma della Carta nella parte che riguarda i poteri dello Stato, il cui iter sarà forse affidato a palazzo Madama.

Al tavolo ci sono anche i coordinatori azzurri La Russa e Verdini, il legale del premier Ghedini, il vicepresidente della Camera Lupi. E, soprattutto, il Luciano Sardelli di Iniziativa Responsabile, che all’uscita sarà il più prolifico di indiscrezioni. Una delle quali è molto interessata: "La settimana prossima il premier farà il rimpasto, chiuderà la pratica". Da tempo si parla di tre viceministri e una decina di sottosegretari da inserire in squadra. Ma tra azzurri e leghisti regna la prudenza: la sensazione è che il premier cercherà di tenere a freno la questione fino alle amministrative, perché, dicono in Transatlantico, "gli scontenti si pesano". Ovvero: chi resta senza poltrona potrebbe rivalersi sottraendo voti nelle città-chiave in cui si vota a maggio. L’altra soffiata passata da Sardelli ai cronisti è quella per cui sarebbe imminente il passaggio di sei deputati (due già lo hanno annunciato, sono i libdem Melchiorre e Tanoni) nelle fila della maggioranza, di cui uno proveniente da Fli. Sarebbero i sei dell’opposizione che mercoledì, nell’unica votazione segreta sul processo breve, hanno sostenuto l’esecutivo.

La tornata elettorale ruba buona parte del pranzo. Non a caso una delle decisioni prese è quella di organizzare due manifestazioni a ridosso del voto, una a Milano e una a Napoli, entrambe date a rischio dai sondaggi. In tutti e due i casi il premier sarà la star, e la macchina del partito si è già attivata. Poco prima del pranzo di lavoro Berlusconi aveva inoltre ricevuto il presidente calabrese Giuseppe Scopelliti, con il quale ha fatto il quadro delle candidature in regione. Un summit che ha confermato l’investitura di Dorina Bianchi (Udc) come candidato a sindaco di Crotone.

La priorità del premier, però, è cavalcare l’onda del voto sulla prescrizione breve. Si dice convinto che su intercettazioni (ieri anche l’ex Idv Scilipoti ha presentato un suo testo, molto restrittivo) e riforma costituzionale della giustizia (quella con doppio Csm e separazione delle carriere) possano convergere altri pezzi delle opposizioni. "Quando parlo di tutelare la privacy ovunque ricevo standing ovation...", confida il Cavaliere. Senza dimenticare che ci sono altre cavalli in scuderia, in particolare la responsabilità civile dei giudici alla Camera e l’"allunga-processi" al Senato (la norma che renderebbe ammissibili tutti i testi chiesti dalla difesa e inutilizzabili come prova le sentenze passate in giudicato in altri procedimenti).

Ma per chiudere il cerchio, dice il premier, serve la "riforma dell’assetto istituzionale". Ieri ha dato mandato di aprire il nuovo fronte: "Riequilibrio" (a favore dell’esecutivo) dei poteri tra governo, Parlamento, Colle e Consulta, bicameralismo imperfetto, riduzione dei parlamentari. Una "rivoluzione" che sembra scalzare tre le priorità la riforma fiscale, impantanata, dicono i suoi, dalla carenza di risorse.

Marco Iasevoli

 

 

 

 

 

 

14 aprile 2011

VIA LIBERA DELLA CAMERA

Processo breve, Napolitano:

valuterò prima dell'approvazione

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha intenzione di verificare gli effetti della prescrizione breve prima della sua approvazione finale da parte del Parlamento. Le polemiche continuano. Il Pd annuncia battaglia: "Non gli faremo calendarizzare il processo breve in aula" al Senato, dice la presidente dei senatori del Pd Finocchiaro. Sul fronte del governo, vertice tra il presidente del Consiglio, Berlusconi e i capigruppo della maggioranza per fare il punto sul prosieguo della legislatura.

NAPOLITANO,VALUTERO' EFFETTI PRIMA VOTO FINALE

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha intenzione di verificare gli effetti della prescrizione breve prima ancora della sua approvazione finale da parte del Parlamento. A chi gli chiedeva infatti cosa pensasse delle molte preoccupazioni espresse dal Csm e dalle famiglie delle vittime di Viareggio sul fatto che la legge possa fare saltare molti processi, il capo dello Stato - a margine dell'inaugurazione della ristrutturata stazione centrale di Praga - ha detto: "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento".

Pensare a un intervento preventivo del Quirinale sulla legge sul processo breve "è del tuttoarbitrario". È quanto fanno sapere fonti della Presidenza della Repubblica, interpellate in merito alle letture che oggi sono state date alla risposta del capo dello Stato Giorgio Napolitano a chi gli chiedeva, a Praga, valutazionisul provvedimento approvato ieri dalla Camera. Negli ambienti del Quirinale si osserva che l'espressione "vicini al momento" significa che il capo dello Stato comincerà a esaminare il testo alla vigilia della decisione che gli toccherà prendere a proposito della promulgazione.Interpretare quindi le sue parole come annuncio di un intervento preventivo, ribadiscono gli ambienti del Quirinale, è del tutto arbitrario.

BERLUSCONI, CON IL COLLE CHIARIREMO TUTTO

Dobbiamo "chiarire" con il Colle e spiegare bene gli effetti di questo provvedimento. Così Silvio Berlusconi nel corso del vertice a palazzo Grazioli è tornato sulla necessita di avviare un "dialogo" con i capo dello Stato, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti, dicendosi convinto che anche il Colle comprenderà le ragioni del provvedimento. "Dopo il bel risultato che abbiamo ottenuto ieri andiamo avanti con la legge sulle intercettazioni perché intorno a questo provvedimento c'é un grande consenso popolare. Le gente non vuole sentirsi spiata". Lo ha detto il premier, a quanto raccontano, nel corso del vertice a palazzo Grazioli con i capigruppo della maggioranza.

ANM, AMNISTIA PERMANENTE CHE UCCIDE PROCESSI

La legge sulla prescrizione breve approvata ieri dalla Camera"è un'amnistia permanente per numerosi gravi reati, come la corruzione, l'evasione fiscale, la truffa, la truffa ai danni dello Stato, l'appropriazione indebita, l'omicidio e le lesioni colpose, quelli in materia di ambiente e di infortuni sul lavoro". Lo sostiene l'Anm, aggiungendo che il provvedimento "uccide i processi".

 

 

L'AULA APPROVA IL PROCESSO BREVE

"È andata come dicevo. La mag­gioranza ha dimostrato coe­sione, forza... Ora sarà tutto in discesa, andremo avanti come un treno fi­no al 2013". Monte­citorio ha appena detto sì al processo breve e al telefono deputati e ministri gli danno la notizia: 314 contro 296. "Be­ne, bene, noi siamo forti; i nostri avver­sari invece sono al­lo sbando". Ed è già l’ora di guardare avanti. Sprona i suoi: "O­ra c’è la riforma della giustizia poi passere­mo ad affrontare la questione dell’archi­tettura costituzionale".

Non a caso proprio ieri è stata presentata ufficialmente la boz­za alle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera. "Noi abbiamo di­mostrato compattezza, loro invece si sono divisi. La maggioranza è salda, compatta e cresce e presto crescerà ancora. Al contra­rio dell’opposizione che invece in questi giorni ha fatto l’ennesima figuraccia". Al Senato - con i numeri più favorevoli - si profila, al confronto, una passeggiata. E Ber­lusconi è fiducioso che il processo breve potrà diventare legge già nella settimana dopo Pasqua. "È una legge che ci mette al passo dell’Europa, altro che legge ad per- sonam". "I numeri ci sono", dice soddi­sfatto anche Umberto Bossi. "E cresceran­no", si dice sempre più convinto, il premier. È il giorno della resa, per le opposizioni. Nella consapevolezza, forse, che ora lo scontro si sposta fuori dall’aula. Subito in piazza, ma in segui­to, forse, anche da­vanti alla Consulta, come lasciano in­tendere sia Casini che Fassino, e c’è at­tesa anche sulle va­lutazioni del Quiri­nale.

L’immagine plastica della scon­fitta parlamentare delle opposizioni si era avuta già nel po­meriggio col doppio colpo sancito dagli e­siti delle votazioni. Passava alle 17 l’artico­lo 3, nell’ultima versione del relatore Mau­rizio Paniz sulla prescrizione breve. Ma an­cor più importante era il segnale che arri­vava subito dopo, quando veniva accorda­to dalla presidenza il voto segreto (chiesto dal Pd) su un emendamento proposto dal-­l’Idv riguardante l’inappellabilità delle sen­tenze relative alla competenza territoriale. Una questione meramente tecnica, che però diventava di fatto un test su eventua­li mal di pancia su un versante o sull’altro. Ma, sorpresa, i no - in conformità alle po­sizioni della maggioranza - salivano nel se­greto dell’urna a 316, contro 288. Nella mag­gioranza contavano una dozzina di voti in libera uscita dalle opposizione in base alle presenze al momento del voto. Partiva la caccia ai franchi tiratori, dalla maggioran­za si alludeva chiaramente ai malumori nel­l’area moderata di Fli che fa capo ad Adolfo Urso. E quando Berlusconi parla della compat­tezza delle sue fila e dello sbandamento nelle fila altrui si riferisce proprio all’esito di questo voto segreto, di cui era stato tem­pestivamente informato.

Anzi, nel pome­riggio erano trapelati sull’onda di questo episodio auspici anche più roboanti del premier, con un nuovo obiettivo: "Quota 345". Alla fine il voto finale sul provvedimento si avvicina di molto alla fatidica quota di au­tosufficienza (316) senza ancora raggiun­gerla. "La maggioranza tiene", si dice però soddisfatto il coordinatore Denis Verdini: "Il Pdl è una macchina da guerra, abbiamo tenuto bene per due giorni e dimostrato coesione" osserva, al termine del voto a Montecitorio, ricordando le assenze. Quan­to invece al successo più ampio raggiunto sul voto segreto segnala invece "un senti­mento ", sostiene Verdini. Il processo breve, salvo ostacoli successivi, si appresta quindi a diventare legge dello Stato.

E Maurizio Gasparri invita il Cava­liere a non disdegnarne l’uso a fini proces­suali, segnatamente nel caso Mills. "Fossi in lui - dice il capogruppo al Senato del Pdl - lo utilizzerei perché è colpito da un mo­do fazioso e illegale di esercitare le azioni giudiziarie nei suoi confronti. Il problema qui è non fare lotta politica abusando del­la funzione di magistrato". E anche nel governo l’aria è più distesa: "La maggioranza è coesa e in grado di prose­guire senza timori sulla strada delle rifor­me ", dice il ministro dell’Istruzione, Ma­riastella Gelmini. "Si rassegnino, il governo Berlusconi durerà fino al 2013". "Ora, le riforme", dice Michela Brambilla. Angelo Picariello

 

 

 

 

 

2011-04-14

14 aprile 2011

Al di là delle partigianerie, i nodi non saranno sciolti

Ma non chiamatelo "processo breve"

Alzi la mano chi desidera un processo lungo, estenuante e spesso inconcludente come gran parte di quelli che si celebrano (o si trascinano) per anni nei tribunali italiani. Una legge sul "processo breve", ovvero un provvedimento che riuscisse davvero a garantire l’amministrazione della giustizia in tempi certi e ragionevoli, sarebbe perciò l’uovo di Colombo, oltre che la medicina più indicata per curare il male di cui soffre questo settore. Già, perché se si riuscisse a guardare l’Italia senza le lenti deformanti della partigianeria (ormai vero sport nazionale, al pari del calcio), si vedrebbe un Paese stritolato dalla "questione giudiziaria".

Con questa definizione non vanno intese, però, l’urgenza dell’attuale presidente del Consiglio di risolvere i suoi guai con taluni magistrati di Milano e la costanza (non priva di forzature procedurali, né, talvolta, perfino di venature d’astio) con la quale questi ultimi lo incalzano ormai da quasi vent’anni, bensì proprio la lentezza dei processi civili e penali. La stessa che ci procura continue condanne a Strasburgo per "irragionevole durata" delle cause. E che ci vede dietro a diversi Stati in via di sviluppo nella classifica mondiale dei luoghi dove occorre più tempo per recuperare un credito: 1.210 giorni, più di tre anni.

Ebbene, ieri, in una Camera dei deputati in tumulto, ha compiuto il giro di boa un disegno di legge d’iniziativa parlamentare che contiene proprio "misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali". A che cosa servirà, una volta che avrà incassato anche il voto favorevole del Senato ed entrerà in vigore, presumibilmente subito dopo Pasqua? La risposta degli oppositori è: a evitare a Silvio Berlusconi una condanna in primo grado nel processo Mills (comunque destinato a finire nel nulla prima della sentenza definitiva), accorciando di qualche mese i termini della prescrizione grazie a una norma infilata nel testo dal relatore Paniz del Pdl, dopo che la maggioranza aveva accettato, come segnale di distensione e apertura al dialogo sulla più ampia riforma costituzionale della giustizia proposta dal ministro Alfano, di cancellare la norma transitoria che consentiva l’applicazione della legge ai processi in corso, inclusi quelli che vedono imputato il premier.

La versione della maggioranza e del governo è, invece, che il provvedimento è necessario in quanto mette al riparo tutti i cittadini dalla eccessiva lunghezza dei processi, dichiarandone l’estinzione qualora non si concludano in tre anni per il primo grado, due anni per l’appello e diciotto mesi per l’eventuale sentenza di legittimità, perché una giustizia che arriva più tardi è comunque una giustizia negata.

Entrambe le risposte sono vere. Del resto, l’una non esclude l’altra. Sia la domanda, sia le risposte, tuttavia, non sembrano centrate. Sarebbe meglio chiedersi, infatti, a che cosa non servirà questa legge, per convenzione e sintesi giornalistica definita "sul processo breve". E la risposta è che, purtroppo, non servirà ad abbreviare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi da cui è stata preceduta (approvati, come la legge Pinto del 2001 o la "ex-Cirielli" del 2005, oppure rimasti allo stadio di proposta, come quella del 2006 firmata anche dall’attuale capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, allora nell’Ulivo, e ancor prima, nel 2004, da cinque suoi compagni di partito nei Ds, tra i quali l’attuale consigliere "laico" del Csm Guido Calvi) potrà soltanto prendere atto, di volta in volta, di un fallimento: quello di uno Stato che non riesce a garantire una sentenza definitiva in tempi ragionevoli. Ma questa è la radiografia del male, non la cura.

Danilo Paolini

 

 

 

14 aprile 2011

VIA LIBERA DELLA CAMERA

Processo breve, Napolitano:

valuterò prima dell'approvazione

"Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rispondendo ad una domanda sui dubbi che circolano in merito alla legge sul processo breve.

L'AULA APPROVA IL PROCESSO BREVE

"È andata come dicevo. La mag­gioranza ha dimostrato coe­sione, forza... Ora sarà tutto in discesa, andremo avanti come un treno fi­no al 2013". Monte­citorio ha appena detto sì al processo breve e al telefono deputati e ministri gli danno la notizia: 314 contro 296. "Be­ne, bene, noi siamo forti; i nostri avver­sari invece sono al­lo sbando". Ed è già l’ora di guardare avanti. Sprona i suoi: "O­ra c’è la riforma della giustizia poi passere­mo ad affrontare la questione dell’archi­tettura costituzionale".

Non a caso proprio ieri è stata presentata ufficialmente la boz­za alle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera. "Noi abbiamo di­mostrato compattezza, loro invece si sono divisi. La maggioranza è salda, compatta e cresce e presto crescerà ancora. Al contra­rio dell’opposizione che invece in questi giorni ha fatto l’ennesima figuraccia". Al Senato - con i numeri più favorevoli - si profila, al confronto, una passeggiata. E Ber­lusconi è fiducioso che il processo breve potrà diventare legge già nella settimana dopo Pasqua. "È una legge che ci mette al passo dell’Europa, altro che legge ad per- sonam". "I numeri ci sono", dice soddi­sfatto anche Umberto Bossi. "E cresceran­no", si dice sempre più convinto, il premier. È il giorno della resa, per le opposizioni. Nella consapevolezza, forse, che ora lo scontro si sposta fuori dall’aula. Subito in piazza, ma in segui­to, forse, anche da­vanti alla Consulta, come lasciano in­tendere sia Casini che Fassino, e c’è at­tesa anche sulle va­lutazioni del Quiri­nale.

L’immagine plastica della scon­fitta parlamentare delle opposizioni si era avuta già nel po­meriggio col doppio colpo sancito dagli e­siti delle votazioni. Passava alle 17 l’artico­lo 3, nell’ultima versione del relatore Mau­rizio Paniz sulla prescrizione breve. Ma an­cor più importante era il segnale che arri­vava subito dopo, quando veniva accorda­to dalla presidenza il voto segreto (chiesto dal Pd) su un emendamento proposto dal-­l’Idv riguardante l’inappellabilità delle sen­tenze relative alla competenza territoriale. Una questione meramente tecnica, che però diventava di fatto un test su eventua­li mal di pancia su un versante o sull’altro. Ma, sorpresa, i no - in conformità alle po­sizioni della maggioranza - salivano nel se­greto dell’urna a 316, contro 288. Nella mag­gioranza contavano una dozzina di voti in libera uscita dalle opposizione in base alle presenze al momento del voto. Partiva la caccia ai franchi tiratori, dalla maggioran­za si alludeva chiaramente ai malumori nel­l’area moderata di Fli che fa capo ad Adolfo Urso. E quando Berlusconi parla della compat­tezza delle sue fila e dello sbandamento nelle fila altrui si riferisce proprio all’esito di questo voto segreto, di cui era stato tem­pestivamente informato.

Anzi, nel pome­riggio erano trapelati sull’onda di questo episodio auspici anche più roboanti del premier, con un nuovo obiettivo: "Quota 345". Alla fine il voto finale sul provvedimento si avvicina di molto alla fatidica quota di au­tosufficienza (316) senza ancora raggiun­gerla. "La maggioranza tiene", si dice però soddisfatto il coordinatore Denis Verdini: "Il Pdl è una macchina da guerra, abbiamo tenuto bene per due giorni e dimostrato coesione" osserva, al termine del voto a Montecitorio, ricordando le assenze. Quan­to invece al successo più ampio raggiunto sul voto segreto segnala invece "un senti­mento ", sostiene Verdini. Il processo breve, salvo ostacoli successivi, si appresta quindi a diventare legge dello Stato.

E Maurizio Gasparri invita il Cava­liere a non disdegnarne l’uso a fini proces­suali, segnatamente nel caso Mills. "Fossi in lui - dice il capogruppo al Senato del Pdl - lo utilizzerei perché è colpito da un mo­do fazioso e illegale di esercitare le azioni giudiziarie nei suoi confronti. Il problema qui è non fare lotta politica abusando del­la funzione di magistrato". E anche nel governo l’aria è più distesa: "La maggioranza è coesa e in grado di prose­guire senza timori sulla strada delle rifor­me ", dice il ministro dell’Istruzione, Ma­riastella Gelmini. "Si rassegnino, il governo Berlusconi durerà fino al 2013". "Ora, le riforme", dice Michela Brambilla. Angelo Picariello

 

 

 

14 aprile 2011

L'OPPOSIZIONE

La rabbia di Bersani:

"Passo verso l’abisso"

Barricata doppia con­tro la riforma licen­ziata ieri sera tra mil­le polemiche. Dalle opposi­zioni parlamentari e dalla ma­gistratura sono arrivate criti­che e e perplessità. Non solo sul provvedimento contesta­to, che il segretario del Pd Pier Luigi Bersani definisce "un passo verso l’abisso" fatto dal­l’esecutivo "nella coscienza degli italiani". Ma anche sul­l’ennesima esternazione del presidente del Consiglio Sil­vio Berlusconi sui giudici 'rossi'. Tanto che il vicepre­sidente del Csm Michele Viet­ti sente il dovere di ribadire, durante la riunione mattutina del plenum, che "la magistra­tura lavora per il Paese e non contro il Paese" e merita "il ri­spetto e la riconoscenza di o­gni cittadino e di ogni istitu­zione ". Parole inequivocabili a cui fa seguire la notazione sul fatto che "il presidente del­la Repubblica è costante­mente informato dei nostri la­vori e anche degli umori dif­fusi nella magistratura".

An­che l’Associazione nazionale magistrati replica a Berlusco­ni lamentando uno "stillici­dio che fa male al Paese". Pa­rola del presidente Luca Pala­mara. Che, prima del sì defi­nitivo ormai nell’aria, parlan­do nel pomeriggio a Perugia, annuncia: "Valuteremo ini­ziative di protesta, ma so­prattutto faremo sentire la no­stra voce illustrando le rica­dute che queste norme a­vranno sul sistema". Intanto la prescrizione breve "difficil­mente potrà reg­gere a un vaglio di costituziona­lità ", assicura il segretario del­l’Anm, Giuseppe Cascini. A metà pome­riggio arriva il primo sì alla norma sulla pre­scrizione breve. Davanti a Montecitorio, il sit-in del 'po­polo viola' lo accoglie con ur­la e boati. Si uniscono i parenti delle vittime della strage di Viareggio e del terremoto de L’Aquila. Tra i dimostranti an­che esponenti di Pd, Idv e Fli. Al sottosegretario Daniela Santanchè qualcuno lancia monetine e grida: "Venduta, vergognati!". Scene che si ri­petono a sera, all’uscita dei deputati. In particolare, toc­ca al leader della Lega Um­berto Bossi essere apostrofa­to al grido di "venduto".

Clima surriscaldato anche in aula. Dove in risposta a un An­tonio Di Pietro scatenato che definisce la maggioranza "as­servita, irresponsabile che vende la propria dignità per un piatto di maccheroni", si leva un "mercedes, mercedes" (riferito a passate vicende del­l’ex pm). Si sen­te un clima po­st- Mani pulite, insomma. "Do­po 20 anni sia­mo tornati da­vanti al tribuna­le di Milano con la gente sul marciapiede", sintetizza il lea­der dell’Udc Pier Ferdinan­do Casini. Il quale critica i provvedimenti ad personam, che anche a suo giudizio non supereranno il vaglio di costi­tuzionalità. Tranchant il fi­niano Benedetto Della Vedo­va che parla di "Parlamento umiliato". Infine, l’ex ministro della Giustizia Piero Fassino parla di un provvedimento "devastante", perché "ci sa­ranno 15mila processi che non arriveranno alla fine".

Gianni Santamaria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-04-12

12 aprile 2011

GIUSTIZIA E POLITICA

Processo breve, si riparte

L'opposizione promette battaglia

Riparte dalle 15 di oggi il dibattito nell'Aula della Camera sul processo breve. Il voto è previsto per domani ma l'opposizione, ritenendo il provvedimento una legge ad personam, potrebbe scegliere la linea ostruzionistica già adottata la settimana scorsa. Le critiche di Pd, Udc, Idv e Fli sono rivolte soprattutto alla norma che accorcia i tempi di prescrizione per gli imputati incensurati nei processi di primo grado. Secondo l'opposizione, tra gli effetti del nuovo dispositivo sulla prescrizione ci sarebbe quello di accorciare i tempi del processo Mills in cui è imputato da tempo il premier Silvio Berlusconi.

Nella maggioranza si cerca intanto di replicare alle obiezioni migliorando il testo del disegno di legge. Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl, illustra una propria iniziativa: "Presenterò un emendamento per evitare che stragi come quella di Viareggio del 2009 subiscano gli effetti della prescrizione breve". La maggioranza, per evitare sorprese al momento del voto o di eventuali problemi procedurali, ha chiesto ai propri deputati la massima presenza in Aula in tutte le fasi della discussione. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl, ha inviato una lettera a tutti i suoi colleghi: "È indispensabile affrontare i prossimi giorni con coesione politica e attenzione, ma anche con pazienza e serenità, senza cadere nelle provocazioni che facilmente possono emergere nell'ambito di un dibattito così lungo su un provvedimento sul quale si registra un alto livello di contrapposizione politica".

Sono intanto smentite le tensioni all'interno del Pdl che potrebbero riversarsi proprio sulle tappe di approvazione del processo breve. Precisa Denis Verdini, tra i coordinatori del Pdl: "È un periodo durissimo, dove la priorità di Berlusconi e di noi tutti è stata quella di mantenere la maggioranza e allargarla". Dai vertici di Pdl e Lega non si prevedono quindi imboscate. Mentre ieri Berlusconi è tornato ad attaccare i giudici dopo aver presenziato a Milano a una udienza del processo Mediaset per frode fiscale che lo vede imputato, Gianfranco Fini ha preso le distanze dal provvedimento. Il presidente di Montecitorio, in visita a Marsala, ha risposto così a una domanda di uno studente sul processo breve: "Se la legge è uguale per tutti, deve essere uguale per tutti davvero. Se alla Camera si sta discutendo di un certo argomento è perché c'è una maggioranza che decide, nel rispetto del regolamento, di trattare un argomento. Ci sono forze di opposizione che non discuterebbero del processo breve ma di altro", ha aggiunto Fini, leader del Fli.

Donatella Ferranti, capigruppo del Pd in commissione Giustizia, ha intanto rivolto un appello al ministro guardasigilli Angelino Alfano affinchè "non passi sotto silenzio l'allarme del Consiglio superiore della magistratura sul rischio amnistia, quanto meno dovrebbe chiedere una sospensione dell'esame di un provvedimento che rischia di mettere a repentaglio l'esito di importanti processi: da quelli sul terremoto dell'Aquila, alla strage di Viareggio, ai numerosi scandali economico finanziari, alla corruzione". L'opposizione ricorda anche che il presidente Giorgio Napolitano è più volte intervenuto nelle scorse settimane per sostenere che su riforme importanti come quella della giustizia sarebbe meglio ricercare la massima condivisione del Parlamento evitando forzature o voti di fiducia.

L'Idv nell'annunciare battaglia parla addirittura di "un Vietnam parlamentare" che attende Pdl e Lega, mentre per Roberto Rao, Udc, il provvedimento in discussione sulla giustizia "è l'ennesimo scempio, l"ennesima forzatura della maggioranza".

Per domani sono in programma un presidio a Montecitorio promosso dal cosiddetto "popolo viola" e una manifestazione al Pantheon con le famiglie delle vittime dei processi che rischiano una conclusione anticipata per prescrizione, come quelli riguardanti il crollo della casa dello studente a L'Aquila nel terremoto di due anni fa e la strage alla stazione di Viareggio.

 

 

 

 

 

 

2011-04-05

5 aprile 2011

CASO RUBY

Sì al conflitto di attribuzione

Camera, 12 voti di scarto

L'Aula della Camera ha approvato la proposta avanzata dalla maggioranza di sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sul processo Ruby, che si apre domani a Milano. La proposta è passata per 12 voti di scarto. La votazione è avvenuta con il sistema elettronico. I deputati Daniela Melchiorre, Italo Tanoni e Aurelio Misiti, hanno votato insieme alla maggioranza a favore del conflitto di attribuzione.

I banchi del governo erano al gran completo: presenti tutti i ministri tranne il presidente del Consiglio. La sua poltrona era occupata dal ministro Michela Vittoria Brambilla, tra i ministri Umberto Bossi e Franco Frattini. I banchi erano talmente che La Russa e Meloni non hanno trovato posto e hanno dovuto accomodarsi ai banchi da deputato.

La maggioranza di centodestra sostiene che uno dei due reati contestati al premier, la concussione, sia di natura ministeriale e, pertanto, l'inchiesta dovrebbe ricominciare quasi da zero davanti al Tribunale dei ministri, annullando buona parte degli atti compiuti finora dai pm e dal gup di Milano, che ha rinviato Berlusconi a giudizio immediato. Inoltre, di fronte a un reato di natura ministeriale contestato a uno dei membri del governo, il Parlamento potrebbe negare l'autorizzazione a procedere.

La Camera chiede quindi alla Corte costituzionale di avallare questa tesi.

L'accusa dice che Berlusconi abbia avuto rapporti sessuali a pagamento con la giovane marocchina Karima el Mahroug, detta Ruby, lo scorso anno, quando era minorenne, e che abbia cercato illegittimamente di ottenerne il rilascio dalla questura di Milano, dove era stata fermata per furto, con l'obiettivo di occultare la sua relazione con la ragazza.

La maggioranza alla Camera si è schierata con la tesi che la presunta concussione fosse "ministeriale", perché telefonando in Questura, il premier avrebbe agito nell'esercizio delle sue funzioni di premier; infatti, pensava che la ragazza fosse la nipote dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak -- una tesi considerata ridicola dall'opposizione.

Il tribunale di Milano ha detto di non sentirsi vincolato alle tesi della Camera e che il processo andrà avanti.

La Corte costituzionale dovrebbe decidere nei prossimi mesi se accogliere il ricorso ed eventualmente poi decidere nel merito entro un anno dalla sollevazione del conflitto.

 

 

5 aprile 2011

ROMA

Riforma giustizia, Napolitano:

"Rispetto divisione dei poteri"

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto al Quirinale la Giunta esecutiva centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati che gli ha espresso preoccupazioni e perplessità sul testo del disegno di legge costituzionale in tema di riforma della giustizia approvato l'11 marzo 2011 dal Consiglio dei Ministri, peraltro non ancora trasmesso al Capo dello Stato per la presentazione alle Camere.

Napolitano, nell''auspicare ''un più sereno clima istituzionale, ha ribadito il convincimento che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto''. Il Capo dello Stato ''ha espresso la convinzione che l'apertura di un confronto su proposte di modifica del Titolo IV della Costituzione possa costituire terreno di impegno per tutte le forze politiche e culturali e in particolare per tutte le componenti del mondo della giustizia : ferma restando la necessità che un tale confronto avvenga senza pregiudiziali e con la massima disponibilità all'ascolto e alla considerazione delle diverse impostazioni e proposte''.

''Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato''. Lo dicono i vertici dell'Associazione Nazionale Magistrati, che oggi sono stati ricevuti dal capo dello Stato al quale hanno espresso tutte le loro preoccupazioni per le riforme che riguardano la giustizia.

I principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura saranno ''fortemente alterati se si dovesse approvare la riforma costituzionale della giustizia'' hanno fatto presente i vertici dell'Anm nel corso del colloquio con il capo dello Stato. ''Da parte nostra - ha spiegato il presidente dell'Anm, Luca Palamara parlando con i giornalisti alla fine dell'incontro - non c'e' una chiusura corporativa ma la volonta' di mantenere fermi questi principi che sono capisaldi dello stato di diritto e che sono a garanzia dei cittadini''.

 

 

 

 

 

 

4 aprile 2011

PDL

"Intercettazioni non più prova di reato", è polemica su proposta di legge

Si infiamma improvvisamente il confronto sulle utilizzazioni o meno delle intercettazioni solo a scopo investigativo senza che queste possano mai arrivare sul tavolo del giudice. A dar fuoco alle polveri la proposta del deputato del Pdl Maurizio Bianconi che l'ha presentata "a titolo personale" e che è stata posta all'ordine del giorno della commissione giustizia lo scorso 31 marzo.

Il senatore del Pd Giuseppe Lumia definisce quella proposta un "vero e proprio attentato alla libertà di stampa". La proposta di Bianconi, già inserita all'ordine del giorno della Commissione giustizia della Camera, insieme a tante altre, prevede che le intercettazioni vengano declassate da prove di reato e dovrebbero essere distrutte alla fine delle indagini. Questo perché sarebbero ritenute uno strumento utile per scoprire violazioni del codice penale, ma non in grado di far condannare un imputato. Perderebbero quindi quel valore di prova che hanno ora.

Nastri registrati e trascrizioni dovrebbero essere impiegati solo allo scopo di trovare altre prove più schiaccianti da portare davanti al giudice. Maurizio Bianconi sottolinea di aver presentato la proposta a titolo "strettamente personale", senza impegnare quindi il Pdl al quale appartiene:"anche per questo ho evitato di chiedere la firma ai miei colleghi.

 

 

 

 

 

2011-04-04

4 aprile 2011

MILANO

Mediatrade, pm chiedono

rinvio a giudizio per Berlusconi

I pm Fabio de Pasquale e Sergio Spadaro, al termine del loro intervento durante l'udienza preliminare per il caso Mediatrade, hanno ribadito la richiesta di rinvio a giudizio per il premier e gli altri undici imputati.

Manca Silvio Berlusconi a questo nuovo appuntamento in aula dell'udienza preliminare Mediatrade, ultimo capitolo nel più ampio filone processuale sui diritti tv. Il premier, che si è presentato in aula lunedì scorso, questa volta non è potuto essere presente, perché in missione a Tunisi insieme al ministro dell'Interno,

Roberto Maroni, nel tentativo di trovare un accordo per fronteggiare l'emergenza profughi.

I suoi due legali, gli avvocati-deputati Piero Longo e Niccolò Ghedini, non hanno fatto però valere il legittimo impedimento. E così, l'udienza preliminare Mediatrade va avanti. L'udienza di oggi sarà tutta concentrata sull'intervento che il pm, Fabio De Pasquale, sosterrà davanti al Gup Maria Vicidomini, nel tentativo di convincere il giudice a riviare a giudizio Berlusconi per le ipotesi di appropriazione indebita (reato che - secondo l'ipotesi formulata dall'accusa - il premier avrebbe commesso fino al 2009) e frode fiscale (reato che invece, stando sempre alla ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato commesso fino

al 2006).

Il premier non è l'unico imputato di questo filone processuale, ancora in fase di udienza preliminare. Insieme a lui, sul banco degli imputati, ci sono altre 11 persone, compresi il figlio Piersilvio e il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri.

 

 

 

 

 

2011-03-30

0 marzo 2011

RIFORMA

Giustizia, blitz della maggioranza

Napolitano: stop a tensioni

Dopo gli scontri in Aula che hanno portato alla sospensione della seduta, alla ripresa dei lavori il vicepresidente della Camera Antonio Leone ha annunciato il rinvio a domani alle 10 dell'esame del disegno di legge sul processo breve. La decisione è stata salutata da gli applausi dell'opposizione. Dopo il tentativo di sfondamento del portone di Montecitorio da parte di alcuni manifestanti in sit-in contro il processo breve, è uscito il ministro della Difesa, Ignazio La Russa che è stato oggetto, insieme alla sottosegretaria Daniela Santanchè, del lancio di monetine.

"Se lo ha detto mi prenda lui un appuntamento". Così sempre La Russa ha risposto ai cronisti in Transatlantico che gli chiedevano un commento alle parole del presidente della Camera Gianfranco Fini, che uscendo dall'Aula aveva sibiltato "curatelo", riferendosi al titolare della Difesa. In Aula La Russa aveva indirizzato un "Vaffa" a Fini, che lo aveva ripreso nel corso dell'infuocato dibattito.

LA MAGGIORANZA ACCELERA

La maggioranza accelera sul processo breve ed è scontro con l'opposizione: l'aula della Camera, su richiesta del Pdl appoggiata dalla Lega, ha approvato che si passasse subito all'esame e al voto del processo breve. I deputati dell'opposizione per protesta hanno abbandonato i lavori del Comitato dei nove della commissione Giustizia per protesta contro la decisione della maggioranza "di strozzare i tempi del dibattito" sul processo breve.

Nell'emiciclo di Montecitorio c'erano molti ministri, da Frattini ad Alfano, a La Russa, fino a Bossi e Calderoli. Pdl e Lega in aula alla Camera hanno fatto passare per 15 voti l'inversione dell'ordine del giorno che ha fatto slittare l'esame della legge comunitaria e ha anticipato il voto sul ddl sui tempi dei processi. L'emiciclo si è scaldato e il segretario del Pd, Pierluigi Bersani ha tuonato: "Questo è il governo della vergogna, della violenza parlamentare e della furbizia, per salvare uno solo, butta a mare centinaia di processi". Ecco, "ora abbiamo capito a cosa serve il viaggio a Lampedusa. A togliere i riflettori da qua". Di Pietro non c'era perché era a Campobasso, testimone per "l'accusa in un processo a 20 persone tra cui il presidente della Regione".

"Vergogna, vergogna" ha gridato in aula l'opposizione, alzata in piedi per applaudire il presidente dei deputati Pd, Dario Franceschini. È stato Gianfranco Fini a riportare l'ordine paventando la possibilità di dover altrimenti sospendere i lavori dell'aula. Critico anche l'Udc. "Purtroppo siamo alle solite. Dopo averci illuso che "la priorità era una riforma della giustizia per gli italiani", ha detto Pierferdinando Casini, ecco un "provvedimento per placare le ossessioni giudiziarie del presidente del Consiglio. È una vergogna".

Respinte le richieste delle opposizioni di voto a scrutinio segreto e bocciata la pregiudiziale di costituzionalità, Pdl e Lega hanno fatto scudo a difesa della richiesta e del provvedimento. "L'inversione dell'ordine del giorno ha destato scandalo, se si fosse proceduto da calendario si sarebbe votata la Comunitaria con la responsabilità civile dei magistrati. L'indignazione era comunque programmata", ha replicato alle opposizioni il ministro della Giustizia Angelino Alfano.

I deputati dell'opposizione hanno abbandonato la riunione del Comitato dei Nove della Commissione Giustizia per protesta contro la decisione della maggioranza di "strozzare i tempi del dibattito sul testo per la prescrizione breve". "Loro vogliono strozzare al massimo i tempi del dibattito su questo provvedimento - spiega il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti - perché vogliono votare al massimo entro domani il testo. Ma questo è un blitz inaccettabile e noi in Aula daremo battaglia".

Il Comitato dei Nove della Commissione Giustizia della Camera ha dato parere negativo all'emendamento presentato dall'opposizione al testo sulla prescrizione breve che prevedeva di dare la possibilità al magistrato di pronunciare sentenza di proscioglimento in caso di tenuità del reato e di lievi conseguenze penali. Per la complessità della materia e per le polemiche che ne sono nate, la maggioranza ha deciso di non inserire questa misura nel provvedimento che dovrebbe essere già da oggi all'esame dell'Aula di Montecitorio. Molto probabilmente questa norma, proposta dal Pd, diventerà oggetto di un provvedimento ad hoc.

Dal Comitato dei Nove hanno ricevuto parere positivo solo alcuni emendamenti per lo più proposti dal relatore Maurizio Paniz. Si tratta di proposte di modifica che puntano a cambiare il nome del provvedimento: non ci sarà più il riferimento alla "ragionevole durata dei processi" come elemento essenziale del titolo. Il capo dell'ufficio giudiziario che dovrà fare la segnalazione contro il magistrato "lumaca" dovrà trasmetterla direttamente al Guardasigilli e al Consiglio superiore della magistratura. Non ci sarà più l'obbligo di inoltrarla al Procuratore generale della Corte di Cassazione. Per quanto riguarda la durata del primo grado del processo, fissata nel provvedimento a tre anni, si sta studiando la possibilità di dare più tempo, prima di fare la segnalazione per il ritardo, per procedimenti penali particolarmente complessi.

Da Napolitano arriva un nuovo invito a "rimuovere tensioni anche istituzionali che finirebbero per alimentare nell'opinione pubblica e specialmente tra i giovani motivi di disorientamento e sfiducia che è indispensabile scongiurare", proprio sul delicatissimo terreno della giustizia.

 

30 marzo 2011

PARLAMENTO

Caso Ruby, conflitto d'attribuzioni alla Camera il 5 aprile

L'aula della Camera voterà martedì 5 aprile sulla richiesta della maggioranza di sollevare il conflitto di attribuzione sul caso Ruby, sempre che per allora sia stato licenziato il disegno di legge sul processo breve. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. L'esame dell'istanza è stato fissato alle 15, con diretta televisiva degli interventi su richiesta del partito democratico.

Che il conflitto di attribuzione sul caso Ruby sarebbe andato in aula lo aveva detto il presidente della Camera Gianfranco Fini durante la riunione di mercoledì mattina dell'Ufficio di presidenza. Fini ha aperto la seduta illustrando le decisioni della giunta per le autorizzazioni e della giunta per il regolamento ed elencando alcuni precedenti, per quanto il conflitto di attribuzione sul caso Ruby rappresenti un unicum sia per la richiesta che per la composizione dei due organi chiamati ad esprimersi.

Fini ha sottolineato che "quali che siano le conclusioni cui perverrà l'ufficio di presidenza, l'assemblea deve essere comunque chiamata a pronunciarsi su questo secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo". La vicenda del conflitto di attribuzione da parte della Camera sul caso Ruby "presenta aspetti speciali e unici" avrebbe detto il presidente della Camera durante l'Ufficio di presidenza di Montecitorio. Nella sua relazione, Fini ha detto, fra l'altro, che la composizione dell'Ufficio di presidenza vede di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che ha citato.

Peraltro, aggiunge Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all'Aula. "Nella presente circostanza - ha puntualizzato Fini - la decisione dell'Ufficio di presidenza in merito all'elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell'organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi". Dopo l'intervento di Fini si è aperto un dibattito.

La votazione dell'Ufficio di Presidenza sul conflitto di attribuzione è finito in parità: 9 a 9. La questione, dunque, sarà devoluta all'Aula che in assenza di una maggioranza sarà chiamata a deliberare direttamente sulla richiesta avanzata da Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli.

 

 

 

 

2011-03-25

ROMA

Giustizia, "Norma su responsabilità

è un atto di aggressione"

"La modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati appare talmente assurda e disorganica da potersi spiegare soltanto come atto di aggressione nei confronti della magistratura diretto ad influenzarne la serenità di giudizio". Lo scrive l'Associazione nazionale magistrati in una lunga nota a firma del presidente Luca Palamara, del segretario Giuseppe Cascini e del vice presidente Antonello Ardituro.

L'interpretazione della legge e la valutazione del fatto e delle prove rappresentano il cuore dell'attività giudiziaria- sottolineano i vertici del sindacato delle toghe-. Pensare di sottoporre a censura tale attività con la generica e incomprensibile formula della 'manifesta violazione del dirittò è davvero irragionevole, prima ancora che profondamente sbagliato".

"Si pensa forse - proseguono - di sottoporre a giudizio di responsabilità civile il giudice di primo grado ogni volta che una sua decisione venga annullata in sede di appello e il giudice di appello ogni volta che la sua decisione sia annullata dalla Cassazione? E di sottoporre a giudizio di responsabilità i giudici che abbiano seguito un orientamento giurisprudenziale diverso da quello dominante? Si dimentica forse che i maggiori progressi per l'affermazione e la tutela dei diritti fondamentali si sono realizzati grazie a interpretazioni giurisprudenziali prima minoritarie e poi via via consolidate?

Si dimentica forse quanto complesso e articolato sia il sistema delle fonti nazionali e sovranazionali e quanto proprio i contrasti di giurisprudenza tra corti nazionali e sovranazionali abbiano contribuito alla crescita e al consolidamento di un sistema di diritti e di garanzie? O forse semplicemente si finge di ignorarlo e si pretende di sostenere una concezione ottocentesca della funzione giudiziaria, antistorica e giacobina, al solo scopo di affermare una pretesa supremazia del potere politico sul potere giudiziario".

"Quale giudice, da domani, - conclude l'Anm - sarà nella serenità d'animo di emettere una qualsiasi decisione con il rischio di veder avanzata, anche per ritorsione o pretestuosità, nei suoi confronti un'azione di responsabilità?".

 

 

 

24 marzo 2010

Colpo di mano

Responsabilità civile delle toghe

Blitz a Montecitorio: in aula lunedì

Pronta per andare in aula alla Camera, dopo un doppio passaggio in commissione, la legge comunitaria (che recepisce alcune disposizioni dell’Ue) nasconde nella sue pieghe un’anticipazione della riforma costituzionale della giustizia varata il 10 marzo dal governo. Un’anticipazione non di poco conto, visto che viene introdotta, grazie a un emendamento del leghista Gianluca Pini, una forma anche piuttosto estesa di responsabilità civile del magistrato. Giustificata come la necessità di venire incontro a una richiesta dell’Unione europea in tal senso.

Le opposizioni hanno parlato di blitz della maggioranza, accusata di voler far approvare, alla chetichella, in modo surrettizio e senza alcuna discussione, una parte importante della riforma della giustizia. Ma il centrodestra ha tenuto duro. Così ieri, dopo un passaggio in Commissione Giustizia per un parere, la Commissione politiche europee ha approvato, a maggioranza, la legge comunitaria, facendo proprio l’emendamento Pini. L’emendamento sarà leggermente modificato in aula, ha annunciato il relatore, per tenere conto del parere tecnico della Commissione Giustizia: un parere che non ne modifica la sostanza.

Il testo, così come è uscito dalle commissioni, prevede che il magistrato possa essere chiamato a rispondere sul piano civile non più per "dolo e colpa grave", così come prevede la legge vigente, ma per una "violazione manifesta del diritto". Una ipotesi, secondo le opposizioni, talmente generica, che allargherebbe in modo abnorme la casistica di ricorsi contro i magistrati, intimidendoli preventivamente o addirittura bloccando i tribunali. L’Udc aveva proposto una formula di mediazione, ma è stata bocciata dalla maggioranza, insieme a un emendamento del Pd.

Duri i commenti delle opposizioni. Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc parla di norma "inaccettabile nel contenuto e offensiva nella forma: si approfitta della legge comunitaria per finalità del tutto estranee alla natura della legge". Senza contare, aggiunge Roberto Rao, che a pagare dovrà essere lo Stato.

La presidente della Commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno (Fli) spara a zero: "Sarà solo una norma che creerà del caos interpretativo tra i magistrati e avrà il sapore punitivo nei loro confronti". Per Federico Palomba (Idv) si tratta né più e né meno di un "golpe". Mentre, per il Pd, Donatella Ferranti accusa: "l’emendamento Pini avrà effetti estremamente dannosi per l’erario e destabilizzanti per l’intero sistema giustizia. La verità è che pur di intimidire la magistratura e trasformarla in un corpo di burocrati, la maggioranza è disposta a sprecare il denaro pubblico".

Mentre Lega e Pdl fanno quadrato (Enrico Costa dice che si tratta "di norme di civiltà, nell’interesse dei cittadini, tese a rispettare con oltre venti anni di ritardo l’esito inequivoco di un referendum in materia"), interviene anche Luca Palamara, segretario dell’Anm. Per lui "è evidente che è cominciata la stagione delle misure punitive" nei confronti dei magistrati.

Giovanni Grasso

 

 

 

 

 

2011-03-22

22 marzo 2011

ROMA

Processo breve, rispunta

prescrizione ridotta per incensurati

La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Maurizio Paniz al testo sul processo breve che riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati. Tutta l'opposizione ha votato contro. La norma, che introduce l'articolo 4-bis nel testo, prevede che per gli incensurati ci siano dei tempi di prescrizione più brevi che per i recidivi. In sostanza si stabilisce che quando si è in presenza di atti interruttivi del processo, come ad esempio un interrogatorio, il tetto massimo della pena aumenti non più di un quarto, ma di un sesto per le persone mai condannate prima il cui processo non sia arrivato alla sentenza di primo grado.

Per quanto riguarda quest'ultimo punto, il relatore del provvedimento Maurizio Paniz si è detto disponibile a rivederlo. Lasciando questa previsione della sentenza di primo grado come elemento di differenziazione tra gli incensurati, si rischierebbe, secondo il Pd, di creare una differenza sostanziale "tra incensurati e incensurati".

Anche il leader dell'Idv Antonio Di Pietro ha infatti chiesto che questo secondo comma dell'articolo 4-bis venga eliminato. Così la "norma-Paniz" potrà essere fatta valere nei confronti di tutti coloro che non sono ancora stati condannati con sentenza passata in giudicato senza prevedere più il discrimine che abbiano o meno avuto una sentenza di primo grado nei loro confronti.

"La maggioranza è davvero spudorata - tuona il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia, Donatella Ferranti - perché sembra che stiano approfittando della guerra per accelerare su tutte le norme ad personam che riguardano Berlusconi".

 

 

2011-03-14

14 marzo 2011

LOTTA ALLA MALAVITA

'Ndrangheta, 35 arresti in Lombardia

Trentacinque arresti nei confronti di altrettanti affiliati alla 'ndrangheta in Lombardia sono in corso in queste ore da parte del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale. Sequestrati anche beni per due milioni di euro. Le ordinanze di custodia cautelare sono state disposte dal gip Giuseppe Gennari su richiesta della Dda milanese. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti.

L'operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, insieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto. Le indagini hanno permesso anche di ottenere il sequestro di beni per un valore di oltre due milioni di euro.

 

 

 

 

 

 

2011-03-12

12 marzo 2011

POLITICA

Giustizia, Berlusconi difende

la riforma: non è ad personam

"Non è una legge ad personam, non è una riforma per una persona o contro una persona, perché non si applica ai processi in corso e quindi l'opposizione non potrà dire che si applica ai miei processi. E' una riforma per gli italiani, è rispettosa dei principi costituzionali, ha come obiettivo - come ho appena detto e lo ripeto - il giusto processo e una giustizia finalmente giusta nell' interesse dei cittadini". Così il premier Silvio Berlusconi, in un messaggio ai Promotori della Libertà, difende la riforma della giustizia.

"Il grande Alexis de Toqueville diceva: 'Tra tutte le dittature la peggiore e' quella dei giudici. Ecco con questa riforma noi cercheremo di evitare che questo ci accada e voi dovete darci una mano per spiegarlo a tutti gli italiani".

''Dal 1994 in poi nelle campagne elettorali ci siamo impegnati a rifondare la giustizia, ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perché Fini e i suoi, giustizialisti e statalisti, si sono messi sempre di traverso, in accordo con le correnti di sinistra della magistratura". "Ora che Fini e i suoi - afferma Berlusconi - non sono più con noi, la maggioranza - anche se più limitata nei numeri - è più coesa e determinata e questo ci consentirà di portare in Parlamento una riforma costituzionale della giustizia assolutamente equilibrata e moderna".

Il primo intervento della riforma della giustizia ''sara' la separazione delle carriere tra la magistratura giudicante e l'ordine degli avvocati dell'accusa, che sara' sancita con l'istituzione di due Csm, entrambi presieduti dal capo dello Stato, con un eguale numero di consiglieri togati cioe' di magistrati e di consiglieri laici, cioe' consiglieri nominati dal Parlamento''. Sottolinea il presidente del Consiglio. In questo modo, aggiunge, ''si porra' fine allo strapotere delle correnti politicizzate della magistratura, che hanno trasformato il Consiglio Superiore della Magistratura in una specie di Terza Camera politica sempre pronta a criticare il governo e il Parlamento e ad intervenire addirittura con commenti sulle leggi in discussione alle Camere''.

"Cari amici, questa volta indietro non si torna, anche se noi, con lo spirito liberale che ci muove, saremo sicuramente aperti a integrazioni e a miglioramenti che potranno anche esserci suggeriti dai nostri oppositori purché non si snaturi l'impianto complessivo della riforma", sostiene Berlusconi.

"Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso nel tentativo di ostacolare ed evitare questa riforma. Ma sappiamo di avere argomenti molto validi per ribattere ad ogni critica e ripeto, una maggioranza coesa e determinata in Parlamento. Noi siamo un grande partito riformatore che si deve confrontare con una opposizione conservatrice che non fa l'interesse del Paese per fare il male di Berlusconi".

 

 

 

 

12 marzo 2011

IL DDL COSTITUZIONALE

Giustizia, pressing Pdl

Opposizioni diffidenti

Il confronto sulla giustizia è già una partita a scacchi. La maggioranza "chiama" l’opposizione al tavolo delle trattative, consapevole che a un no secco può replicare con l’accusa di "conservatorismo" e "arroccamento" sulle posizioni dei pm. "Non è una crociata contro i magistrati, la protesta dell’Anm è corporativa", ripete il ministro Angelino Alfano per convincere chi al centro e a sinistra ha un pedigree da riformista. E ai democratici, che più degli altri si sono divisi tra chi esclude nettamente il confronto e chi "accetta la sfida", chiede di "portare le loro idee". Ma Nuovo Polo e Pd, con sfumature diverse, cercano di non farsi stanare, di mantenere un equilibrio tra la necessità-dovere di "vedere le carte" e il rischio di offrire un assist goloso a Berlusconi.

Il Cavaliere però non vuole fasi di stallo: ai suoi parlamentari avrebbe ordinato l’"avanti tutta", addirittura auspicando l’approvazione in una delle Camere entro l’estate e la chiusura della partita ad inizio 2012 ("Ce la faremo entro la legislatura", dice più realisticamente il Guardasigilli). In ogni caso, in via dell’Umiltà si dice chiaro e tondo che l’ok delle opposizioni è auspicabile ma non dirimente, e che anzi un eventuale referendum confermativo potrebbe essere un’arma in più nella prossima campagna elettorale. Del dialogo con le altre parti, comunque, si occuperanno Alfano e i "giuristi" del Pdl, perché il premier ha già pronto un altro dossier utile in vista delle amministrative di maggio e della "conquista di Napoli": la riforma fiscale.

Il cerino acceso è dunque dall’altra parte della barricata. Gianfranco Fini (in Fli già diversi "moderati" hanno espresso un parere favorevole alla riforma, mentre il vicepresidente Italo Bocchino ha evidenziato, pur senza chiudere il discorso, alcuni "punti oscuri"), in una riflessione generale sulle riforme costituzionali afferma che è "responsabile definire le regole non a colpi di maggioranza ma cercando il dialogo e il confronto". E che tale atteggiamento non è da confondere con "cupidigia di accordo e inciuci". Dunque l’idea di fondo tra i terzopolisti è che al tavolo, pur senza particolari entusiasmi e con la "giusta diffidenza", come dice Pier Ferdinando Casini, occorre sedersi. Magari - e qui è Francesco Rutelli a farlo intendere - mettendo sul tavolo anche provvedimenti più "ordinari" e la rinuncia alle norme ad personam. Oppure, ed è ancora Casini a riprendere il filo, ponendo questioni concrete: come evitare - si chiede il leader dell’Udc - che le leggi ordinarie chiamate a dar corpo alla riforma siano cambiate da ogni maggioranza?

Ma è nel Pd che gli abboccamenti del Pdl creano più dibattito. Quella di Bersani somiglia più a una chiusura: "In Aula discuteremo come sempre, ma la riforma costituzionale non è l’urgenza del Paese. È un sasso lanciato nel vuoto - a fini elettorali, fa intendere -, tra una settimana torneremo a parlare di Berlusconi". E rilancia su altri interventi "ordinari" per l’efficienza della macchina giudiziaria. Pur restando nello stesso solco, Anna Finocchiaro è già più disposta a vedere le carte, con un’avvertenza: "Stop a bugie e propaganda", specie sul paragone - a suo dire errato - tra la riforma-Alfano e la bozza-Boato nata dalla Bicamerale guidata da D’Alema nel ’97. E per un’altra voce autorevole, quella di Veltroni, "con la presenza di Berlusconi non può esserci il clima costituzionale".

A conti fatti l’unico a sbattere decisamente la porta è Antonio Di Pietro ("è una riforma criminogena", denuncia l’ex pm), e allora il Pdl può rilanciare l’offerta, con un occhio particolare ai centristi: "Ben vengano le disponibilità dell’opposizione, seppure diffidenti", dice Fabrizio Cicchitto.

Marco Iasevoli

 

12 marzo 2011

MILANO

Processi al premier: sul calendario pm e tribunale divisi

Nove udienze fino a luglio, tutte di lunedì. Berlusconi si era detto disponibile a presenziare solo a inizio settimana, la corte che ieri ha riaperto il processo sul caso Mills lo ha accontentato. Procura e Tribunale di Milano però si dividono sul calendario dei processi a Silvio Berlusconi. I magistrati inquirenti vorrebbero accelerare i tempi per evitare la prescrizione (nel caso Mills è fissata per l’inizio del 2012) e per concludere il più velocemente possibile il giudizio immediato nel Ruby-gate, messo in agenda a partire dal 6 aprile. Il Tribunale, al momento, sembra orientato a venire incontro alla richiesta del premier di processarlo solo al primo giorno della settimana quando, secondo i legali di Berlusconi, il Cavaliere potrebbe partecipare alle udienze non avendo legittimi impedimenti, come le sedute del Consiglio dei ministri.

"Il tempo è inesorabile", ha reagito in aula il pm Fabio De Pasquale che, nei giorni scorsi, aveva depositato ai giudici la richiesta di un calendario molto fitto nel procedimento per corruzione in atti giudiziari. Il capo del governo è accusato di aver comprato con 600mila dollari il silenzio del testimone, l’avvocato inglese David Mills, in due processi su fondi neri del gruppo del Biscione.

Le udienze cadenzate solo al lunedì permetterebbero però di arrivare solo alla sentenza di primo grado. Il reato si prescriverà all’inizio del 2012 e non ci sarebbe tempo per eventuali ricorsi in Appello e in Cassazione. "Mi sembra che il pm abbia una fretta frenetica, ma noi ci opporremo alle forzature". Così il difensore del Cavaliere, l’avvocato Niccolò Ghedini, ha commentato le richiesta del pm De Pasquale. "Non dipende solo da noi, magari l’Anm annuncia uno sciopero (per la riforma della Giustizia, ndr)", fa eco a Ghedini il collega Piero Longo. Ma in quel caso "bisogna vedere se questo tribunale farà sciopero", taglia corto il presidente della corte Francesca Vitale, che più volte ha dovuto ristabilire la calma tra le parti in udienza. Alla domanda dei cronisti che gli chiedevano se davvero è possibile che si arrivi ad una sentenza definitiva per il caso Mills, il legale del premier risponde annunciando battaglia: "Tecnicamente è possibile, ma se si volessero fare straordinarie forzature noi ci opporremo".

Terminata l’udienza, che riprenderà lunedì 21 marzo forse alla presenza di Berlusconi, i legali si sono recati negli uffici della procura per ritirare copia di altri documenti sul caso Ruby. I pm Boccassini-Forno-Sangermano, anche dopo la decisione del gip che ha mandato a processo Berlusconi per concussione e prostituzione minorile (prima udienza 6 aprile), hanno continuato a svolgere, come consente il codice, attività d’indagine integrativa su nuove fonti di prova. Tra queste tutta una serie di ulteriori accertamenti bancari utili a ricostruire il giro di denaro per l’organizzazione delle presunte serate a luci rosse nella villa di Arcore. I pm hanno individuato 6 assegni cambiati in contanti nel dicembre 2010, per un totale di 1,5 milioni di euro. Il denaro proveniva dai conti del premier e finiva nelle mani delle "ospiti fisse" di villa San Martino.

Sullo sfondo il giallo della tentata corruzione di una funzionaria dell’anagrafe del Marocco a cui sarebbe stato chiesto di "anticipare" l’anno di nascita di Karima "Ruby" el-Marough, così da dimostrare che fosse già maggiorenne all’epoca degli incontri con Berlusconi. Fonti giudiziarie affermano che la competenza del caso risulta essere della procura di Roma e non di quella di Milano. E a Roma i legali del premier hanno depositato una denuncia "contro chiunque abbia commesso questi fatti", ritenuto "un trappolone" per danneggiare Berlusconi.

Nello Scavo

 

 

 

 

2011-03-10

10 marzo 2011

ROMA

Riforma della giustizia

Via libera del governo

Il Consiglio dei ministri ha dato via libera al disegno di legge costituzionale per la riforma della giustizia. Una riforma che il premier Silvio Berlusconi definisce "epocale", e che a chi lo accusa di volere una legge ad personam replica essere non nel suo ma nell'interesse dei cittadini. Sulla responsabilità dei pm, Berlusconi difende il principio del "chi sbaglia paga": se un giudice sbaglia, il ragionamento, paga come pagano medici o ingegneri che sbagliano interventi o progetti.

BERLUSCONI, VIA GIUDIZIARIA USATA PER ELIMINARE GOVERNI

Se fosse stata varata prima la riforma della giustizia "non ci sarebbe stata quella situazione che ha portato a cambiamenti di governo, all'annullamento di una classe di governo nel '92-93, all'abbattimento di un governo nel '94, alla caduta di un governo di sinistra nel 2008 per la proposta di riforma della giustizia del ministro Mastella e il tentativo di eliminare per via giudiziaria il governo in carica". Lo sottolinea il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi.

"Zero, assolutamente zero", questa è una riforma "pensata nel '94, da quando sono sceso in campo e una volta ebbi a dire che non avrei lasciato la politica fino a quando non fosse cambiata la giustizia in Italia". Così Berlusconi ha risposto alla domanda di un cronista.

TOGHE RESPONSABILI COME DIPENDENTI PUBBLICI

"I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". È quanto prevede la bozza di riforma della giustizia, in 16 articoli, che il Guardasigilli Angelino Alfano ha illustrato al Quirinale. Questo significa che le toghe potranno essere chiamate a rispondere di tasca propria dal cittadino che potrà citare direttamente loro in giudizio e non lo Stato come è ora. Nella bozza si prevede anche, come aggiunta all'articolo 113 della Costituzione (diventa il 113 bis), che "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati"la quale "si estende allo Stato".

DUE CSM PRESIEDUTI DA CAPO DELLO STATO

I Csm diventano due: uno per i giudici e uno per i pm. Entrambi presieduti dal capo dello Stato. È questa la novità introdotta nell'ultima versione della bozza della riforma della giustizia. Cade dunque l'ipotesi che a capo del Csm dei magistrati requirenti vada il Ppocuratore generale della Cassazione eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione del Csm. Parte quest'ultima eliminata nelle ultime ore. Del Csm dei giudici farà parte di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione. Gli altri componenti saranno per il 50% scelti dai giudici previo sorteggio degli eleggibili (con l'intento di ridurre il peso delle correnti della magistratura associata), per l'altra metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università di materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio. Il vicepresidente del Csm della magistratura giudicante sarà scelto tra i componenti laici. Durano in carica 4 anni e non sono rieleggibili (in Costituzione ora si prevede che non siano "immediatamente rieleggibili"). La novità dell'ultima ora riguarda il Csm dei pm: sarà anch'esso presieduto dal capo dello Stato e ne farà parte come membro di diritto il procuratore generale della Cassazione, ma salvo cambiamenti dell'ultim'ora, si prevede un ribaltamento dell'attuale proporzione ora a maggioranza "togata". La componente "togata" dovrebbe infatti essere ridotta a un terzo (previo sorteggio degli eleggibili) mentre quella "laica" arriverebbe a due terzi. Modifiche anche all'attuale art.105 della Costituzione: i Consigli superiori - secondo l'ultima versione di bozza - "non possono adottare atti di indirizzo politico né esercitare attività diverse da quelle previste dalla Costituzione". Espunta dalla bozza, invece, l'iniziale previsione secondo cui i Csm avrebbero potuto esprimere parere sui ddl del governo solo su richiesta del ministro della Giustizia.

 

 

10 marzo 2011

RIFORMA

Giustizia, bozza al Quirinale:

"Confronto senza strappi"

"Favorire il più possibile un clima condiviso nella riforma della giustizia". Giorgio Napolitano con il ministro Angelino Alfano non va oltre un doveroso, e non certo inaspettato, monito di carattere generale sul provvedimento "epocale" che oggi arriva in Consiglio dei ministri. Tanto epocale che - trapela dal Colle - sarebbe certo stato preferibile un coinvolgimento preventivo con qualche anticipo, sì da poter entrare nel merito, andando oltre la corretta formalità istituzionale. "La discussione avverrà con tutte le garanzie che la Costituzione offre perché condivisione vi sia, in Parlamento, o anche in seguito, davanti al corpo elettorale, per referendum.

Ma è fondamentale - ha auspicato fermo il capo dello Stato - che non si adottino nel frattempo con legge ordinaria provvedimenti che appaiano punitivi per la magistratura. Che non impediscano, già in partenza, quel clima di condivisione necessario". Chiaro il monito: sarebbe auspicabile una sospensione della stretta sulle intercettazioni e del testo sul "processo breve". E altrettanto auspicabili provvedimenti per venire incontro alle ristrettezze della giustizia.

"Da Napolitano considerazioni di carattere generale, che ho ascoltato e recepito con la dovuta attenzione", dice al termine dell’incontro, Alfano. Un incontro tenutosi, assicura, "in un clima sereno.", aggiunge. Ma più che un colloquio, in realtà, si è trattato di una lunga e approfondita relazione del Guardasigilli, al capo dello Stato che per più di un’ora si è limitato al ruolo di attento interlocutore. Attento anche a non accreditare l’idea di un avallo, o bocciatura, preventivi al testo o a parti di esso. Testo che, anzi, proprio per questo, non è stato neanche formalmente presentato a Napolitano che non avrebbe gradito, a quel punto. "Quale testo?", sgombra il campo Alfano, precisando che quello vero si avrà solo oggi che la riforma arriva in Consiglio dei ministri, tenendo conto, evidentemente, anche delle raccomandazioni, sia pur generiche, del Quirinale. Al lavoro, perciò, con Alfano, nella notte, i legali del premier guidati Niccolo Ghedini, alle ultime limature al testo.

Nell’ultima versione prospettata a Napolitano anche un possibile, fondamentale, correttivo dell’ultim’ora, che restituisca la guida unica al presidente della Repubblica del sia pur sdoppiato Consiglio superiore, mentre si era parlato di un Csm dei magistrati della pubblica accusa guidato da un Procuratore generale della Cassazione. Sulla cui - ipotizzata - nomina politica rischiano però di aprirsi profili di discutibile costituzionalità. Nel successivo incontro, in serata, con i deputati di Iniziativa responsabile, Alfano ha tenuto aperte le due ipotesi. "Sarà il Consiglio dei ministri a pronunciarsi definitivamente sulla presidenza unica o sdoppiata dei due Csm", ha spiegato il Guardasigilli.

Assi portanti della riforma restano comunque la parità di accusa e difesa da perseguire con la separazione delle carriere e anche la divisione, al pari del Csm, della Corte di disciplina in due sezioni. Confermata anche la modifica che vuole i magistrati "direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". Le toghe potranno quindi essere chiamate a rispondere personalmente dei risarcimenti richiesti dal cittadino che potrà citarli in giudizio. Una previsione che comporterebbe un’aggiunta all’articolo 113 della Costituzione (che diventa il 113 bis), in base alla quale "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati" la quale "si estende allo Stato".

Angelo Picariello

 

 

 

 

2011-03-03

3 marzo 2011

POLITICA E GIUSTIZIA

Prescrizione breve per over 65

Polemica sulla proposta del Pdl

Il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età è obbligato ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Con conseguente riduzione dei tempi di prescrizione del reato. È questa una delle norme contenute nella proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Luigi Vitali.

Le attenuanti, poi, dovranno sempre considerarsi prevalenti rispetto alle aggravanti quando "per effetto della diminuzione della pena il reato risulti estinto per prescrizione". Il giudice (anche se si fosse nella fase delle indagini preliminari) dovrà pronunciare in camera di consiglio una "sentenza inappellabile di non doversi procedere".

La proposta di legge, spiega lo stesso Vitali, è in realtà il frutto di un lavoro fatto dai tecnici della giustizia di Forza Italia nel 2001 che ora la maggioranza vuole riproporre. Anche per accelerare i tempi.

In 44 articoli, oltre ad introdurre la prescrizione breve, si riforma di fatto buona parte del codice di procedura penale. Tra le novità che il Pdl punta ad inserire nell'ordinamento, anche l'ipotesi che a pronunciarsi su tutti i reati commessi dai magistrati (come ad esempio la violazione del segreto istruttorio) sia sempre la Corte d'Assise visto che ogni collegio può contare su due 'togatì e 6 giudici popolari. E sempre la Corte d'Assise sarà chiamata ad occuparsi di un maggior numero di reati tra cui anche quelli contro la Pubblica Amministrazione.

Ma c'è anche un'altra norma destinata a far discutere: quella che rende inutilizzabili tutti gli atti di indagine nel caso in cui il Pm non abbia esercitato l'azione penale o non abbia richiesto l'archiviazione per tempo, cioè senza rispettare il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. È questa una misura, commenta l'opposizione, che cancellerebbe di fatto il processo sul caso Ruby. L'iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi, infatti, è avvenuta qualche tempo dopo quella degli altri imputati coinvolti nella vicenda.

 

 

 

2011-02-22

22 febbraio 2011

POLITICA E GIUSTIZIA

Immunità, il "no" del Pd

Bondi: voi come Di Pietro

Muro delle opposizioni contro l’ipotesi di reintrodurre l’immunità parlamentare. Nonostante le aperture di alcuni parlamentari del Pd, la posizione del partito "è assolutamente contraria", ha chiarito il segretario Pier Luigi Bersani. "Noi siamo per ribaltare l’agenda e per dire che è ora di mettere all’ordine del giorno non l’immunità parlamentare, ma regole, onestà, sobrietà". Già in mattinata il capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, aveva annunciato un "no senza ambiguità" alla reintroduzione dell’istituto. "Non esiste che per bloccare i processi di Berlusconi – dice – si dia l’immunità a lui e ad altri 944 parlamentari".

Si adegua alla decisione del partito Silvio Sircana, cofirmatario del ddl costituzionale in Senato, che qualche giorno fa si era augurato un cammino bipartisan per la reintroduzione dell’immunità: "A me pareva di poter dare un contributo intelligente per dare un senso diverso ad un dibattito che si trascina ormai da troppo tempo – spiega l’ex portavoce di Romano Prodi – ma se il partito decide diversamente non ne faccio una malattia, io sono un parlamentare disciplinato". Non fa invece passi indietro Franca Chiaromonte, senatrice sempre del Pd e prima firmataria del testo. "Non ho nessuna intenzione di ritirarlo", chiarisce. Nel novero dei firmatari, tra l’altro, c’è anche il capogruppo dell’Udc a Palazzo Madama, Gianpiero D’Alia.

La linea ufficiale del partito centrista è, però, improntata alla contrarietà. L’altroieri si è espresso il leader Pier Ferdinando Casini per il quale parlare di immunità significa "essere fuori dal mondo". E ieri il segretario Lorenzo Cesa ha ribadito: "Con questo clima di scontro tra presidente del Consiglio e magistratura è impensabile procedere ad una seria riforma della giustizia", spiega. Anche Savino Pezzotta tuona: "Non posso essere complice di un percorso che mira solo a salvaguardare il presidente del Consiglio. Il quale oggi ha un unico dovere: sottoporsi al giudizio come farebbe ogni cittadino normale".

Più o meno le parole di Antonio Di Pietro.Ma l’ex pm si lascia anche andare all’evocazione di scenari cupi. La reintroduzione dell’immunità, infatti, "farebbe diventare il Parlamento il luogo più mafioso d’Italia, perché a quel punto i mafiosi verrebbero tutti in Parlamento per le autorizzazioni a non procedere". Altolà anche dai finiani che con Fabio Granata ribadiscono la loro "totale contrarietà" al provvedimento. "Il 90% degli italiani è contrario e il collegamento temporale ai guai di Berlusconi e della cricca è fin troppo evidente", dice il vicepresidente dell’Antimafia.

"L’immunità era nella Costituzione", ricorda il Pdl con Fabrizio Cicchitto - si tratta di ripristinarla. La maggioranza andrà quindi avanti su questo tema, ripete Cicchitto e anche la Lega, assicura, "voterà a favore ricordando il nostro impegno sul federalismo fiscale". Critiche al "no" del Pd e, in particolare, di Franceschini vengono dallo stesso Cicchitto ("Bersani respinge ogni possibilità di confronto") e dal coordinatore del Pdl, Sandro Bondi: "È davvero singolare", dice, che "un erede della storia della Dc" si esprima "con lo stesso tono e le stesse parole di un Di Pietro".

La posizione dei due dirigenti del Pd "non tiene conto di un dibattito interno ed esterno al loro partito e alle opposizioni, che non può essere liquidato con un no immotivato e stizzoso", reagisce Anna Maria Bernini. "Le opposizioni sono diventate un’autentica fumeria d’oppio da cui escono dichiarazioni allucinate", l’immagine del collega Osvaldo Napoli. Bocche cucite dal Carroccio, impegnato a portare a casa la riforma che più gli sta a cuore, quella federalista.

La reintroduzione dell’immunità parlamentare, comunque, non è una novità, frutto dell’ultimo rilancio della maggioranza per la riforma della giustizia. In Parlamento, tra Camera e Senato, giacciono da tempo alcune proposte di legge, tra le quali quella di Giuseppe Calderisi, per reintrodurre con modifica costituzionale la norma cancellata sull’onda emotiva di Tangentopoli, con la legge costituzionale del 29 ottobre del 1993.

Gianni Santamaria

 

 

2011-02-19

18 febbraio 2011

POLITICA

Giustizia, sì alla relazione Alfano

Presto Cdm straordinario

Approvato all'unanimità la relazione del ministro della Giustizia Angelino Alfano sul ddl che contiene la riforma costituzionale della riforma della giustizia. Le bozze, già pronte dallo scorso novembre, sarebbero state tirate fuori dai cassetti del ministero della Giustizia giovedì. E oggi, nel corso della riunione a palazzo Chigi, si è deciso di varale.

La riforma prevede un ddl costituzionale per separare le carriere di giudici e pm, per dividere in due il Csm e per dare più poteri al ministro della Giustizia. Non è escluso che - secondo quanto si è appreso - il governo intenda procedere anche con un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati. Un Consiglio dei ministri straordinario sarà convocato nei prossimi giorni per l'approvazione definitiva mentre martedì si riunirà un comitato di ministri e di tecnici per approfondire i contenuti del testo del ddl. La decisione è stata presa dopo il via libera all'unanimità alla relazione del Guardasigilli Alfano.

 

 

 

2011-01-14

14 gennaio 2011

PROCURA DI MILANO

Berlusconi indagato

per il caso Ruby

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è indagato a Milano per la vicenda Ruby. Lo riferiscono le agenzie di stampa. I reati contestati sono di concussione e prostituzione minorile. La notizia arriva all'indomani della sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato in parte la legge sul legittimo impedimento. Al momento non è giunto nessun commento da Palazzo Chigi né dalla procura.

Nell'ambito della stessa indagine, questa mattina sono in corso perquisizioni nell'abitazione e negli uffici del consigliere regionale Nicole Minetti, anche lei indagata, insieme a Lele Mora ed Emilio Fede, nell'inchiesta della procura di Milano.

Il premier, quando la vicenda era emersa nei mesi scorsi, aveva respinto oggi sospetto, asserendo di aver semplicemente aiutato una persona bisognosa.

 

 

14 gennaio 2011

CORTE COSTITUZIONALE

Incrinato il mini-scudo

Devono essere i giudici a valutare caso per caso se davvero premier e ministri possono avvalersi del "legittimo impedimento". E non può valere quel meccanismo automatico per cui palazzo Chigi presenta una "autocertificazione" con gli impegni istituzionali "continuativi" e la corte rimanda l’udienza di sei mesi. L’attesa sentenza della Corte costituzionale non boccia in modo integrale la legge, ma ne stronca, dichiarandoli "illegittimi" e in contrasto con gli articoli 3 e 138 della Costituzione, i due punti più discussi.

Una soluzione annunciata, frutto di mediazioni, che ha evitato la spaccatura della Consulta: nelle votazioni (secretate) relative ai singoli commi si sono raggiunte maggioranze più ampie del previsto (si sussurra di un 12 a 3 sul documento finale), mentre se si fosse votata l’incostituzionalità tout-court dell’intero provvedimento lo scontro si sarebbe radicalizzato (8 giudici erano dati dalle previsioni contro la legge, 7 a favore). D’altra parte, da quando è parso evidente che la bilancia della Consulta pendeva verso la bocciatura, anche i legali del premier avrebbero aperto spiragli ad una resa onorevole che non cancellasse l’intero "scudo".

I "custodi della Carta" si sono pronunciati nel cuore del pomeriggio, mentre fuori il popolo viola e la stampa internazionale assediavano il palazzo. Il comunicato finale è, come nel costume della Corte, stringato e senza commenti. Le motivazioni saranno note a fine mese, le scriverà il relatore Sabino Cassese e le sottoporrà ai colleghi - forse nella camera di consiglio del 24 - per una nuova votazione. Solo dopo la pubblicazione in Gazzetta la sentenza sarà operativa. Proprio Cassese, ieri mattina, ha aperto il confronto proponendo - secondo indiscrezioni - la bocciatura del comma 4 (quello sul rinvio automatico di 6 mesi previa autocertificazione dell’esecutivo) e il salvataggio del primo (che elenca le attività per cui premier e ministri possono chiedere di non partecipare alle udienze), purché fosse salvo il diritto del giudice a non essere mero osservatore.

Ad ora di pranzo, però, l’ipotesi più accreditata era la cancellazione totale della norma con un solo voto di scarto. Alla ripresa pomeridiana, lo scatto di reni: si raggiunge un’ampia convergenza anche sulla illegittimità del terzo comma, che come formulato in Aula non permette al giudice - ancora lo stesso nodo - di valutare "in concreto" gli impedimenti addotti. Mentre vengono considerate legittime le altre disposizioni. La temperatura nella Consulta scende, e alla fine alla mediazione si sarebbero opposti solo i giudici dati più vicini al Pdl.

Marco Iasevoli

 

 

 

14 gennaio 2011

L'ATTESO VERDETTO

Berlusconi: "Almeno non hanno demolito la legge"

"Le decisioni della Consulta sono assolutamente ininfluenti, il governo andrà avanti perché l'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi in collegamento con Mattino Cinque. "Devo dire che non mi aspettavo nulla di diverso", ricordo che il legittimo impedimento "non l'ho chiesto io: la sentenza non ha demolito l'impianto della legge, ha riconosciuto che il legittimo impedimento è giusto e necessario per chi svolge attività di governo". Con la decisione della Consulta "sono state "tipizzate"" alcune fattispecie "cioè si è indicato nella legge che per esempio presiedere il Consiglio dei ministri è un impedimento legittimo, così come presiedere una riunione internazionale è legittimo impedimento. E quindi da questo punto di vista la sentenza ha migliorato la situazione precedente". Ha spiegato il premier. Dal gruppo dei "responsabili" nascerà la "terza gamba" della maggioranza che sosterrà l'azione del governo. Lo ha affermato Berlusconi ribadendo che il suo esecutivo non sarà influenzato dalla sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento.

I RETROSCENA

"È vero, l’impianto della legge resta valido... La Consulta non l’ha demolito; anzi ne ha riconosciuto l’efficacia, la validità, potrei aggiungere che ne ha salvaguardato i principi... Ma questo è un mezzo compromesso, nulla di più". Berlusconi sembra ripetere, quasi meccanicamente, la "lezione" di Niccolò Ghedini e di Angelino Alfano. Poi, all’improvviso, interroga i collaboratori più stretti riuniti a Palazzo Grazioli e le valutazioni più politiche prendono il posto di quelle "tecniche": "Così, però, l’ultima parola resta ai giudici... E io fatico a credere che siano davvero capaci di aprire una nuova stagione di leale collaborazione...". E allora? Berlusconi ha già una strategia: "Ogni volta che un giudice eccepirà ricorrerò alla Consulta e solleverò un conflitto di attribuzioni... Sarà una vera guerra di ricorsi".

Nelle tre ore immediatamente successive alla sentenza si fatica a capire come calibrare il messaggio e allora la dichiarazione di Sandro Bondi resta ferma sui siti come la linea ufficiale del Pdl. "La Consulta ha stabilito la superiorità dell’ordine giudiziario rispetto a quello democratico... Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico".

Berlusconi capisce il senso di quell’atto d’accusa. Almeno in parte lo condivide e a tratti sembra quasi tentato di utilizzarlo questa mattina quando potrebbe essere ospite di Mattino 5. L’appuntamento è fissato, ma il premier è stanco e potrebbe a sorpresa decidere di annullarlo. Perché non vuole più parlare di legittimo impedimento. E perché vuole evitare di farsi guidare dall’istinto e di aprire nuovi fronti con i giudici. A lui interessa il governo. Le riforme.

La sua linea è quella della Lega, quella dettata dai capigruppo del carroccio Bricolo e Reguzzoni: "Sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c’è sentenza della magistratura che può bloccare l’azione dell’esecutivo". Quando è notte Berlusconi continua a parlare attaccato al telefono. "Era chiaro che sarebbe finita così, non mi sono mai aspettato un epilogo diverso...".

Ancora una volta i dubbi e i risentimenti verso i pm si alternano all’inevitabile necessità di ritrovare un confronto. "Aspettiamo le motivazioni, ma dico fin da ora che possiamo rimettere mano al legittimo impedimento in Parlamento. Riaprendo il dialogo e garantendo delle migliorie", dice quando prevale l’anima "costruttiva". Ma il Pdl non ci sta, il partito non è sulla linea di Alfano e Ghedini. Pecorella: "Oramai le leggi le scrive la Consulta". Quagliariello: "La democrazia resta limitata". Galan: "È l’ultima conferma della partigianeria della magistratura". Berlusconi legge e torna a pensare ai processi. Qualcuno lo avverte: "Presidente saranno tutti prescritti...". Lui scuote la testa: "Non ho mai voluto che finisse così. Sono innocente e avrei preteso un’assoluzione". Arturo Celletti

 

 

 

2011-01-13

13 gennaio 2011

LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Scudo al premier, parola alla Consulta

Alla vigilia della sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento, il premier Silvio Berlusconi ostenta un certo distacco. Dalla Germania, dove ha incontrato la cancelliera Merkel, il Cavaliere ha fatto sapere di non temere contraccolpi per l’attività di governo da un eventuale pronunciamento negativo sullo scudo giudiziario da parte della Consulta. La quale, ieri, ha dato il via libera (tra gli altri) al referendum di iniziativa popolare contro il legittimo impedimento, presentato dall’Italia dei Valori. Per Berlusconi, comunque, "non c’è nessun pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l’esito della decisione della Corte costituzionale".

Aggiungendo, riguardo al legittimo impedimento: "È una norma che io non ho mai richiesta; è un’iniziativa portata avanti dai gruppi parlamentari. Io sono naturalmente e totalmente indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno nei processi che considero processi assolutamente ridicoli". Le sue successive parole tradiscono però uno stato d’animo non proprio sereno nei confronti della magistratura: "Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra democrazia è la presenza di un ordine giudiziario che si è trasformato in un potere giudiziario, esorbitando dal suo alveo costituzionale".

Berlusconi, infine, ribadisce che ha intenzione di andare "in tv a spiegare ai cittadini l’anomalia italiana". I suoi fanno capire di essere pronti ad aprire, in caso di verdetto negativo, il fuoco contro la Corte Costituzionale e la magistratura. Le parole del premier, rimbalzate da Berlino a Roma, hanno creato subito un fronte polemico interno. Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini ha subito chiosato la posizione del premier: "Inutile continuare a dare pareri in libertà che possono suonare come interferenze. La Corte costituzionale ha sempre dato prova di terzietà. Mi auguro – ha aggiunto – che la sentenza possa avallare quella che è la scelta del legislatore, però rispetteremo le decisioni della Consulta, qualsiasi esse siano".

Il Pd, con Donatella Ferranti, incalza: "Se Berlusconi veramente non fosse stato interessato al legittimo impedimento avrebbe potuto non usufruirne, mentre i suoi legali lo hanno utilizzato immediatamente". E il vicepresidente dell’Api Pino Pisicchio osserva: "Ricordiamo al premier che si trova a Berlino per un bilaterale italo-tedesco e che alla cancelliera Merkel poco o nulla importa del tormentato rapporto del nostro presidente del Consiglio con la giustizia". Mentre Antonio Di Pietro si dice sicuro che la "resa dei conti giudiziaria" per Berlusconi si avvicina: se non ci penserà la Corte, il legittimo impedimento "sarà spazzato via dal referendum".

Giovanni Grasso

 

 

11 gennaio 2011

LEGITTIMO IMPEDIMENTO

4 domande per capire

LA LEGGE

È contro la Costituzione?

La Consulta deve esprimersi sulla legittimità costituzionale della legge 51 del 7 aprile 2010, che specifica quando e come il premier e i ministri possono chiedere, in virtù dei loro impegni istituzionali, il rinvio di udienze in cui risultano imputati ("legittimo impedimento"). La norma, che specifica l’estensione all’esecutivo di un istituto già esistente, vale per 18 mesi, in attesa di una legge costituzionale che indichi le prerogative del presidente del Consiglio e della sua squadra "per il sereno svolgimento" delle loro mansioni.

I TRE PROCESSI

Quali casi sono in bilico?

Sono tre i processi al premier congelati in attesa della sentenza, tutti con sede a Milano. Il primo riguarda la presunta corruzione in atti giudiziari del legale David Mills, che in due procedimenti su reati finanziari in Fininvest e finanziamento illecito al Psi avrebbe detto il falso favorendo Berlusconi (Mills, dopo la condanna in secondo grado, ha ottenuto la prescrizione in Cassazione). Nei fascicoli Mediaset e Mediatrade si imputano al premier appropriazione indebita e frode fiscale nell’acquisizione di diritti tv. Intanto, per gli avvicendamenti tra i giudici, i processi rischiano di ripartire da zero.

LA SENTENZA

Possibile anche un "ni"?

La Consulta dirà se il legittimo impedimento ha invaso il terreno della Costituzione oppure no. Ma nel mezzo ci sono altre soluzioni: con una "sentenza interpretativa di rigetto" la Corte affiderebbe ai singoli giudici la valutazione sull’impedimento addotto dal premier. Mentre con una "sentenza additiva di legittimità" la Corte riscriverebbe la norma, cambiando le parti in conflitto con la Carta. Un’altra mediazione porterebbe a considerare "impegni istituzionali" solo quelli formali e non "le attività preparatorie e conseguenti".

LE TESI

Uno scudo o tutela il Paese?

I giudici di Milano pensano che la norma violi sia l’articolo 3 della Carta ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge") sia il 138, che illustra il procedimento "speciale" per le leggi costituzionali (il legittimo impedimento è passato invece come legge "ordinaria"). Per i legali del premier invece si tutela il diritto del presidente del Consiglio, costituzionale anch’esso, di governare senza avere bastoni tra le ruote nell’interesse del Paese. Inoltre, la "difesa" ritiene malposte le ordinanze con cui i giudici milanesi si appellano alla Consulta.

 

 

 

 

 

 

2011-01-12

12 gennaio 2011

IN PRIMAVERA ALLE URNE

Sì della Consulta a 4 referendum

La Consulta ha dichiarato oggi ammissibili quattro referendum e ne ha bocciati due. Il via libera è arrivato al referendum abrogativo della legge sul legittimo impedimento, al referendum che vuole bloccare il ritorno del nucleare in Italia e a due referendum contro la privatizzazione dell'acqua. Inamissibili altri due referendum sulla gestione delle risorse idriche.

Il referendum sul legittimo impedimento, la legge che permette al premier Silvio Berlusconi di congelare i suoi processi fino al prossimo ottobre, si dovrebbe tenere, come gli altri, in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. In realtà tutto dipende dal giudizio che domani i giudici della Corte daranno sulla costituzionalità della legge, in una attesa sentenza sui ricorsi presentati dal tribunale di Milano, davanti al quale Berlusconi è imputato in tre processi. Il referendum, presentato dal leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, sarà inutile se la Consulta si pronuncerà per l'incostituzionalità del legittimo impedimento, perché in questo caso la legge viene cancellata dall'ordinamento. Si terrà, invece, se i giudici decideranno per la costituzionalità. Esiste anche una terza ipotesi, quella in cui la Consulta faccia cadere solo una parte della legge. In questo caso sarebbe l'ufficio centrale della Corte di Cassazione a decidere se il referendum si terrà o meno.

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile anche il referendum, promosso sempre da Antonio Di Pietro, contro la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia e a due quesiti su quattro sull'acqua ai privati. I due quesiti ammessi -- presentati dai comitati promotori della campagna "L'acqua non si vende" -- chiedono di abolire la possibilità di dare la gestione dei servizi idrici ai privati.

Non ammesso è stato il referendum sull'acqua presentato dall'Idv che chiedeva l'abrogazione parziale delle norme che limitano la gestione pubblica del servizio idrico e il terzo del comitato per l'acqua pubblica su forme e procedure di affidamento delle risorse idriche. A fissare la data dei referendum sarà un decreto del presidente della Repubblica su deliberazione del consiglio dei ministri. Nel caso di scioglimento anticipato delle Camere o di una di esse, i referendum già indetti vengono sospesi.

Il referendum è valido se a votare va la metà più uno degli elettori.

 

 

2011-01-05

5 gennaio 2011

GIUSTIZIA

Tribunali e tagli informatici

Alfano: problema risolto

"Il problema è stato risolto. Il servizio riprenderà regolarmente da dopodomani e cioè dal sette gennaio, ancora prima della piena ripresa del lavoro negli uffici giudiziari". Lo afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in merito al problema dell'informatizzazione che aveva sollevato le critiche dell'Anm.

"Ho sottoscritto le variazioni di bilancio necessarie per ottenere questo risultato - sottolinea Alfano - in attesa che il ministero dell'Economia, con la sensibilità che ha sempre dimostrato verso l'informatizzazione, assicuri anche il suo sostegno a questo essenziale servizio. Il pericolo era reale e siamo riusciti a scongiurarlo con il contributo di tutti coloro che, in questo frangente così delicato, hanno mostrato spirito di squadra e capacità costruttiva. E per questo, li ringrazio di cuore. In particolare, ringrazio il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per il sostegno che mi ha offerto anche in questa circostanza".

Per Alfano, però, "resta un retrogusto amaro: alcuni esponenti dell'opposizione e taluno della Anm hanno tifato per lo sfascio per potere accusare il ministro della Giustizia e il Governo di averlo creato. Si sono così improvvidamente e intempestivamente esposti, scommettendo sul nostro fallimento. Hanno perso la scommessa ancora una volta perché questo Governo - sul piano dell'efficienza degli uffici - ha fatto tantissimo ed è difficile che qualcuno possa dargli lezioni. Voglio sperare che la Anm, adesso, dia atto della soluzione individuata e della ferma volontà messa in campo per trovarla nel più breve tempo possibile. La prossima settimana - afferma inoltre il Guardasigilli -, assieme al ministro Brunetta col quale abbiamo lavorato con grande spirito di squadra, terremo una conferenza stampa per fare il punto sullo stato della digitalizzazione del sistema giustizia, per comunicare i nuovi obiettivi dell'anno 2011 e per annunciare un piano di razionalizzazione dei costi dei servizi di manutenzione. Ho già inviato una lettera urgente a tutti i vertici degli uffici giudiziari per tranquillizzarli sulla soluzione della grave problematica e per comunicare loro il giorno di ripresa dei servizi di assistenza. Sono convinto che gli organi di informazione daranno alla risoluzione del problema lo stesso risalto che hanno dato al problema stesso".

 

 

2010-12-10

10 dicembre 2010

SENTENZE

Legittimo impedimento, slitta a gennaio

la decisione della Consulta

La Corte Costituzionale è orientata a spostare l'udienza e la decisione sulla legge sul legittimo impedimento dal prossimo 14 dicembre a gennaio, per evitare "un eccessivo sovraccarico mediatico in un clima esterno infuocato", dovuto alla coincidenza con la discussione sulla fiducia in parlamento.Lo ha detto il neo presidente della Consulta Ugo De Siervo in una conferenza stampa subito dopo la sua elezione.

 

 

2010-11-28

27 novembre 2010

CONGRESSO ANM

Alfano: "Non vogliamo sottoporre

i Pm al potere esecutivo"

È riuscito a strappare anche qualche applauso il ministro della Giustizia Angelino Alfano nel suo intervento al Congresso dell'associazione nazionale magistrati, che è stato però spesso segnato da mormorii della platea. L'applauso è arrivato quando il ministro ha detto che proporrà al Parlamento di rendere stabile la deroga a mandare i magistrati di prima nomina nelle sedi disagiate.

I mormorii della platea si sono avuti in più passaggi dell'intervento di Alfano. Innanzitutto, quando il Guardasigilli ha fatto notare che alcune delle riforme più contestate dai magistrati, come ad esempio quello del processo breve e delle intercettazioni, non sono diventate leggi, come invece accaduto alla riforma del processo civile e agli interventi in materia antimafia. E ancora ci sono stati brusii dalla platea, quando il Guardasigilli ha rivendicato di non aver mai dato del "fannullone" a un magistrato, ma anzi di averne in più occasioni elogiato il lavoro difficile. Ancora qualche commento rumoroso c'è stato quando il ministro ha detto di non poter considerare disagiate alcune Procure della sua Sicilia, come Sciacca, per la sua posizione bellissima e anche per l'autostrada che collega l'aeroporto al tribunale.

"Non vogliamo sottoporre il Pm al potere esecutivo, né intendiamo arrivare surrettiziamente a questo risultato intervenendo sulla polizia giudiziaria". Alfano ha spiegato che il governo non intende compiere questo passo "perché non abbiamo fiducia nei governi che ci hanno preceduto e che potrebbero succederci. Ed è questa la stessa ragione per cui non intendiamo - ha aggiunto - fare della polizia giudiziaria uno strumento nelle mani dell'esecutivo".

Insomma "per via diretta o traversa non intendiamo violare il sacro recinto della giurisdizione, perché non siamo certi che chi verrà dopo di noi non abuserà di quella violazione". I magistrati non hanno comunque applaudito a questo passaggio dell'intervento di Alfano, lo hanno fatto invece quando ha concluso l'intervento.

 

 

 

 

2010-11-17

17 novembre 2010

LOTTA ALLA CRIMINALITÂ

Camorra, in manette il boss Iovine

Il superlatitante della camorra Mario Iovine è stato arrestato dalla Polizia. Latitante da oltre 14 anni, era inserito nello speciale elenco dei ricercati più pericolosi. Il boss Mario Iovine, detto "O ninno" (il bambino), si nascondeva in un appartamento a Casal di Principe, dove è stato catturato dagli agenti della squadra mobile di Caserta.

Iovine è stato arrestato senza che la polizia sparasse un solo colpo di pistola. Si è lasciato ammanettare senza reagire. Si nascondeva a casa di una persona arrestata per favoreggiamento. Altre persone trovate all'interno dell'appartamento sarebbero state arrestate. Iovine si nascondeva in una intercapedine ricavata in una villetta appartenente alla famiglia di Marco Borrata, 43 anni, nella quinta traversa di via Cavour.

All'arrivo degli agenti ha tentato di fuggire attraverso il terrazzo, ma è stato bloccato. Il superlatitante era disarmato; nella villetta invece la polizia ha trovato una pistola, regolarmente denunciata, appartenente a Borrata.

Iovine viene ritenuto dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Napoli uno dei capi della camorra casalese ancora in libertà: l'altro è Michele Zagaria latitante da oltre 15 anni. Un altro capo dei capi casalesi è in cella da oltre 12 anni ed è Francesco Schiavone detto Sandokan.

Un applauso in Aula alla Camera ha accolto la notizia dell'arresto del boss della camorra Antonio Iovine. Un applauso che ha unito maggioranza e opposizione. Tutti i gruppi hanno riconosciuto l'operato delle forze di polizia e il lavoro del ministro dell'Interno, Roberto Maroni. "Oggi è una bellissima giornata per la lotta alla mafia, tra pochi minuti vedrete...". È quanto ha affermato il ministro dell'Interno conversando con i giornalisti a Montecitorio appena pochi minuti prima che arrivasse l'annuncio dell'arresto del boss.

Grande soddisfazione per la cattura del boss dei casalesi Antonio Iovine è stata espressa dal procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore, che ha elogiato l'operato della polizia. "L'operazione conclusa oggi - ha detto Lepore - dimostra ancora una volta che l'attività delle forze dell'ordine, coordinate dalla Dda di Napoli, produce risultati importanti sul territorio". "Si tratta di una grande operazione condotta dalla squadra mobile di Napoli che dopo tanti anni è riuscita a catturare

Iovine. Ora resta ancora da arrestare l'altro boss, Zagaria", ha concluso il procuratore che ha affermato di non poter ancora fornire particolari sull'operazione.

"Firmerò subito la richiesta di 41 bis". A riferirlo, parlando in Transatlantico con i cronisti, in merito all'arresto del camorrista Antonio Iovine, è il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che aggiunge: "È un'ulteriore conferma che la squadra Stato vince e l'antimafia giocata batte quella parlata".

 

 

 

 

 

 

 

2010-11-10

10 novembre 2010

MILANO

Caso Ruby: pm dei minori si rivolgerà al Csm

Maroni: "Il caso è chiuso"

Il Pm dei Minori Anna Maria Fiorillo si rivolgerà al Csm 'in quanto le parole del ministro Maroni che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso". Il Pm si occupò quella notte della vicenda della marocchina Ruby, portata in questura.

"Il caso è chiuso": così, secondo quanto si apprende, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commentato le dichiarazioni della pm del tribunale dei minorenni di Milano Anna Maria Fiorillo sulla vicenda Ruby. Maroni ha poi sottolineato che la sua posizione "è la stessa del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati".

 

 

2010-10-29

29 ottobre 2010

INTERVENTO

Berlusconi: la giustizia, un macigno

"Presto un intervento in Parlamento"

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto oggi che la giustizia è un un problema grosso come un macigno che pesa sul Paese e che ne parlerà presto in Parlamento. "Il problema giustizia in Italia è un macigno sulla nostra vita democratica. Sto preparando un intervento in Parlamento", ha detto il premier lasciando il Consiglio europeo. Berlusconi ha aggiunto che il suo intervento non sarà a breve, perché prima cercherà di raggiungere un compromesso "con le altre forze politiche", fra cui gli alleati, sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. "Se questo non dovesse succedere, allora produrrò un intervento in Parlamento e dirò agli italiani qual è situazione della giustizia in Italia".

Negli ultimi due giorni i suoi progetti sulla giustizia sono stati frenati dagli alleati finiani. Prima sul lodo Alfano, il ddl costituzionale sulla sospensione dei processi per il presidente del Consiglio e il capo dello Stato, Futuro e libertà ha presentato un emendamento che limita l'immunità a un solo mandato.

Sulla riforma della giustizia, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha posto oggi una condizione alla progettata separazione delle carriere, che il pubblico ministero non sia assoggetto all'esecutivo.

 

29 ottobre 2010

GIUSTIZIA

Fini: nel Csm troppo peso

ai "non togati" è un rischio

L'attuale composizione del Csm è "adeguatamente bilanciata". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenuto questa mattina al teatro Piccinni di Bari al convegno 'Organizzare la giustizià. "Un eccessivo peso ai non togati - sottolinea Fini - esporrebbe l'organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato".

"La netta separazione delle carriere - sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini - porta con sé quasi inevitabilmente una riforma del Csm che prevede due Csm o, più precisamente, due sezioni specializzate è, probabilmente, la via da percorrere. Ma sul punto - ribadisce - non si possono accogliere quelle proposte che mirano a rendere preponderanti, nella composizione del Csm, i componenti non togati, di nomina politica".

Il presidente Fini cita la teoria della separazione dei poteri risalente a Montesquieu, e osserva che "se le ragioni delle modifiche proposte sono giustificate con il clima di tensione che vede contrapposti, da un lato, la magistratura o parti di essa e, dall'altro, frange pur rilevanti del potere politico, simili soluzioni appaiono ancora più rischiose".

In un clima "già oggi così poco disteso - continua ancora l'inquilino di Montecitorio - le interferenze tra potere politico e funzione giurisdizionale sarebbero destinate a intensificarsi e ciò porterebbe inevitabilmente al determinarsi di una spirale di intrecci e cortocircuiti fra politica e giustizia sempre più forti e pericolosi, in particolare per la credibilità per le nostre istituzioni".

 

 

 

 

 

 

2010-10-26

26 ottobre 2010

ROMA

Casa di Montecarlo,

chiesta l'archiviazione per Fini

La Procura di Roma ha chiesto oggi l'archiviazione dell'inchiesta sulla presunta truffa relativa alla vendita di un appartamento di proprietà di Alleanza Nazionale a una società offshore, per cui erano indagati sia l'attuale presidente della Camera Gianfranco Fini sia l'ex tesoriere di An Francesco Pontone. Lo riferiscono fonti giudiziarie.

Secondo le fonti, il procuratore capo Giovanni Ferrara e l'aggiunto Pier Filippo Laviani hanno chiesto l'archiviazione, ascoltati testimoni e studiate le carte giunte dal Principato di Monaco, ritenendo che non ci sia stata alcuna frode nella vendita dell'appartamento, precedentemente donato all'ex partito di Fini da una anziana sostenitrice.

L'appartamento in questione è occupato attualmente da Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini, Elisabetta Tulliani.

La notizia che sia Fini sia Pontone fossero stati iscritti sul registro degli indagati non era mai stata diffusa in precedenza. L'inchiesta era nata dalla denuncia di alcuni esponenti del partito La Destra di Francesco Storace.

 

 

26 ottobre 2010

POLITICA E GIUSTIZIA

Lodo Alfano, riaperti i termini

per i nuovi emendamenti

La Commissione Affari costituzionali del Senato ha deciso di riaprire i termini per nuovi emendamenti al lodo Alfano fino a giovedì alle 16. I lavori della Commissione riprenderanno martedì pomeriggio. La Commissione ha anche bocciato la richiesta delle opposizioni di sospendere i lavori

della Commissione sul lodo Alfano per 15 giorni.

Maurizio Saia, esponente Fli in Commissione Affari costituzionali del Senato, annuncia che, con

la riapertura dei termini, ci saranno anche emendamenti Fli in Commissione.

Carlo Vizzini, presidente della Commissione, afferma: "Ci prendiamo 48 ore di tempo per consentire una riflessione politica ai gruppi parlamentari. Io non presenterò altri emendamenti. I nodi sono più d'uno. Oggi è bene abbassare la temperatura per consentire lo svolgimento di un dibattito politico sereno".

Enzo Bianco, capogruppo Pd in Commissione, rende noto che Pd, Idv e Udc hanno votato compatti a favore della richiesta di un rinvio di 15 giorni della discussione sul lodo Alfano. "Ora

la discussione dovrebbe riprendere martedì - dice Bianco - dico "dovrebbe" perché faremo valere tutti gli strumenti che il regolamento del Senato mette a nostra disposizione".

I capigruppo di Pd e Udc, Anna Finocchiaro e Gianpiero D'Alia, hanno partecipato ai lavori della Commissione. "La maggioranza - dice Finocchiaro - sta intrecciando la corda con la quale si impiccherà. Alla maggioranza il lodo Alfano non conviene politicamente. Le argomentazioni usate sono false perché il lodo Alfano è solo un vestito su misura per i guai giudiziari di Berlusconi. Non è vero che in Francia c'è una norma simile, perchè a Parigi è solo il presidente della Repubblica a godere dell'immunità. Non è vero neppure che Berlusconi sia eletto dal popolo, perchè il premier è eletto dal Parlamento e perchè sul simbolo della Lega nelle schede elettorali il nome di Berlusconi non c'era".

Luigi Li Gotti (Idv) chiede che il governo dica la sua in Commissione. "Oggi - dice Li Gotti - il sottosegretario Casellati ha fatto scena muta. I senatori non possono apprendere la posizione del Governo dai giornali. Il governo deve parlare in Commissione".

LA POSIZIONE DI BERLUSCONI

L'immunità dai processi per le alte cariche dello Stato è "indispensabile" in Italia per contrastare certa magistratura politicizzata, secondo Silvio Berlusconi che torna a chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta sui giudici. "Ritengo che una legge che sospenda i processi delle più alte cariche dello Stato mentre adempiono alle loro funzioni istituzionali sia opportuna e anzi, vista la magistratura con cui abbiamo a che fare, assolutamente indispensabile", ha dichiarato il premier la settimana scorsa, in un colloquio con Bruno Vespa.

Richiesto ieri di eventuali, nuove valutazioni alla luce delle dichiarazioni di Gianfranco Fini contrario alla possibilità che il lodo sia reiterabile, il presidente del Consiglio ha confermato la sua opinione, secondo quanto si legge in una nota che distilla le anticipazioni del libro.

"Soltanto con la serenità e la forza d'animo che derivano o dalla consapevolezza di non aver commesso alcun reato sono riuscito a disinteressarmi dei tanti, troppi procedimenti che mi sono stati addossati e che ogni giorno vengono amplificati da giornali e televisioni. Proprio a causa di questi comportamenti dei magistrati politicizzati i nostri parlamentari sono in procinto di chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta. Penso che questa iniziativa sia largamente condivisa e debba far luce su una infinità di processi clamorosi, come quelli, tra i tanti, contro Calogero Mannino".

Berlusconi commenta nel libro anche l'invito a comparire ricevuto nei giorni scorsi dalla magistratura romana in uno spezzone dell'inchiesta milanese sui diritti televisivi. "Sono amareggiato soprattutto per Pier Silvio che in Mediaset non si è mai occupato e non si occupa di questioni fiscali. Viene contestata un'evasione inferiore a un milione di euro, quando quell'anno, il 2004, il mio gruppo versò all'erario imposte per 448 milioni. Ci si aspetterebbe il conferimento di una medaglia d'oro in premio", dice.

"Mi assicurano che la contestazione sarebbe frutto di una diversa interpretazione delle norme tra i commercialisti e l'Agenzia delle entrate. Proprio per evitare questi casi la riforma fiscale dovrebbe far chiarezza su tanti punti controversi che mettono in difficoltà tanti professionisti e imprenditori".

Berlusconi ribadisce infine di aver smesso di occuparsi direttamente degli affari del gruppo Fininvest e Mediaset dal 1994, anno in cui è iniziata la sua avventura politica come presidente del Consiglio.

 

 

 

2010-10-24

23 ottobre 2010

ROMA

Lodo Alfano, il Colle:

interpretazioni estranee a rilievi

Le "conseguenze politiche" annunciate dopo la lettera di Napolitano a Vizzini sul lodo Alfano sono "del tutto estranee" agli "intendimenti del capo dello Stato", volti sempre "a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale": è quanto si legge in una nota del Quirinale nella quale si sottolinea l'estraneità del presidente da "soggettive interpretazioni e generalizzazioni" della lettera.

"Con la lettera inviata al presidente Vizzini - si legge nella nota del Quirinale -, il capo dello Stato ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato". '

"Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera - si legge ancora - apparse in diversi commenti di stampa, così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre, sono del tutto estranee agli intendimenti del presidente della Repubblica, sempre volti a favorire, con la massima imparzialità, la correttezza e la continuità della vita istituzionale'".

Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Giuseppe Pisanu nega che ci sia stata una decisa presa di posizione da parte del premier sulla lettera che il capo dello Stato ha inviato al presidente della Commissione Affari Istituzionali del Senato, Carlo Vizzini. "Non mi risulta - ha spiegato oggi a Asolo Pisanu, parlando con i giornalisti - che Berlusconi abbia fatto una dichiarazione ufficiale su un eventuale ritiro del Lodo Alfano".

"I capigruppo - ha proseguito - hanno detto di prendere atto dell'indicazione lecita del capo dello Stato annunciando di agire di conseguenza: è una risposta rispettosa". "Il ministro Alfano - ha riferito ancora Pisanu - ha già preso contatto con i vertici istituzionali: è un dialogo ancora alle prime battute, non si può pretendere già di tirare le somme".

 

 

 

23 ottobre 2010

POLITICA

Fini: lodo Alfano non deve essere reiterabile

"Non credo che il lodo Alfano possa essere reiterabile". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo ai Dialoghi Asolani in un confronto con Massimo D'Alema. Fini ha anticipato che Fli

chiederà delle modifiche. "Se la filosofia è tutelare la funzione quale che sia la persona - ha spiegato Fini - non credo che il lodo Alfano possa essere reiterabile perchè non sarebbe una tutela di una persona per un periodo di tempo, ma un privilegio garantito a una persona".

 

 

23 ottobre 2010

ROMA

"Norme irragionevoli"

Napolitano frena il Lodo

Suonano le campane a morte per la costituzionalizzazione del Lodo Alfano, lo scudo giudiziario in discussione al Senato per capo dello Stato e premier? Sì, perché ieri il disegno di legge sul quale si stanno arrovellando maggioranza e opposizione, ha subito due attacchi. Da parte proprio delle due alte cariche che la norma dovrebbe tutelare: Silvio Berlusconi e, soprattutto, Giorgio Napolitano. Il presidente del Consiglio, però, ha fatto una considerazione tutta politica ("Non sono io che ho chiesto il lodo o le leggi ad personam. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia"), peraltro confermando la necessità dello scudo di fronte agli "attacchi eversivi" di "una corrente" della magistratura; mentre un diverso tipo di obiezione, di delicata natura costituzionale, arriva dal Quirinale.

Che ha inviato al presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini - e per conoscenza ai presidenti delle Camere - una lettera, annunciando "profonda perplessità" su alcune questioni che toccano da vicino i poteri e le prerogative del capo dello Stato. Nella lettera a Vizzini, Napolitano premette che è da sempre sua intenzione "rimanere estraneo nel corso dell’esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in questo caso - riguardino proposte d’iniziativa parlamentare e di natura costituzionale". Ma, aggiunge, di non poter "fare a meno di rilevare che la decisione assunta dalla Commissione da lei presieduta incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni". La parte che Napolitano contesta riguarda la possibilità che le Camere, a maggioranza semplice, decidano di estendere lo scudo giudiziario a quel premier che traslochi da Palazzo Chigi al Quirinale.

Per Napolitano questa norma "contrasta con la normativa vigente risultante dall’articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale" e "appare viziata da palese irragionevolezza". In sostanza, la Costituzione prevede attualmente l’irresponsabilità del presidente della Repubblica, tranne che per alto tradimento e per attentato alla Costituzione. Napolitano segnala che far decidere alle Camere, per giunta a maggioranza semplice, se il capo dello Stato può essere processato o no per reati di varia natura, ne limiterebbe di molto il ruolo, limitandone la necessaria indipendenza. Il Pdl accusa il colpo e promette modifiche: "Le osservazioni di Napolitano non rimarranno indifferenti per il nostro gruppo parlamentare", dicono in coro Gasparri e Quagliariello. Ma per le opposizioni (Pd, Idv e Udc), a questo punto, sarebbe meglio ritirare l’intero provvedimento.

Giovanni Grasso

 

 

 

 

2010-10-22

22 ottobre 2010

MAGGIORANZA ALLA PROVA

Giustizia, dai finiani

tre no e un sì ad Alfano

Giustizia, i finiani fanno ballare la rumba a Berlusconi e al Pdl. Se, infatti, i senatori di Fli continuano diligentemente a votare a favore del Lodo Alfano costituzionalizzato, ieri il vertice del partito ha detto un sonoro "no" a tre delle quattro proposte della maggioranza sulla grande riforma. Tant’è che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sta pensando a un "piano B" per garantire al premier che non finirà sotto processo durante la sua permanenza a Palazzo Chigi.

Giornata campale, dunque, ieri per la riforma della Giustizia. Con diversi fronti. Intanto, in commissione Affari costituzionali del Senato, non è passato l’emendamento proposto dalle opposizioni, secondo il quale non sarebbe stata possibile reiterare lo "scudo" che la maggioranza vuole introdurre per congelare i processi del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio. Ciò significa che un presidente del Consiglio, che ha avuto il processo sospeso per via del lodo, continuerà a godere di questa forma di immunità se viene rieletto a Palazzo Chigi o se viene "promosso" al Quirinale. La maggioranza ha anche bocciato altre proposte di modifica sempre delle opposizioni, che prevedevano una maggioranza qualificata (quindi, non solo la maggioranza semplice) per le Camere chiamate a inizio legislatura a estendere lo scudo giudiziario per il premier.

Il dato tecnico della vicenda non è, a questo stato, particolarmente significativo, dato che le opposizioni hanno in serbo altri emendamenti simili e potranno anche ripresentarli in aula. Il dato politico è che, per ora, l’accordo Pdl-Fli sul lodo Alfano costituzionalizzato tiene, nonostante tutto. Ma la medaglia ha il suo rovescio.

Perché Giulia Bongiorno, dopo il vertice di Fli, ha bocciato 3/4 della proposta del Pdl sulla riforma della Giustizia. Ovvero, ha elencato la presidente della commissione Giustizia della Camera, "sì alla separazione del Csm, no a nuove funzioni e nuova composizione della maggioranza laica del Csm; no a nuovi poteri al ministro della Giustizia; no alla collocazione della Polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura".

Per questo motivo, il ministro Alfano, pur registrando un buon clima politico con Fli, ha parlato di necessità di "vie collaterali". La costituzionalizzazione del Lodo Alfano, infatti, potrebbe non essere sufficiente. L’approvazione di una legge costituzionale è un processo lungo e complicato. E sembra ormai chiaro che, nonostante una certa neutralità di Udc e Mpa, il provvedimento congela-processi non potrà mai raggiungere in Parlamento quei due terzi di voti necessari a evitare il referendum confermativo. Per cui, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che deve deliberare sulla legittimità della legge ordinaria in vigore, nel Pdl si comincia a pensare a una strategia non diversa, ma parallela.

Se, come è possibile, la Consulta casserà la legge attuale, Berlusconi si troverebbe esposto a tutti i procedimenti giudiziari. Si fa strada, allora, l’idea di una soluzione ponte, che garantisca lo scudo al premier mentre va avanti la legge costituzionale. L’idea più semplice sarebbe quella di presentare ed approvare in breve tempo una sorta di legge fotocopia del Lodo Alfano attualmente in vigore. Basterebbe qualche accorgimento (per esempio escludere i ministri dallo scudo) e di fatto la nuova disciplina entrerebbe immediatamente in vigore, annullando (almeno per un buon lasso di tempo) gli effetti di un’eventuale sentenza negativa da parte dei giudici costituzionali.

Giovanni Grasso

 

22 ottobre 2010

INTERVISTA ALLA "FRANKFURTER"

Berlusconi: il Lodo Alfano? Non l'ho chiesto io

"Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela. Il mio partito ha presentato un disegno di legge in base al quale durante il mandato vengono sospesi i processi contro il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio; anche i termini di prescrizione vengono sospesi durante il mandato. Una legge del genere esiste in molti Paesi", lo ha detto il premier Silvio Berlusconi rispondendo, in un'intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Alla domanda sul fatto che vi sia comunque un "dibattito su leggi 'ad personam' a suo favore", Berlusconi ha sostenuto: "Non sono io che le ho chieste. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia. Per dirlo con parole chiare: sulla nostra democrazia grava un macigno. Nella magistratura abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando di procedere contro chi è stato eletto legalmente dal popolo".

Altri temi affrontati dal premier nella sua intervista sono la sua ricandidatura alle prossime elezioni. "Il suo ex alleato, il Presidente della Camera Fini, vuole fondare un proprio partito. La maggioranza è traballante. E' possibile che vi siano nuove elezioni. Lei si ricandiderebbe?", chiede il cronista dell'autorevole giornale tedesco. "Mi candiderò comunque", risponde il presidente del Consiglio. "In caso di elezioni - aggiunge -, vedremo se il programma del partito di Fini sarà tale da consentire di renderlo parte integrante della coalizione".

 

 

2010-10-21

21 0ttobre 2010

MAGGIORANZA ALLA PROVA

Giustizia, Berlusconi accelera: riforma pronta

"La riforma della giustizia è praticamente pronta, la prossima settimana la presenteremo in Consiglio dei Ministri". Silvio Berlusconi torna ottimista e rompe il silenzio anche sul più delicato dei cinque punti del programma. Ottimismo per la svolta finiana sul lodo Alfano costituzionale e retroattivo, che in realtà è solo la riconferma della disponibilità da tempo manifestata da Fli sullo scudo giudiziario per il premier, ma è certo un segnale importante.

È la stessa sensazione che il ministro Angelino Alfano trasferisce a Berlusconi, nell’incontro pomeridiano, per fare il punto dopo il tour istituzionale del giorno prima a illustrare la riforma della giustizia alle alte cariche. Il Guardasigilli non aveva nascosto, in mattinata, a Catania, la sua soddisfazione per il clima che si registra nella maggioranza. "Futuro e libertà ha tenuto una posizione coerente con ciò che aveva sempre detto: la tutela della serenità dello svolgimento delle funzioni delle alte cariche che è un valore riconosciuto anche dalla Corte costituzionale", dice il ministro della Giustizia, che infatti era stato fra i primi a riconoscere Fli come "terza gamba" della coalizione.

Alfano traccia ora la strada che, sullo scudo giudiziario, intende seguire: far leva sul legittimo impedimento, "nelle more che si approvi una legge costituzionale che affermi un principio presente in tanti ordinamenti stranieri", spiega. Certo, il legittimo impedimento, come legge ponte, dovrà superare il vaglio della Corte Costituzionale che deciderà in merito il 14 dicembre. Ma ormai prende corpo nella maggioranza la comune valutazione (o auspicio che dir si voglia) sul fatto che l’inizio dell’iter del lodo costituzionale, con l’approvazione da parte del Senato, possa indurre la Corte a una benevola valutazione sulla norma sotto esame, per dare tempo al Parlamento di completare l’iter.

Dal Quirinale trapela intanto, di nuovo, la volontà di tener fuori del tutto il capo dello Stato, da questo dibattito e dalle polemiche annesse dell’opposizione, sebbene lo scudo – oltre al premier – coinvolga anche la presidenza della Repubblica. Altra cosa, naturalmente, è la riforma della Giustizia nel quale il Capo dello Stato si era limitato a raccomandare al Guardasigilli di mantenere, nel progetto, una linea coerente di rispetto delle reciproche prerogative, fra politica e giustizia, evitando scelte che possano ledere il principio costituzionale dell’autonomia della magistratura. La nuova previsione sulla composizione del Csm (50 per cento alle toghe, l’altra metà di nomina parlamentare) sembra proprio dettata da queste preoccupazioni. L’accordo sul testo della riforma, però, anche nella stessa maggioranza, è più vicino, ma non ancora a portata di mano.

Angelo Picariello

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2011-08-02

su Milanese sì della Camera all'uso dei tabulati e all'apertura delle cassette di sicurezza

Verdini, negato l'uso delle intercettazioni

No dell'Aula alla richiesta dei pm nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il G8

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Denis Verdini

Denis Verdini

MILANO - I magistrati napoletani potranno usare i tabulati telefonici che fanno capo al deputato del Pdl Marco Milanese e aprire le sue cassette di sicurezza. Lo ha stabilito la Camera approvando la richiesta dei pm partenopei. Negato invece l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato Pdl Denis Verdini.

"QUI SI SPUTTANA LA GENTE" - "Sono due anni che sono massacrato, che vengo travolto da questo tritacarne mediatico e giudiziaro da cui voglio uscire velocemente". E tutto questo avviene "con danni enormi e irreparabile. Io non mi lamento ma i danni non me li ripagherà nessuno", ha detto Denis Verdini in Aula. Il deputato Pdl ha sottolineato la necessità di "rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare - ha spiegato - quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione". "Chiedo che qui si rifletta sulla questione delle intercettazioni - ha aggiunto Verdini - perché da troppo tempo si sta sputtanando la gente su queste cose. A me è già avvenuto e nulla di più si può fare rispetto a quello che è stato fatto se non andare ai processi se ve ne sono le condizioni, ma queste cose toccano l'anima, il cuore e le famiglie". "Sono abbastanza forte, nessuno mi distrugge, non ho paura, ho perso molte cose, ma non voglio perdere la mia onorabilità", ha però anche aggiunto il coordinatore del Pdl.

"ACCUSE INFAMANTI" - Nell'aula di Montecitorio, poco prima del voto, anche Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti indagato per corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere nell'ambito di una indagine su una società assicurativa, ha preso la parola per ribadire la sua innocenza. "Sono innocente e le accuse contro di me sono false e ipocrite", ha detto mentre tutti i deputati di maggioranza e opposizione lo ascoltavano in assoluto silenzio. "Quando ho preso posto per la prima volta in quest'aula - ha assicurato Milanese - mai e poi mai mi sarei immaginato di dovermi, un giorno, difendere da accuse così infamanti".

Marco Milanese

Marco Milanese

"ATTACCO AL SISTEMA DEI PARTITI" - Rivolgendosi all'opposizione e in particolare al leader Pd Pier Luigi Bersani, Milanese ha anche aggiunto: "Chiedetevi perché sono state mosse queste accuse contro di me: dovete interessarvi di questo. È vostro dovere farlo in un momento in cui è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti, sui quali si regge la nostra democrazia: non farlo e non intervenire per sapere cosa c'è dietro questa macchina del fango, sarà per tutti noi imperdonabile". Pronta la replica del segretario dei democratici. "Da più parti si tende a mettere tutti nel mucchio e questa è l'ispirazione che sta dietro le parole di Milanese. Noi non rivendichiamo una differenza genetica ma politica sì", ha detto Bersani. Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici, il deputato ha chiesto formalmente al pm, tramite il suo legale, di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al gruppo Viscione dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese".

LE INDAGINI - Oltre che a Napoli, Milanese è anche indagato a Roma per una vicenda di presunte tangenti. Nell'ambito delle inchieste, il deputato del Pdl ha detto ai magistrati di avere preso in affitto una casa nel centro di Roma e di averla messa a disposizione di Tremonti, il quale dava a Milanese mille euro a settimana in contanti come contributo per l'affitto. La rivelazione e le accuse che investono il suo ex consigliere politico hanno indebolito il ministro, in un momento in cui l'Italia è sotto la pressione dei mercati finanziari.

TREMONTI SOPIATO, PARLA DE GENNARO - Quanto alla questione di Giulio Tremonti spiato, Gianni De Gennaro ha spiegato che i servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla. Il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza avrebbe risposto così ai membri del Copasir in relazione alla vicenda sollevata dallo stesso titolare dell'Economia nei giorni scorsi, quando ha rivelato di aver deciso di andare ad abitare in un'abitazione affittata da Milanese perché si sentiva "spiato, controllato e pedinato".

Redazione online

02 agosto 2011 17:25

 

 

 

La ricostruzione

L'imprenditore e "Farfallino"

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Dalle aree dismesse alla Milano-Serravalle e ai conti all'estero

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Filippo Penati (Imagoeconomica)

Filippo Penati (Imagoeconomica)

MILANO - Due grandi accusatori e un principale accusato. Gli accusatori: l'imprenditore di 59 anni Piero Di Caterina, proprietario di 15 aziende tra le quali la Caronte attiva nel trasporto pubblico, e il costruttore di 81 anni Giuseppe Pasini. L'accusato: Filippo Penati, 58 anni, politico ex di tanti incarichi. Sindaco (1994-2001) di Sesto San Giovanni e presidente della Provincia di Milano (2004-2009), già capo della segreteria politica del leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani, Penati si è dimesso dalla vicepresidenza del Consiglio regionale. Perché? È coinvolto nell'inchiesta di due pm della Procura di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia. Lavorano su un presunto giro di tangenti relative all'ex Falck e all'ex Marelli. Ramo acciaierie la prima e metalmeccanico la seconda, hanno contribuito a dare a Sesto San Giovanni il soprannome di Stalingrado d'Italia. Il sistema delle mazzette ha al centro i piani di riconversione di questi spazi chilometrici. Penati, indagato per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, si dice innocente. Avrebbe incassato 2,94 milioni di euro per favorire imprenditori interessati alle riqualificazioni.

Dalla Falck alle banche in Svizzera

Basata su Sesto San Giovanni, la geografia di questa storia ha altre ramificazioni: prende l'asfalto della Milano-Serravalle (società che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, con sede ad Assago), il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e le corsie del San Raffaele (l'ospedale di Milano 2 fondato da don Luigi Verzé, amico di Silvio Berlusconi). Ma le ramificazioni portano anche all'estero. Svizzera. Lussemburgo. Le sedi dei conti alimentati dalle tangenti. Così come emerso dagli interrogatori di Pasini e Di Caterina, e con un riscontro materiale: tracce di movimenti di denaro.

Pasini, alias "farfallino" per il papillon presenza fissa al colletto, nel 2007 candidato per il centrodestra alle elezioni comunali di Sesto, di una cosa è certo. "Ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck". Interessato a rilevare le antiche acciaierie, Pasini, prosegue nel racconto ai pm, andò a chiedere a Penati della possibilità - in caso di acquisto dell'area - di "arrivare a una licenza". Bene, "Penati disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito. Disse che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina". Pasini spiegò di aver versato due miliardi di lire trasferendoli in Canton Ticino con mediatore l'indagato Giordano Vimercati, 61 anni, noto come "cardinale Richelieu", a lungo braccio destro di Penati, e di essersi girato un bonifico di due miliardi di lire in Lussemburgo su una banca coi soldi in un secondo tempo ritirati da Di Caterina. Il quale più volte si è lamentato per mancati introiti, per intoppi nel flusso delle tangenti. Pur conservando ricevute, cedolini, pagine con somme elencate. La contabilità del "Sistema Sesto". Ora sotto l'esame degli investigatori.

I debiti milionari e Tangentopoli

La Procura ha in mano anche una lettera. Del 2008. Di Caterina la scrisse a Penati e Bruno Binasco, arrestato sotto Tangentopoli per aver finanziato in maniera illecita il Pci. Premesso che "dal 1999 ho versato a vario titolo notevoli somme di denaro a Penati che ha promesso di restituire", ecco, di quel denaro l'imprenditore non è mai tornato in possesso. Il 66enne Binasco, principale collaboratore dell'imprenditore Marcellino Gavio, morto nel 2009, è amministratore della Milano-Serravalle. Nel mirino degli inquirenti c'è una triangolazione di denaro fra Di Caterina, Penati e Binasco. Triangolazione avente come base l'acquisizione, da parte di Binasco, di un immobile di Di Caterina a un prezzo più alto in maniera tale da estinguere un debito per conto di Penati. Penati e Binasco si conoscevano da prima. Nel 2005 la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal Gruppo Gavio-Binasco il 15% della Milano-Serravalle. Il prezzo? 8,9 euro per azione. Ogni azione era in precedenza costata 2,9 euro. L'operazione venne censurata dalla Corte dei Conti. La perizia chiesta dalla Procura ha giudicato il prezzo "congruo".

Bonifiche, ospedali, sigle misteriose

Nel luglio d'un anno fa Pasini iniziò a parlare e lasciarsi andare con Guardia di Finanza e Procura. Gli investigatori avevano appena perquisito Di Caterina. Cosa cercavano? False fatture con Luigi Zunino, l'immobiliarista interessato a comprare l'ex Falck e nei guai per le bonifiche ambientali nel quartiere fantasma di Santa Giulia. Anche Di Caterina cominciò a sfogarsi. Ma per quale motivo, lui e Pasini, farlo in forte ritardo? Perché "cantare" anni e anni dopo? Le prime tangenti sono datate tra la fine degli anni 90 e il 2001. Peraltro coinvolgendo, e da subito, le Cooperative di costruzioni. A suo dire, Pasini si sarebbe visto imporre un dazio da Omar Degli Esposti per avviare il cantiere: tirar dentro nel progetto due professionisti vicini alle Cooperative. Degli Esposti, 63 anni, direttore dei lavori del colosso delle costruzioni afferma il contrario. "Pasini? Gli faceva comodo il nostro nome". Degli Esposti è indagato. La Procura ha indagato un'altra persona del mondo del centrosinistra. L'architetto Renato Sarno.

Il 65enne Sarno, ex dirigente del Comune di Sesto, ha disegnato per don Verzé il "San Raffaele Quo Vadis", l'ospedale "del benessere" che il nuovo Cda dell'ospedale schiacciato da un miliardo di euro ha messo fra le priorità degli investimenti da tagliare. Nell'ufficio di Sarno, durante le perquisizioni, è spuntato il file in formato Pdf dal titolo "Documento finanziamento sig. Penati". Fu Sarno l'intermediario di quella triangolazione con Di Caterina e Binasco. In mezzo ad altro materiale, nell'ufficio dell'architetto c'erano le cartellette "H.S.R. San Raffaele" e "Serravalle". Misteri, veleni. Forse semplicemente nuovi indizi.

Andrea Galli

agalli@corriere.it

02 agosto 2011 11:15© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

su Milanese sì della Camera all'uso dei tabulati e all'apertura delle cassette di sicurezza

Verdini, negato l'uso delle intercettazioni

No dell'Aula alla richiesta dei pm nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il G8

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Denis Verdini

Denis Verdini

MILANO - I magistrati napoletani potranno usare i tabulati telefonici che fanno capo al deputato del Pdl Marco Milanese e aprire le sue cassette di sicurezza. Lo ha stabilito la Camera approvando la richiesta dei pm partenopei. Negato invece l'uso delle intercettazioni che riguardano, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti G8, il deputato Pdl Denis Verdini.

"QUI SI SPUTTANA LA GENTE" - "Sono due anni che sono massacrato, che vengo travolto da questo tritacarne mediatico e giudiziaro da cui voglio uscire velocemente". E tutto questo avviene "con danni enormi e irreparabile. Io non mi lamento ma i danni non me li ripagherà nessuno", ha detto Denis Verdini in Aula. Il deputato Pdl ha sottolineato la necessità di "rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare - ha spiegato - quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione". "Chiedo che qui si rifletta sulla questione delle intercettazioni - ha aggiunto Verdini - perché da troppo tempo si sta sputtanando la gente su queste cose. A me è già avvenuto e nulla di più si può fare rispetto a quello che è stato fatto se non andare ai processi se ve ne sono le condizioni, ma queste cose toccano l'anima, il cuore e le famiglie". "Sono abbastanza forte, nessuno mi distrugge, non ho paura, ho perso molte cose, ma non voglio perdere la mia onorabilità", ha però anche aggiunto il coordinatore del Pdl.

"ACCUSE INFAMANTI" - Nell'aula di Montecitorio, poco prima del voto, anche Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti indagato per corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere nell'ambito di una indagine su una società assicurativa, ha preso la parola per ribadire la sua innocenza. "Sono innocente e le accuse contro di me sono false e ipocrite", ha detto mentre tutti i deputati di maggioranza e opposizione lo ascoltavano in assoluto silenzio. "Quando ho preso posto per la prima volta in quest'aula - ha assicurato Milanese - mai e poi mai mi sarei immaginato di dovermi, un giorno, difendere da accuse così infamanti".

Marco Milanese

Marco Milanese

"ATTACCO AL SISTEMA DEI PARTITI" - Rivolgendosi all'opposizione e in particolare al leader Pd Pier Luigi Bersani, Milanese ha anche aggiunto: "Chiedetevi perché sono state mosse queste accuse contro di me: dovete interessarvi di questo. È vostro dovere farlo in un momento in cui è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti, sui quali si regge la nostra democrazia: non farlo e non intervenire per sapere cosa c'è dietro questa macchina del fango, sarà per tutti noi imperdonabile". Pronta la replica del segretario dei democratici. "Da più parti si tende a mettere tutti nel mucchio e questa è l'ispirazione che sta dietro le parole di Milanese. Noi non rivendichiamo una differenza genetica ma politica sì", ha detto Bersani. Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici, il deputato ha chiesto formalmente al pm, tramite il suo legale, di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al gruppo Viscione dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese".

LE INDAGINI - Oltre che a Napoli, Milanese è anche indagato a Roma per una vicenda di presunte tangenti. Nell'ambito delle inchieste, il deputato del Pdl ha detto ai magistrati di avere preso in affitto una casa nel centro di Roma e di averla messa a disposizione di Tremonti, il quale dava a Milanese mille euro a settimana in contanti come contributo per l'affitto. La rivelazione e le accuse che investono il suo ex consigliere politico hanno indebolito il ministro, in un momento in cui l'Italia è sotto la pressione dei mercati finanziari.

TREMONTI SPIATO, PARLA DE GENNARO - Quanto alla questione di Giulio Tremonti spiato, Gianni De Gennaro ha spiegato che i servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla. Il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza avrebbe risposto così ai membri del Copasir in relazione alla vicenda sollevata dallo stesso titolare dell'Economia nei giorni scorsi, quando ha rivelato di aver deciso di andare ad abitare in un'abitazione affittata da Milanese perché si sentiva "spiato, controllato e pedinato". Proprio sulle parole di Tremonti, il Copasir ascolterà a settembre il comandante generale della Guardia di Finanza, il generale Nino Di Paolo. L'audizione, in programma da tempo, sarà l'occasione per approfondire il senso di queste affermazioni, oggetto anche di un'indagine della magistratura romana.

Redazione online

02 agosto 2011 18:36

 

 

La ricostruzione

L'imprenditore e "Farfallino"

Così è partita l'inchiesta

Dalle aree dismesse alla Milano-Serravalle e ai conti all'estero

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Filippo Penati (Imagoeconomica)

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Dalla Falck alle banche in Svizzera

Basata su Sesto San Giovanni, la geografia di questa storia ha altre ramificazioni: prende l'asfalto della Milano-Serravalle (società che gestisce 180 chilometri di autostrade e tangenziali, con sede ad Assago), il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna e le corsie del San Raffaele (l'ospedale di Milano 2 fondato da don Luigi Verzé, amico di Silvio Berlusconi). Ma le ramificazioni portano anche all'estero. Svizzera. Lussemburgo. Le sedi dei conti alimentati dalle tangenti. Così come emerso dagli interrogatori di Pasini e Di Caterina, e con un riscontro materiale: tracce di movimenti di denaro.

Pasini, alias "farfallino" per il papillon presenza fissa al colletto, nel 2007 candidato per il centrodestra alle elezioni comunali di Sesto, di una cosa è certo. "Ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck". Interessato a rilevare le antiche acciaierie, Pasini, prosegue nel racconto ai pm, andò a chiedere a Penati della possibilità - in caso di acquisto dell'area - di "arrivare a una licenza". Bene, "Penati disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito. Disse che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina". Pasini spiegò di aver versato due miliardi di lire trasferendoli in Canton Ticino con mediatore l'indagato Giordano Vimercati, 61 anni, noto come "cardinale Richelieu", a lungo braccio destro di Penati, e di essersi girato un bonifico di due miliardi di lire in Lussemburgo su una banca coi soldi in un secondo tempo ritirati da Di Caterina. Il quale più volte si è lamentato per mancati introiti, per intoppi nel flusso delle tangenti. Pur conservando ricevute, cedolini, pagine con somme elencate. La contabilità del "Sistema Sesto". Ora sotto l'esame degli investigatori.

I debiti milionari e Tangentopoli

La Procura ha in mano anche una lettera. Del 2008. Di Caterina la scrisse a Penati e Bruno Binasco, arrestato sotto Tangentopoli per aver finanziato in maniera illecita il Pci. Premesso che "dal 1999 ho versato a vario titolo notevoli somme di denaro a Penati che ha promesso di restituire", ecco, di quel denaro l'imprenditore non è mai tornato in possesso. Il 66enne Binasco, principale collaboratore dell'imprenditore Marcellino Gavio, morto nel 2009, è amministratore della Milano-Serravalle. Nel mirino degli inquirenti c'è una triangolazione di denaro fra Di Caterina, Penati e Binasco. Triangolazione avente come base l'acquisizione, da parte di Binasco, di un immobile di Di Caterina a un prezzo più alto in maniera tale da estinguere un debito per conto di Penati. Penati e Binasco si conoscevano da prima. Nel 2005 la Provincia di Milano presieduta da Penati acquisì dal Gruppo Gavio-Binasco il 15% della Milano-Serravalle. Il prezzo? 8,9 euro per azione. Ogni azione era in precedenza costata 2,9 euro. L'operazione venne censurata dalla Corte dei Conti. La perizia chiesta dalla Procura ha giudicato il prezzo "congruo".

Bonifiche, ospedali, sigle misteriose

Nel luglio d'un anno fa Pasini iniziò a parlare e lasciarsi andare con Guardia di Finanza e Procura. Gli investigatori avevano appena perquisito Di Caterina. Cosa cercavano? False fatture con Luigi Zunino, l'immobiliarista interessato a comprare l'ex Falck e nei guai per le bonifiche ambientali nel quartiere fantasma di Santa Giulia. Anche Di Caterina cominciò a sfogarsi. Ma per quale motivo, lui e Pasini, farlo in forte ritardo? Perché "cantare" anni e anni dopo? Le prime tangenti sono datate tra la fine degli anni 90 e il 2001. Peraltro coinvolgendo, e da subito, le Cooperative di costruzioni. A suo dire, Pasini si sarebbe visto imporre un dazio da Omar Degli Esposti per avviare il cantiere: tirar dentro nel progetto due professionisti vicini alle Cooperative. Degli Esposti, 63 anni, direttore dei lavori del colosso delle costruzioni afferma il contrario. "Pasini? Gli faceva comodo il nostro nome". Degli Esposti è indagato. La Procura ha indagato un'altra persona del mondo del centrosinistra. L'architetto Renato Sarno.

Il 65enne Sarno, ex dirigente del Comune di Sesto, ha disegnato per don Verzé il "San Raffaele Quo Vadis", l'ospedale "del benessere" che il nuovo Cda dell'ospedale schiacciato da un miliardo di euro ha messo fra le priorità degli investimenti da tagliare. Nell'ufficio di Sarno, durante le perquisizioni, è spuntato il file in formato Pdf dal titolo "Documento finanziamento sig. Penati". Fu Sarno l'intermediario di quella triangolazione con Di Caterina e Binasco. In mezzo ad altro materiale, nell'ufficio dell'architetto c'erano le cartellette "H.S.R. San Raffaele" e "Serravalle". Misteri, veleni. Forse semplicemente nuovi indizi.

Andrea Galli

agalli@corriere.it

02 agosto 2011 11:15

 

 

URBANISTICA

Piano casa Regione, è scontro

tra Polverini e ministro Galan

"È incostituzionale". La replica della presidente del Lazio: "Gesto inaccettabile, ho chiamato Berlusconi"

Renata Polverini (Imagoecomica)

Renata Polverini (Imagoecomica)

ROMA - Scontro tra la presidente della Regione Lazio Polverini e il ministro dei Beni culturali Galan. Oggetto il piano casa appena approvato dalla Regione Lazio. "Ci sono evidenti casi di incostituzionalità nel Piano Casa della Regione Lazio", ha detto il ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan, in occasione della firma del protocollo d'intesa del patrimonio immobiliare di interesse culturale della Rai.

GALAN: DI FATTO E' UN CONDONO - "Di fatto - ha commentato il ministro - fanno un condono in aree vincolate, ma il condono è una materia nazionale. Il ruolo di qualsiasi ministro dei Beni culturali - ha proseguito Galan - è quello di tutelare il patrimonio culturale, questa legge tende a svilirlo e ad indebolirlo. È esattamente l'opposto di quello che ci vuole per il nostro Paese". Il ministro ha citato, come paragone, il piano della Regione Veneto, di cui è stato governatore. "Il Veneto ha dato un buon esempio: le leggi si possono fare ma bene, senza provvedimenti incostituzionali e senza svilire il patrimonio artistico e monumentale dell'Italia. Su 162 chilometri di litorale laziale sono state avanzati 45 permessi per realizzare nuovi porti. E vogliamo ridurre così le difese dello Stato? - chiede il ministro - Io sono dalla parte della difesa delle coste e del Paese".

Il ministro Galan (Jpeg)

Il ministro Galan (Jpeg)

POLVERINI: "GRAVE GESTO" - Dura la replica della presidente della Regione. "Ho già chiamato il presidente Berlusconi ed il coordinatore del suo partito", ha detto il governatore del Lazio Renata Polverini. "Il ministro Galan ha commesso un gesto dal punto di vista dei rapporti istituzionali assolutamente sgarbato e direi addirittura inaccettabile perché entra a gamba tesa in quella che è la prerogativa legislativa del consiglio regionale e della sua autonomia, parlando di cose che non conosce, perchèé se sono quelle che ho appena letto, non sono assolutamente previste nel piano. Il ministro Galan - ha aggiunto il presidente della Regione Lazio - ha fatto il presidente della Regione Veneto, ha difeso il suo territorio, io lo sto facendo altrettanto. Quindi non consento a nessuno, nemmeno ad un esponente del governo, di entrare in questo modo nella autonomia della regione e del consiglio regionale. Fatto ancora più grave, poi, è che l’intevento del ministro è arrivato mentre il provvedimento è in fase di approvazione".

ALEMANNO: SOLIDALE CON RENATA - Interviene il sindaco di Roma per esprimere la sua solidarietà alla Polverini. "Il piano casa della Regione è in queste ore in discussione e credo che sia necessario aspettare e leggere il testo definitivo nella sua interezza prima di esprimere giudizi. In ogni caso, al Consiglio Regionale è affidata la competenza di adottare e licenziare un provvedimento così importante per tutti i cittadini come la legge sulla casa e sono sicuro che la Governatrice Polverini ha lavorato con serietà e competenza. A lei va la mia piena solidarietà per una polemica che, al momento attuale, non può essere giustificata", ha dichiarato Gianni Alemanno.

02 agosto 2011 17:09

 

 

 

L'assessore Granelli: sui parcheggi per disabili stiamo studiando un sistema a microchip

Truffa dei pass, i mille invalidi fantasma

In aumento le segnalazioni di abusi. Autorizzazioni rivendute o intestate a parenti defunti

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MILANO - Qualcuno li guarda da lassù mentre imboccano una corsia riservata e parcheggiano gratuitamente nel centro storico. Falsi invalidi nel nome del padre. Disabili su carta intestata e scaduta. Sono 968 i fantasmi su quattroruote, automobilisti che custodiscono il ricordo e conservano il pass d'un parente deceduto, ne sfruttano illegalmente i diritti e sfuggono ai controlli incrociati di Comune, Anagrafe, Asl e polizia locale: "È un comportamento odioso, inqualificabile, uno schiaffo a chi convive realmente con un handicap" denuncia Franco Bomprezzi, già portavoce dell'associazione Ledha e consulente della giunta Pisapia per la tutela delle fasce deboli.

L'ultima frontiera degli sciacalli è stata appena valicata. Dieci persone hanno celebrato il funerale del congiunto e si sono precipitate alla centrale di piazza Beccaria, appena prima che gli agenti certificassero il decesso e aggiornassero il database, per ottenere il duplicato del contrassegno e il suo "trasferimento" su un'altra vettura di famiglia. Potevano? No. Era un raggiro. Sono stati denunciati per truffa. Dalle cronache giudiziarie emergono a ondate inchieste sull'utilizzo indebito dei lasciapassare nel traffico. Nell'ufficio Procedure sanzionatorie di via Friuli, secondo l'accusa della Procura, operava una cellula di agenti infedeli e spregiudicati. Sono stati i vigili urbani "puliti" a incastrare i colleghi "corrotti": diciassette ghisa gestivano - tra l'altro - un traffico di documenti clandestini direttamente dal Comando di Zona 2, avevano definito un tariffario, messo in coda i clienti, accontentato gli amici. Cento euro e la pratica era sbrigata. L'indagine è praticamente chiusa. I reati contestati sono pesantissimi. Corruzione e peculato.

Gli automobilisti-truffatori s'infilano nelle maglie larghe dei controlli e nella rete delle competenze per vagolare sui confini del lecito. C'è chi denuncia d'aver smarrito il tagliando per ottenerne una copia (beccato), chi pretende un contrassegno per un parente di 99 anni o un malato talmente grave da potersi muovere solo in ambulanza, chi clona o fotocopia il cartoncino con una stampante a colori (presi), chi li ruba (226 certificati risultano "sottratti al proprietario" e altri sono 301 "scomparsi"), chi li rivende (dovrà rispondere del reato di ricettazione) e chi, più banalmente, utilizza la tessera in assenza del titolare disabile sul lato passeggero. Il perché è presto detto: il "bonus" invalidi libera le corsie preferenziali di autobus, tram e taxi (un passaggio su tre è "abusivo"), spalanca le zone a traffico limitato e l'area ecopass, consente di posteggiare gratuitamente nei posteggi a pagamento (strisce blu).

Il neoassessore alla Polizia locale, Marco Granelli, ha ordinato agli agenti di insistere con le verifiche e bastonare i trasgressori: "Per i parcheggi riservati ai portatori di handicap stiamo invece studiando un sistema di microchip che identifichi la vettura sui 4.077 stalli personalizzati e lanci immediatamente l'allerta in caso di infrazione". In Comune sono registrati 21.229 pass auto per disabili. Il sistema elettronico del ticket antismog ha consentito, negli ultimi tre anni e mezzo, di ripulire almeno in parte gli elenchi e identificare centinaia di furbi: i contrassegni intestati a persone decedute sono progressivamente scesi dai 3.320 del 2009, ai 1.467 dell'anno dopo, fino ai 968 attuali. Ogni permesso è a termine. Ci sono quelli per invalidità permanente (durano generalmente cinque anni e sono rinnovabili) e quelli per invalidità temporanea (si va da una gamba rotta a patologie gravissime). Il problema è recuperarli alla scadenza. Il Comune spedisce una lettera a casa degli assegnatari "per segnalare la necessità di rinnovo o l'eventuale restituzione". Risposte? Poche. E dunque sospette.

Per questo sono necessari gli screening periodici attraverso la Consulta per la disabilità, gli uffici anagrafici e la polizia locale: "Il settore Mobilità - spiegano dall'assessorato di Pierfrancesco Maran - aggiorna ogni quindici giorni il file con le targhe delle auto associate ai pass e depenna i tagliandi intestati ai deceduti, così la polizia può riconoscere e multare un veicolo parcheggiato abusivamente". Se vengono letti dalle telecamere antitraffico, i pass irregolari finiscono invece automaticamente cancellati dalla lista. E i fantasmi mitragliati di sanzioni telematiche.

Armando Stella

02 agosto 2011 11:06

 

 

la strage alla stazione di bologna 31 anni fa: 85 morti e 200 feriti

2 Agosto, piazza strapiena

Bolognesi: "Governo inqualificabile"

Il presidente dell'associazione familiari delle vittime contro Berlusconi: "Ci feriscono attacchi alla magistratura da chi è stato iscritto alla P2". Napolitano: "Il ricordo previene rigurgiti di intolleranza"

Il corteo a Bologna

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BOLOGNA - Non c’è, eppure è protagonista. Da Roma, come annunciato, non è arrivato nessun ministro per la commemorazione della strage alla stazione di Bologna. "Quest’anno come l’anno scorso, il governo non ha inviato alcun rappresentante istituzionale, è inqualificabile", ha detto dal palco di piazza Medaglie d’oro Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: "La strategia sembra quella del silenzio, la volontà quella di far dimenticare". Poco dopo, dallo stesso palco, Virginio Merola: il governo "può non avere risposte, ma non si può mancare di rispetto", ha commentato il sindaco. Governo assente e criticato. Eppure la rappresentanza del mondo politico, quando ricorre il 31esimo anniversario della strage del 2 Agosto, è stata ridotta al minimo rispetto agli altri anni. Pochi i big di partito, assenti tutti i segretari nazionali. Parlamentari pochissimi. Si è visto Walter Vitali, ex sindaco sotto le Due Torri. David Sassoli, europarlamentare del Pd, ha spiegato: "Molti sono in parlamento, oggi è una giornata importante". Anche il governatore Vasco Errani ha lasciato presto la piazza per un impegno istituzionale improrogabile. E alla fine è toccato al sindaco Virginio Merola farsi carico della questione: "Mi scuso a nome dei parlamentari, che oggi sono impegnati a Roma".

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Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

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Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

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Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

Il 31esimo anniversario della strage alla stazione, che fece 85 morti e 200 feriti

DAL PALCO - Ma se Merola scusa il parlamento, per il governo non ammette giustificazioni: "È vero che negli anni scorsi i fischi hanno colpito esponenti del governo", ma bisogna trovare il "coraggio e la responsabilità" per il "rispetto delle 85 vittime e dei 200 feriti" della strage. "È miope non avere l’intelligenza del cuore per vedere come questo giorno sia sentito da noi bolognesi", dice ancora riprendendo il Piccolo principe, affiancato questa volta alla Bibbia: "C’è un tempo per ogni cosa, come dice la Bibbia, arriverà il tempo della verità e della giustizia". E dopo aver ricordato il suo 2 Agosto di 31 anni fa, quando lavorava alle poste di via Bovi Campeggi, il sindaco ha proseguito: "Questa piazza dimostra ancora una volta quanto la memoria sia viva tra noi e quanto la solidarietà sia ben radicata. Qui siamo sempre in tanti a ripetere le due parole: verità e giustizia".

BOLOGNESI - Poco prima, sul palco, Paolo Bolognesi ha pressato il governo sull’impegno, preso e mai mantenuto, di aprire gli armadi sulle stragi. Ha accusato poi Berlusconi: "Chi è stato iscritto alla P2 - ha tuonato Bolognesi - non dovrebbe dare giudizi sulla magistratura, accusandola di eversione". Ha lamentato trattamenti di favore per Fioravanti, Mambro e Ciavardini. E si è rivolto poi contro il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Accusato prima della "squallida vicenda della parentopoli romana", che ha visto una "pattuglia di estremisti neofascisti raccomandati, piazzati da Alemanno nelle municipalizzate". Bolognesi ha criticato anche Alemanno per non aver "sentito l’esigenza di commemorare" il giudice Mario Amato a 30 anni dalla sua scomparsa, mentre ha intitolato a estremisti di destra. Spia, per Bolognesi, di un clima in cui "Fioravanti e i suoi sodali si sentono protetti e spalleggiati, coccolati da un clima a loro favorevole anche a livello istituzionale".

LA GIORNATA - Se la politica si è fatta vedere poco, i cittadini hanno invece risposto in tanti, affollando via Indipendenza attraversata dal corteo che da piazza Nettuno si è diretto in stazione, dove il piazzale era pieno fino a viale Pietramellara. "2 agosto 1980: stazione di Bologna 85 morti 200 feriti" recitava lo striscione in testa, dietro i gonfaloni delle città, i familiari delle vittime, i sindaci in fascia tricolore e tante associazioni e semplici cittadini. Corteo silenzioso scandito dagli applausi fino a piazza Medaglie d’oro: "Mai più", un urlo forte e deciso, ma con il timbro delicato delle voci dei bambini e dei ragazzi, arrivava dall’aiuola di fronte alla stazione. A farlo i ragazzi della scuola di Pace di Monte Sole. Dal Palco Marco, 14 anni, e Farhana, 11, hanno letto i versi scritti per l’occasione da Roberto Roversi. Intervallati dai "mai più". Poi un minuto di silenzio, interrotto dai tre fischi del treno e dal lungo applauso. Ore 10.25. I ragazzi della scuola di Pace hanno lasciato andare in cielo 85 palloncini bianchi.

2 Agosto, immagini di una strage

I primi scatti della tragedia

I primi scatti della tragedia

I primi scatti della tragedia

I primi scatti della tragedia

I primi scatti della tragedia

I primi scatti della tragedia

I primi scatti della tragedia

INTERVENTI - "Il ricordo di quella strage è scolpito nella coscienza della Nazione e sollecita ogni giorno l’impegno civile dell’intera collettività nel prevenire qualsiasi rigurgito di intolleranza e di violenza", ha scritto il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ribadendo l’importanza della commemorazione per "l’ulteriore accertamento della verità storica e processuale". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ribadito "l'impegno costante di istituzioni e società civile a fare piena luce su una stagione di folle violenza terroristica", ricordando che "lo Stato ha il dovere di non lasciare mai soli i parenti delle vittime". Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha ringraziato i familiari delle vittime per la "lotta all’oblio nel nome della verità". A Bologna c’era la figlia di Aldo Moro, Agnese. C’era la nipote del giudice Amato. Il sindaco di Bari, Michele Emiliano: "Abbiamo condiviso con questa città un dolore immenso, sproporzionato, incomprensibile. Abbiamo sottoscritto un gemellaggio che è per il futuro, senza dimenticare cosa è avvenuto il 2 agosto del 1980". Per il prefetto Angelo Tranfaglia "non mancherà l’impegno delle istituzioni, in primo luogo di governo e magistratura, e dobbiamo avere fiducia che anche a distanza di anni si possa dare finalmente ai familiari, alla città di Bologna e alla nazione una verità più completa". E l’eco delle proteste arriva anche a Montecitorio. Dai banchi di Udc, Pd e Idv si contesta l’assenza del governo: "Speriamo che ripari con un segnale di attenzione", dice la pd Sandra Zampa.

Renato Benedetto

02 agosto 2011

2011-07-30

Le carte - Il ministro lasciò la foresteria della caserma già nel 2004

"Complotto" e conti della casa

Il titolare del Tesoro sarà risentito

I pm vogliono chiarimenti sulla presunta opera di "spionaggio". Milanese: mi disse che veniva spiato

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Giulio Tremoni e Marco Milanese (foto Imagoeconomica)

Giulio Tremoni e Marco Milanese (foto Imagoeconomica)

ROMA - Per due volte il ministro Giulio Tremonti è stato interrogato dai magistrati di Napoli, ma non ha mai raccontato di essere stato seguito o controllato. Né risulta che abbia mai presentato una denuncia su quello che ha invece rivelato ieri per giustificare la sua scelta di trasferirsi, due anni fa, nell'appartamento affittato dal suo consigliere politico, il parlamentare Pdl Marco Milanese: "Prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l'offerta di Milanese". E dunque dovrà essere nuovamente ascoltato, soprattutto per chiarire diverse circostanze che al momento non trovano riscontro. Una su tutte: secondo quanto filtra dal comando generale della Guardia di finanza, il ministro ha lasciato l'alloggio in caserma - la foresteria di via Sicilia a Roma - nel luglio del 2004. Vale a dire, quasi cinque anni prima del trasloco dal suo collaboratore.

Milanese e il "piano"

Nell'indagine su Milanese - accusato di associazione a delinquere, corruzione e rivelazioni di segreto - il filone legato al ruolo del titolare dell'Economia torna dunque in primo piano. Anche perché rimangono discordanti le versioni su chi abbia effettivamente pagato il canone di quella casa, e questo ha già portato a una nuova contestazione di corruzione per lo stesso Milanese in concorso con Angelo Proietti (il costruttore che la ristrutturò e in cambio avrebbe ottenuto appalti dalla Sogei) e con l'ex presidente della Società generale informatica Sandro Trevisanato. Bisogna dunque tornare al 16 dicembre scorso, quando Tremonti viene convocato per la prima volta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli. Risponde a tre domande sul ruolo di Milanese, ma nulla dice su possibili minacce o pressioni.

Ne avevano invece riferito i giornali agli inizi di giugno e il 13 dello stesso mese, davanti ai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio che chiedono chiarimenti, Milanese afferma: "Ho visto il ministro Tremonti qualche giorno fa e mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi perché aveva saputo che lui, il ministro, era seguito o comunque negli ambienti politici si dice che stanno attuando il "metodo Boffo" anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. E che quindi si utilizzi i miei problemi giudiziari per contrastare l' ascesa politica del ministro Tremonti. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando "cose" per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi come partecipanti al piano ordito nei suoi confronti".

I conti per la casa

Quanto basta perché i magistrati decidano di ascoltare la versione del diretto interessato, convocato alla Procura di Napoli quattro giorni dopo. Tremonti racconta la sua lite con Berlusconi, conferma di avergli "manifestato refrattarietà a campagne di stampa tipo quella "Boffo"" spiega che "quando dissi a Berlusconi "chiedi conferma ad Adinolfi" si trattava di uno sfogo non avendo io gli elementi per valutare i comportamenti di Adinolfi sotto il profilo deontologico". Ma non cita alcun episodio specifico che lo riguardi. A che cosa si riferisce dunque adesso, quando parla di caserme, pedinamenti e spiate?

La scelta del ministro di effettuare una denuncia pubblica segue di qualche giorno la consegna della memoria difensiva di Milanese a Montecitorio. Nel documento, scritto con gli avvocati Franco Coppi e Bruno Larosa, il parlamentare afferma che Tremonti gli ha versato 1.000 euro a settimana in contanti per pagare l'affitto (che ammontava a 8.000 euro mensili) per un totale di 75.000 euro. Sino ad allora il ministro aveva dichiarato semplicemente di essere stato "ospite". A quanto risulta dagli atti processuali, per almeno due anni nessuno dei due avrebbe versato neanche un centesimo all'Ente proprietario del lussuoso appartamento.

Lo scomputo dei lavori

Il 28 giugno scorso viene interrogato da Piscitelli Alfredo Lorenzoni, il segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni, che afferma: "Milanese ha stipulato il contratto nel febbraio 2009 per l'appartamento di via di Campo Marzio che necessitava di lavori di circa 250/260 mila euro e concordammo l'esecuzione a suo carico per una cifra di 200 mila euro dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone d'affitto".

Il resto lo aggiunge il costruttore Proietti, che si incaricò dei lavori: "Fui io a far avere a Milanese un piccolo appartamento del Pio sodalizio dei Piceni e poi lui prese anche quello di via di Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, ma la feci a titolo gratuito". Dunque, se è vero che Tremonti ha versato 4.000 euro al mese, quei soldi potrebbero essere rimasti nella disponibilità di Milanese.

Fiorenza Sarzanini

30 luglio 2011 10:35

 

 

 

 

2011-07-29

Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli

Processo lungo, sì del Senato alla fiducia

Allarme di Csm e Anm: "È inaccettabile"

Il governo incassa il via libera. Il provvedimento torna alla Camera. Nitto Palma: nessun effetto deflagrante

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Francesco Nitto Palma (Ansa)

Francesco Nitto Palma (Ansa)

ROMA - Il Senato ha approvato la fiducia al cosiddetto "processo lungo". Il ddl prevede l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Ma a creare scontro in aula sono state alcune norme introdotte a iter legislativo già avviato. In particolare, viene previsto che il difensore dell'imputato "ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico". Una prerogativa, questa, che viene vista come funzionale ad estendere i tempi di giudizio offrendo dunque maggiori possibilità di arrivare a prescrizione. Di qui la definizione di "processo lungo" (GUARDA le novità introdotte dal provvedimento). Secondo le opposizioni, di tale norma finirebbe col beneficiare in particolare Silvio Berlusconi nei processi che lo riguardano. Il governo incassa dunque 160 sì, mentre i no sono stati 139. Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli. A favore, Pdl, Lega e Coesione Nazionale. Il partito guidato da Antonio Di Pietro ha protestato in Aula con i deputati a reggere cartelli con la scritta: "Ladri di giustizia". Il provvedimento passa all'esame della Camera per l'approvazione definitiva. Venerdì è stato anche il giorno di esordio del neo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma. "Il processo lungo appena passato al Senato? Si dicono tante inesattezze" ha detto il neoministro commentando le polemiche. "Sul processo lungo c'è stata tanta discussione mediatica e tante inesattezze, ma non avrà nessun effetto deflagrante".

Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma Senato, la prima di Nitto Palma

CSM E ANM - Sul voto di fiducia, c'è l'allarme del Csm: il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, considera che con il provvedimento sul cosiddetto "processo lungo" si vada "nella direzione opposta rispetto all'Europa". L'organo di autotutela dei magistrati, ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino, "ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il governo non ha voluto fare lo stesso". Entrando nel merito, Vietti ha precisato che "le posizioni del Csm nei confronti dei provvedimenti sono molto critiche sotto il profilo delle sue ricadute sulla durata dei processi". "Siamo tutti impegnati in modo prioritario ad accelerarli - ha aggiunto - anche per tenere il passo con l'Europa. Questi provvedimenti - ha concluso - vanno esattamente nella direzione opposta". Assai critica anche l'Associazione nazionale dei magistrati. "La giustizia è una cosa seria - ha detto il presidente Luca Palamara -, ma purtroppo nell'ultimo periodo rischia di essere ridicolizzata: processo lungo, processo breve, la verità è che si vuole impedire di portare il processo a sentenza. È un favore ai criminali e si nega la giustizia alle vittime. È inaccettabile".

LE REAZIONI- Non si sono fatte attendere le reazioni dei politici: "Dopo la sconfitta delle elezioni amministrative e del referendum il governo continua a emanare leggi ad personam con un'arroganza incredibile", spiega il senatore Svp Oskar Peterlini, spiegando il suo no alla fiducia. Mentre il capogruppo del Pd Anna Finocchiaro ironizza sull'assenza del premier: "All'assenza dall'approvazione della manovra qui al Senato si rispose dicendo che il presidente Berlusconi era scivolato su una saponetta. Mi chiedo se stamattina, vista la sua assenza, si sia strozzato con il dentifricio". Durante il dibattito, poco prima del voto, l'Italia dei Valori ha deciso per un blitz. Tutti i senatori hanno tirato fuori cartelli per protestare contro la norma. Ma il Pdl non ci sta e difende il provvedimento. "Abbiamo diritto di batterci per portare avanti un provvedimento in cui crediamo", aggiunge Maurizio Gasparri. Anche la Lega segue l'alleato. Sergio Mazzatorta: "Durante l'iter alla Camera quell'unico articolo è stato modificato aggiungendo altri 5 articoli che, secondo l'Anm, avrebbero generato problemi di carattere processuale. Abbiamo qui accolto quei rilievi. Questo testo garantisce la certezza della pena dell'ergastolo".

Redazione online

29 luglio 2011 19:35

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

il massimo organismo giuridico dell'ue conferma una precedente sentenza

La Corte di giustizia dà torto a Mediaset:

"Gli incentivi ai decoder aiuti di Stato"

Dovrà restituire circa 220 milioni di euro e i vantaggi economici derivanti dall'aumento di share

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MILANO - Altra tegola su Mediaset, alle prese anche con la crisi di Endemol. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha ribadito che Mediaset dovrà rimborsare lo Stato per gli aiuti erogati negli anni scorsi per l'acquisto dei decoder. La Corte ha quindi respinto il ricorso presentato dall'azienda televisiva dopo la sentenza dell'anno scorso. E ha perciò confermato che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri nel 2004 e 2005 "costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Le emittenti radiotelevisive che hanno beneficiato indirettamente degli aiuti di Stato sono tenute a rimborsare le somme corrispondenti ai vantaggi in tal modo ottenuti". Mediaset dovrà rimborsare non solo i 220 milioni di euro del contributo dello Stato, ma anche i vantaggi economici conseguenti all'aumento dello share causato dall'operazione.

LA SENTENZA UE - Con la legge finanziaria del 2004 - si ricorda nel dispositivo - l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro ad ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri. Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro. Il consumatore che avesse però scelto un apparecchio che consentisse esclusivamente la ricezione di segnali satellitari non poteva ottenere il contributo: contro i contributi le emittenti televisive Centro Europa 7 e Sky Italia hanno inoltrato esposti alla Commissione. Con la decisione del 2007, Bruxelles osservava, in effetti, che detti contributi costituivano aiuti di Stato a favore delle emittenti digitali terrestri che offrivano servizi televisivi a pagamento nonché degli operatori via cavo fornitori di servizi televisivi digitali a pagamento, ordinando il recupero degli aiuti. Mediaset ha allora presentato un ricorso ma, nel giugno del 2010, il Tribunale lo ha respinto, confermando che il contributo costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri. Giovedì anche la successiva impugnazione di Mediaset è stata respinta. Ora "spetterà al giudice nazionale fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla Commissione".

Redazione online

28 luglio 2011 15:57

 

 

la replica all'editoriale di sergio romano domani sul corriere della sera

Tremonti e le richieste di dimissioni

"Mi sono già dimesso da inquilino"

Una battuta del ministro sulla casa romana e sulle dichiarazioni del suo ex consigliere, Marco Milanese

MILANO - "Dimissioni? Mi sono già dimesso da inquilino". Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, replica con una battuta a chi ipotizza le sue dimissioni per le vicende legate all'inchiesta sul suo ex consigliere Marco Milanese che ha dichiarato di aver ricevuto mille euro alla settimana in contanti dal ministro per l'uso della sua casa nel centro di Roma. Alla conferenza stampa alla Cassa Depositi e Prestiti, il ministro ha aggiunto che risponderà "domani sul Corriere della Sera all'ambasciatore Sergio Romano" che nell'editoriale pubblicato oggi sul Corriere gli ha chiesto di spiegare la sua posizione.

Redazione online

28 luglio 2011 17:31

 

 

UN CHIARIMENTO NECESSARIO

Quel che Tremonti non ha detto

I pagamenti in nero sono il male oscuro dell'economia nazionale. Quanti italiani possono affermare di non avere mai ceduto alla tentazione, magari per spese modeste e cose di poco conto? Quanti possono lanciare la prima pietra senza peccare d'ipocrisia? Ma la colpa è molto più grave se attribuita a persone che hanno l'obbligo istituzionale di esigere correttezza fiscale, di fissare le regole e di punire coloro che non le osservano.

Temo che il caso del ministro dell'Economia, se i sospetti delle scorse ore sui pagamenti effettuati per l'affitto del suo appartamento romano avessero qualche fondamento, apparterrebbe a questa categoria. Giulio Tremonti è stato in questi anni il custode dei conti pubblici, il cane mastino della finanza nazionale. Ha esercitato le sue funzioni con un rigore e una tenacia che hanno suscitato l'approvazione di Bruxelles e contribuito alla credibilità dell'Italia nelle maggiori istituzioni internazionali. Alcuni colleghi di governo lo accusano di averlo fatto con criteri automatici (i "tagli lineari") che non tengono alcun conto delle differenze che certamente esistono fra i diversi contribuenti e i diversi organi pubblici colpiti dalla stretta fiscale. Ma chiunque abbia la benché minima familiarità con le abitudini politiche nazionali sa che cosa accade quando un progetto di legge finanziaria diventa materia di negoziati estenuanti e di ritocchi progressivi. Può darsi che Tremonti abbia messo nell'operazione alcuni tratti del suo "cattivo carattere" e una certa dose di narcisismo intellettuale. Ma nessun osservatore in buona fede può dimenticare quali sarebbero in questo momento le condizioni della finanza italiana sui mercati internazionali se la sua volontà non avesse prevalso.

Il suo stile, tuttavia, gli ha creato nemici a cui non spiacerà sostenere, nei prossimi giorni, che anche il cerbero dei conti pubblici ha il suo tallone d'Achille. Il caso del ministro che paga in nero per un appartamento forse addirittura al centro di un'imbrogliata vicenda di favori e appalti rischia di diventare l'arma preferita dei suoi avversari. Qualcuno potrebbe persino sostenere che Tremonti è il nostro Murdoch. Se il magnate della stampa anglo-americana pretende di censurare i governi dall'alto della sua cattedra, ma compra le notizie corrompendo la polizia e intercettando le telefonate della gente, che cosa dire di un ministro dell'Economia e delle Finanze che pretende di tassare i suoi connazionali, ma accorda a se stesso un trattamento di favore?

Tremonti dovrebbe rompere la spirale dei sospetti e parlare con franchezza ai suoi connazionali. Non deve permettere che questa infelice vicenda diventi l'ennesimo scandalo della vita pubblica nazionale e contribuisca ad accrescere la sfiducia del Paese per la sua classe politica. Ci dica che cosa è realmente accaduto e, se ha commesso un errore di giudizio o un peccato di distrazione, non tema di scusarsi pubblicamente. Lo faccia per se stesso e nell'interesse di un Paese che, soprattutto in questo momento, ha bisogno di un ministro dell'Economia serio e credibile.

Sergio Romano

28 luglio 2011 10:40

 

 

 

un favore dopo l'ottenimento degli appalti Sogei. E un occhio di riguardo dalle Entrate

L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti

Le rivelazioni di Di Lernia: "La casa abitata dal ministro in via Campo Marzio era pagata dal costruttore Proietti"

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Il ministro Giulio Tremonti e il deputato Pdl Marco Milanese (Ansa)

Il ministro Giulio Tremonti e il deputato Pdl Marco Milanese (Ansa)

ROMA - L'affitto dell'appartamento di via di Campo Marzio, occupato fino a qualche settimana fa dal ministro Giulio Tremonti, sarebbe sempre stato pagato da Angelo Proietti, il titolare della società Edil Ars che lo aveva ristrutturato gratuitamente e aveva ottenuto appalti dalla Sogei. I soldi sarebbero stati consegnati a Marco Milanese, il parlamentare pdl ex consigliere politico dello stesso ministro, accusato di associazione a delinquere, corruzione e violazione di segreto. A raccontarlo ai magistrati di Roma è Tommaso Di Lernia, l'imprenditore arrestato con l'accusa di aver pagato il leasing della barca di Milanese con un sovrapprezzo di oltre 200 mila euro in cambio di "commesse" dell'Enav. E poi dichiara che Tremonti - che al momento non risulta indagato - avrebbe ceduto al "ricatto" del consulente di Finmeccanica Lorenzo Cola, che chiese e ottenne la conferma di Pierfrancesco Guarguaglini alla presidenza della holding. Rivelazioni clamorose che i magistrati stanno adesso verificando, tenendo conto che Di Lernia sostiene pure di aver evitato una verifica fiscale grazie "all'intervento di Milanese su Befera", il direttore dell'Agenzia delle Entrate.

Il canone della casa

È l'11 luglio scorso. Nel carcere di Regina Coeli, dove è detenuto proprio per l'inchiesta sulla barca pagata a Milanese, Di Lernia - dopo aver ricostruito i passaggi dei versamenti - afferma: "Parallelamente sentii parlare di questo Milanese da Guido Pugliesi (amministratore delegato di Enav, ndr ) che da una parte era stanco delle pressioni e dei richiami che Milanese gli aveva fatto per Fabrizio Testa da nominare a Tecno Sky, ma che mi chiedeva anche di far lavorare un certo Angelo Proietti ai subappalti di Palermo che Cola aveva già deciso fossero affidati a Electron di Finmeccanica e a me. Presi tempo con Pugliesi e ne parlai con Cola il quale mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come "il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti. Mi disse di dire a Pugliesi che lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e avrebbero instaurato un rapporto amicale e comunque a Proietti in un immediato futuro Selex gli avrebbe dato lavori a Milano".

Il 7 luglio scorso, dopo aver annunciato che avrebbe lasciato la casa "per ovvi motivi di opportunità", Tremonti ha spiegato di aver "accettato l'offerta fattami dall'onorevole Milanese per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità e utilizzo", lasciando intendere di essere stato ospite. Versione diversa da quella contenuta nel memoriale scritto con i suoi legali Franco Coppi e Bruno Larosa e consegnato a Montecitorio due giorni fa da Milanese che nel documento afferma: "Il ministro ha corrisposto, quale partecipazione all'affitto dell'immobile, a partire dalla seconda metà del 2008, la somma mensile di circa 4.000 euro. Settimanalmente e in contanti mi ha corrisposto circa 75.000 euro complessivi". Adesso sarà il pubblico ministero Paolo Ielo a dover effettuare ulteriori accertamenti per stabilire chi davvero abbia pagato quella casa, anche tenendo conto che Proietti è stato iscritto nel registro degli indagati per corruzione insieme a Milanese e all'ex presidente di Sogei Sandro Trevisanato, proprio perché avrebbe ottenuto l'assegnazione degli appalti a trattativa privata in cambio di soldi e favori.

Il blitz dal ministro

Il secondo capitolo affrontato da Di Lernia riguarda Finmeccanica. Dichiara nel verbale: "Nel giugno 2010 Cola mi chiamò e mi disse "sono dispiaciuto per aver fatto fare l'acquisto della barca a quel verme" alludendo a Milanese perché disse che il tizio (Milanese, ndr ) stava sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica invece di Guarguaglini, in più aveva saputo che aveva fatto estorsioni a persone di Napoli facendo l'inverso di quanto promesso e che Tremonti non rispondeva alle chiamate telefoniche di Guarguaglini. Lo stesso Cola mi diceva che questa storia non la mandava proprio giù e avrebbe da lì a poco organizzato un blitz dal ministro mostrandogli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri e che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Dopo poco tempo Massimo De Cesare (il socio anche lui arrestato per la vicenda della barca, ndr ) mi riferisce che Milanese, per tramite di Fabrizio Testa, volle dirmi che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato e da lì a qualche giorno Tremonti gli avrebbe telefonato. Infatti Cola mi disse che il blitz era andato a buon segno".

Anche su questo i magistrati stanno effettuando verifiche soprattutto tenendo conto che Cola, indicato come il vero "braccio destro" di Guarguaglini, collabora da tempo con il pubblico ministero Ielo e ha già svelato il "sistema" che avrebbe consentito di emettere fatture false in favore delle aziende del Gruppo Finmeccanica ed Enav per creare "fondi neri" e così pagare tangenti a politici e manager.

La "verifica" annullata

Di Lernia sostiene di aver incontrato successivamente Proietti nell'ufficio di Pugliesi che lo invitava a chiudere la storia della barca. E spiega: "Dissi a Proietti che avevo bisogno di un favore da Milanese e lui mi diede appuntamento nel suo ufficio il giorno dopo. Lo vidi due giorni dopo portando con me tutto un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate sulla mia società "Print Sistem" riferito al 2005. Gli dissi che non volevo favoritismi ma solo una buona parola ai fini di una verifica fiscale "serena" poiché avevo denunciato la stessa Agenzia per altre vicende e avevo paura di un accanimento nei confronti della società che amministro. Tre giorni dopo Proietti mi diede appuntamento a piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva parlato con Befera e mi assicurava nessun accanimento".

È possibile che si decida di acquisire gli atti presso l'Agenzia delle Entrate proprio per stabilire quale fosse la reale portata della verifica e se Milanese abbia effettuato un intervento sul direttore che, a questo punto, potrebbe anche essere ascoltato come testimone.

Il pranzo e le nomine

Del resto l'influenza del consigliere politico del ministro sui dirigenti degli Enti che fanno capo al Tesoro è già emersa negli accertamenti su Sogei. Durante i controlli, i magistrati hanno scoperto che l'avvocato Luigi Fischetti - il legale che a metà di dicembre scorso ospitò l'ormai famoso pranzo con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - è stato nominato componente dell'Organismo di Vigilanza di Sogei, nonostante fosse il difensore del costruttore Proietti assegnatario di numerosi appalti. Un'incompatibilità che lui dice di aver "superato lasciando le riunioni quando si parlava del mio cliente, come dimostrano i verbali", ma su questa circostanza sono tuttora in corso riscontri.

Ieri il capo della Procura di Roma ha chiesto ai colleghi napoletani la trasmissione degli atti che riguardano il pranzo a quattro: oltre a Capaldo e Fischetti, Milanese e Tremonti. Un "incontro conviviale" l'ha definito il deputato del Pdl, ma la procura generale presso la Corte d'appello della Capitale ha avviato un'istruttoria per verificare eventuali profili disciplinari: all'epoca Capaldo era infatti l'aggiunto titolare dell'inchiesta su Finmeccanica e alcuni indagati avevano già verbalizzato accuse contro Milanese. "Non sapevo che Milanese era invitato", ha sostenuto lo stesso Capaldo ma questo potrebbe non essere sufficiente ad evitargli il procedimento e le ulteriori verifiche avviate anche dalla procura di Perugia. La scorsa settimana il capo dell'ufficio umbro ha incontrato i colleghi di Napoli, che però negano di aver già affrontato con lui questa vicenda.

Fiorenza Sarzanini

28 luglio 2011 11:52

 

 

 

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Il deputato Pdl, Marco Milanese (Ansa)

Il deputato Pdl, Marco Milanese (Ansa)

ROMA - La Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio ha dato all'unanimità il proprio benestare alla richiesta dei pm di Napoli di aprire le cassette di sicurezza sequestrate al deputato del Pdl Marco Milanese e all'utilizzo dei tabulati telefonici per ricostruire i suoi rapporti con la Guardia di finanza. Ma a maggioranza - con i voti di Pdl, Lega e Udc - ha deciso di acquisire nuovi documenti relativi alla richiesta di arresto del parlamentare azzurro, già stretto collaboratore del ministro dell'Economia giulio Tremonti, rinviando la decisione finale a dopo la pausa estiva. La giunta infatti ha anche deciso una proroga che dovrà essere "sciolta" entro il 16 settembre. Entro quella data la giunta dovrà indicare per l'Aula la sua scelta a favore o contro l'arresto del deputato. Sulla questione delle cassette di sicurezza e sui tabulati l'Aula della Camera potrebbe invece votare già martedì prossimo. La decisione spetta ora alla conferenza dei capigruppo della Camera. La decisione di rinviare a dopo l'estate il pronunciamento sull'arresto è stata contestata dal Pd, secondo cui ci sarebbero stati i necessari tempi di discussione e votazione per liquidare la questione prima della pausa estiva.

"TREMONTI? NON DEVE LASCIARE" - Intanto, mentre da più parti di ipotizza un possibile passo indietro esattamente come fece Claudio Scajola, a difendere Giulio Tremonti è sceso in campo il leader della Lega, Umberto Bossi. Il Senatùr ha detto di non volere entrare nel merito della vicenda, ma ha sottolineato che "Tremonti è uno che sicuramente controlla sempre che non gli crolli il soffitto sulla testa e non si è accorto di una buccia di banana". E visto che si tratta di "una stupidaggine" e di "una superficialità" e "non di un fatto grave", per il capo leghista l'idea di dimissioni del ministro, da sempre anello di congiunzione tra il Carroccio e il resto del centrodestra, non deve neppure essere presa in considerazione. Alla domanda dei cronisti su come si comporterà la Lega in merito alla autorizzazione all'arresto di Marco Milanese, Bossi ha glissato: "Ci penseremo il 15 settembre".

IL NO PER VERDINI - La Giunta per le autorizzazioni, nella stessa seduta, ha poi detto no, a maggioranza, all'acquisizione delle intercettazioni di Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta del G8. Verdini, anche ieri in giunta, si era espresso a favore dell'acquisizione della documentazione telefonica che lo riguarda.

MILANESE AL CONTRATTACCO - Milanese, dal canto suo, ha annunciato che denuncerà per calunnia l'imprenditore Tommaso di Lernia, per alcune dichiarazioni rese ai magistrati romani e pubblicate oggi da alcuni quotidiani, tra cui il Corriere della Sera. Una nota dei legali Franco Coppi e Bruno Larosa spiega che Milanese, "a seguito delle odierne notizie giornalistiche relative alle dichiarazione del Di Lernia, smentisce categoricamente ogni sua affermazione e informa di aver dato mandato di presentare una denuncia per calunnia affinché l'autorità giudiziaria finalmente smascheri la macchinazione messa in atto nei suoi confronti da gente senza scrupoli e non si limiti a raccogliere dichiarazioni calunniose spesso tra loro contrastanti ed inconciliabili". Di Lernia - in carcere con l'accusa di corruzione nell'ambito di un'inchiesta su alcuni appalti Enav - ha detto ai magistrati romani che l'affitto della casa in cui abitava Tremonti quando si trovava a Roma, e nella disponibilità di Milanese, sarebbe stato pagato dall'imprenditore Angelo Proietti che in cambio avrebbe ricevuto subappalti.

Redazione Online

28 luglio 2011 16:36

 

 

"L'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni"

Papa resta in carcere: "Non convince la tesi del complotto di Bisignani"

Le motivazioni del gip nel respingere la domanda di scarcerazione/arresti domiciliari del deputato Pdl

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MILANO - Non convince la tesi sostenuta da Alfonso Papa di un complotto ordito da Luigi Bisignani ai suoi danni. È la convinzione del giudice per le indagini preliminari, Luigi Giordano, nel provvedimento con cui respinge l'istanza di scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari nei confronti di Papa. Iil gip scrive che "l'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni raccolte dai pm senza indicarne convincenti ragioni o significativi motivi di astio e di rancore che possono averle determinate, se non alludere a un intervento di Bisignani. Non si è compreso in altri termini", scrive Giordano, "per quale motivo Bisignani" e altre quattordici persone "avrebbero reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di Papa. Né è stata indicata quale fosse la causa di una tale azione da parte di Bisignani o quale credibile vantaggio costui intendesse conseguire riferendo spontaneamente ai pm le condotte di Papa". Il gip, inoltre, ha negato la revoca della misura cautelare per Papa sostenendo che non vi sono elementi per "ritenere diminuito il pericolo di inquinamento probatorio" e che non si può ritenere "che sia attenuato o scemato il pericolo di reiterazione dei reati".

"DICHIRAZIONI INVEROSIMILI" - Il gip si sofferma sull'uso da parte di Papa di un telefono intestato a una donna del tutto estranea. "Il parlamentare ha reso dichiarazioni inverosimili. Si è limitato a dire di non sapere che una scheda mobile deve essere intestata a una persona, salvo poi lamentarsi che sarebbe stato intercettato sull'utenza registrata alla propria persona: dunque è ben conscio della differenza tra l'utilizzo del telefono intestato alla sua persona e quello di utenze intestate a terzi". Secondo il gip, Papa "non ha spiegato perché un parlamentare, che gode delle prerogative assicurate dall'art. 68 della Costituzione, abbia bisogno di telefoni intestati a persone ignare correndo in tal modo il rischio di essere intercettato".

Redazione online

28 luglio 2011 16:31

 

 

 

di pietro: "serve una mobilitazione, vogliono allungare decine di migliaia di processi"

Governo, fiducia sull'allunga-processi

Napolitano: "Politica troppo divisa"

L'esecutivo si blinda sul ddl, l'opposizione: "Inaccettabile, il governo si assume una responsabilità grave"

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MILANO - Mentre il Colle invita all'unità, in un'Italia sotto attacco speculativo dei mercati (giovedì mattina ha avuto buon esito l'asta per i btp decennali, ma cresce a dismisura il differenziale di rendimento tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi) il governo ha posto la fiducia sul disegno di legge del processo lungo che è stato fissato per venerdì alle ore 10. Lo ha annunciato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito al Senato al termine della discussione generale sul provvedimento. La seduta è stata immediatamente sospesa per consentire la riunione della Conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Il voto blindato da fiducia non consente all'opposizione la presentazione di emendamenti, limitando al minimo la corrente dialettica parlamentare.

L'OPPOSIZIONE - Immediata la levata di scudi del Pd. "Se il governo si assume la grave responsabilità di mettere la fiducia su un provvedimento di natura parlamentare come quello sul processo lungo, è necessario che il neoministro della Giustizia Nitto Palma venga subito in Senato a spiegare il motivo. Una decisione del genere, assolutamente ingiustificata non si spiega se non con la necessità di salvare il presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del premier", dice la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro. E continua: "In una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo, ci troviamo invece di fronte a un governo e una maggioranza di irresponsabili che, per gli interessi di un premier disperato, ancora una volta umiliano il Parlamento, la giustizia, il nostro Paese". Il leader di Italia dei valori, Antonio Di Pietro, chiama "subito alla mobilitazione di massa contro il governo". "Se il buongiorno si vede dal mattino - ha affermato Di Pietro - siamo proprio messi male, visto che nel suo primo giorno da ministro Nitto Palma si è reso complice di azioni a tutela della criminalità e non della giustizia. Infatti, oggi, con la fiducia posta al ddl sul processo lungo, peraltro d'iniziativa parlamentare e su cui il governo avrebbe fatto meglio a non metterci becco, l`esecutivo e la maggioranza dimostrano che per risolvere i problemi del ben noto imputato sono disposti ad allungare, fino all`inverosimile, decine di migliaia di procedimenti per non farli arrivare a sentenza".

IL MONITO DEL QUIRINALE - "La politica oggi appare debole, irrimediabilmente divisa e incapace di scelte coraggiose, coerenti e condivise". Lo ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al convegno sulla Giustizia a palazzo Giustiniani, sottolineando la necessità di "uno scatto e di una svolta non foss'altro per un istinto di sopravvivenza nazionale". E sulla giustizia Napolitano ha detto di voler "mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura".

LA LETTERA DEL COLLE - "Berlusconi ci ha parlato di questa lettera che gli ha inviato Giorgio Napolitano, che ci darà. L'ha posta alla nostra attenzione e ne discuteremo". Lo ha detto il ministro dell'Agricoltura Francesco Saverio Romano, dopo il Consiglio dei ministri. Secondo quanto riferiscono fonti di governo, però, sarebbe stato Gianni Letta a informare i ministri del'intenzione di distribuire la lettera per riflettere sulle parole del capo dello Stato. Di certo c'è che la riflessione in consiglio dei ministri promessa ieri dal premier a Giorgio Napolitano non c'è stata, essendo solo stata annunciata l'intenzione di distribuire la missiva per avviare poi una riflessione. Il 'quandò è ancora da stabilire.

Redazione online

28 luglio 2011 16:30

 

 

 

Alfano in giornata aveva rassegnato le dimissioni: "Mi occuperò solo del partito"

E' Nitto Palma il nuovo Guardasigilli

Pd: "Auguri, ma fermi il processo lungo"

Napolitano ha firmato per l'avvicendamento al ministero della Giustizia. La Bernini alle Politiche comunitarie

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Nitto Palma, Pdl, è il nuovo ministro della giustizia in sostituzione di Angelino Alfano (Imagoeconomica)

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MILANO - E' Francesco Nitto Palma il nuovo ministro della Giustizia. Il presidente Giorgio Napolitano, dopo una mezz'ora di colloquio con il premier Berlusconi al Quirinale, ha firmato il decreto per l'avvicendamento alla guida del ministero di via Arenula, dopo che in giornata c'era stata la formalizzazione delle proprie dimissioni dall'incarico di governo da parte di Angelino Alfano, neo segretario politico del Pdl. La nomina a ministro fa decadere quella a sottosegretario all'Interno, sino ad oggi ricoperta. Nella stessa occasione Anna Maria Bernini è stata nominata nuovo ministro delle Politiche comunitarie. I due neoministri giureranno giovedì pomeriggio al Quirinale.

"FERMI IL PROCESSO LUNGO" - Al neo ministro ha inviato le proprie congratulazioni anche quello che una volta si sarebbe definito il suo "ministro ombra", ovvero il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando. Che nel passaggio di testimone spera di vedere anche un cambiamento di linea, in particolare sulla legge del cosiddetto "processo lungo" in discussione al Senato. "Mi auguro che il primo atto del ministro sia quello di fermare questa legge obbrobriosa - ha sottolineato Orlando -. Si tratta dell'ennesima legge ad personam a favore di Silvio Berlusconi. La giustizia italiana ha invece bisogno di interventi urgenti e strutturali nella sua organizzazione. Spero per questo che il cambio alla guida del dicastero implichi un radicale cambio di agenda che accantonasse fantasmagoriche riforme epocali e affronti le vere emergenze del sistema giudiziario italiano: le condizioni del sistema carcerario, il funzionamento della giustizia civile, l'organizzazione e le risorse per uffici giudiziari sul territorio". Non nutre però molte speranze, da questo punto di vista, Massimo Donadi dell'Idv: "Con la nomina a ministro della Giustizia di Nitto Palma, che negli anni passati lasciò traccia di sè in Parlamento solo per essersi reso promotore di alcune norme ad personam a tutela di Cesare Previti, possiamo dire che, per quanto riguarda la giustizia, il centrodestra continua a percorrere la solita strada. Con lui o con Alfano non cambia nulla a Via Arenula. Una nomina in assoluta coerenza con chi lo ha preceduto".

"BASTA SCONTRI POLITICA-MAGISTRATURA" - Dal canto suo, Nitto Palma, nelle prime dichiarazioni alle agenzie di stampa ha detto che "il tempo dello scontro tra politica e magistratura deve cessare" e che "nell'ambito delle proprie responsabilità ognuno di noi deve farsi carico dell'enorme problema della giustizia e quindi deve affrontare le necessarie riforme". Alla domanda se aderirà alla richiesta dell'opposizione di cambiare la linea portata avanti fino ad oggi dal suo predecessore Angelino Alfano, il neo ministro ha risposto: "Ho troppi anni e troppa esperienza, sia da magistrato che da politico, per cadere nel gioco propagandistico dell'opposizione. Considero l'operato di Angelino Alfano di indiscusso livello e sono onorato nel succedergli come Guardasigilli. Nessuno pensi di essere più bravo, più etico e più onesto di altri. La propaganda politica è cosa diversa dal corretto confronto sulle norme e sulla loro sintonia costituzionale, ovvero sulla loro finalizzazione ad attuare i principi sul giusto processo".

LA LETTERA - Il Pdl nel frattempo ha reso nota la lettera con cui Alfano ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico nel governo, ritenuto non sovrapponibile a quello di guida del partito. "Carissimo Presidente - si legge nella lettera -, a ragione dell'incarico di Segretario politico del Pdl, di recente conferitomi, rassegno le mie dimissioni dalla carica di Ministro della Giustizia, in considerazione della specificità e dei compiti che allo stesso sono riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale e che mi fanno ritenere tale funzione di Governo incompatibile con un così rilevante incarico politico".

Redazione online

27 luglio 2011(ultima modifica: 28 luglio 2011 08:44)

 

 

L'INCHIESTA

Lele Mora, Fede indagato

per concorso in bancarotta

Il direttore avrebbe trattenuto la metà del prestito di Berlusconi per evitare il fallimento della società di Mora

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Emilio Fede (Emblema)

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MILANO - Emilio Fede è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di concorso in bancarotta di Lele Mora. I due, insieme a Nicole Minetti, sono accusati anche di induzione e favoreggiamento alla prostituzione nel caso di Karima "Ruby" El Mahroug. Il direttore del Tg4 nei giorni scorsi ha ricevuto un invito a comparire ed è stato sentito dai pubblici ministeri, Massimiliano Carducci ed Eugenio Fusco.

LA VICENDA - Emilio Fede è stato coinvolto nell’inchiesta perché avrebbe trattenuto parte dei 2.950.000 euro che Silvio Berlusconi aveva prestato a Mora nel 2010 per ripianare i suoi debiti ed evitare il crack. Le versioni di Fede e Mora non solo divergono, ma sono state ritenute dagli investigatori del tutto contrastanti. Secondo quanto trapela, Fede avrebbe dichiarato di aver preso 400 mila euro in restituzione di un precedente prestito. Mora invece nel corso di due diversi interrogatori, l’ultimo dei quali si è tenuto oggi, avrebbe sostenuto che il direttore ha trattenuto per sé poco meno della metà del totale del prestito, erogato in tre diverse tranche. In ogni caso, i pm contestano a Fede di aver sottratto parte dei soldi proprio nel gennaio 2010, durante i 30 giorni concessi dal giudice fallimentare a Mora per trovare una soluzione utile a evitare il crack, dopo che il fascicolo sulla LM Management era stato trasmesso da Bergamo a Milano. Lo proverebbe una scrittura privata agli atti dell’inchiesta. Proprio il 19 gennaio, infatti, Mora aveva ricevuto assegni per 950 mila euro, viene ricostruito nell’ordinanza di arresto a suo carico. Avrebbe poi ricevuto due assegni per un totale di 1 milione il 18 marzo e ancora 1 milione il 19 ottobre. Le versioni di Fede e Mora divergono inoltre sul fatto che Berlusconi avrebbe promesso a Mora un ulteriore prestito, perché l’agente temeva di finire in carcere come poi è accaduto. Fede avrebbe negato che questo sia accaduto. Per accertare dove stia la verità, la procura ha disposto ulteriori accertamenti che si aggiungono alla documentazione acquisita tramite rogatoria a Lugano.

Redazione online

28 luglio 2011 16:00

 

 

I verbali deLl'inchiesta di Monza

"Penati mi disse di versare al partito"

Il costruttore Pasini: Di Caterina suo amico,

raccoglieva tangenti per lui

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MILANO - "Quello di cui sono assolutamente certo - scandisce ai pm il costruttore Giuseppe Pasini - è che ho pagato 4 miliardi di lire in due tranche a Di Caterina all'estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all'approvazione del piano regolatore dell'area Falck di Sesto". Pur coperti da una pioggia di omissis, ecco gli interrogatori di Pasini e dell'imprenditore del trasporto urbano Piero Di Caterina, dai quali è nata tutta l'inchiesta sull'ex sindaco ds di Sesto San Giovanni e dimessosi vicepresidente pd del consiglio regionale lombardo Filippo Penati.

Filippo Penati (Fotogramma/Grosso)

Filippo Penati (Fotogramma/Grosso)

Pasini, nel 2007 candidato del centrodestra a Sesto, nel 2000 era il costruttore che stava per acquistare dai Falck l'area delle ex acciaierie. "Io - ricorda ai pm - sono andato a chiedere a Penati se, nel caso avessi comprato l'area Falck, era possibile arrivare a una licenza. Penati mi disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito ovvero a qualcuno. A tal fine ho incontrato Penati in Comune nel 2000", il quale "mi disse che l'operazione mi sarebbe costata 20 miliardi di lire in tranche di 4 miliardi l'una. Mi disse anche che a prendere accordi con me sarebbe venuto Di Caterina" che, "all'epoca molto amico dell'amministrazione e in particolare di Penati, aveva il compito di portare a casa dei quattrini". Per chi? "Penati non mi disse che i soldi servivano per qualche personaggio politico più in alto, ma ho immaginato che questo potesse essere perché tutti erano interessati all'operazione".

Sul pagamento dei 4 miliardi, Pasini spiega di aver fatto a se stesso (conto "Pinocchio") un bonifico in Lussemburgo su Banca Intesa: "Ho ritirato in contanti 2 miliardi che la banca mi aveva già preparato in una valigetta". Soldi dati a Di Caterina, "non ricordo se venne e ritirò personalmente o se su indicazione versai su un conto a lui riconducibile". Sei mesi dopo Pasini dice di aver pagato gli altri 2 miliardi, "veicolati sulla Svizzera perché ho un ricordo di un viaggio fatto in macchina con mio figlio Luca per andare a Chiasso o a Lugano". Poi "ci sono state altre occasioni in cui, su richiesta di Penati, ho consegnato somme in contanti in Italia a Giordano Vimercati (in seguito capo di gabinetto di Penati presidente della Provincia di Milano), approssimativamente equivalenti a 500.000 euro tra fine anni 90 e inizi del 2000, dazione che potrebbe riferirsi all'area Marelli". Per la quale, a suo dire, c'era già stata una tangente: "Penati mi disse che era "indispensabile" fare una uscita verso via Adriano, la qual cosa avrebbe necessariamente comportato l'acquisto da parte mia del terreno di proprietà di Di Caterina", che "in cambio volle la cessione di un mio terreno più una somma": con il risultato che "all'esito di questa trattativa ho pagato a Di Caterina circa 1 miliardo e 250 milioni di lire. Capii chiaramente che il prezzo non era trattabile. All'epoca capii che Di Caterina avrebbe dato una parte della somma a Penati e tale circostanza mi è stata confermata da Di Caterina in successivi incontri nei quali mi ha riferito di avere consegnato importi di denaro a Penati. Sostanzialmente Di Caterina in quegli anni faceva da "collettore" soprattutto per Penati con il quale aveva un rapporto molto stretto. Quando indico Di Caterina come collettore di tangenti, mi riferisco al fatto che era la persona più vicina ai componenti il consiglio comunale", e "quindi chi voleva avvicinare questi politici contattava Di Caterina".

Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale

Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale Minetti, Penati, Rizzi: indagati in consiglio regionale

E Di Caterina che dice? "Tra me e Penati c'era un rapporto confidenziale per cui era più naturale chiedere il denaro a me. Ho portato - dice ai pm - copie di buste nelle quali avevo riposto contanti provenienti dalla mia attività di trasporto estero su estero, sulle quali sono annotati i pagamenti per contanti fatti a Penati e Vimercati", oltre "ad altri soggetti ma sempre su loro richiesta". La somma, "da fine 1997 al 2002 e qualcosa nel 2003", è "pari a lire 2 milioni 235.000 euro". La particolarità è però che Di Caterina spiega di aver avuto in parte, e di attendere in altra parte, alcune restituzioni di quei versamenti secondo compensazioni su più tavoli d'affari: "Quando ho prestato i soldi a Penati eravamo già in trattative per il piano Marelli e io ero sicuro che le somme che gli anticipavo mi sarebbero state restituite dalle tangenti che Pasini doveva pagare a Penati e che erano di importi rilevanti. Ero sicuro in quanto era scontato che Pasini avrebbe pagato una tangente a Penati per l'operazione, e del resto la cosa mi fu anche detta più volte dallo stesso Penati e da Vimercati, e cioè che i soldi sarebbero rientrati". Complicato, ma redditizio per Di Caterina: "Io avevo notevoli vantaggi da questa operazione in quanto Penati e Vimercati mi proteggevano da Atm, mi hanno fatto entrare nel consorzio Trasporti, e mi hanno consentito di partecipare a operazioni per me lucrose".

Su un conto che apre il 29 febbraio 2001 in Lussemburgo, Di Caterina conferma che "da Pasini ho ricevuto due versamenti il 22 marzo 2001 per un totale attualizzato di 1 milione e 104mila euro che ho scudato nel 2003: tale importo corrisponde alla somma che Penati doveva restituirmi per dazioni di denaro fatte a lui fino al 1997". I pm cercano di capire: "Ma quando lei ha versato il denaro a Penati, l'ha fatto nella convinzione che si trattava di prestiti, o di pagamenti in cambio di favori che comunque le sarebbero ritornati in affari, e di cui adesso chiede la restituzione non essendo andate nei termini sperati alcune operazioni?" Di Caterina risponde: "Si è trattato di pagamenti in cambio di favori nel modo in cui lei li ha descritti nella domanda, e quindi ora io attendo la restituzione".

Luigi Ferrarella (lferrarella@corriere.it)

Giuseppe Guastella (gguastella@corriere.it)

28 luglio 2011 12:35

 

 

i casi penati, pronzato, tedesco

Il Pd e le inchieste, l'ira di Bersani

"La macchina del fango non ci fa paura"

Il segretario dei democratici: "Partono le querele.

Allo studio una class action di tutti gli iscritti"

MILANO - Pier Luigi Bersani non ci sta. Le critiche che i giornali muovono al Pd, travolto e "turbato" dalle vicende di Tedesco, Penati e Pronzato, fanno andare su tutte le furie il segretario dei democratici. Che promette battaglia.

Se la prende con le "macchine del fango che iniziano a girare" il numero uno del Partito democratico. E avverte: "Se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso. Le critiche le accettiamo - sottolinea Bersani - le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele e le richieste di danni. Sto facendo studiare la possibilità di fare una class action" da parte di tutti gli iscritti al Pd. Il leader difende il suo partito, dice che il Pd "è totalmente estraneo a tutte le vicende di cronaca di cui si parla" e assicura: "Il turbamento non ci farà chiudere la bocca". I democratici, osserva Bersani, "si stanno muovendo su quattro principi: il rispetto assoluto della magistratura, il principio per cui, onorevoli o meno, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, quello per cui chi è investito di una funzione pubblica, quando è indagato, fa un passo indietro per non imbarazzare il partito, al netto della presunzione di innocenza. E infine chiediamo che si faccia una legge sulla trasparenza dei partiti".

PDL - Le repliche della maggioranza alle parole del segretario Pd non si fanno attendere. "Bersani invoca come molti la macchina del fango che colpirebbe il Pd. Ma ci dovrebbe parlare della macchina dei soldi che invece sembra avere alimentato uomini e ambienti della sinistra" attacca il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. Per il portavoce del Pdl Daniele Capezzone se Bersani vuole essere intellettualmente onesto e non ipocrita, "deve ripudiare anni e anni di giustizialismo selvaggio, nel quale il suo partito si è letteralmente crogiolato".

"ERRORI" - In una conferenza stampa alla Camera, il numero uno dei democratici ha ammesso che nella gestione della vicenda dell'arrivo del senatore Tedesco a Palazzo Madama ci sono stati errori da parte del Pd. All'epoca, l'attuale segretario non aveva nessuna responsabilità, "anche se questa cosa viene attribuita a me", ha voluto puntualizzare l'interessato. Ai democratici però, secondo Bersani, va comunque riconosciuta una cosa: quella cioè di aver chiesto alla Camera e al Senato l'arresto di Papa e Tedesco. "Questa cosa non può passare in cavalleria. Siamo stati coerenti. Lo si riconosca".

INVITO ALLA LEGA - Da Bersani è arrivato anche un invito alla Lega. "Non è più tempo di guerre guerreggiate tra maggioranza e opposizione - ha detto -, è tempo di prendere decisioni di fondo. Chi nella destra comincia a percepire l'insostenibilità della cosa, la Lega o altri, crei le condizioni per andare al Quirinale".

LETTERA AL FATTO - In una lettera al Fatto Quotidiano il numero uno del Pd ha affrontato il caso Penati, suo ex braccio destro coinvolto nell'inchiesta sulle presunte tangenti a Sesto San Giovanni e sui rapporti con l'imprenditore Marcellino Gavio. "Non dovrebbe essere troppo disagevole considerare quali siano le persone che davvero ho motivato e promosso in lunghi anni di vita amministrativa. Ho la presunzione di credere che verrebbe riconosciuto che si tratta di gente in gamba e di gente sicuramente perbene", ha scritto Bersani. E ha spiegato: "Il ministro delle Attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie. Gavio, segnalandomi la preoccupazione per un contenzioso aperto con la Provincia di Milano, mi disse di non conoscere il presidente appena insediato e mi chiese di favorire un incontro con Penati. Così feci, via telefono". Il leader democratico ha chiesto poi di mettere la vicenda Pronzato "nelle giuste dimensioni". "Ho saputo dai giornali che Pronzato era un mio uomo. Non è mai stato mio consigliere alle Attività produttive", ha scritto Bersani. "Lo trovai 11 anni fa al ministero dei Trasporti come consigliere ministeriale, lo confermai assieme agli altri consiglieri per il solo anno in cui fui ministro. Divenne consigliere Enac parecchi anni dopo". "Quella del doppio incarico è una cosa inopportuna", ha aggiunto. "Non nego dunque di aver ricavato insegnamenti dalla vicenda, ma vorrei che fosse messa nelle giuste dimensioni".

Redazione online

27 luglio 2011 16:24

 

 

 

 

 

 

2011-07-25

 

Il parlamentare per cui Palazzo Madama ha negato l'autorizzazione ai domiciliari

Tedesco: addio al Pd, non al Senato

"M'hanno trattato peggio di una colf"

"Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò scrivendo una lettera di dimissioni a Bersani"

Alberto Tedesco

Alberto Tedesco

MILANO - Alberto Tedesco non lascerà Palazzo Madama ma dirà addio al Pd. In una intervista a La Stampa, il parlamentare, per il quale la settimana scorsa il Senato ha negato l'autorizzazione agli arresti domiciliari, ha spiegato di volere abbandonare i democratici. "Dal Pd - accusa Tedesco - non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa", ma siccome "non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario".

CRITICHE A BINDI, VELTRONI E LETTA - Il senatore risponde poi a Rosy Bindi, spiegando che "polemizza" con lei perché è il presidente del partito: "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perchè, aggiunge, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Tedesco, infine, se la prende anche con chi, come Veltroni ed Enrico Letta, hanno chiesto un suo passo indietro: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni". E su Letta: "Non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo comune...".

Redazione online

25 luglio 2011 13:20

 

 

 

 

 

 

per il caso FIN.MA.VI

Cecchi Gori arrestato per bancarotta

torna in manette il produttore fallito

Il noto imprenditore aveva già subito 4 mesi di detenzione, tra carcere e domiciliari, nel 2008

Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa)

Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa)

ROMA - Arrestato per bancarotta Vittorio Cecchi Gori. Il produttore è finito in manette lunedì, nella Capitale, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Già nel 2008, Cecchi Gori - coinvolto in una lunga inchiesta sul fallimento di due delle sue società - era stato arrestato, quindi aveva trascorso 4 mesi tra carcere e arresti domiciliari. Con l' intermezzo di un ricovero per motivi di salute e del successivo intervento in una clinica.

CRAC E LIBERTA' - Nell'ottobre dello stesso anno aveva riottenuto la libertà. Il precedente ordine di custodia cautelare in carcere per Vittorio Cecchi Gori era scattato il 3 giugno 2008 per il fallimento della Safin Cinematografica: un crac da 24 milioni di euro che gli era costato una prima accusa di bancarotta. Poi, però, il gip Guicla Mulliri, su istanza degli avvocati Massimo Biffa e Antonio Fiorella, aveva deciso che non sussistevano più i presupposti della detenzione preventiva e aveva revocato i "domiciliari", l' ultima misura a cui era stato sottoposto l' imprenditore. Il processo per il fallimento della Safin, che gestiva le sale cinematografiche, tra cui il cinema Adriano a Roma, era poi iniziato il 5 dicembre 2008.

Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa)

Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa)

LA CASSAFORTE DEL GRUPPO - Parallelamente, un altro procedimento coinvolgeva il produttore: quello per il fallimento della Fin.Ma.Vi, considerata la "cassaforte" del gruppo Cecchi Gori. Ed è in questo ambito che è maturato il nuovo arresto: lo ha disposto il Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. L'imprenditore cinematografico è indagato per bancarotta nell'inchiesta riguardante il fallimento della Fin.Ma.Vi. e di altre società del gruppo Cecchi Gori.

PASSIVO DA 600 MILIONI - Nel corso delle investigazioni era emerso che Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa, causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro "attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi" (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa). Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari. Il giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi.

Redazione online

25 luglio 2011 13:53

 

 

 

Italia Nostra invoca la demolizione

Puglia, quando l'ecomostro

è di proprietà della Regione

Angolo suggestivo del Gargano con vincoli paesaggistici deturpato dal Centro direzionale per il turismo

Benvenuti nell’ex California d’Europa: terra di sprechi faraonici e scempi ambientali approvati dallo Stato e finanziati con denaro pubblico. Nelle carte istituzionali si scrive "sviluppo integrato del turismo". Invece nella realtà si legge e si traduce abusivismo edilizio a tutto spiano di aree "protette". Se chiedi a Nichi Vendola del centro pilota, la narrazione latita: infatti il governatore non risponde alle domande del cronista; eppure era stato informato già nel 2006.

L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano L'ecomostro del Gargano

ECOMOSTRI - La Puglia pullula di ecomostri privati, ma anche pubblici. Il caso dimenticato sonnecchia a Baia Campi, addirittura nel Parco nazionale del Gargano, a qualche chilometro da Vieste: 60 mila metri cubi di cemento abusivo di proprietà della Regione, in riva al mare Adriatico. Un bunker cementizio che ha fatto tabula rasa di pini d’Aleppo e ulivi, firmato dall’architetto Paolo Portoghesi. Il reato di alterazione di bellezze naturali era stato acclarato definitivamente dalla Cassazione nel 1996 respingendo il ricorso dell’ex assessore Alberto Tedesco (attuale senatore agli arresti domiciliari per gli scandali sanitari).

ICI NON VERSATA - Non si tratta della speculazione del solito palazzinaro, ma di un complesso immobiliare ideato e posseduto dalla Regione Puglia. Da anni il falansterio, arredato di tutto punto, è completamente abbandonato. Addirittura, il presidente Vendola non ha mai versato l’Ici. E così il Comune di Vieste ha cominciato a reclamare il dovuto: 528.969,75 euro. E la Commissione tributaria di Foggia, con sentenza numero 197 dell’8 ottobre 2007 e sentenza numero 22 del 25 gennaio 2010 ha sanzionato, tanto per iniziare, il pagamento degli arretrati.

MAI UTILIZZATO - Il mastodontico complesso non è mai stato utilizzato: tutto sommato è preda dei vandali. Entrare, trafugare o distruggere arredi e suppellettili - compresi, telefoni, computer e condizionatori d’aria - è scontato. L’opera era stata cofinanziata dal Fondo europeo sviluppo regionale. In soldoni: 50 miliardi di lire in appalto all’Italscavi spa con sede a Campobasso e in subappalto alle imprese Icamar e Trisciuglio di Foggia. Costo iniziale: 40 miliardi ottenuti con finanziamento statale e altri dieci dalla Cee. Altri 4 miliardi di lire sono stati erogati e spesi dalla Regione nel 1994 per arredare il faraonico complesso destinato ad accogliere un albergo di 370 posti letto dotato di varie attività connesse: bar, ristorante, sala congressi, vasca relax, campi da tennis, centro interaziendale per la produzione di 15 mila pasti precotti al giorno, lavanderia, sala giochi, discoteca, scuola di perfezionamento alberghiero, nonché gli uffici e tutti i servizi annessi alle tre attività. E perfino la piscina olimpionica - unica in tutta la Capitanata - arrugginisce.

LA VICENDA - La vicenda ebbe inizio nel 1983, quando la Regione Puglia decise di promuovere una richiesta di finanziamento Fio (Fondi investimento occupazione) per un "progetto di sviluppo integrato del turismo". L’affare consisteva nell’edificazione di due enormi agglomerati in calcestruzzo, denominati centri pilota. Il Cipe non ammise a finanziamento la prima richiesta, in quanto la localizzazione delle strutture risultava generica. La giunta regionale pugliese (Dc, Psi, Psdi) non si arrese, quindi con atto deliberativo 3876 del 30 aprile 1984 e 9537 del 5 novembre 1984 riformulò la richiesta, specificando il luogo d’intervento. La motivazione? Il solito miraggio: la creazione di "2.500 nuovi posti di lavoro". L’adunanza del consiglio regionale il 20 dicembre 1984 - relatore per la IV commissione, l’onorevole democristiano Cosimo Franco Di Giuseppe - deliberò "a maggioranza di voti, con l’astensione del gruppo Pci e del Msi, di approvare la localizzazione dei centri turistici direzionali (deliberazione di giunta regionale 10025 del 19 novembre 1984 )". Per la "montagna del sole" venne indicata Baia Campi, un tratto di costa incontaminato. La Snam, proprietaria del suolo, si impegnava a cedere il terreno alla Regione a titolo gratuito, a patto di gestire per un paio d’anni la struttura. In seguito la delibera regionale 11846 del 27 dicembre 1985 sancirà il pagamento all’Eni di 1,5 miliardi di lire.

VINCOLI - L’area era sottoposta a vincolo idrogeologico dal 1923, paesaggistico e forestale dal 1971 (decreto ministeriale del 16 novembre 1971, ai sensi della legge 1497 del 1939). Nel 1986 l’architetto Portoghesi elaborò il progetto. La giunta regionale, committente dell’opera, rilasciò a se stessa il 31 luglio 1986 (delibera 6817) il nulla osta paesaggistico. Il sovrintendente locale ai Beni culturali e ambientali, l’architetto Riccardo Mola, il 7 ottobre dello stesso anno, esprimeva "parere negativo". I lavori di sbancamento in variante al secondo Piano di fabbricazione, ebbero inizio a giugno del 1988 e terminarono otto anni dopo con due varianti in corso d’opera. L’11 gennaio 1990 scese in campo Italia Nostra con un esposto alla Procura della Repubblica di Foggia. In seguito, il 19 ottobre, il gip A. Paggetta, su richiesta del pm Roberto Gentile, disponeva il sequestro del cantiere, revocato il 14 novembre 1990 dal Tribunale della libertà. Il 20 luglio 1994 il pretore di Vieste, Silvana Clemente, riconosceva "il reato di alterazione di bellezze naturali di cui all’articolo 734". Infatti, si legge nel dispositivo della sentenza "la costruzione del Centro turistico direzionale, in zona Baia Campi di Vieste, è stata ritenuta la causa di notevole deturpamento delle caratteristiche dell’area e del suo equilibrio paesaggistico con la condanna penale dei componenti della giunta regionale della Regione Puglia e del rappresentante legale della società concessionaria dei lavori e con l’ulteriore condanna dei medesimi al risarcimento del danno ambientale a favore della provincia di Foggia e dell’Associazione Italia Nostra". In soldoni, appena 9 milioni di lire a testa.

EPILOGO - Sono dunque stati riconosciuti responsabili in concorso di deturpazione di bellezze naturali in un luogo soggetto a speciale protezione, Giuseppe Affatato, Roberto Paolucci, Giuseppe Martellotta, Michele Bellomo, Corradino Marzo, Cesare Lia, Girolamo Pugliese e Alberto Tedesco, componenti la giunta regionale dell’epoca; e infine Antonio Uliano, rappresentante legale della società Italscavi. Nella vicenda erano pure coinvolti l’ex amministratore regionale Giuseppe Colasanto, nel frattempo deceduto, e gli assessori regionali Franco Di Giuseppe (Dc) e Franco Borgia (Psi) la cui posizione era stata stralciata perché eletti in Parlamento. Epilogo: la Corte d’appello di Bari ha dichiarato la prescrizione della condanna e la Cassazione ha confermato l’estinzione del reato ribadendo comunque "l’irreversibile distruzione del paesaggio".

DEMOLIZIONE - Italia Nostra chiede il ripristino dello stato dei luoghi, vale a dire la demolizione del bubbone. E dire che nel 1988 i parlamentari Cederna, Ceruti, Boato, Savoldi, Bassi, Faccio, Tamino e Codillà interrogavano invano i ministri per il Turismo, l’Ambiente e le Partecipazioni statali: "Nel Comune di Vieste, in località Baia Campi, una delle ultime baie ancora non edificate del Gargano, è prevista la costruzione di una non meglio precisata "Università del turismo" di cui non è chiara la finalità, i finanziamenti, l’organizzazione e il valore legale… Se il governo non ritenga necessario intervenire per prevenire un’operazione che ha tutte le caratteristiche della più smaccata speculazione edilizia, con la scusa dell’opera pubblica si vomiterà sulla costa un’altra valanga di metri cubi di cemento". Detto e fatto.

Gianni Lannes

24 luglio 2011(ultima modifica: 25 luglio 2011 10:18)

 

 

 

per il caso FIN.MA.VI

Cecchi Gori arrestato per bancarotta

torna in manette il produttore fallito

Il noto imprenditore aveva già subito 4 mesi di detenzione, tra carcere e domiciliari, nel 2008

Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa)

Cecchi Gori durante l'arresto del 2008 (foto Ansa)

ROMA - Arrestato per bancarotta Vittorio Cecchi Gori. Il produttore è finito in manette lunedì, nella Capitale, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Roma hanno eseguito nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Già nel 2008, Cecchi Gori - coinvolto in una lunga inchiesta sul fallimento di due delle sue società - era stato arrestato, quindi aveva trascorso 4 mesi tra carcere e arresti domiciliari. Con l' intermezzo di un ricovero per motivi di salute e del successivo intervento in una clinica.

CRAC E LIBERTA' - Nell'ottobre dello stesso anno aveva riottenuto la libertà. Il precedente ordine di custodia cautelare in carcere per Vittorio Cecchi Gori era scattato il 3 giugno 2008 per il fallimento della Safin Cinematografica: un crac da 24 milioni di euro che gli era costato una prima accusa di bancarotta. Poi, però, il gip Guicla Mulliri, su istanza degli avvocati Massimo Biffa e Antonio Fiorella, aveva deciso che non sussistevano più i presupposti della detenzione preventiva e aveva revocato i "domiciliari", l' ultima misura a cui era stato sottoposto l' imprenditore. Il processo per il fallimento della Safin, che gestiva le sale cinematografiche, tra cui il cinema Adriano a Roma, era poi iniziato il 5 dicembre 2008.

Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa)

Cecchi Gori quando era ai domiciliari nella sua casa tre anni fa (foto Ansa)

LA CASSAFORTE DEL GRUPPO - Parallelamente, un altro procedimento coinvolgeva il produttore: quello per il fallimento della Fin.Ma.Vi, considerata la "cassaforte" del gruppo Cecchi Gori. Ed è in questo ambito che è maturato il nuovo arresto: lo ha disposto il Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi. L'imprenditore cinematografico è indagato per bancarotta nell'inchiesta riguardante il fallimento della Fin.Ma.Vi. e di altre società del gruppo Cecchi Gori.

PASSIVO DA 600 MILIONI - Nel corso delle investigazioni era emerso che Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della Fin.Ma.Vi. spa, causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro "attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi" (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa). Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari. Il giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi.

Redazione online

25 luglio 2011 13:53

 

 

 

Il parlamentare per cui Palazzo Madama ha negato l'autorizzazione ai domiciliari

Tedesco: addio al Pd, non al Senato

"M'hanno trattato peggio di una colf"

"Non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò scrivendo una lettera di dimissioni a Bersani"

Alberto Tedesco

Alberto Tedesco

MILANO - Alberto Tedesco non lascerà Palazzo Madama ma dirà addio al Pd. In una intervista a La Stampa, il parlamentare, per il quale la settimana scorsa il Senato ha negato l'autorizzazione agli arresti domiciliari, ha spiegato di volere abbandonare i democratici. "Dal Pd - accusa Tedesco - non mi hanno neanche chiamato come si farebbe con una colf che si licenzia, mi hanno chiesto le dimissioni a mezzo stampa", ma siccome "non vedono l'ora che me ne vada, li accontenterò tra qualche ora scrivendo una lettera di dimissioni al segretario".

CRITICHE A BINDI, VELTRONI E LETTA - Il senatore risponde poi a Rosy Bindi, spiegando che "polemizza" con lei perché è il presidente del partito: "Dice che non vuole vedere turbato il partito da un ex socialista, questo la dice lunga sulla cultura garantista della signorina Bindi. Se si è socialisti si è delinquenti per definizione". Perchè, aggiunge, "non chiedono le dimissioni anche a Penati? A un ex comunista si consente di dimostrare che è innocente...". Tedesco, infine, se la prende anche con chi, come Veltroni ed Enrico Letta, hanno chiesto un suo passo indietro: "Se c'è qualcuno che ha fatto del male al Pd e al Paese col suo rilancio dipietrista è Veltroni". E su Letta: "Non sa scegliere i dirigenti" e "ha portato in Parlamento uno come Boccia che non riesce nemmeno a far eleggere un consigliere comunale nel suo comune...".

Redazione online

25 luglio 2011 13:20

 

 

 

 

 

 

2011-07-22

IL CASO dell'area ex falck di sesto san giovanni

"Soldi anche al partito di Penati"

L'imprenditore Di Caterina accusa il dirigente Pd: "Spremuto come un limone"

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Filippo Penati

Filippo Penati

MILANO - Non c'è soltanto il costruttore, consigliere comunale ed ex candidato sindaco del centrodestra Giuseppe Pasini ad accusare il big del Pd lombardo Filippo Penati di avergli chiesto 20 miliardi di lire nel 2000-2001 per il via libera ai progetti urbanistici di Pasini sull'area ex Falck, e di essere poi stato destinatario di più di cinque miliardi tramite due intermediari che sono stati pagati in Lussemburgo (Piero Di Caterina) e in Svizzera (Giordano Vimercati): a parlare con i pm, infatti, è proprio anche Di Caterina, imprenditore del trasporto pubblico con la sua "Caronte".

"Spremuto come limone"

Pasini raccontava che Di Caterina era stato il collettore indicatogli da Penati per le erogazioni pretese (a suo dire) dall'allora sindaco ds di Sesto San Giovanni, ieri autosospesosi da vicepresidente del Consiglio regionale lombardo dopo essere stato indagato l'altro ieri dai pm monzesi Walter Mapelli e Franca Macchia per le ipotesi di concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. E affermava di aver dato in contanti a Di Caterina due miliardi di vecchie lire in Lussemburgo. E Di Caterina? Conferma che è vero. Nei mesi scorsi ha reso anche lui molti interrogatori, inquadrando questa ricezione di soldi in una sorta di compensazione tra favori alla politica e recriminazioni imprenditoriali, ai quali ricollega tutta una serie di finanziamenti che afferma di aver fatto nella seconda metà degli anni 90 e fino al 2000 per le esigenze del partito di Penati, in alcuni periodi anche cento milioni di lire al mese. Come quelli di Pasini, anche i suoi verbali sono "segretati" ed è dunque arduo definirne i contenuti esatti. Ma il senso lo si afferra anche solo dalla scarna risposta di Di Caterina a chi ieri lo ha interpellato: "Sono stato spremuto come un limone. Non se ne poteva più di questo convivere gomito a gomito con i dinieghi immotivati, con i ritardi, con gli ostacoli della politica e della dirigenza dell'alta amministrazione. Adesso ho grande fiducia nei magistrati".

Il conto estero "Pinocchio"

Che davvero Pasini abbia pagato Di Caterina, ai suoi occhi fiduciario di Penati, è del resto provato da un documento acquisito dalla rogatoria in Lussemburgo (facilitata da Pasini) presso la banca alla quale bonificò a se stesso 4 miliardi di lire nel 2001. Parte di essi rimbalzarono in Svizzera e, a detta di Pasini, furono poi consegnati in contanti in strada a Chiasso a Giordano Vimercati, in seguito capo di gabinetto del Penati presidente della Provincia di Milano e anche rappresentante designato dalla Provincia in molte società partecipate (come la Serravalle). L'altra parte della provvista di denaro, invece, ebbe la destinazione dettata appunto dall'istruzione data da Pasini alla banca il 16 marzo 2001 e ora in mano agli inquirenti: "A debito del conto Pinocchio, vogliate mettere a disposizione per contanti L. 2.500.000 a favore di Di Caterina Piero. Alla sua presenza, attendere mia conferma telefonica".

Consulenti imposti e coop

Il monte-tangenti svelato da Pasini, intanto, sale ancora e si attesta sugli 8 miliardi di lire. Ai 4 o 4,5 miliardi per l'area ex Falck consegnati in Lussemburgo e Svizzera, e ai 1.250 milioni di lire per l'area ex Ercole Marelli (anch'essa di Pasini) "mascherati" dietro il saldo negativo di una permuta tra terreni con Di Caterina, il costruttore aggiunge un'altra tangente che colloca prima, nel 2000, addirittura al momento di comprare dai Falck l'area dove sorgevano le acciaierie. A suo dire, gli sarebbe stato fatto capire che l'acquisto dell'area gli sarebbe stato consentito o comunque facilitato dalla politica se avesse ingaggiato come consulenti due professionisti asseritamente vicini alle coop rosse emiliane, indicati in Francesco Agnello e Giampaolo Salami, ai quali Pasini paga compensi per 2 miliardi e 400 milioni di lire e che ora sono anch'essi indagati per l'ipotesi di concussione.

Luigi Ferrarella

lferrarella@corriere.it

Giuseppe Guastella

gguastella@corriere.it

22 luglio 2011 15:10

 

 

 

la nota: "desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti"

Consiglio regionale, passo indietro

di Penati. "Ma sono innocente"

L'autosospensione dalla vicepresidenza "per rispetto dell'istituzione" durante le indagini sull'area Falck

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Filippo Penati (Fotogramma)

Filippo Penati (Fotogramma)

MILANO - Una lettera di Filippo Penati al presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, e al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per ribadire la "totale estraneità ai fatti" e per annunciare l'autosospensione dalla vice presidenza del consiglio regionale "per rispetto dell'istituzione". "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni - ha scritto Penati - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura. Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio - ha proseguito l'ex presidente della Provincia di Milano - mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve. Da subito - ha spiegato - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni".

Redazione online

21 luglio 2011 18:03

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-21

la nota: "desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti"

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Filippo Penati (Fotogramma)

Filippo Penati (Fotogramma)

MILANO - Una lettera di Filippo Penati al presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, e al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per ribadire la "totale estraneità ai fatti" e per annunciare l'autosospensione dalla vice presidenza del consiglio regionale "per rispetto dell'istituzione". "A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni - ha scritto Penati - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura. Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio - ha proseguito l'ex presidente della Provincia di Milano - mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve. Da subito - ha spiegato - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni".

Redazione online

21 luglio 2011 18:03

 

 

SESTO SAN GIOVANNI - L'ex proprietario dei vecchi forni della ex falck

Pasini, il grande accusatore:

chi ha sbagliato ora paghi

"Episodi rimasti troppo a lungo sotto la cenere, sepolti dalla polvere di una città immobile"

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Sesto, "la città infinita" che cambia per sopravvivere di E. Segantini (Archivio - 19/02/2011)

Giuseppe Pasini (Fotogramma)

Giuseppe Pasini (Fotogramma)

MILANO - "Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi". La gola profonda ha la voce increspata: "Sono fatti incresciosi. Episodi rimasti a lungo sotto la cenere, sepolti dalla polvere di una città immobile. In realtà, posso dire? Non sono sorpreso, me l'aspettavo". Meglio: sapeva e stava solo aspettando. Giuseppe Pasini si è presentato in Procura un anno fa e ha denunciato d'essere "vittima di soprusi". Era lui il proprietario dei vecchi forni tra il 2001 e il 2002, gli anni delle presunte mazzette Falck, del Piano regolatore di Filippo Penati e delle bonifiche impastoiate tra Roma e l'Europa. Ottant'anni. Magnate di provincia. Moderato, Forza Italia e Pdl. Occhi verdi e barba bianca. Il papillon come cifra di stile. Tempra veneta a Sesto la rossa. Passioni: il mattone, la politica e il pallone. "Le voci giravano da un pezzo - racconta -. Biglietti, bisbigli. L'indagine viene fuori perché la Finanza s'è finalmente data da fare". Pasini è il grande accusatore: "Sono stato ascoltato dai magistrati, sì. Tutto si chiarirà. Io, magari, ci scriverò un libro".

 

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Il prologo è storia d'emigranti. Pasini lascia il mito di Hemingway e Fossalta di Piave nel 1951, ha frequentato solo le scuole di base, ha 21 anni e due fratelli muratori. Lui è la mente. I tre si trasferiscono a Sesto e si sporcano le mani. C'è terra per crescere. I Pasini fanno il salto nell'era Penati. Le banche danno una sponda. Palazzi, torri, il Grand Hotel nella cinquecentesca Villa Torretta (gioiello del patrimonio di famiglia), quartieri residenziali sulle fabbriche da demolire, la Breda e la Marelli. La storia di Sesto ripiega su appartamenti, uffici e sale congressi. Nel 2000 Pasini si accorda con Alberto Falck, scuce quasi 400 miliardi di lire e si compra capannoni e veleni sepolti. I "problemi" iniziano subito dopo.

L'area ex Falck di Sesto San Giovanni

L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni

È il biennio finito sotto inchiesta, 2001-2002. Il sindaco Penati ha disegnato e lasciato al successore Giorgio Oldrini la bozza del nuovo Piano regolatore, documento strategico per lo sviluppo urbanistico e i margini di guadagno. Pasini, si legge nelle cronache dell'epoca, è furibondo: "Il Piano mi impedisce di realizzare progetti di qualità!". Profetico. Tramonta il progetto dell'architetto Botta, sfumano l'insediamento di Rai, Intesa e Sky. Nel 2005, stremato, Pasini cede la Falck a Risanamento. Incassa 88 milioni di euro. Di più ne ha persi. Qualcosa, forse, ha regalato. Non pensava finisse così.

Pasini è uomo noto, il tycoon di Sesto. Ha sempre denunciato d'essere stato fregato "dagli sciacalli della finanza". In questi anni ha fatto altro - vicepresidente della Pro Sesto, sfidante del "Cubano" alla carica di sindaco, consigliere d'opposizione - ma non ha mai dimenticato i "responsabili" dei guai suoi e del "disastro" attorno: "Sesto è una città bloccata - attacca -. Una città di pensionati e immigrati. Non l'ha capito nessuno, non l'hanno mai capito le banche: qui si vive di lavoro!". E di tangenti miliardarie, pare. "Sono tanti soldi, eh, lo so". Son tanti sì, soprattutto adesso. Le voci più informate dicono che non sia un periodo buono per Pasini. Oracle ha traslocato, gli ha tolto un affitto. E il mercato tira poco, annaspa, boccheggia. Son tempi duri.

L'altra sera, in consiglio comunale, Pasini ha incrociato Davide Bizzi. Immaginate la stretta di mano: l'ex padrone e l'attuale proprietario delle aree Falck. "Bisogna creare posti di lavoro per i giovani...", ha sorriso Pasini. "L'importante è cominciare - ha replicato Bizzi -. Il resto si vedrà strada facendo". Sulla strada è crollata una frana.

Armando Stella

21 luglio 2011 14:37

 

La storia

Protagonisti e comprimari, vent'anni

di politica giocata sull'area ex Falck

Giordano Vimercati, Pietro Di Caterina, Giuseppe Pasini, Pasqualino Di Leva

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Penati: "Sono sereno, non ho nulla da temere"

Nuova Risanamento, addio all’area Falck (11 giu 2010)

Sesto, "la città infinita" che cambia per sopravvivere di E. Segantini (Archivio - 19/02/2011)

Bisogna far caso alle carriere. Politiche e imprenditoriali. Più o meno intrecciate. Quelle che sbocciano, si affermano e prosperano su quella che sembrava una sola onda in ascesa, da metà degli Anni Novanta in poi. Carriere di uomini che oggi, quindici anni dopo, si ritrovano tutti insieme di nuovo, con i propri nomi in colonna nell'elenco degli indagati. Protagonisti dell'epoca penatiana delle origini, quella che coincide con la dismissione industriale e il nuovo boom edilizio delle "riqualificazioni". In quell'epoca di rinascita del mattone sulla ruggine delle fabbriche, affonda le radici la carriera politica di Filippo Penati, sindaco di Sesto San Giovanni dal '94 al 2001.

Appena un passo dietro Penati, si dipana l'ascesa dell'uomo che ne sarà storico braccio destro, colui che per via del carattere burbero e del barbone folto negli ambienti della politica locale sarà soprannominato "Rasputin": Giordano Vimercati. È stato presidente del Consorzio trasporti pubblici di Sesto, poi del Consorzio di recupero degli energetici (Core), infine capo di gabinetto con Penati in Provincia. Al settore trasporti incrocia un altro imprenditore oggi indagato, l'uomo che per la sua azienda di bus ha puntato scelto il nome "Caronte": Pietro Di Caterina, storicamente legato a Penati e Vimercati. La sua impresa ha conosciuto un lungo momento d'oro, che sempre dalla metà anni Novanta s'è prolungato per un buon decennio. Negli ultimi tempi Di Caterina ha differenziato gli affari, con investimenti nell'edilizia, e la sua "Caronte" è entrata in conflitto con l'Atm sull'assegnazione di alcune linee.

 

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Ambiente chiuso, sistemi di potere stabili, sono anni in cui l'antica teoria del "collateralismo" arriva a una sorta di estremo compimento. Politica ed economia viaggiano sotto braccio, una grande rete dove tutto si tiene e a cui la deindustrializzazione consegna l'area industriale dismessa più grande d'Europa, l'ex Falck. Un nome si impone, Giuseppe Pasini, con una qualche ironica deferenza detto "farfallino" per il vezzo del papillon che non abbandona mai. Ex muratore come i fratelli, poi fonda un'aziendina edile, nell'epoca penatiana si consacra immobiliarista e, con il sostegno delle banche, è il primo acquirente della ex Falck. In passato grande sostenitore di Penati, alla fine si è candidato sindaco contro Oldrini e, oggi, è il grande accusatore nel sistema di tangenti ipotizzato dai magistrati.

L'area ex Falck di Sesto San Giovanni

L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni L'area ex Falck di Sesto San Giovanni

Una storia che annovera un altro protagonista, Pasqualino Di Leva, personaggio di lunghissimo corso politico a Sesto, memoria storica del Comune, intelligente e acuto, tifoso del Napoli. Oggi anche lui indagato, come uno degli architetti più influenti della città, Marco Magni: qualche anno fa, i due furono al centro di un dossier anonimo recapitato a tutti i consiglieri comunali, nel quale si indicava un supposto conflitto di interessi perché proprio la figlia di Di Leva lavorava nello studio di Magni. Così le carriere di questi uomini sono scivolate negli anni insieme alla storia di Sesto. Dalla fabbrica al cantiere, da "Stalingrado d'Italia" a "Cementograd" (come dicono i più critici).

Gianni Santucci

21 luglio 2011 14:35

 

 

 

per 400 milioni

Nuova Risanamento, addio all’area Falck

Verso la cessione a Bizzi-Honua e a Intesa-Unicredit

MILANO — Oggi il consiglio di Risanamento dovrebbe dare l’ok al primo atto della Nuova Risanamento guidata da Claudio Calabi. E cioè sulla vendita dell’area ex Falck di Sesto San Giovanni. Un’operazione che rientra nel piano di ristrutturazione ma i tempi potrebbero essere di gran lunga anticipati rispetto al calendario previsto, che la colloca entro il 2012. Secondo le indiscrezioni che circolano dal mese di marzo, già confermate in termini generali dalla società, che ha sempre parlato di "manifestazione d’interesse" senza però un commento sugli ipotetici protagonisti indicati dai rumor, acquirente dovrebbe essere una cordata guidata dall’immobiliarista Davide Bizzi e da un partner austriaco: questi ultimi dovrebbero controllare in modo paritetico una newco che acquisirà il 55% dell’area. La parte restante del capitale sarà invece sottoscritta dal gruppo coreano Honua, dalla Ccc e da tre delle banche italiane che partecipano agli accordi di ristrutturazione, considerati idonei dal tribunale di Milano, attraverso l’aumento di capitale e il prestito convertendo: Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm.

Bizzi è interessato direttamente all’aspetto immobiliare, e cioè al piano di sviluppo da 1,5 milioni di metri quadrati firmato da Renzo Piano. Un tempo collaboratore di Ernesto Preatoni, Bizzi è stato protagonista con il socio Paolo Dini (fondatore della Paul&Shark) dell’operazione Quinta Strada, e cioè del grattacielo da 57 piani finanziato in pool da Unicredit, Banco Popolare, Meliorbanca, Interbanca e Bpm. Con la sua Bizzi & partners sviluppa poi progetti in varie aree del mondo, da Bordighera a Cancun, da Tallin a Riga. Ma il partner con i mezzi finanziari più consistenti dovrebbe essere il gruppo Honua di Seul, partecipato da grandi compagnie di assicurazioni coreane come Dongbu e Kumho e che è stato in affari con Bizzi proprio rilevando il grattacielo di New York per affittarlo alla catena alberghiera Setai. Il controvalore della vendita dell’area Falck, in un primo tempo indicato sui 480 milioni, potrebbe aggirarsi sui 400-440 milioni. Per Risanamento si tratterebbe dunque di un passo importante, e la Borsa ha accolto le indiscrezioni con un balzo del titolo di quasi il 12% a 0,38 euro, valore che resta ancora al di sotto di quanto stabilito (0,45) per la sottoscrizione dell’aumento da parte delle banche creditrici. L’addio all’area Falck era peraltro già stata tentato dallo stesso Luigi Zunino, con la ristrutturazione estromesso dal gruppo immobiliare. A fine 2008 tutto sembrava già concluso: il fondo di Dubai Limitless era indicato acquirente sicuro a 475 milioni. Poi il progetto è velocemente tramontato. Calabi ha avviato il negoziato con Bizzi (che a sua volta ha "chiamato" Honua) poco dopo il suo arrivo in Risanamento. E oggi, a meno che il board non ritenga ci sia bisogno di qualche approfondimento, dovrebbe arrivare l’ok.

Sergio Bocconi

11 giugno 2010(ultima modifica: 20 luglio 2011 09:55)

 

 

 

 

Pdl e Responsabili pronti a chiedere il voto segreto. Vertice a Palazzo Grazioli

Papa, in Aula il voto sull'arresto

Il Pd: "Scambio Pdl-Lega per salvarlo"

In mattinata la maggioranza ha votato contro il governo sull'emergenza rifiuti. "Una mossa per ingraziarsi Bossi"

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Alfonso Papa: il deputato del Pdl ha iniziato la sua giornata con una messa (Ansa)

Alfonso Papa: il deputato del Pdl ha iniziato la sua giornata con una messa (Ansa)

ROMA - Voto segreto o voto palese. E' sul tipo di votazione che verrà adottata sulla richiesta di arresto avanzata dalla procura di Napoli che si gioca il futuro dell'on Alfonso Papa. Ed è sull'esito del voto che scaturirà dal segreto dell'urna che si gioca il braccio di ferro tra la maggioranza e l'opposizione, ma anche tra le forze stesse della coalizione di governo dopo che la giunta per le autorizzazioni aveva nei giorni scorsi espresso parere favorevole. In mattinata la maggioranza era arrivata a votare contro la posizione espressa dall'esecutivo su alcune mozioni relative all'emergenza rifiuti, con evidente disappunto del ministro Stefania Prestigiacomo, andando incontro alle posizioni della Lega, fortemente critica su ulteriori aiuti esterni per la risoluzione dell'emergenza smaltimento a Napoli. E questo, per il Pd, è un chiaro segnale di voto di scambio: il Pdl avrebbe fatto dietrofront sui rifiuti per garantirsi la benevolenza del Carroccio nel voto di questo pomeriggio da cui dipenderà l'arresto di Papa. Ma, appunto, affinché i leghisti possano esprimersi contro il provvedimento restrittivo è necessario che la votazione avvenga a scrutinio segreto, visto che l'ultima posizione ufficiale adottata dal partito di Bossi è quella di un sì all'arresto, posizione che avrebbe anche il consenso di gran parte dell'elettorato leghista.

IL VOTO SEGRETO - Il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha respinto con sdegno l'ipotesi dello scambio: "Sui rifiuti è emersa semplicemente una valutazione diversa all'interno della maggioranza derivante da interessi territoriali diversi che sono assolutamente rispettabili". E al leader dei deputati democratici Dario Franceschini, che aveva denunciato in aula l'ipotesi di una trattativa sottobanco, ha replicato definendo la posizione del Pd "una cinica partita strumentale" e precisando che "sull'autorizzazione all'arresto rivendichiamo il voto segreto perchè è giusto che sulla libertà di una persona ogni deputato sia messo di fronte alla propria coscienza". A dare manforte al Pdl ci sarà sicuramente il gruppo di Popolo e Territorio: "Saremo noi a chiedere il voto segreto per Alfonso Papa - ha detto il capogruppo Silvano Moffa -. Siamo disponibili a farlo perchè io ritengo che sia non solo opportuno, ma necessario". Il Pd, dal canto suo, ha deciso di chiedere il voto palese e per bocca dell'on. Daniele Marantelli ha invitato la Lega a fare altrettanto: "Altrimenti - ha sottolineato - sarà evidente che gli spadoni esibiti orgogliosamente a Pontida, appena giungono a Roma, si afflosciano per mantenere un sistema di potere che sta producendo gravi danni a tutto il Paese".

"ASPETTIAMO TUTTI" - Dal canto suo il diretto interessato, avvicinato dai cronisti, ha ostentato tranquillità: "Aspettiamo tutti" il voto ha detto all'Ansa Alfonso Papa. La sua giornata è iniziata con una messa, nella stessa chiesa, quella dei santi Claudio e Andrea in piazza San Silvestro, in cui si era raccolto in preghiera, nelle ore dell'inchiesta che lo avrebbe costretto a lasciare, il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Ma Papa non sembra farsi impressionare dalla coincidenza: "Se uno è cristiano non è superstizioso".

VERTICE DA BERLUSCONI - Intanto, il premier Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi ha lavorato di diplomazia cercando di convincere Bossi a salvare il deputato pdl, ha convocato a Palazzo Grazioli il segretario del partito Angelino Alfano e i coordinatori nazionali e regionali del Pdl. Secondo quanto riferito da uno dei presenti, Berlusconi ha introdotto la riunione elencando un piano di riforme da realizzare nei prossimi 20 mesi, cioè nella parte restante della legislatura fino al 2013, per recuperare consensi nel Paese ed ha citato un sondaggio che vedrebbe il Pdl al 28%, con il Pd al 26%. Nelle ultime due settimane Berlusconi non ha mai rilasciato dichiarazioni in pubblico, salvo una breve nota letta ai cronisti dopo il voto di fiducia alla Camera venerdì scorso. Non è ancora chiaro se Berlusconi si presenterà in Aula per il voto sulla richiesta di arresto.

Al. S.

20 luglio 2011 16:14

 

L'INCHIESTA DELLA PROCURA DI NAPOLI

P4, la Finanza perquisisce la sede Eni

Indagini sul contratto di Luda Spornyk, amica di Papa

Il deputato Alfonso Papa (Pdl) alla Camera (Ansa)

Il deputato Alfonso Papa (Pdl) alla Camera (Ansa)

ROMA - La Guardia di Finanza negli uffici dell'Eni a Roma. L'inchiesta sulla cosiddetta P4 investe la grande società energetica italiana. I pubblici ministeri di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock, che hanno messo sotto indagine il giro di rapporti, frequentazioni e consulenze che ruotava attorno al lobbista Luigi Bisignani e all'ex magistrato e deputato Pdl Alfono Papa, hanno dato incarico ai militari delle Fiamme Gialle di acquisire una lunga serie di documenti. Mentre Bisignani, è il principale indagato, è agli arresti domiciliari, per Papa i pm di Napoli hanno chiesto alla Camera l'autorizzazione all'arresto: l'aula di Montecitorio deciderà nel pomeriggio di mercoledì.

IL CONTRATTO DI LAVORO DELLA SPORNYK - Gli inquirenti stanno approfondendo la natura del rapporto di lavoro instaurato tra l'Eni e Ludmyla Spornyk, una donna dell'est che - secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti - Papa, tramite Bisignani, avrebbe fatto assumere. Alla stessa Spornik, conosciuta anche come Luda, Papa - avrebbe pagato soggiorni in alberghi prestigiosi (dal De Russie a Roma al Mareblu di Ischia, al Principe di Savoia di Milano) ed avrebbe regalato crociere e oggetti di valore. Circostanze tutte avvalorate dalle ammissioni della stessa donna, ascoltata alcuni mesi fa dagli inquirenti. La Guardia di Finanza avrebbe chiesto all'Eni anche copia degli atti relativi agli incarichi professionali affidati dall'azienda a Tiziana Rodà, avvocato, moglie di Alfonso Papa.

20 luglio 2011 12:51

 

 

E' indagato dalla Procura di Bari. "Un parallelo con il caso Papa? Boiate..."

Tedesco: "Votate il sì al mio arresto"

Il senatore del Pd chiederà che il Senato adotti il voto palese sul provvedimento restrittivo che lo riguarda

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Caso Papa, voto in Aula tra le polemiche (20 luglio 2011)

Alberto Tedesco (Imagoeconomica)

Alberto Tedesco (Imagoeconomica)

ROMA - Il senatore Alberto Tedesco chiederà che il Senato si esprima con voto palese a favore del suo arresto ai domiciliari, nell'intervento che pronuncerà in aula questo pomeriggio in occasione del dibattito sulla richiesta del gip di Bari nel quadro dell'inchiesta sulla sanità pugliese. "Chiederò che non si intralci il lavoro della magistratura e che si arrivi rapidamente a processo in modo che mi sia consentito di difendermi", ha spiegato il senatore, che fa parte del gruppo misto dopo essersi autosospeso dal Pd, intrattenendosi in Transatlantico con i cronisti. "Così la procura di Bari non avrà alibi", ha affermato il senatore, che si dice convinto che l'opinione pubblica non avrebbe capito le distinzioni sul 'fumus persecutionis' e, sull'iter processuale, esprime l'auspicio che dopo il voto odierno "non siano frapposti altri indugi alla conclusione dell'indagine".

"TRANQUILLO E SERENO" - Tedesco si è definito "tranquillo e sereno". "Chiederò - ha preannunciato - che non si voti segretamente. È giusto che tutti i senatori si assumano la responsabilità di quel che pensano, soprattutto per evitare strumentalizzazioni". Lo stesso senatore ha spiegato che voterà anche lui 'sì' al proprio arresto in caso di voto palese mentre si asterrà qualora, invece, Palazzo Madama optasse per lo scrutinio segreto. Quanto al rischio che il voto a suo carico si intrecci con la vicenda del voto su Alfonso Papa che si svolgerà in parallelo alla Camera dei deputati, il senatore Tedesco si è limitato a definire le indiscrezioni in tal senso "boiate...".

Redazione Online

20 luglio 2011 15:54

 

 

EMERGENZA NAPOLI

Decreto rifiuti, governo battuto due volte

Passano le mozioni presentate dall'Idv e dall'Api

Il ministro Prestigiacomo aveva dato parere favorevole

ROMA - Il governo va sotto due volte sull'emergenza rifiuti a Napoli. La maggioranza vota contro due mozioni dell'Idv e dell'Api, e perde clamorosamente. Anche perché vota contro il parere espresso in merito dal ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, chiaramente infastidita per quanto accaduto. Il testo dell'Italia dei Valori è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Pdl e Popolo e territorio (gli ex "responsabili"), hanno subito dopo deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate. E la cosa ha provocato altra confusione. Dopo qualche momento di tensione, è stata la stessa Prestigiacomo a minimizzare sostenendo che c'è stata sì una confusione sui voti ma che è colpa della fibrillazione della giornata. Ma, ai suoi più vicini collaboratori, Prestigiacomo ha confidato il timore che ci sia qualcuno nel centrodestra che vuole giocare a fare "scaricabarile".

LA PRESTIGIACOMO NON ACCUSA IL COLPO - "No, non mi sento sconfessata", ha commentato il ministro dell'Ambiente. "Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza" ha detto il ministro. Ma un suo collega, che preferisce restare anonimo, spiega che c'era stato in precedenza un confronto sulla questione con la Prestigiacomo, che si sarebbe "impuntata, insistendo sulla sua posizione". Il risultato è stato che "in aula c'è stato un pasticcio, un qui pro quo". Sulle sorti, invece, del dl rifiuti che era osteggiato dalla Lega e che con il voto di oggi torna all'esame della Commissione Ambiente della Camera, sono praticamente tutti d'accordo: "muore lì" anche perché, dicono diversi esponenti del governo, "con l'ordinanza del Consiglio di Stato, il problema è risolto".

LA BRAMBILLA RIMPROVERATA - Ma la tensione del Pdl viene confermata anche da un altro episodio, una ramanzina dai toni decisi, rivolta dal capogruppo del Pdl Cicchitto al ministro Brambilla, accusata di avere un "livello di presenza bassissimo" e aggiungendo di aver "chiamato tutti i sottosegretari...". La Brambilla, visibilmente innervosita per un rimprovero cominciato in aula e proseguito nel Transatlantico, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata.

NUOVO PROVVEDIMENTO - E spunta l'ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare "margini di ambiguità legislativa" dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato. A dirlo è il presidente dei deputati della Lega Marco Reguzzoni.

STALLO - Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza. In particolare, la Lega chiedeva che l'ultima parola fosse data ai governatori del nord. L'ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di "stallo" che si è creata, era nell'aria.

Redazione online

20 luglio 2011 16:26

 

 

EMERGENZA NAPOLI

Decreto rifiuti, governo battuto due volte

Passano le mozioni presentate dall'Idv e dall'Api

Il ministro Prestigiacomo aveva dato parere favorevole

ROMA - Il governo va sotto due volte sull'emergenza rifiuti a Napoli. La maggioranza vota contro due mozioni dell'Idv e dell'Api, e perde clamorosamente. Anche perché vota contro il parere espresso in merito dal ministro all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, chiaramente infastidita per quanto accaduto. Il testo dell'Italia dei Valori è passato con 287 no, 296 sì e sei astenuti. Pdl e Popolo e territorio (gli ex "responsabili"), hanno subito dopo deciso di ritirare le loro mozioni in tema di rifiuti che avrebbero dovuto essere votate. E la cosa ha provocato altra confusione. Dopo qualche momento di tensione, è stata la stessa Prestigiacomo a minimizzare sostenendo che c'è stata sì una confusione sui voti ma che è colpa della fibrillazione della giornata. Ma, ai suoi più vicini collaboratori, Prestigiacomo ha confidato il timore che ci sia qualcuno nel centrodestra che vuole giocare a fare "scaricabarile".

LA PRESTIGIACOMO NON ACCUSA IL COLPO - "No, non mi sento sconfessata", ha commentato il ministro dell'Ambiente. "Oggi è una giornata di particolare confusione ed è evidente che ci sono stati voti pasticciati, di cui mi rammarico, ma non mi sento sconfessata perchè non posso certo cambiare idea sul parere ad una mozione che chiede che i soldi per la Campania siano spesi con trasparenza" ha detto il ministro. Ma un suo collega, che preferisce restare anonimo, spiega che c'era stato in precedenza un confronto sulla questione con la Prestigiacomo, che si sarebbe "impuntata, insistendo sulla sua posizione". Il risultato è stato che "in aula c'è stato un pasticcio, un qui pro quo". Sulle sorti, invece, del dl rifiuti che era osteggiato dalla Lega e che con il voto di oggi torna all'esame della Commissione Ambiente della Camera, sono praticamente tutti d'accordo: "muore lì" anche perché, dicono diversi esponenti del governo, "con l'ordinanza del Consiglio di Stato, il problema è risolto".

LA BRAMBILLA RIMPROVERATA - Ma la tensione del Pdl viene confermata anche da un altro episodio, una ramanzina dai toni decisi, rivolta dal capogruppo del Pdl Cicchitto al ministro Brambilla, accusata di avere un "livello di presenza bassissimo" e aggiungendo di aver "chiamato tutti i sottosegretari...". La Brambilla, visibilmente innervosita per un rimprovero cominciato in aula e proseguito nel Transatlantico, è stata avvicinata da Denis Verdini con cui si è allontanata.

NUOVO PROVVEDIMENTO - E spunta l'ipotesi di un nuovo provvedimento anche per evitare di lasciare "margini di ambiguità legislativa" dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato. A dirlo è il presidente dei deputati della Lega Marco Reguzzoni.

STALLO - Il decreto legge, che prevede il trasferimento della spazzatura campana verso le altre Regioni, martedì ha spaccato la maggioranza. In particolare, la Lega chiedeva che l'ultima parola fosse data ai governatori del nord. L'ipotesi di un ritiro del provvedimento, vista la situazione di "stallo" che si è creata, era nell'aria.

Redazione online

20 luglio 2011 16:26

 

 

Le accuse si riferiscono all'area ex industriale Falck di sesto san giovanni

Penati indagato: "Sono sereno,

non ho nulla da temere"

Il Pd: "Fiducia nella magistratura". La Lega: "Non parlino più di questione morale". L'Idv: dimissioni

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Ex Falck, Filippo Penati indagato per corruzione e concussione

MILANO - Il vicepresidente del Consiglio regionale Filippo Penati, indagato dalla Procura di Monza per concussione e corruzionein relazione alle aree ex Falck di Sesto di Giovanni, "si è messo a disposizione della procura di Monza, nutre assoluta fiducia nella magistratura ed è certo che all’esito dell’indagine la sua posizione verrà totalmente chiarita in senso a lui favorevole". "Sono sereno - afferma Penati in una nota -. Ringrazio il mio partito per il sostegno che mi ha immediatamente manifestato. Non ho nulla da temere sono certo che tutto verrà chiarito"

OLDRINI: ABBIAMO FIDUCIA - La notizia dell'indagine su Penati non poteva mancare di suscitare reazioni da parte del mondo politico. Tra i primi a manifestare sgomento l'attuale sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini (Pd). "Abbiamo appreso con grande dolore - scrive in una nota - che sono in corso due inchieste che riguardano la nostra città, quella su vicende che sarebbero avvenute tra il 2001 e il 2002 per quanto riguarda le aree ex Falck e che avrebbero portato all'invio di un avviso di garanzia all'ex sindaco Filippo Penati, e altre che riguardano l'avviso di garanzia inviato all'assessore Pasqualino Di Leva per vicende legate a concessioni edilizie negli anni 2004-2008". "Le notizie che abbiamo in questo momento sono del tutto frammentarie e imprecise - aggiunge Oldrini -. Ribadiamo comunque la nostra fiducia nell'operato della magistratura e ci auguriamo che tutti possano rapidamente dimostrare la loro assoluta estraneità ai fatti".

PD: FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA - "La magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento", ha dichiarato il leader del Pd Pier Luigi Bersani. Anche il capogruppo del Pd in Consiglio regionale, Luca Gaffuri, esprime "piena fiducia nell'operato della magistratura" e si augura che "nei tempi più brevi possibili possa dimostrare la piena innocenza di Penati". Quanto all'ipotesi che al vicepresidente venga chiesto un passo indietro Gaffuri frena: "In questo momento abbiamo solo informazioni di stampa, dobbiamo prima approfondire e incontrare Penati". "Come sempre abbiamo fatto confermiamo piena fiducia nella magistratura e pieno rispetto del suo lavoro. Siamo altresì fiduciosi che Filippo Penati, che ha ben amministrato in questi anni sul territorio, possa dimostrare la sua estraneitá ai fatti oggetto dell'indagine". Sulla stessa linea il segretario regionale lombardo del Pd, Maurizio Martina.

LEGA: "BASTA CON LA QUESTIONE MORALE" - "D'ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni", attacca il segretario provinciale e deputato della Lega Nord Marco Rondini. "Se noi utilizzassimo lo stesso criterio applicato dal Pd in molti altri casi analoghi, ossia quello di giudicare le persone prima che i processi vengano celebrati - afferma il parlamentare milanese - dovremmo chiedere a Penati di fare un passo indietro e dimettersi da consigliere regionale. Ci auguriamo invece che la magistratura svolga il suo lavoro in tempi rapidi e altrettanto velocemente accerti la verità ed concluda l'inchiesta sulle aree ex Falck". Il deputato leghista inoltre sottolinea che il centrosinistra governa Sesto da sessant'anni ma "non è stato in grado di riqualificare le ex Falck e restituirle ai cittadini. Non è riuscita a farlo per mancanza di capacità e forse, per altro. Ma questo altro, eventualmente, sarà la magistratura a doverlo accertare". Sempre per la Lega Davide Boni, presidente del Consiglio lombardo, è più garantista: "Spero che il vicepresidente Penati possa chiarire la sua posizione. Siamo ancora in un fase di indagine e, come ho sempre detto, siamo tutti innocenti fino a prova contraria". Boni ha comunque sottolineato "l'assoluta tranquillità dell'ente regionale perché le indagini non riguardano la Regione né Penati come vicepresidente del Consiglio".

IDV: DIMISSIONI - Gabriele Sola, vicecapogruppo dell'Italia dei Valori in consiglio regionale, chiede invece a Penati di "lasciare l'incarico di vice presidente del Consiglio regionale lombardo". "Oggi più che mai - ha detto Sola - è importante che la politica dia segnali forti di etica, trasparenza e senso di responsabilità. Per questo è totalmente inopportuno che il Consiglio regionale della Lombardia sia rappresentato, in uno dei ruoli di maggior responsabilità, da una persona indagata per reati gravi come corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti". Sola ha comunque aggiunto che "non è né tempo né il caso di lasciarsi andare a giudizi prematuri; bisogna rispettare la presunzione di innocenza e il lavoro della Procura di Monza. Tuttavia - ha concluso l'esponente dell'Idv - chiediamo serenamente a Penati un passo indietro".

PDL: GARANTISMO VERSO TUTTI - Il presidente della Provincia, Guido Podestà, commenta: "Il garantismo impresso nel mio Dna, come in quello del Pdl, mi porta, del resto, a considerare la presunzione d’innocenza una prerogativa di tutti i cittadini che non può procedere a giorni alterni e a secondo del colore politico delle persone oggetto di indagini. Attendo, quindi, che le autorità inquirenti completino il loro lavoro, certo che vi sarà per ognuno la possibilità di fare chiarezza sul proprio operato". Sulla stessa linea Daniele Capezzone, portavoce Pdl. "La presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". "Sarebbe bene - spiega Capezzone - che la lotta politica, pur nelle sue comprensibili asprezze, non dimenticasse la presunzione di non colpevolezza che è scolpita nella nostra Costituzione, e non avesse atteggiamenti differenziati a seconda del fatto che un'indagine riguardi un esponente del proprio schieramento o di quello avversario. La sinistra ha da sempre avuto un atteggiamento opposto: garantisti con gli amici, giustizialisti con gli avversari. Per noi vale invece la regola del garantismo verso tutti, che è naturale complemento di una difesa rigorosa della legalità"

Redazione online

20 luglio 2011 16:09

 

 

 

VOTO UNANIME DEL PLENUM

Processi lunghi e troppo lenti,

il Csm boccia il Tribunale di Roma

Palazzo Marescialli contro il piano organizzativo 2009-2011 di piazza Clodio: al calo consistente di produttività non si è posto rimedio

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Tribunale , via i computer torna la biro verbali di 700 udienze compilati a mano (5 mag 09)

ROMA - Processi penali pendenti aumentati del 22% negli ultimi anni e sempre più lunghi; e una pendenza "gravissima" anche nel settore civile, per lo meno davanti alla prima sezione. Eppure di fronte a questa situazione non sono state compiute dal tribunale di Roma "scelte credibili", cioè accompagnate da un'analisi sull'efficacia del loro impatto.

Interni del tribunale di Roma (Proto)

Interni del tribunale di Roma (Proto)

"PIANO NON CONVINCENTE" - È per questa ragione che il plenum del Csm all'unanimità ha bocciato il piano organizzativo per il triennio 2009-2011 del tribunale più grande d'Europa. Non è stato predisposto "un organico, documentato e razionale programma di analisi dei flussi e delle pendenze, che deve essere accompagnato da rilevazioni statistiche attendibili", è la lamentela di fondo di Palazzo dei marescialli che giudica perciò "non convincenti" le scelte compiute dal piano. "Alla gravità della situazione" riscontrata nel settore che si occupa dei dibattimenti collegiali penali, e segnata oltre che dall'incremento dalla "manifesta difficoltà nella conduzione di processi a elevata complessità", "non si è fatto fronte", rimprovera tra l'altro il Csm, con l'aumento dei magistrati addetti e delle udienze. E al "calo consistente" della produttività della sezione gip-gup (l'indice di smaltimento è passato in due anni dal 103% all'83%) non si è posto rimedio "con adeguata sollecitudine".

"FORTI CRITICITA'" - In particolare, si fa riferimento a una forte criticità "sia nel settore civile sia nel settore penale a seguito di procedimenti pendenti da oltre 3 anni". Alcune sezioni civili, soprattutto la I sezione che si occupa di diritto della famiglia e diritti della personalità, risultano di aver subito un incremento del carico di lavoro del 35%. I processi penali a trattazione collegiale hanno subito un incremento del 22%. Problemi anche per la sede distaccata di Ostia soprattutto per la grave situazione di 'sofferenzà del settore civile. "Non risulta predisposto un organico, documentato e razionale programma di analisi dei flussi e delle pendenze - scrive il Csm - e deve essere accompagnato da rilevazioni statistiche attendibili".

"CARENZE IN ORGANICO" - "Da tali carenze di analisi - si legge ancora nella delibera del Csm - discendono effetti negativi con riferimento alla determinazione dell'organico non solo dei magistrati destinati ai due settori (civile e penale e all'interno di questo tra magistrati addetti al dipartimento e magistrati in servizio all'ufficio gip), ma anche tra magistrati in servizio nella sede centrale e assegnati alla sezione distaccata. Le medesime carenze non consentono di effettuare una valutazione ragionata delle effettive esigenze di ciascun settore. Le scelte operate, a volte anche radicali, non risultato pertanto convincenti in quanto non corredate da una analisi circa l'efficacia del loro impatto".

Redazione online

20 luglio 2011 14:50

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-15

INCHIESTA P4

Sì all'arresto di Papa, la Lega si astiene

Berlusconi: pericoloso dare l'ok in Aula

La Giunta della Camera dà il via libera.

I deputati Pdl abbandonano i lavori. Bossi: "In galera"

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Alfonso Papa

Alfonso Papa

MILANO - Sì all'arresto del deputato Alfonso Papa, coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta P4. Il via libera è arrivato dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera, chiamata ad esprimersi sulla richiesta dei pm di Napoli, con i soli voti dell'opposizione. La Lega si è astenuta, mentre i deputati del Pdl e dei Responsabili hanno abbandonato i lavori per protesta. Silvio Berlusconi non è intervenuto in prima persona, ma ha parlato con i suoi della vicenda di Papa. "Bisogna salvarlo" avrebbe detto il premier ai membri del suo partito, dopo aver incontrato a Montecitorio il deputato del Pdl. "Sono contrario ai processi in aula. La carcerazione preventiva per un parlamentare sarebbe un gravissimo precedente che non deve verificarsi" avrebbe aggiunto il Cavaliere, esprimendo la propria contrarietà all'arresto del deputato e invitando in deputati a votare contro in Aula. "Noi siamo un partito garantista, non mandiamo in galera un deputato. Sarebbe un precedente pericoloso che aprirebbe la strada anche all'arresto di Milanese" avrebbe anche aggiunto il presidente del Consiglio. Di segno opposto le dichiarazioni di Umberto Bossi. "In galera" ha risposto il leader della Lega ai giornalisti sulla richiesta di arresto per il deputato Pdl Alfonso Papa che mercoledì sarà votata alla Camera. Il numero uno del Carroccio poco prima aveva risposto in modo colorito a Gabriele Cimadoro dell'Idv, che si era congratulato col Senatùr per l'atteggiamentro tenuto dalla Lega su Papa. Invitato a confermare anche in Aula questa linea, Bossi aveva infatti risposto: "Non siamo mica dei "barbun" come voi...". Traduzione: niente scherzi, in Aula la Lega voterà sì all'arresto.

PROPOSTA DI MINORANZA - In Giunta, il relatore Francesco Paolo Sisto aveva chiesto un nuovo rinvio del voto per questioni procedurali (e per rinviare la questione all'Aula), ma il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti ha messo ai voti la proposta di minoranza dell'esponente dell'Idv Federico Palomba. La proposta è passata quindi con 9 voti a favore (Pd, Terzo Polo e Idv) e due astenuti. Mentre il resto della maggioranza (7 Pdl, 1 responsabile e 1 del Misto) hanno abbandonato i lavori. Il parere favorevole all'arresto passerà ora al vaglio della Camera che voterà sulla questione mercoledì 20 alle 16. Il voto può essere a scrutinio segreto.

"NESSUNA FORZATURA" - "Non ho fatto forzature. Ho rispettato il regolamento, il mio compito è portare in Aula una proposta e non potevo non svolgere questo compito". Lo ha detto il presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Pierluigi Castagnetti che ha partecipato al voto. Gianfranco Fini ha difeso la sua decisione : "Il comportamento di Castagnetti è stato ineccepibile".

"SONO SERENO E FIDUCIOSO" - L'interessato si dice sereno. Dopo aver evitato il commento a caldo sulla votazione, Alfono Papa ha preferito mostrarsi tranquillo e fiducioso con i cronisti che lo hanno incontrato alla Camera, in attesa del voto sulla manovra finanziaria. "Ho grande serenità - ha dichiarato Papa -. Io sono impegnato in una battaglia di verità rispetto alla quale non è l'ipotesi del carcere che mi fa paura". Per poi concludere: "Io- ha detto- confido nella giustizia e sono sicuro che la verità verrà a galla. La mia coscienza è assolutamente pulita e sereno".

ASTENSIONE LEGA - Il partito di Bossi aveva annunciato il voto favorevole all'arresto del deputato del Pdl, ma alla fine i suoi rappresentanti in Giunta si sono astenuti. "L'astensione di oggi non è preclusiva, in aula mercoledì voteremo come ci ha indicato Bossi". Così il deputato leghista, Luca Rodolfo Paolini, uscendo dalla seduta della giunta. "Siamo rimasti al nostro posto - spiega Paolini - e abbiamo deciso di non votare perché quella presentata non era la relazione ufficiale. C'è stato un errore procedurale - conclude - questo non cambia il nostro indirizzo di voto". Da parte sua Maroni ha preferito evitare ogni dichiarazione. "Non posso rispondere" ha risposto il ministro dell'Interno al cronista che gli chiedeva un commento sul fatto.

"PALETTO CHIARO DELL'IDV" - Il leader di Idv Antonio Di Pietro rivendica il risultato ottenuto. "Italia dei valori ha messo un paletto chiaro - ha spiegato a Montecitorio Di Pietro -. Oggi c'è la richiesta di arresto su uno, domani su un altro e chissà su quanti altri ancora... C'è una nuova Tangentopoli che richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria". Di Pietro se l'è presa anche con la maggioranza: "È ora di dire basta ai giochetti delle tre carte della maggioranza", con Pdl e Lega pronti a "rinviare per non decidere mai e impedire alla magistratura di indagare".

Redazione online

15 luglio 2011 19:19

 

IN PM DI MILANO mesi fa haNNO comunque acquisito alcune carte dell'inchiesta napoletana

"Nessun legame tra P4 e Mediolanum"

Il procuratore Bruti Liberati e l'indgine sulla presunta soffiata su una verifica fiscale alla banca

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MILANO - "Non c'è alcun collegamento con l'indagine sulla P4 ma c'è un'indagine per una fuga di notizie con un'ipotesi di reato specifica". Il procuratore capo della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, fa così chiarezza sull'inchiesta relativa a una presunta soffiata su una verifica fiscale a banca Mediolanum, che è stata aperta per rivelazione di segreto d'ufficio a carico di ignoti. La Procura di Milano mesi fa ha comunque acquisito alcune carte dell'inchiesta napoletana che riguarderebbero, appunto, la presunta soffiata. E c'è anche da dire che i pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock sarebbero convinti che la "fonte" della soffiata su Mediolanum sia il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi, coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Bruti Liberati ha spiegato che l'inchiesta milanese, che nulla ha a che vedere con quella sulla P4, dovrà stabilire se è stato rivelato un segreto d'ufficio, se c'è stato davvero un preavviso a Banca Mediolanum e se questo preavviso è stato dato da una persona tenuta al segreto istruttorio, cioè da un pubblico ufficiale. Il procuratore ha poi ripetuto: "Noi non ci occupiamo della P4. A Milano - ha ricordato - ci siamo occupati della P2 e con una certa efficacia".

"NESSUN PREAVVISO" - In un comunicato Banca Mediolanum fa sapere dal canto suo di "non aver mai ricevuto alcun "preavviso"" di imminenti ispezioni fiscali.

"PIENA FIDUCIA NELLA GDF" - "Abbiamo piena fiducia nella Guardia di Finanza di Milano" ha detto anche Bruti Liberati, spiegando che l'inchiesta sulla presunta fuga di notizie relativa ad una verifica fiscale a Mediolanum è stata affidata al Nucleo di Polizia Tributaria della Gdf del capoluogo lombardo. "L'indagine - si legge in un comunicato del procuratore - affidata al procuratore aggiunto Alfredo Robledo, è stata delegata al Nucleo Polizia Tributaria di Milano della Guardia di Finanza, lo stesso che ebbe ad effettuare a suo tempo la verifica, segnalando già nel marzo scorso alcune criticità". A marzo, infatti, il comandante del Nucleo di Polizia Tributaria, Vincenzo Tomei, firmò un'informativa e la inviò alla Procura di Milano per segnalare che durante la verifica fiscale, ordinata nell'ambito di un'altra indagine del pm Carlo Nocerino, era stata rinvenuta una mail scambiata tra due funzionari di Mediolanum dalla quale sarebbe emerso che erano stati preavvisati dell'ispezione.

Redazione online

15 luglio 2011 18:00

 

 

inchiesta p4

P4, Bisignani resta ai domiciliari

Lo ha stabilito il tribunale del Riesame, confermando la misura cautelare emessa dal gip

L'auto con a bordo Luigi Bisignani lascia l'ufficio del Gip il 20 giugno 2011 a Napoli (Ansa)

L'auto con a bordo Luigi Bisignani lascia l'ufficio del Gip il 20 giugno 2011 a Napoli (Ansa)

MILANO - Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal gip nei confronti di Luigi Bisignani, l'ex giornalista diventato uomo d'affari, principale indagato nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P4. La decisione è giunta dopo molte ore di camera di consiglio.

"NON ALZIAMO POLVERONI" - Immediato il commento del procuratore del capoluogo partenopeo, Giovandomenico Lepore. "La decisione del Riesame e quella della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dimostrano ancora una volta che la Procura di Napoli non alza polveroni, ma mette insieme fatti" ha dichiarato Lepore. Il procuratore fa anche un riferimento ad Alfonso Papa, ex pm e attuale deputato del Pdl, per il quale è stato chiesto l'arresto. "È interessante mettere in risalto - ha detto - che i reati per cui i giudici hanno confermato le misure cautelari sono addebitati anche a Papa a titolo di concorso". Per il capo dei pm napoletani "quella della P4 è una tragedia italiana e personale, ma l'ipotesi accusatoria ha trovato conferma e la decisione dei giudici dimostra che le critiche che ci sono state mosse erano del tutto infondate".

Redazione online

15 luglio 2011 19:28

 

 

 

 

 

2011-07-14

lo scrive in una lettera indirizzata a Pisanu

Il ministro Romano all'antimafia "Ascoltatemi, non sono colluso"

Il ministro delle politiche agricole: "Io non ci sto". E l'Idv vuole sfiduciarlo

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Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano (Ansa)

Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano (Ansa)

MILANO - " In questa rappresentazione tragica, qualcuno vuole assegnarmi la parte del colluso con la Mafia, io non sono d'accordo! Per quanto sopra, Le chiedo di convocarmi presso la Commissione che Ella presiede per una Audizione". Il ministro Saverio Romano leader di Pid lo scrive in una lettera indirizzata al presidente della Commissione antimafia Beppe Pisanu, a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico. L'Idv sta pensando ad una mozione di sfiducia.

MOZIONE SFIDUCIA - "L'Idv vuole far votare una mozione di sfiducia nei miei confronti? Lo facciano se hanno i numeri..." chiede Romano a proposito dell'annuncio di Antonio Di Pietro di una mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti da far votare nell'aula della Camera. "Non dipende certo da me se viene inserita in calendario- spiega il titolare dell'Agricoltura- ma se viene concretizzata spero che lo si faccia il prima possibile. Ma serve il 10 per cento dell'assemblea, quindi...".

INGROIA - "Spesso gli imputati si difendono come credono. Provare a buttarla in politica è un metodo per difendersi, che non sempre paga" ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, commentando le affermazioni del ministro, che si è definito "vittima di una vendetta politica".

LE ACCUSE - Per i pm che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio, il ministro Romano avrebbe nel tempo sostenuto Cosa nostra e avuto rapporti diretti o mediati con diversi elementi di spicco dell'associazione mafiosa. "Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale - scrivono i magistrati - Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella". Secondo i pm, inoltre, il ministro avrebbe "messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi". In particolare, nella richiesta di rinvio a giudizio i pm fanno cenno all'interessamento di Romano a candidare, su input del boss Guttadauro, Mimmo Miceli, poi condannato per mafia, alle regionali del 2001.

Redazione online

14 luglio 2011 15:42

 

 

INCHIESTA P4 - LA Lega: "Arresto? Valuteremo"

Papa, nessun voto sul suo arresto

Riunita la Giunta per le autorizzazioni per la Camera

ma il relatore ritira la proposta di dire "no"

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Alfonso Papa (Ansa)

Alfonso Papa (Ansa)

MILANO - Nessun voto su Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl coinvolto nell'inchiesta sulla P4. Con un colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni della Camera, il relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl) ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa nei confronti del deputato dal Gip di Napoli. La Giunta si è così aggiornata per venerdì alle 12.

STRATEGIA - Fino alle prime ore di giovedì mattina, si pensava che i deputati del Pdl avrebbero chiesto in Giunta di rinviare l'esame del voto. Il problema infatti, per il Pdl, è scongiurare le divisioni della Lega su questo fronte. L'obiettivo, sarebbe invece di rimandare all'aula di Montecitorio, chiamata ad esprimersi il 20 luglio su Alfonso Papa, la decisione finale con voto segreto.

CASTAGNETTI - "Quando durante la riunione io ho stretto chiedendo di passare al voto, è stato tolto l'oggetto del voto , cioè la proposta avanzata dal relatore di non dare l'autorizzazione" ricostruisce il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti. "Allora - prosegue - ho chiesto se ci fosse un'altra proposta ma nell'immediato nessuno era in grado di formularla e l'onorevole Palomba dell'Idv ha dato la sua disponibilità a presentarne una domani (venerdì, ndr)". Dunque "domani voteremo sicuramente"ma "la giunta potrebbe prendere atto che non è in grado di esprimere un parere".

LEGA - Marco Reguzzoni punta il dito contro "fantasiose ricostruzioni giornalistiche" sulla posizione della Lega Nord, sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa e sulle altre richieste di autorizzazione in corso di esame precisando che "non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega". Reguzzoni ribadisce invece che la Lega voterà "a favore di ogni richiesta inerente l'acquisizione di materiale, tabulati telefonici e quant'altro possa agevolare nell'accertamento della verità, muovendoci, come sempre abbiamo fatto, nella totale trasparenza". Sulle richieste di arresto "bisognerà valutare tenendo conto delle accuse caso per caso".

Redazione online

14 luglio 2011 14:42

 

 

 

 

2011-07-10

Il retroscena | Il capo del governo: è una rapina a mano armata

Berlusconi: così finanzierò

la campagna del Pd

La rassicurazione del premier ai suoi: danno sostenibile

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

ROMA - "Finirà che pagherò io la prossima campagna elettorale del Pd...". Brucia più di tutto che il creditore che può escutere la fideiussione prestata dalle sue aziende sia la Cir di Carlo De Benedetti, il nemico di una vita, nemico imprenditoriale e politico, un signore che "ha la tessera numero 1 del Pd".

Brucia per il Cavaliere una decisione attesa da giorni, sulla quale non si era fatto illusioni ("figuriamoci se i giudici di Milano mi daranno ragione", diceva nelle ultime ore), ma che da ieri è nero su bianco su una sentenza esecutiva.

Berlusconi ieri meditava sulla botta ricevuta in Sardegna, nella sua villa affacciata sul golfo di Marinella, negandosi alla maggior parte delle persone che lo chiamavano. C'era per i figli, che ha provveduto lui stesso a rassicurare, per gli amministratori delle sue aziende, che hanno ragionato con lui sul danno che ne potrebbe derivare per gli investimenti futuri, e per pochissimi altri.

Per il resto il silenzio ufficiale nel quale si è chiuso il presidente del Consiglio rappresentava la cifra di una passaggio comunque drammatico: Berlusconi ha rassicurato tutti, ieri e negli ultimi giorni, sulla sostenibilità del danno economico che il pagamento della condanna comporterebbe per le sue imprese; utili non distribuiti e liquidità pregresse dovrebbero comunque consentire di affrontare l'esborso; ma non c'è dubbio che resterebbe comunque il segno di una botta finanziaria e politica non indifferente.

Il segno di quella che considera una "sentenza farsa", "una rapina a mano armata", secondo alcune delle definizioni che ha usato lui stesso, era ieri ben rappresentato nel fuoco di dichiarazioni che provenivano dal Pdl: esternazioni che paragonavano il giudizio civile di secondo grado ora a un "esproprio proletario" ora a un "ricatto politico" gravido di conseguenze sulla stessa legislatura.

Oggi il Cavaliere dirà la sua ufficialmente, collegandosi in mattinata con la festa della Libertà di Mirabello, e c'è da immaginarsi che non sarà tenero con dei giudici che secondo il suo avvocato Ghedini hanno formulato una sentenza "del tutto illogica".

Di certo il premier considera inaudita la condanna, ancor di più la quantificazione del danno (circa il doppio del valore delle quote che la Fininvest possiede in Mondadori), incredibile poi quel passaggio della sentenza in cui la sua corresponsabilità nella vicenda corruttiva alla base del giudizio viene desunta con una "presunzione" probatoria.

E se c'è da attendersi che il suo intervento di oggi sarà molto duro, c'è anche da aspettarsi che verrà ribadita la voglia di non mollare, anzi quel particolare ragionamento per cui se non ci fossero gli attacchi giudiziari e ora anche patrimoniali una certa voglia di lasciare la scena verrebbe assecondata.

"Nemmeno in Unione Sovietica si poteva ipotizzare una dinamica simile, un trasferimento coatto di denaro, ancorché per via giudiziaria, dal capo del governo al capo ideale dell'opposizione, all'editore del giornale dei magistrati...", riassumevano ieri nel governo, dando una lettura meramente politica della sentenza emessa dai giudici civili.

Il Cavaliere e i legali delle sue aziende faranno di tutto per non pagare, almeno oggi, quanto deciso dai giudici. Sembra scontato che verrà chiesta una sospensione dell'esecutività della sentenza, per gravi danni incombenti sulle imprese berlusconiane. E qualcuno non esclude che una norma "utile" possa ricomparire nei prossimi giorni nella manovra o in altro provvedimento parlamentare, anche se al momento indiscrezioni di questo tipo sembrano in realtà poco fondate.

Marco Galluzzo

10 luglio 2011 09:49

 

 

Il lungo duello

Quel duro giudizio sul Cavaliere

E tornano le ombre dei conti esteri

I soldi al giudice Metta e la sentenza su Previti

Meglio sborsare 560 milioni che 750. Ma, quasi quasi, conveniva non risparmiare (come padrone di Fininvest) i 190 scontatigli dalla Corte d'Appello, piuttosto che farsi stampare l'etichetta (come premier) di corruttore di giudice.

Luigi De Ruggiero, presidente della seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano

Luigi De Ruggiero, presidente della seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano

Costa infatti caro al premier, in reputazione, il risparmio economico di un quarto dei 750 milioni inflitti alla sua Fininvest nel 2009 dal giudice Mesiano come risarcimento alla Cir: in 283 pagine la sentenza civile d'Appello, che gli fa lo sconto, è molto più incisiva e stringente nell'indicarlo "corresponsabile" della medesima "corruzione" costata nel 2007 all'avvocato Cesare Previti e al giudice Vittorio Metta condanne penali definitive, e invece sfociata per Berlusconi nel 2001 nella prescrizione. E sancisce che il controllo della prima casa editrice del Paese è in mano a chi 20 anni fa si avvantaggiò della compravendita di una sentenza: l'annullamento in Corte d'Appello civile a Roma il 24 gennaio 1991 del "lodo Mondadori", cioè della decisione di un collegio arbitrale di tre giuristi scelti dalle parti per dirimere l'interpretazione (controversa nella contesa con Berlusconi per il controllo dell'azienda editoriale) degli accordi con la famiglia Formenton, erede delle quote del genero di Arnoldo Mondadori. Quel lodo arbitrale era stato favorevole a De Benedetti, ma il suo annullamento spianò la strada a Berlusconi, giacché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest: transazione mediata dall'allora imprenditore andreottiano e oggi parlamentare pdl Giuseppe Ciarrapico, e infine culminata nella spartizione tra libri, settimanali (tra cui Panorama) e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi, e invece Espresso, Repubblica e i quotidiani locali a De Benedetti.

Nel penale un'altalena di 7 processi tra il 1996 e il 2007 ha infine stabilito in via definitiva che in cambio dell'annullamento del lodo arbitrale Previti, nell'interesse dell'azienda di Berlusconi, insieme ai legali Attilio Pacifico e Giovanni Acampora fece pervenire al giudice Metta 400 milioni di lire in contanti, provenienti dai 2 milioni e 732.868 dollari (3 miliardi di lire) che appena 20 giorni dopo la sentenza di Metta i conti esteri Fininvest All Iberian e Ferrido avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto svizzero Mercier di Previti. Le sentenze definitive il 13 luglio 2007 inflissero al giudice Metta 2 anni e 9 mesi (in continuazione con altri 6 anni per la corruzione nel processo Imi-Sir), e 18 mesi a Previti (in aggiunta ai 6 anni di Imi-Sir).

L'unico a non subire conseguenze penali fu proprio Berlusconi, che nel 2001 aveva visto Previti e Metta rinviati a giudizio dalla Corte d'Appello su ricorso dei pm contro l'iniziale proscioglimento di tutti, mentre egli era stato l'unico a giovarsi delle attenuanti generiche che ne avevano determinato la prescrizione. Ma ieri i giudici civili, paradossalmente proprio accogliendo la tesi di Fininvest che non voleva essere schiacciata sotto il peso della condanna penale di Previti maturata in processi nei quali la società non era presente, rifanno "un autonomo giudizio sulla sussistenza della vicenda corruttiva e sulle responsabilità". Anche del premier, sul cui conto valorizzano "la provenienza di 2.732.868 dollari bonificati a Previti (in vista delle già dimostrate finalità corruttive) dai conti All Iberian e Ferrido dei quali è accertata l'appartenenza a Fininvest", e "la posizione di vertice in Fininvest".

Va bene tutto, ragionano i giudici, ma "è fuori da ogni plausibile logica che nel febbraio 1991 una qualsiasi persona fisica abbia versato 3 miliardi di lire di Fininvest a Previti, in mancanza di una obbligazione debitoria nei suoi confronti, perché li gestisse nell'interesse della medesima Fininvest anche e soprattutto a fini corruttivi, tenendo all'oscuro il proprietario della società pagatrice e beneficiaria. E' ovvio che nessun gestore o collaboratore, neppure al più alto livello, avrebbe mai assunto su di sé la responsabilità ed il rischio in mancanza di un'univoca direttiva del dominus", a meno non si voglia credere ad "audaci corruttori che in autonomia sottraggono 3 miliardi a Fininvest per consumare una corruzione "clandestina" rispetto allo stesso soggetto pagatore e beneficiario dell'illecito": una tangente "per immedesimazione organica". Invece nel "mondo della normalità è certo, essendo il contrario addirittura irreale, che il dominus della società abbia promosso o consentito la condotta criminosa, realizzata con denaro suo ed a suo illecito profitto attraverso esecutori materiali a lui strettamente legati".

Già 10 anni fa in sede penale "in base al materiale probatorio disponibile non è emersa l'evidente innocenza dell'imputato", e "il proscioglimento fu disposto solo a seguito della concessione delle attenuanti generiche". Benché dal 1992 il privato corruttore e il magistrato corrotto rischiassero la stessa pena, la giurisprudenza riteneva che per l'ipotetico "corruttore privato" (Berlusconi) non potessero valere le stesse pene del "corrotto magistrato" (Metta) fra il 26 aprile 1990 e il 7 febbraio 1992, cioè nel periodo nel quale le norme sulla corruzione dei magistrati non lo prevedevano espressamente. La contestazione a Berlusconi (400 milioni nel 1991 a Metta) cadeva proprio in questo vuoto normativo, e così prevalse la tesi che per il "privato" Berlusconi le pene teoricamente applicabili fossero quelle non della "corruzione in atti giudiziari", ma della "corruzione semplice", più basse ed esposte alla prescrizione. Qui infatti entrarono in gioco le attenuanti generiche, negate a Previti e Metta, ma nel 2001 concesse al premier nel presupposto avesse agito "nell'ambito di un'attività imprenditoriale le cui zone d'ombra non possono condurre a una preconcetta valutazione ostativa" ora che le sue "attuali condizioni individuali e sociali" sono di "oggettivo rilievo": quelle attenuanti ebbero l'effetto di dimezzare i termini massimi da 15 anni a 7 anni e mezzo, facendo appunto scattare il proscioglimento per prescrizione ridatata al 14 ottobre 1999. E per i giudici civili ciò "comporta necessariamente la seguente progressione logica: la Corte, che in sede penale prosciolse Berlusconi, doveva aver messo in relazione un fatto storico costituente reato attribuito all'imputato" Berlusconi (la corruzione del giudice Metta) "con le valutazioni di concessione delle attenuanti generiche. Il primo elemento è logicamente precedente al secondo. E, per svolgere l'operazione logica, non si può che postulare la sussistenza del reato come ascritto all'imputato".

Luigi Ferrarella

10 luglio 2011 09:52

 

In manette l'imprenditore Tommaso di Lernia. ai domiciliari Massimo De Cesare (Eurotec)

Appalti Enav, arrestati due imprenditori

Indagato Milanese: è accusato di finanziamento illecito ai partiti

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Gip: paga la casa a Tremonti. Il ministro: solo ospite, vado via (8 luglio 2011)

Marco Milanese (Imagoeconomica)

Marco Milanese (Imagoeconomica)

MILANO - Il gip di Roma ha emesso due provvedimenti di custodia cautelare, uno in carcere nei confronti dell'imprenditore Tommaso di Lernia, già finito in manette per corruzione e fatturazione di operazioni inesistenti nell'inchiesta sugli appalti dell'Enav, e uno ai domiciliari per Massimo De Cesare, amministratore delegato di Eurotec. Nell'inchiesta è indagato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl, ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, del quale giovedì la magistratura di Napoli ha richiesto l'arresto. Per lui l'accusa è di finanziamento illecito ai partiti.

L'IMBARCAZIONE - I provvedimenti riguardano il filone di indagine relativo alla vendita a Eurotec, società che si occupa della costruzione di opere civili, di una barca da 15 metri acquistata in leasing (per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro al mese) da Milanese. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Roma la vendita dell'imbarcazione "Mochi Craft" ad un prezzo maggiorato rispetto al suo valore, sarebbe stata la contropartita richiesta da Milanese in cambio della nomina, decisa dal cda di Enav su suo input, dell'ex consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo, Fabrizio Testa, a presidente di Technosky, società controllata di Enav. Al fine di ottenere la nomina, Testa si sarebbe rivolto a Lorenzo Cola, l'ex consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, che avrebbe coinvolto Di Lernia per risolvere il problema della vendita dell'imbarcazione. A questo punto Di Lernia contatta De Cesare che avrebbe proceduto all'acquisto della barca pagandola circa 1,9 milioni di euro contro un valore stimato di 1,4 milioni. A Milanese sarebbero andati 224 mila euro. (fonte Ansa)

 

08 luglio 2011(ultima modifica: 10 luglio 2011 16:44)

 

 

per concorso in associazione mafiosa a carico del titolare delle Politiche agricole

Mafia, il gip chiede l'imputazione

coatta del ministro Romano

Non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura

Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica)

Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica)

PALERMO - Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (cioè quando non archivia, ndr). A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio.

"ADDOLORATO E SCONCERTATO" - "Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo dice il ministro Saverio Romano, commentando la decisione del gip di Palermo. "Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento".

Redazione online

08 luglio 2011(ultima modifica: 10 luglio 2011 16:43)

 

 

 

 

 

2011-07-09

IL RISARCIMENTO SARà LIQUIDATO NEI PROSSIMI GIORNI

Lodo Mondadori, l'Appello conferma

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Spunta la norma sul Lodo Mondadori (4 luglio 2011)

Berlusconi: "Dove trovo i soldi, se condannato?" (15 giugno 2011)

MILANO - Maxisconto dei giudici a Silvio Berlusconi sul "lodo Mondadori": un quarto secco in meno, da 750 a 560 milioni di euro. Ma per il premier questo risparmio di 190 milioni è l’unica buona notizia: anche la seconda Corte d’Appello civile di Milano, infatti, condanna la società del presidente del Consiglio e dei suoi figli a pagare alla Cir complessivamente 560 milioni (tra capitale, interessi legali dall’ottobre 2009 e spese legali) come risarcimento a Carlo De Benedetti per i danni causati all’editore di "Repubblica" dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 inquinò la fine del braccio di ferro tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della prima casa editrice italiana, la Mondadori.

LA SOMMA - L’entità della somma si compone del risarcimento vero e proprio, quantificato in 540 milioni di euro; degli interessi legali del 2,5% a partire dalla data della sentenza di primo grado emessa dal giudice Raimondo Mesiano, cioè dall’ottobre 2009; e delle spese legali fissate in 8 milioni di euro. A determinare gran parte della riduzione del risarcimento è stato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio che nel marzo 2010 la Corte d’Appello aveva affidato ai professori Luigi Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli per verificare "se fra giugno 1990 e aprile 1991e siano intervenute variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti": quesito al quale i tre consulenti hanno risposto calcolando una riduzione del valore delle aziende attorno al 18,8%.

I TEMPI- Nella giustizia civile le sentenze sono immediatamente esecutive già dopo il primo grado, ma nel dicembre 2009 gli avvocati delle due parti (Giuseppe Lombardi, Giorgio De Nova, Achille Saletti e Fabio Lepri per Fininvest, Elisabetta Rubini e Vincenzo Ruoppo per Cir) raggiunsero un’intesa per "congelare" il versamento a fronte di due condizioni: una maxifidejussione di 800 milioni prestata da un pool di quattro banche alla Fininvest in favore della Cir, e l’impegno della Corte d’Appello a definire in tempi rapidi la causa di secondo grado iniziata il 24 febbraio 2010. Questo significa che ora la Cir — appena nel giro di qualche giorno avrà in mano le copie "registrate" della sentenza firmata dai giudici Luigi De Ruggiero (presidente), Walter Saresella (relatore) e Giovambattista Rollero — avrà titolo per escutere la fidejussione in Banca Intesa Sanpaolo (capofila del pool con Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Sondrio) e così incassare immediatamente i 560 milioni di euro sanciti dai giudici d’Appello. Proprio quello che voleva scongiurare il codicillo infilato di soppiatto dopo il Consiglio dei Ministri nel testo della Legge Finanziaria, ritirato dopo le polemiche ma nel contempo rivendicato come "sacrosanto" dal premier e ora destinato (secondo quanto dichiarato da Berlusconi e da membri della sua maggioranza) a poter essere resuscitato sotto forma di emendamento nel corso dell’iter parlamentare della manovra contabile.

Berlusconi

Berlusconi

LA VICENDA- L’odierna causa civile, foriera dei 560 milioni di euro di risarcimento alla Cir, è diretta conseguenza dei processi penali scaturiti dall’inchiesta avviata nel 1996 dai pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo. I dibattimenti hanno già stabilito in via definitiva che l’avvocato Fininvest Cesare Previti, nell’interesse dell’azienda di Berlusconi, insieme ai legali Attilio Pacifico e Giovanni Acampora fecero pervenire al giudice Vittorio Metta 400 milioni di lire in contanti, parte dei 3 miliardi che 20 giorni dopo la sentenza di Metta i conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto estero "Mercier" di Previti. Per cosa? In cambio della compravendita di un verdetto, l’annullamento in Corte d’Appello civile a Roma del "lodo Mondadori", e cioè della decisione di un collegio arbitrale di tre giuristi scelti dalle parti per dirimere la controversa interpretazione degli accordi con la famiglia Formenton erede delle quote del genero di Arnoldo Mondadori, decisione che inizialmente era stata favorevole a De Benedetti nella contesa con Berlusconi per il controllo della casa editrice Mondadori. Quell’annullamento in Appello spianò la strada a Berlusconi perché pose la Cir nella condizione di trattare da una posizione molto più debole il compromesso con Fininvest: una transazione mediata dall’allora imprenditore andreottiano e oggi parlamentare pdl Giuseppe Ciarrapico, e infine sfociata nella spartizione del gruppo editoriale con i libri, i settimanali (tra cui "Panorama") e un conguaglio di 365 miliardi di lire a Berlusconi, e invece "l’Espresso", "Repubblica" e i quotidiani locali "Finegil" a De Benedetti. I processi penali si sono conclusi il 13 luglio 2007 in Cassazione con la condanna per corruzione del giudice Metta a 2 anni e 9 mesi (in continuazione con altri 6 anni già inflittigli per l’altro processo Imi-Sir), dell’avvocato Previti a 1 anno e mezzo (in aggiunta ai 6 anni di Imi-Sir), e dei legali Pacifico e Acampora a 1 anno e mezzo in continuazione con le precedenti condanne per Imi-Sir rispettivamente a 6 anni e a 3 anni e 8 mesi. L’unico a non subire conseguenze penali è stato proprio Silvio Berlusconi, il quale, seppure indagato per il medesimo reato costato poi la condanna a Previti, ottenne nel 2001 la prescrizione grazie al fatto che nella fase del rinvio a giudizio i giudici concessero, esclusivamente a lui, le attenuanti generiche.

Luigi Ferrarella

lferrarella@corriere.it

09 luglio 2011 19:50

 

 

LE REAZIONI - Di pietro: le sentenze si rispettano. Ghedini: la cassazione annullerà

Alfano: "Premier è sereno, Pdl con lui"

Il gruppo Cir: non è una sentenza politica

Marina Berlusconi: forsennata aggressione dei giudici, faremo ricorso. Il Pd: dichiarazioni eversive

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Carlo De Benedetti e Marina Berlusconi (Photoviews)

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MILANO - "È una sentenza che sgomenta e lascia senza parole": lo afferma il presidente di Fininvest Marina Berlusconi, nella lunga dichiarazione dopo la sentenza del Lodo Mondadori. "È una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre - scrive ancora Marina Berlusconi - con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Dopo aver parlato di "attacco" da parte della magistratura milanese in particolare e del gruppo editoriale De Benedetti, il presidente Fininvest afferma che il risarcimento da 560 milioni di euro è "una somma spropositata", "addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori". "Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte ad un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti né nelle regole del diritto. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione", conclude Marina Berlusconi.

ALFANO: PREMIER SERENO - "Siamo certi che questo episodio non toglierà al Premier la serenità necessaria per governare, come ha sempre fatto, nell'interesse esclusivo dell'Italia e degli italiani". Lo ha detto il ministro della Giustizia e segretario del Pdl, Angelino Alfano commentando la sentenza sul Lodo Mondadori "Il Pdl è al fianco del presidente Silvio Berlusconi con determinazione e con affetto - ha aggiunto - e sottolinea che si tratta di una decisione che, per essere definitiva, dovrà certamente avere il vaglio di altri giudici".

CIR: LA POLITICA NON C'ENTRA - La Cir, in una nota diffusa dai legali Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, esprime "soddisfazione" per la condanna che "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell’interesse di Fininvest". "Con particolare soddisfazione - si legge ancora nella nota - si registra il passaggio della sentenza dove si riconosce che, corrompendo il giudice Metta, Fininvest tolse a Cir non la semplice chance di vincere nel 1991 la causa sul controllo del gruppo Mondadori -Espresso, ma la privò senz’altro di una vittoria che senza la corruzione giudiziaria sarebbe stata certa". La nota sottolinea inoltre che "il contenzioso giudiziario sul Lodo Mondadori, relativo a fatti avvenuti oltre venti anni fa, riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all’attualità politica".

SACCONI: MODERATI UNITI CONTRO L'AGGRESSIONE - Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sostiene la tesi dell'"aggressione" di Marina Berlusconi. E indica, come unica riposta, la linea dell'"unità dei moderati" proposta dal neo-segretario Alfano . "Nel momento in cui massima è l'intensità dell'aggressione mediatico-giudiziaria nei confronti del governo e del presidente del Consiglio, come evidenzia la stessa sentenza Mondadori, altrettanto e ancor di più intensa può e deve essere la risposta politica a coloro che vogliono commissariare l'Italia nel nome di interessi particolari. E questa risposta è il dichiarato disegno dell'unità dei moderati e dei riformisti nel segno del popolarismo europeo che il nuovo segretario politico del Pdl, Alfano, ha indicato come il cuore del suo mandato". Il ministro lo fa sapere in una nota, in cui aggiunge che "è quindi particolarmente significativa l'adesione di tre dei fondatori del Fli, Ronchi, Urso e Scalia, a questo progetto in coerenza con il loro percorso politico".

PD: DICHIARAZIONI EVERSIVE - Ettore Rosato, esponente dell'Ufficio di presidenza del Gruppo del Pd alla Camera, commenta le dichiarazioni di Marina Berlusconi: "Era scontata la discesa in campo, con toni isterici, degli esponenti del Pdl a difesa dell'azienda del loro capo, anche se non è affatto giustificata perché le sentenze si rispettano. Preoccupano molto, invece, le dichiarazioni della stessa famiglia Berlusconi che sfiorano l'eversione e si pongono pericolosamente fuori dalla legalità".

DI PIETRO: SENTENZE SI RISPETTANO - "Le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. E se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. È inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi". Lo afferma in una nota il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro.

BINDI: CHIUDERE QUESTO VENTENNIO - "È una sentenza che come tutte le sentenze esecutive deve essere rispettata. Ho visto che faranno ricorso in Cassazione. Auguri, intanto dovranno comportarsi come tutti i normali cittadini. E da questa sentenza abbiamo capito chiaramente che quella norma messa in Finanziaria non era per tutti gli italiani, ma era per un italiano, guarda caso sempre lo stesso", ha detto la presidente del Pd Rosy Bindi. Per Bindi "è arrivato il tempo di chiudere questo ventennio" ed "è l'ora che l'Italia sia liberata da questa maggioranza, da questo presidente del Consiglio, da questo Governo".

CAPEZZONE: CLIMA DA PIAZZALE LORETO - "Credo che occorra togliersi le appartenenze politiche e di partito. Le sentenze vanno rispettate, ma questa a me pare enorme, abnorme. Rischia di essere una mazzata per un'azienda che dà posti di lavoro a moltissimi italiani". Lo ha detto il portavoce del Pdl Daniele Capezzone. "C'è da troppo tempo, contro Silvio Berlusconi, un clima da Piazzale Loreto, con forsennati attacchi politici e personali", aggiunge Capezzone.

GHEDINI: CASSAZIONE ANNULLERA' - "La Corte d'Appello di Milano ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per sé erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest". Lo dichiara il parlamentare del Pdl e legale del premier, Niccolò Ghedini. "È la riprova, se ve ne fosse stato bisogno, che a Milano è impossibile, quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi, celebrare un processo che veda la applicazione delle regole del diritto. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza, tale prova sarà ancora più evidente. Comunque la Corte di Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza".

BONDI: GIUSTIZIA VIOLENTA - "Di fronte alla sentenza Mondadori l'unica cosa che si può dire è che a questo punto solo degli osservatori neutrali, rappresentanti di istituzioni internazionali, sarebbero in grado di verificare le modalità anomale e violente, più simili a Paesi totalitari che a democrazie civili, in cui si esercita l'amministrazione della giustizia in Italia", è il commento dell'ex ministro Sandro Bondi.

STRACQUADANIO: SENTENZA COMPRATA - "La sentenza di oggi è l'ennesimo atto di una trama criminale di natura politico-giudiziaria ordita contro la discesa in campo di Silvio Berlusconi. È evidente a tutti che lo scopo di un manipolo di magistrati felloni e golpisti - che si annida nel palazzo di giustizia di Milano e gode di complicità a tutti i livelli politici, imprenditoriali e istituzionali - è il massacro politico, imprenditoriale e fisico del presidente del Consiglio". Lo dichiara - in una nota - Giorgio Stracquadanio, deputato del Pdl. La vicenda, per Stracquadanio, "dimostra che il vero modo con cui si comprano sentenze favorevoli a un gruppo di potere è quello di assecondare, con un sapiente uso dei mezzi di comunicazione di massa, il disegno politico della magistratura militante".

Redazione online

09 luglio 2011 19:48

 

LA SCHEDA

[Esplora il significato del termine: la scheda Lodo Mondadori, le tappe della vicenda Il processo iniziato il 4 ottobre 2001, imputati Previti, Pacifico, Metta e Acampora NOTIZIE CORRELATE Lodo Mondadori, l’Appello conferma la condanna a Berlusconi (con lo sconto) Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori, i cui risvolti civili il 3 ottobre del 2009 hanno portato il giudice Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano a condannare la Fininvest a versare, per danno patrimoniale, un risarcimento di 750 milioni di euro a Cir. Oggi la seconda sezione civile della Corte d’Appello ha condannato Fininvest a pagare 540 milioni più spese ed interessi per un totale di circa 560 milioni. 4 ottobre 2001 - Davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano, presidente Paolo Carfì, comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati per corruzione in atti giudiziari sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. Qualche mese prima i giudici della quinta sezione della Corte d’Appello di Milano ritengono che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice. Reato che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, viene dichiarato prescritto. 28 gennaio 2002 - il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, viene riunito con quello sul Lodo Mondadori. 29 aprile 2003 - Il Tribunale condanna a 13 anni Vittorio Metta, a 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, a 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, a 6 anni Felice Rovelli, a 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde. 7 gennaio 2005 - Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d’appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori. 23 maggio 2005 - I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni. Per la vicenda Lodo Mondadori l’avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste". 4 maggio 2006 - Per il caso Imi/Sir, la Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l’accusa per Felice Rovelli. Per il Lodo Mondadori, la Suprema Corte accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005. 18 dicembre 2006 - Davanti alla terza sezione della Corte d’appello di Milano, comincia il nuovo processo di secondo grado per il Lodo Mondadori. 23 febbraio 2007 - I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e 9 mesi. 13 luglio 2007 - Le condanne del processo bis di secondo grado vengono confermate dalla Cassazione che ha così cristallizzato l’ipotesi delle indagini avviate nel 1996 dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d’ Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. La somma, questa l’accusa, faceva parte dei 3 miliardi di lire che il 14 febbraio 1991, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, dai conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" vennero bonificati sul conto svizzero "Mercier" di Previti, e che poi vennero movimentati da Acampora e Pacifico per fare arrivare, appunto, i 400 milioni a Metta. 3 ottobre 2009 - La prima sezione del Tribunale di Milano ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da ’perdita di chancè subito nella vicenda per la "battaglia di Segrate". Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla condanna penale definitiva per corruzione in atti giudiziari di Metta, Previti, Acampora e Pacifico. 9 luglio 2011 - La seconda sezione civile della Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado alla Fininvest riducendo però il risarcimento dovuto alla Cir a circa 560 milioni di euro compresi spese ed interessi. (fonte: Ansa) 09 luglio 2011 10:15] la scheda

Lodo Mondadori, le tappe della vicenda

Il processo iniziato il 4 ottobre 2001, imputati Previti, Pacifico, Metta e Acampora

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Ecco le tappe principali della vicenda giudiziaria per il Lodo Mondadori, i cui risvolti civili il 3 ottobre del 2009 hanno portato il giudice Raimondo Mesiano del Tribunale di Milano a condannare la Fininvest a versare, per danno patrimoniale, un risarcimento di 750 milioni di euro a Cir. Oggi la seconda sezione civile della Corte d'Appello ha condannato Fininvest a pagare 540 milioni più spese ed interessi per un totale di circa 560 milioni.

4 ottobre 2001 - Davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano, presidente Paolo Carfì, comincia il processo per il Lodo Mondadori. Imputati per corruzione in atti giudiziari sono Cesare Previti, Attilio Pacifico, Vittorio Metta e Giovanni Acampora. Qualche mese prima i giudici della quinta sezione della Corte d'Appello di Milano ritengono che nei confronti di Silvio Berlusconi è ipotizzabile il reato di corruzione semplice. Reato che, grazie alla concessione delle attenuanti generiche, viene dichiarato prescritto.

28 gennaio 2002 - il processo Imi-Sir, cominciato nel 2000, viene riunito con quello sul Lodo Mondadori.

29 aprile 2003 - Il Tribunale condanna a 13 anni Vittorio Metta, a 11 anni Cesare Previti e Attilio Pacifico, a 8 anni e 6 mesi Renato Squillante, a 6 anni Felice Rovelli, a 5 anni e 6 mesi Giovanni Acampora, 4 anni e 6 mesi Primarosa Battistella. Assolto Filippo Verde.

7 gennaio 2005 - Comincia a Milano, davanti alla seconda Corte d'appello, presieduta da Roberto Pallini, il processo di secondo grado per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori.

23 maggio 2005 - I giudici confermano la condanna di Cesare Previti per la sola vicenda Imi-Sir, assolvendolo per quella Lodo Mondadori. Previti e Attilio Pacifico hanno avuto una riduzione della condanna da undici a sette anni. Riduzioni delle pene per gli altri imputati: Vittorio Metta da 13 a 6 anni, Renato Squillante da 8 anni e 6 mesi a 5 anni, Felice Rovelli da 6 a 3 anni, Primarosa Battistella da 4 anni e 6 mesi a 2 anni. Per la vicenda Lodo Mondadori l'avvocato Giovanni Acampora, Metta, Pacifico e Previti sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste".

4 maggio 2006 - Per il caso Imi/Sir, la Cassazione riduce a 6 anni la condanna per Previti e Pacifico, conferma la condanna a 6 anni per Metta, riduce la pena per Acampora a 3 anni e 8 mesi, annulla senza rinvio la condanna per Squillante e Battistella e considera prescritta l'accusa per Felice Rovelli. Per il Lodo Mondadori, la Suprema Corte accoglie il ricorso della Procura Generale di Milano e della parte civile Cir, contro le assoluzioni del maggio 2005.

18 dicembre 2006 - Davanti alla terza sezione della Corte d'appello di Milano, comincia il nuovo processo di secondo grado per il Lodo Mondadori.

23 febbraio 2007 - I giudici condannano Previti, Acampora e Pacifico ad un anno e 6 mesi, Metta a due anni e 9 mesi.

13 luglio 2007 - Le condanne del processo bis di secondo grado vengono confermate dalla Cassazione che ha così cristallizzato l'ipotesi delle indagini avviate nel 1996 dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d' Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. La somma, questa l'accusa, faceva parte dei 3 miliardi di lire che il 14 febbraio 1991, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, dai conti esteri Fininvest "All Iberian" e "Ferrido" vennero bonificati sul conto svizzero "Mercier" di Previti, e che poi vennero movimentati da Acampora e Pacifico per fare arrivare, appunto, i 400 milioni a Metta.

3 ottobre 2009 - La prima sezione del Tribunale di Milano ha dichiarato che la Cir ha diritto al risarcimento di 750 milioni da parte di Fininvest per il danno patrimoniale da 'perdita di chancè subito nella vicenda per la "battaglia di Segrate". Il provvedimento civile è arrivato alla luce dalla condanna penale definitiva per corruzione in atti giudiziari di Metta, Previti, Acampora e Pacifico.

9 luglio 2011 - La seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado alla Fininvest riducendo però il risarcimento dovuto alla Cir a circa 560 milioni di euro compresi spese ed interessi. (fonte: Ansa)

09 luglio 2011 10:15

 

 

la scheda

Fininvest, la holding del Cavaliere

Conti, partecipazioni e struttura di controllo della finanziaria con un patrimonio di 2,5 miliardi

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Fininvest è la holding che raggruppa le proprietà della famiglia Berlusconi, ha un patrimonio di 2,5 miliardi e ha registrato utili nel 2010 per 87,1 milioni decidendo però di non versare alcun dividendo ai soci. Solo l'anno prima aveva distribuito cedole per 200 milioni di euro e così la decisione è stata collegata dagli osservatori all'imminente decisione sul Lodo Mondadori: anche dieci giorni fa, approvando i dati di bilancio, la finanziaria aveva però ribadito la convinzione che non ci fosse proprio alcun danno da risarcire, decidendo di non accantonare alcuna cifra per la vicenda.

L'intero gruppo che fa capo a Fininvest conta su ricavi per ben 5,8 miliardi e utili per 160,1 milioni. A fine anno aveva un indebitamento netto di 1,3 miliardi. La holding controlla il 39% di Mediaset, il 50% di Mondadori, il 36% di Mediolanum, oltre al Milan (100%) e al Teatro Manzoni (100%). Fa capo alla finanziaria anche la quota del 2% di Mediobanca, il "salotto buono" della finanza milanese: l'1% è conferito al patto di sindacato, e per la famiglia partecipa il presidente Fininvest Marina Berlusconi, consigliere anche dell'istituto di Piazzetta Cuccia. Fininvest ha poi una quasi il 24% di Molmed, lo spin off quotato del San Raffaele attivo nella ricerca oncologica, e il 2,06% di Aedes.

La famiglia Berlusconi controlla Fininvest tramite otto finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Inizialmente queste "scatole" erano ben 22, ridotte a otto dopo l'ultimo riassetto del 2004. Il controllo fa sempre capo a Berlusconi con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). I figli del primo matrimonio Marina (è anche presidente Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta). Nell'estate del 2005 anche i figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi, hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno attualmente il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima).

Tra le vicende famigliari, resta intanto ancora aperta la causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario, e con essa ogni eventuale impatto sul patrimonio di famiglia. Nella vicenda del Lodo Mondadori, Fininvest ha ottenuto di congelare il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti, almeno fino all'esito del processo d'appello, presentando nel dicembre 2009 una fideiussione per 806 milioni di euro garantita da Intesa Sanpaolo e controgarantita da Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio. Tecnicamente la fideiussione scadeva in aprile ma nel frattempo è stata rinnovata in attesa della sentenza. Nel bilancio 2009 Fininvest spiegava di non aver presentato alcuna garanzia o pegno per la fideiussione, "anche in considerazione del valore del patrimonio netto contabile della capogruppo, del valore economico dello stesso ed infine del merito di credito conosciuto". (fonte: Ansa)

09 luglio 2011 10:18

 

Le carte / I verbali e i documenti

La spartizione dei posti in Finmeccanica

Ecco le liste con i nomi di politici e manager

NAPOLI - Manager sponsorizzati dai politici che così si spartiscono i posti nei consigli di amministrazione delle aziende di Stato. Foglietti con le indicazioni da eseguire consegnati, alla vigilia delle nomine, da ministri e parlamentari per accaparrarsi almeno una poltrona nelle società controllate da Finmeccanica. Sono le carte dell'inchiesta condotta dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli sulla presunta corruzione di Marco Milanese - deputato pdl ed ex consigliere del ministro Giulio Tremonti - a svelare i retroscena della divisione tra partiti che consente anche il controllo degli appalti. E a rivelare quanto forte fosse l'influenza dello stesso Milanese e cospicua la contropartita che sarebbe riuscito a ottenere dai suoi "protetti": auto di lusso, gioielli, soldi in contanti, ma anche splendide ville in Costa Azzurra. Un "tesoro" che comprende pure conti all'estero.

I "consiglieri" della Lega e di La Russa

È l'esame dei computer del responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni - indagato per corruzione in un'altra indagine - a far emergere le trattative per la designazione di alcuni consiglieri. Ci sono schemi, appunti, anche alcune mail ritenute "interessanti" dagli investigatori. Durante la perquisizione nel suo ufficio è stato trovato un foglietto con una lista di politici scritti a penna: "Giorgetti, Milanese, Romani (Guerrera), Fortunato (Mef), Galli, Squillace x La Russa". Per saperne di più Piscitelli convoca Barbara Corbo, la segretaria di Borgogni. E l'11 marzo scorso la donna chiarisce: "Il file trovato nel mio computer denominato "Membri esterni controllate giu10 x Milanese.doc" tratto dalla cartella C:Borgogni 2010 e 2011, è un documento che ho redatto io recependo le indicazioni e le informazioni del dottor Borgogni... La denominazione "Lega" che compare accanto ai nomi Maffini, Ghilardelli, Belli e Vescovi, presenti nello stesso file, presumo sia riferibile al partito politico. Il nominativo La Russa che compare accanto ai nomi di Plinio, Politi e Gatti presumo sia quello dell'attuale ministro della Difesa ma tali circostanze potranno essere confermate solo da Borgogni".

Il giorno dopo l'alto dirigente di Finmeccanica viene interrogato. E conferma: "Per le nomine di terzo livello dove gli emolumenti sono molto bassi, concordo con l'ad delle società controllanti quelle dove effettuare le nomine all'interno dei curricula che arrivano o dal mondo della politica soprattutto del territorio dove sono insediate le società o dai consiglieri di amministrazione di Finmeccanica. Naturalmente le nomine di questi sette consiglieri, benché provengano formalmente dal ministero del Tesoro, sono il prodotto di una mediazione politica all'interno delle componenti della maggioranza di governo, dove il tavolo di compensazione è a Palazzo Chigi e dove confluiscono le richieste dei ministeri di riferimenti come Difesa e Sviluppo Economico con i quali Finmeccanica ha rapporti. Per le nomine di primo livello in previsione della scadenza io preparo un prospetto e lo mando ai tre ministeri, a Palazzo Chigi e ai consiglieri espressione della politica".

Le indicazioni di Scajola e Giovanardi

Borgogni si sofferma poi su chi è ancora in carica. E afferma: "Per quanto riguarda gli ultimi tre anni, Squillace è espressione del ministro La Russa, il consigliere Galli della Lega, mentre per lo Sviluppo Economico (Scajola) il riferimento è stato il consigliere Alberti, anche se formalmente espressione dell'azionista Mediobanca. Per quanto riguarda il Tesoro la lista la consegnavo a Milanese. Naturalmente da ciascuna parte ci sono state richieste per il maggior numero di persone e per il 2010 c'è stato un tavolo di compensazione e di coordinamento dove erano presenti Letta, Milanese, Giorgetti per la Lega e io che avevo ricevuto due, tre nomi da La Russa che non poteva partecipare. In questa riunione si decise poi quale parte politica doveva presentare i curricula e per quale società (per esempio la Lega a mezzo Giorgetti chiese che un posto fosse senz'altro riservato a quel partito in Ansaldo Energia riservandosi di farmi avere un curriculum forse già datomi nell'occasione) e così via... Ricordo per esempio che il nominativo di Adolfo Vittorio per Elsag Datamat me lo diede Letta per conto di Giovanardi che poi mi chiamò in prima persona... Ricordo che il nominativo di Marchese (Guido, arrestato due giorni fa, ndr ) fu proposto da Milanese nelle caselle che spettavano al Tesoro, per la presidenza del Cs di Oto Melara e per il cda di Ansaldo Energia dove fu registrata l'incompatibilità ai sensi del codice civile. Quando sorse il problema rilevammo che era stato nominato anche l'anno precedente, sempre su indicazione del Tesoro, nel Cs di Ansaldo Breda".

Tra le nomine finite nell'indagine anche quella di Giovanni Alpeggiani in rappresentanza del ministro della Salute Ferruccio Fazio nel cda del policlinico San Matteo di Pavia. Si tratta di uno dei soci di Milanese in alcuni investimenti immobiliari in Costa Azzurra, ma nel suo interrogatorio nega che a proporlo sia stato il parlamentare. "Sono stato designato - afferma - dopo che in prima battuta era stato designato Paolo Cirino Pomicino, ma poiché quella prima scelta sollevò un vespaio di critiche, il ministro designò me. Non ne ho mai parlato con Milanese e credo che neanche lo sappia".

Le ville in Francia, i conti esteri, le carte "gold"

È Sergio Fracchia a rivelare al pm Piscitelli gli affari immobiliari del parlamentare sui quali si concentra adesso l'indagine soprattutto per accertare l'origine del denaro utilizzato per gli acquisti: "Ho lavorato come venditore di immobili su "Antenna3", una Tv libera lombarda, e il legale di questa società era l'avvocato Maria Taddeo. Diventammo amici anche con il marito di allora Marco Milanese. Divennero anche miei clienti comprando una casa a Cap Martin nel 96/97. Questa casa è stata poi venduta, sempre attraverso di me, e ne hanno comprata un'altra più grande con una camera in più, sempre a Cap Martin. Anche questa seconda casa è stata poi venduta, sempre mio tramite. Qualche anno dopo mi hanno chiesto un investimento più consistente e hanno comprato, nell'anno 2006/2007, una villetta a Cannes, ricorrendo ad un mutuo, pagandola poco sopra il milione di euro. Inoltre, devo precisare che nella mia attività ci sono molte persone che vogliono investire nel settore immobiliare ma non hanno la disponibilità sufficiente per comprare un intero immobile. Per venire incontro a questa esigenza, si costituiscono delle società immobiliari, sempre di diritto francese, e si vendono le quote di partecipazione per importi che possono oscillare da 50.000 a 150.000 euro massimo. Milanese, oltre le villette di cui ho parlato, nel 2007/2008, se ben ricordo, in occasione dell'acquisto dell'ultima villetta, aveva comprato quote in due di queste società, una era "Rivarma Srl" e l'altra "Castello Srl". Se ben ricordo per quanto riguarda la prima Milanese aveva pagato tra 135.000/160.000 euro circa, per la seconda tra i 40.000/50.000 euro. Per quello che è noto a me, Milanese conserva ancora una partecipazione in una terza società francese per 15.000 euro".

La perizia contabile svela invece la movimentazione bancaria di Milanese e della sua fidanzata Manuela Bravi, portavoce del ministro Giulio Tremonti. E nelle conclusioni il consulente Luigi Mancini scrive: "Milanese, oltre ad avere avuto vari "corrispondenti" esteri, è sicuramente titolare di un conto bancario estero presso il Crédit Agricole, agenzie di Draguignan. Sarebbe necessario acquisirne la relativa documentazione essendovi transitati moltissimi bonifici disposti sia dal conto acceso presso il banco di Napoli, sia dal conto presso il Credito Artigiano. Un ulteriore approfondimento meriterebbe il rapporto di debito intercorso con American Express sul conto accesso presso il banco di Napoli. Nei 57 mesi esaminati la somma complessiva è ammontata a 448.637 euro con una media mensile di circa 8.000 euro e con una punta di spesa di circa 23.000 euro in un solo mese!".

Fiorenza Sarzanini

09 luglio 2011 09:33

 

la richiesta d'arresto per milanese, deputato pdl ed ex consigliere di tremonti

La barca, le auto, gli orologi

"Ci penso io, ricompensami"

L'imprenditore Viscione: era esoso, ma mi portava le intercettazioni

ROMA - "E quindi, se lei dovesse fare un conto delle somme che ha dato?", domanda il magistrato. "In tutto una milionata, non sono preciso... sulle novecentocinquanta, un milione e cinquanta. Con esclusione della barca e dei regali che tra l'altro, soprattutto nella prima ondata, sono stati numerosi e molto costosi. Tipo un paio di gioielli, un paio di orecchini da sette carati di brillanti, che io sono stato costretto a regalargli, perché erano stati prenotati da lui in un negozio di Capri".

Uno "scapocchione fortunato"

Il 19 dicembre scorso l'imprenditore Paolo Viscione, arrestato per truffa e altri reati, decide di denunciare pagamenti e regalie al deputato del Pdl ed ex ufficiale della Finanza Marco Milanese, strettissimo collaboratore del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Gioielli, orologi, macchine e soldi per essere protetto dalle indagini delle Procure e delle Fiamme gialle, spiega. E il giudice, che vuole arrestare Milanese anche per il reato di associazione a delinquere commesso proprio insieme a Viscione, ritiene il suo racconto "intrinsecamente credibile, non essendovi motivi per dubitare della scelta collaborativa". Vengono dallo stesso paese, Viscione e Milanese, Cervinara in provincia di Avellino: "Siamo compaesani, ma lui è un ragazzo di cinquant'anni, io ne ho circa settanta, quindi le lascio immaginare in che considerazione veniva preso questo ragazzo, che in effetti sapeva di essere uno "scapocchione" per il padre che io conoscevo, e che a tutti i costi l'ha voluto inserire. Ha avuto un bel successo, perché la fortuna l'ha accompagnato...". Un "ragazzo" che dalla posizione raggiunta, fianco a fianco con il ministro dell'Economia, intorno al 2004 si è ripresentato a Viscione: "Ha cominciato a portarmi notizie e a intimorirmi sulle posizioni mie che sembravano preoccupanti rispetto a indagini da parte della magistratura... Mi venne a dire che ci stava un problema su Napoli... Chiaramente la cosa mi ha impressionato molto, perché già si parlava di associazione a delinquere finalizzata a reati finanziari". Insieme al problema, Milanese offriva la soluzione. Non gratuitamente, però: "Dice "qua ci penso io, ci penso io, ci penso io"... Insomma, c'è stata una richiesta di danaro a cui ho dato soddisfazione... Poi abbiamo cominciato a parlare del leasing di un'automobile, una Aston Martin che gli abbiamo preso usata; si è arrabbiato perché era usata e abbiamo cambiato la macchina".

"Vicende gravi e miserabili"

Il Sorpasso di P. Battista

Negli Usa con la Ferilli e De Sica

Intorno al 2009 c'è quella che Viscione chiama "la seconda ondata", quando Milanese gli si ripresenta in un ristorante della capitale: "Mi incontra... "guarda che hai due indagini in corso, una del dottor Piscitelli di Napoli, l'altra ce l'ha la dottoressa non so chi di Roma"". Le promesse sono sempre le stesse: "Non ti preoccupare, ci penso io... E siamo arrivati al febbraio che lui mi dice "sei intercettato, non si può parlare più"". Anche stavolta, in cambio dell'avviso il deputato pretende un corrispettivo. "Fa delle richieste esosissime, io le adempio gradualmente", confessa Viscione che poi fa qualche conto: "Come soldi gli ho dato quattro e cinquanta (450.000 euro, ndr), che avrei dovuto dargliene seicento... Tutti in cash, prelevati dalle banche". A prenderli e portarli andava un uomo di fiducia dell'imprenditore, "cento, cento, cento alla volta". In un'occasione Milanese gli avrebbe portato le trascrizioni delle conversazioni registrate, "mi ha fatto leggere proprio i testi delle intercettazioni", ma già prima - a sentire l'imprenditore - il deputato aveva aumentato le sue pretese. Per esempio un viaggio negli Stati Uniti per le vacanze natalizie del 2009: "Questo è volgarissimo, perché si è fatto disdire dieci volte il viaggio, perché doveva partire con la Ferilli, con De Sica... dovevano stare tutti allo stesso piano e si doveva trovare lo stesso albergo...". Il particolare è riscontrato, secondo il giudice, dalle dichiarazioni di Flavio Cattaneo, fidanzato dell'attrice Sabrina Ferilli, e della fidanzata di Milanese, Manuela Bravi, portavoce del ministro Tremonti. E il viaggio negli Stati Uniti risulta saldato da una delle società di Viscione.

Ecco la casa che Milanese pagava a Tremonti

Rcd

La barca, la Ferrari, gli orologi

L'imprenditore pagava e trovava altri che pagavano, riferisce ai magistrati. Come quando Milanese voleva vendere una barca, e lui gli trovò l'acquirente: Fabrizio Testa, poi nominato nel Consiglio di amministrazione dell'Enav e al vertice di una società controllata dall'ente. È Viscione a convincerlo: "Lo faccio portare da me e gli dico... ti compri la barca, la fai comprare da qualcuno e quello ti farà il piacere sicuramente... Cosi è stato... Fabrizio Testa, inquisito nello scandalo famoso delle fatture false Enav... Non lo voleva Matteoli, non lo voleva Alemanno, Tremonti l'ha fatto nominare...". Le indagini hanno accertato che "la barca è stata pagata a un prezzo molto superiore a quello effettivo di mercato" da una società che poi "ha quasi contestualmente versato somme alla Fondazione Casa della Libertà, chiara articolazione di natura politica". Tra le regalie a cui Viscione si sentiva costretto e alle quali ha deciso di ribellarsi, c'è pure una Ferrari Scaglietti, presa e data a Milanese usando la Aston Martin in permuta "più assegni miei, di portafoglio": E ci sono "gli orologi, adesso ma anche prima, ci stanno gli orecchini alla moglie...". Gli investigatori hanno rintracciato il venditore di orologi, che conosce anche Milanese, il quale ha ricordato gli acquisti di Viscione per il Natale 2009: "Comprò tre orologi di prestigio, un "Frank Muller" da donna con brillantini e forma a cuoricino e due "Patek Philippe", mod. 5055 con cinturino in pelle e mod. 5035, entrambi da uomo, dal valore complessivo di mercato di circa 50.000 euro... Gli orologi erano destinati a un nostro cliente, il dottor Marco Milanese, che venne personalmente a sceglierli e a ritirarli". Disse che uno era per Tremonti, ma il ministro ha detto ai magistrati di non averlo mai ricevuto.

Le nomine pagate

In cambio di denaro e altre utilità, l'accusa ritiene che Milanese abbia "promesso prima e assicurato poi l'attribuzione di nomine ed incarichi in diverse società controllate dal ministero, ricevendo come corrispettivo somme di denaro e altre utilità". È successo con le due persone messe ieri agli arresti domiciliari: Guido Marchese, "ricevendo dallo stesso la somma di 100.000 euro", con Barbieri Carlo, attraverso "lo stesso modus operandi". A queste conclusioni il giudice è arrivato attraverso conferme autorevoli: il direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, e l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Il primo "confermava quanto già reso evidente dagli atti acquisiti, e cioè che il nominativo del Marchese gli era stato fornito da Marco Milanese"; il secondo, "pur dichiarando di non ricordare chi gli avesse sottoposto, per raccomandarlo, il nominativo di Barbieri Carlo, confermava però che la sua nomina era stata certamente a lui proposta dall'esterno della società. Precisava, inoltre, che delle nomine per conto del ministero dell'Economia si era sempre occupato il Milanese".

Giovanni Bianconi

08 luglio 2011 15:31

 

 

In manette l'imprenditore Tommaso di Lernia. ai domiciliari Massimo De Cesare (Eurotec)

Appalti Enav, arrestati due imprenditori

Indagato Milanese: è accusato di finanziamento illecito ai partiti

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Gip: paga la casa a Tremonti. Il ministro: solo ospite, vado via (8 luglio 2011)

Marco Milanese (Imagoeconomica)

Marco Milanese (Imagoeconomica)

MILANO - Il gip di Roma ha emesso due provvedimenti di custodia cautelare, uno in carcere nei confronti dell'imprenditore Tommaso di Lernia, già finito in manette per corruzione e fatturazione di operazioni inesistenti nell'inchiesta sugli appalti dell'Enav, e uno ai domiciliari per Massimo De Cesare, amministratore delegato di Eurotec. Nell'inchiesta è indagato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl, ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, del quale giovedì la magistratura di Napoli ha richiesto l'arresto. Per lui l'accusa è di finanziamento illecito ai partiti.

L'IMBARCAZIONE - I provvedimenti riguardano il filone di indagine relativo alla vendita a Eurotec, società che si occupa della costruzione di opere civili, di una barca da 15 metri acquistata in leasing (per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro al mese) da Milanese. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Roma la vendita dell'imbarcazione "Mochi Craft" ad un prezzo maggiorato rispetto al suo valore, sarebbe stata la contropartita richiesta da Milanese in cambio della nomina, decisa dal cda di Enav su suo input, dell'ex consigliere di amministrazione dell'Ente nazionale di assistenza al volo, Fabrizio Testa, a presidente di Technosky, società controllata di Enav. Al fine di ottenere la nomina, Testa si sarebbe rivolto a Lorenzo Cola, l'ex consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, che avrebbe coinvolto Di Lernia per risolvere il problema della vendita dell'imbarcazione. A questo punto Di Lernia contatta De Cesare che avrebbe proceduto all'acquisto della barca pagandola circa 1,9 milioni di euro contro un valore stimato di 1,4 milioni. A Milanese sarebbero andati 224 mila euro. (fonte Ansa)

08 luglio 2011 19:18

 

 

per concorso in associazione mafiosa a carico del titolare delle Politiche agricole

Mafia, il gip chiede l'imputazione

coatta del ministro Romano

Non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura

Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica)

Francesco Saverio Romano (Imagoeconomica)

PALERMO - Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (cioè quando non archivia, ndr). A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio.

"ADDOLORATO E SCONCERTATO" - "Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni". Lo dice il ministro Saverio Romano, commentando la decisione del gip di Palermo. "Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento".

Redazione online

08 luglio 2011(ultima modifica: 09 luglio 2011 11:33)

 

 

 

 

2011-07-04

MANOVRA, IL TESTO ARRIVA AL QUIRINALE. Giallo sui tagli alle rinnovabili

Spunta la norma sul Lodo Mondadori

Possibile blocco del risarcimento da 750 milioni dovuto da Fininvest. Confermata la stretta sulle pensioni

MILANO - Il testo definitivo della manovra, "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", è stato trasmesso al Quirinale. Non senza punti controversi e relative polemiche. Primo tra tutti, il capitolo sulle "norme risarcimenti", che potrebbe interessare direttamente la sentenza sul Lodo Mondadori e provocare la sospensione del pagamento dei 750 milioni di euro dovuti dalla Fininvest alla Cir di Carlo De Benedetti.

LODO MONDADORI - Anche se fosse confermato in appello dai giudici di Milano (la sentenza dovrebbe arrivare sabato 9 luglio), il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori potrebbe infatti vedere sospesa la sua esecutività da una norma inserita nella manovra. Più in dettaglio, si tratta di una modifica a due articoli del codice di procedura civile (il 283 e il 373) che obbliga il giudice (che finora ne aveva solo la facoltà) a sospendere l'esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di "idonea cauzione", in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. "Una disposizione palesemente immorale e incostituzionale" attacca il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. "Scandalosa in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il Paese" aggiunge la capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. Una norma incostituzionale sostiene anche il presidente dell'associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, secondo il quale: "Se dovesse essere confermata si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iniqua disparità di trattamento e che sarebbe, quindi, incostituzionale".

IL DECRETO - Il testo finale del decreto, dove viene confermata la stretta sulla pensioni, è composto da 39 articoli e da due allegati. Si apre con gli stipendi dei politici e si chiude sul riordino dei giudici tributari. I provvedimenti saranno spiegati martedì in una conferenza stampa del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla quale partecipano anche i ministri Brunetta, Calderoli, Romani e Sacconi.

PENSIONI - Confermato per il biennio 2012-2013 il blocco della rivalutazione delle pensioni "dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps". "Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato nella misura del 45%".

ENERGIE RINNOVABILI - Il taglio del 30% di "tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni" presenti in bolletta torna nel testo del decreto secondo le indiscrezioni battute dalle agenzie. Ma il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo smentisce: "Non mi risulta" e il ministro dello Sviluppo Paolo Romani precisa in una nota: "Nessun taglio". Allo scopo di ridurre il costo finale dell'energia per i consumatori e le imprese, recitava invece l'articolo 35 dell'ultima bozza circolata, "a decorrere dal primo gennaio 2012 tutti gli incentivi, i benefici e le altre agevolazioni, comunque gravanti sulle componenti tariffarie relative alle forniture di energia elettrica e gas naturale, previste da norme di legge o da regolamenti sono ridotti del 30 per cento rispetto a quelli applicabili alla data del 31 dicembre 2010". L'entità degli incentivi, dei benefici e delle agevolazioni sarà rideterminata dal ministero dello Sviluppo su proposta dell'Autorità per l'energia entro 90 giorni. Sul "giallo" del testo inviato al Quirinale, l'opposizione va all'attacco: "Nonostante le smentite dei ministri Romani e Prestigiacomo, il testo contiene tagli - dice il senatore del Pd Salvatore Tomaselli -. Con questa misura, ancora una volta, il governo cede al populismo della Lega, danneggiando il settore delle rinnovabili con l'ennesimo colpo di mannaia dopo quanto avvenuto nelle settimane passate con il forte ridimensionamento degli incentivi al fotovoltaico".

RISPARMIATORI - Il bollo che si applica alle comunicazioni relative al deposito di titoli può salire infatti fino a 380 euro se ha un ammontare complessivo a cinquantamila euro ed è gestito da una banca. L'importo varierà infatti in base al valore del "conto": dai 120 euro annuali per le comunicazioni di intermediari finanziari ai 150 per i conti inferiori ai 50 mila euro relativi a comunicazioni di depositi titoli presso banche, fino ai 380 euro annuali se si supera questa soglia

SUPERBOLLO - A partire dal 2011, "per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro 10 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato".

BANCHE E FINANZIARIE- Banche, assicurazioni e società finanziarie, dovrebbero vedersi imporre un'addizionale sull'Irap pari a 0,75 punti percentuali (aliquota in crescita dal 3,9 al 4,65%) al posto della tassazione separata al 35% sugli utili da trading bancario.

VOLI DI STATO - I voli di Stato saranno limitati soltanto alle cinque massime cariche dello Stato, ossia al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Presidente della Corte Costituzionale. Nell'articolo, si sancisce che le eccezioni a questa regola "devono essere specificatamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato".

LA POLEMICA- Resta l'eco delle polemiche che hanno accompagnato il giallo dell'invio del decreto legge a Giorgio Napolitano. Domenica 3 luglio una nota della Presidenza della Repubblica aveva smentito le notizie diffuse dalla stampa. "Poiché molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvata dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si leggeva nella nota - si precisa che a tutt'oggi (domenica, ndr) la Presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E infatti fonti dell'esecutivo hanno poi spiegato che il testo non era stato ancora trasmesso, a ridosso del fine settimana, ma che sarebbe giunto al Colle per la firma già da lunedì.

Redazione online

04 luglio 2011 22:20

 

 

 

ROMA

Cirio, condannati Cragnotti e Geronzi

Nove e quattro anni di carcere per il crac da 1.125 milioni

Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi (LaPresse)

Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi (LaPresse)

MILANO - Condanna per Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi. Nove e quattro anni di carcere, rispettivamente, per il crac da 1.125 milioni di euro del gruppo agroalimentare Cirio. Lo hanno deciso i giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, dopo una lunga camera di consiglio. Le richieste dei pubblici ministeri erano state più severe: quindici anni per l'ex patron della Lazio e sei per l'ex presidente della Banca di Roma.

RISARCIMENTO - I giudici hanno riconosciuto colpevoli anche i figli di Cragnotti, Andrea (condannato a 4 anni), Elisabetta e Massimo (a 3) e il genero di Cragnotti, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi). La vicenda - per la quale gli imputati sono 35, più la società Dianthus Spa - riguarda fatti risalenti al 2003, quando il fallimento del gruppo Cirio, allora guidato da Cragnotti, fece andare in default obbligazioni per 1.125 milioni di euro. Il processo era cominciato il 14 marzo 2008. Trentacinque gli imputati, accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, oltre che di truffa. I colpevoli, insieme con Unicredit - quale responsabile civile - dovranno versare un risarcimento di 200 milioni di euro in via provvisionale all'amministrazione straordinaria del gruppo agroalimentare, oltre che le spese legali sostenute dalle migliaia di parti civili che si sono costituite.

ASSOLUZIONI - Nell'ambito del processo, è stato assolto l'ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Così come Flora Pizzichemi, la moglie di Sergio Cragnotti. Per entrambi, i pm avevano chiesto sei anni.

REAZIONI - "Resto tranquillo perché continuo a ritenere di avere agito correttamente, nell'ambito delle responsabilità statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito - commenta con l'Ansa Geronzi -. Diversamente, in casi della specie, la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata". "Per questa ragione e per la fiducia che nutro nella magistratura - aggiunge - confido che in sede di appello l'ulteriore, ponderata riflessione consentirà di fare piena chiarezza e di riconoscere l'assoluta non colpevolezza del mio comportamento"."Non si è mai soddisfatti di fronte ad una sentenza di condanna, che genera sempre sofferenze - reagisce invece l'avvocato Nicola Madia, difensore dell'amministrazione straordinaria di Cirio - . Mi consola soltanto sapere che un popolo di risparmiatori (circa 35 mila, ndr) che hanno visto andare in fumo i loro risparmi possano ricevere indietro parte di quanto perduto".

Redazione online

04 luglio 2011 22:29

 

 

LA STRAGE DI CASAL MONFERRATO

Processo Eternit: "20 anni ai manager"

La richiesta del pm per Schmidheiny e de Marchienne

Il pm Raffaele Guariniello

Il pm Raffaele Guariniello

TORINO - "Vent'anni ai top manager dell'Eternit". Il processo sulla strage di operai nello stabilimento di Casal Monferrato è arrivato al momento delle arringhe finali. Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto la condanna del proprietario e presidente della multinazionale dell'amianto e del suo principale collaboratore, ovvero Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga di 89 anni. Il processo, giunto alla cinquantesima udienza, è per disastro ambientale doloso (per l'inquinamento e la dispersione delle fibre-killer) e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. Nell'Eternit di Casale hanno perso la vita almeno 1600 operai. Pertanto, l'accusa ha chiesto anche tre pene accessorie: l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l'interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni.

LA PENA RICHIESTA - La pena richiesta dal pm Guariniello per i due alti dirigenti della Eternit è di 12 anni, ma è stata accresciuta a 20 in quanto il reato è stato continuato. "E continua ancora oggi", ha precisato il magistrato. "La tragedia - ha continuato - si è consumata sotto un'unica regia senza che mai nessun tribunale abbia chiamato i veri responsabili a rispondere. Abbiamo accertato, infatti, che gli imputati non si sono limitati ad accettare il rischio che il disastro si verificasse e continuasse a verificarsi, ma lo hanno accettato e continuano ad accettarlo ancora oggi".

Redazione online

04 luglio 2011 14:56

 

 

 

 

 

2011-05-01

Mafia - La perizia e il documento da cui è stata presa la parola "De Gennaro"

Ciancimino, tesoro in Romania

"Vale almeno 300 milioni"

Società del settore rifiuti. Ecco le carte che accusano il figlio

Mafia - La perizia e il documento da cui è stata presa la parola "De Gennaro"

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ROMA - C'è il mistero del documento contraffatto per tirare in ballo il prefetto De Gennaro, che Massimo Ciancimino non ha ancora saputo svelare. C'è il mistero dei candelotti di dinamite nascosti in casa, sul quale non ha dato una versione convincente tanto da finire sotto inchiesta anche per il possesso di esplosivo. E c'è il mistero del tesoro di suo padre - "don Vito", l'ex sindaco mafioso di Palermo - che lo Stato sta ancora cercando di individuare e recuperare. Una vicenda, quest'ultima, che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata definisce "di particolare complessità".

Nella relazione sull'attività svolta nel 2010, redatta dal prefetto Mario Morcone prima di mettersi in aspettativa da direttore dell'Agenzia per candidarsi a sindaco di Napoli, un paragrafo è dedicato proprio al "sequestro in danno di Massimo Ciancimino", condannato in appello a tre anni e quattro mesi di carcere per riciclaggio. Finora è stata individuata una piccola parte del tesoro se, come è scritto nella relazione, "la vicenda giudiziaria, che si sviluppa secondo le indicazioni del presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, riguarda valori che oscillano tra i 300 e i 500 milioni di euro", distribuiti in "investimenti finanziari e beni intestati e persone fisiche e di compendi aziendali".

Una cifra rilevantissima nascosta, secondo l'Agenzia, dentro i confini nazionali ma soprattutto all'estero, in Romania. "Una parte di quote societarie e di beni - si legge nel rapporto - è stata individuata in Italia, mentre l'asset di maggior valore economico, attraverso la Sirco Spa, società holding oggi svuotata, e l'Agenda 21 s.a., società di diritto romeno, risulterebbe controllare un enorme volume di affari che investe il ciclo dei rifiuti: dalle discariche presenti in Romania (ivi compresa una considerata tra le più grandi d'Europa, 150 ettari di estensione per 40 metri di profondità), alle società di selezione e trasformazione, a quello di smaltimento di fanghi tossici".

Il lavoro di chi deve individuare e tentare di intestare allo Stato quei beni non è finito: "L'amministratore finanziario nominato dal tribunale di Palermo e un ufficiale in servizio presso l'Agenzia nazionale stanno operando, anche direttamente in quel Paese, per il recupero del patrimonio, investendo la nostra ambasciata e il magistrato italiano di collegamento presente a Bucarest".

Allo stesso modo non sono terminate - ma anzi sono solo all'inizio, per individuare l'eventuale suggeritore o "puparo" che ne gestisce le mosse - le indagini sugli ultimi guai giudiziari che hanno investito Ciancimino jr. La perizia della polizia scientifica che ha provocato l'arresto ordinato dalla Procura di Palermo è stata trasmessa ai magistrati di Caltanissetta che pure procedono contro il figlio di "don Vito" per il reato di calunnia, sempre ai danni del prefetto De Gennaro, in relazione ad altre sue affermazioni. Quella relazione dimostra come il nome "De Gennaro" sia stato estratto da un altro foglio manoscritto da Vito Ciancimino e applicato su quello in cui erano indicati i nomi dei funzionari dello Stato componenti il presunto "quarto livello" collegato - secondo ciò che Massimo ha attribuito al padre, morto nel 2002 - all'associazione mafiosa. A proposito di scambio di documenti tra gli uffici inquirenti che lavorano su fatti evidentemente collegati (non solo l'ipotizzata calunnia a De Gennaro, ma anche il movente delle stragi e la presunta trattativa tra Stato e mafia) nella riunione romana dell'altro giorno il procuratore nazionale antimafia Grasso ha emesso una direttiva per la trasmissione di atti processuali da una Procura all'altra. Un modo per evitare le incomprensioni e le tensioni che hanno provocato l'avvio di accertamenti da parte del Consiglio superiore della magistratura e del procuratore generale della Cassazione.

Giovanni Bianconi

30 aprile 2011

 

 

 

LA STRAGE A MILANO: CONDANNATI MINISTERO E INPS

Sopravvisse a Piazza Fontana: risarcito

Dopo 42 anni accolto il ricorso di un cassiere della Banca Nazionale dell'Agricoltura: riceverà 500mila euro

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Sopravvisse a Piazza Fontana: risarcito

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L'atrio della Banca nazionale dell'Agricoltura devastata dalla strage

L'atrio della Banca nazionale dell'Agricoltura devastata dalla strage

MILANO - Ben 42 anni dopo la strage di piazza Fontana, un sopravvissuto all'esplosione dovrà essere risarcito. Il giudice del lavoro del tribunale di Imperia, Enrica Drago, ha infatti accolto il ricorso di Roberto Antonucci Prina, 71 anni, all'epoca dell'attentato cassiere della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano. L'uomo, che soffre di disturbi post trauma e di stress cronico, come accertato dalle perizie presentate al tribunale, dovrà ricevere oltre 500 mila euro.

RISARCIMENTO - Il giudice del lavoro di Imperia, dopo l'anziano superstite alla strage vive, ha infatti condannato il ministero dell'Interno a pagare al ricorrente 162 mila euro, oltre a un vitalizio mensile. Condannata anche l'Inps, che dovrà versare all'ex cassiere oltre 355 mila euro. A Prina, difeso dagli avvocati Emilio Varaldo e Vincenzo Marino, sati riconosciuti i benefici sanciti dalla legge per le vittime delle stragi. Quindi, potrà anche farsi curare a spese dello Stato.

30 aprile 2011

 

 

2011-04-26

l'avvocatura dello Stato nel ricorso per mancato riconoscimento legittimo impedimento

Processo Mediaset: "Poteri del

premier lesi dai giudici di Milano"

Il governo ha sollevato conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale

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Manifestazione pro-Berlusconi lo scorso 11 aprile davanti al tribunale di Milano (Image)

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MILANO - Il tribunale di Milano del processo Mediaset, in cui il premier Berlusconi è imputato di frode fiscale, il 1° marzo 2010 si è "arrogato un inammissibile potere di sindacato delle ragioni politiche sottese al rinvio di una riunione del Consiglio dei ministri". Rifiutando di considerare quel Consiglio dei ministri come legittimo impedimento del premier a presentarsi in udienza, i giudici di Milano hanno quindi leso le "esclusive attribuzioni costituzionali" del presidente del Consiglio e del governo. È quanto scrive l'avvocatura dello Stato nel ricorso di 20 pagine - di cui l'Ansa è in possesso - con cui il governo ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

LESI POTERI PREMIER - Il ricorso - a firma degli avvocati dello Stato Michele Dipace e Maurizio Borgo - chiede alla Consulta di annullare la decisione con cui i giudici della prima sezione del Tribunale di Milano, presieduti da Edoardo D'Avossa, hanno rigettato la richiesta di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del premier. Il Consiglio dei ministri era stato fatto slittare dal 24 febbraio al 1° marzo 2010 in una data successiva a quella in cui era già stata stabilita l'udienza Mediaset (atre tre udienze erano precedentemente saltate). I giudici di Milano rifiutarono di considerare quella riunione a Palazzo Chigi come legittimo impedimento in quanto - scrissero nell'ordinanza - nulla era stato dedotto sulla "inderogabile necessità della sovrapposizione dei due impegni". Il Tribunale di Milano - scrive l'avvocatura dello Stato - "ha sostanzialmente disconosciuto la rilevanza, quale legittimo impedimento, dell'attribuzione del presidente del Consiglio dei ministri di presiedere la riunione del Consiglio dei ministri (funzione di rango costituzionale), non valutando, in concreto, tale funzione (ora riconosciuta anche dalla Corte quale evento puntuale di legittimo impedimento) in rapporto all'interesse del processo ma arrivando a richiedere addirittura la prova della necessità di fissare la data del Consiglio dei ministri in coincidenza con il giorno di udienza, ledendo, in tal modo, le esclusive attribuzioni costituzionali" del premier.

RICORSO - Per quanto riguarda il caso in questione, il Consiglio dei ministri - si fa notare nel ricorso - era stato fatto slittare dal 24 febbraio al 1° di marzo per la "necessità di procedere a una compiuta stesura" del ddl anti-corruzione "che ha comportato una complessa elaborazione". Di fronte alle "esigenze sopraggiunte che imponevano lo spostamento" del Cdm, lo "spirito di leale collaborazione tra le istituzioni" richiamato dalla stessa Corte Costituzionale "è stato del tutto disatteso" da parte dei giudici di Milano che "hanno privilegiato esclusivamente l'esercizio del potere giudiziario, senza tenere in debito conto la posizione processuale dell'organo costituzionale, quale è il presidente del Consiglio dei ministri, e il diritto-dovere di svolgere le proprie funzioni costituzionali". Di più: secondo l'avvocatura dello Stato, "senza la convocazione, partecipazione e direzione del Consiglio dei ministri, lo stesso Consiglio non può svolgersi e, pertanto, non può essere esercitata" da parte del premier l'attività di "direzione della politica generale del governo", oltre che quella di "unità di indirizzo politico e amministrativo". (fonte: Ansa)

26 aprile 2011

 

 

i giudici non ritennero legittimo impedimento l'assenza di Berlusconi impegnato in cdm

Processo Mediaset, il governo

solleverà il conflitto di poteri

Annunciato il ricorso alla Consulta contro la decisione

dei giudici di Milano del primo marzo del 2010

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Il premier Berlusconi parla all'uscita del palazzo di Giustizia di Milano l'11 aprile 2011 (Ansa)

Il premier Berlusconi parla all'uscita del palazzo di Giustizia di Milano l'11 aprile 2011 (Ansa)

MILANO - Il primo marzo del 2010 i giudici milanesi del processo Mediaset, in cui Silvio Berlusconi è imputato per frode fiscale, non ritennero legittimo impedimento l'assenza del premier in udienza, nonostante quel giorno il Cavaliere fosse impegnato a presiedere a Roma il Consiglio dei ministri. Ora, a più di un anno di distanza, la presidenza del Consiglio ha intenzione di sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale per chiedere l'annullamento di quella decisione dei giudici. Il governo ha dato mandato all'Avvocatura generale dello Stato di presentare il conflitto, il cui testo è in via di definizione e che sarà prossimamente depositato alla Consulta.

ESIGENZE - Il Consiglio dei ministri del primo marzo 2010 era stato fissato inusualmente di lunedì, in una data successiva a quella in cui era già stata stabilita l'udienza Mediaset (altre tre udienze erano precedentemente saltate). I giudici della prima sezione del Tribunale di Milano, presieduti da Edoardo D'Avossa, rifiutarono di considerare quel Cdm come legittimo impedimento del premier in quanto - scrissero nell'ordinanza - "nulla è stato dedotto" riguardo la necessità e l'inderogabilità della riunione a Palazzo Chigi. Quel giorno il Consiglio dei ministri varò il ddl sull'anticorruzione (messo però a punto nella sua stesura definitiva diverse settimane dopo e poi arenatosi al Senato). La decisione dei giudici di Milano fu considerata dal premier un atto di aperta ostilità, venne stigmatizzata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano durante il Cdm e fece dire agli avvocati-parlamentari del premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo, che ricorrevano gli estremi per sollevare un conflitto davanti alla Corte costituzionale.

Ma il ricorso non venne presentato perché nel giro di un mese, in aprile, entrò in vigore la legge-ponte che integrava i casi di legittimo impedimento di premier e ministri, e grazie alla quale il premier poteva rimanere lontano dalle aule di giustizia per i successivi 18 mesi. L'esigenza di proporre il conflitto sarebbe tornata di attualità dopo che, lo scorso gennaio, la Consulta ha bocciato in molti punti la legge sul legittimo impedimento. L'Avvocatura generale dello Stato starebbe preparando il testo del conflitto per lamentare la lesione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. Il governo chiederà pertanto l'annullamento dell'ordinanza con cui i giudici del processo Mediaset non concessero il legittimo impedimento a Berlusconi. In quella circostanza, Ghedini non solo si disse certo dell'accoglimento di un eventuale conflitto, ma fece notare che "anche la Cassazione non potrà che annullare questo processo e il suo prosieguo".

Redazione online

20 aprile 2011(ultima modifica: 21 aprile 2011)

 

 

 

 

2011-04-18

Vietti: "Riflettiamo tutti". E Fini: "Basta scimitarra permamente sulla giustizia"

"Giustizia, pericolose esasperazioni"

Napolitano: "Serve senso della misura e responsabilità". I manifesti di Milano sono una "ignobile provocazione"

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)"

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)"

MILANO - "Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti". È quanto afferma il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una lettera inviata al vice-presidente del Csm Michele Vietti".

"PROVOCAZIONE IGNOBILE" - Napolitano definisce inoltre "provocazione ignobile" i manifesti affissi nei giorni scorsi a Milano che accostano le toghe meneghine alle Brigate Rosse. Si tratta, secondo il capo dello Stato, di una "intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non". Nella sua lettera quale il Presidente annuncia che il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo che si celebrerà il 9 maggio al Quirinale sarà quest'anno dedicato "ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane".

"RIFLETTIAMO TUTTI" - "Il capo dello Stato fa una considerazione finale su cui tutti dobbiamo riflettere, il Csm, gli operatori della giustizia e gli operatori della politica - ha poi commentato lo stesso Vietti in serata, intervenendo a Otto e mezzo, su La7 -: là dove ci dice che il conflitto politico ed elettorale, facendo riferimento alla scadenza delle prossime amministrative, ha ormai raggiunto un limite oltre il quale siamo di fronte a un pericoloso rischio di esasperazioni e degenerazioni".

L'INTERVENTO DI FINI - Sulle parole di Napolitano è intervenuto anche il presidente della Camera Gianfranco Fini (che già aveva parlato di giustizia a margine di un incontro con il segretario dell'Anm Luca Palamara) secondo cui il capo dello Stato "ha interpretato ancora una volta il sentimento di tutti gli italiani". Per Fini "è evidente che la giustizia va riformata, mi auguro che il dibattito rientri nell'alveo della normalità: c'è un testo, si discuta". Il leader di Futuro e Libertà ha però chiesto che "si eviti di imbracciare la scimitarra permanente" perchè‚ "così si toglie qualsiasi tipo di credibilità alla democrazia italiana". Secondo Fini, "in nessun Paese una carica istituzionale può impunemente dire le cose che ha detto ieri il presidente del Consiglio, non si può dire eversivo, parlare di cellule delle Br, non si può andare oltre, pena l'imbarbarimento". Ironizzando sul patto con la magistratura denunciato da Berlusconi, Fini ha spiegato che "il patto segreto è presunto, l'evidente vaneggiamento è sotto gli occhi di tutti".

Redazione Online

18 aprile 2011

 

Scherza Palamara: "Abbiamo siglato il patto scellerato..."

Fini: "Magistratura, pilastro

per la salvaguardia istituzionale"

L'incontro con l'Anm dopo le dichiarazioni di Berlusconi. Il Pdl: "Il leader di Fli parla come Di Pietro"

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Il presidente dell'Anm, Luca Palamara (Ansa)

Il presidente dell'Anm, Luca Palamara (Ansa)

MILANO - "Abbiamo siglato il patto". Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, scherza con i giornalisti al termine dell'incontro con Gianfranco Fini, alludendo alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, che domenica aveva detto che era venuto a conoscenza di "un patto scellerato" tra l'Anm e il presidente della Camera.

"MAGISTRATURA PILASTRO" - "Nell'architettura costituzionale voluta dai padri costituenti, la magistratura, non solo quella ordinaria, rappresenta il vero pilastro a salvaguardia del principio di legalità e a difesa di tutti i cittadini", ha detto Fini incontrando a Montecitorio i vertici dell'Anm. "Con riferimento alle polemiche politico-istituzionali di queste ultime settimane, esprimo vivo apprezzamento per la posizione istituzionale assunta dall'Anm. Il rispetto reciproco tra le istituzioni è la premessa indispensabile per la salvaguardia dello stato di diritto e per la leale collaborazione tra poteri dello Stato".

Palamara scherza sul "patto scellerato"

ALLARME PER FIBRILLAZIONE ISTITUZIONI - "Quanto sta accadendo non è un problema di rapporto tra Berlusconi e i magistrati, ma di fibrillazione delle istituzioni", ha aggiunto Palamara esprimendo forte preoccupazione. "È un problema del Paese, dei cittadini, delle istituzioni a partire dal ministro della Giustizia. Ci sono situazioni che rischiano di aumentare le nostre preoccupazioni: le elezioni amministrative, le vicende giudiziarie in corso che riguardano il premier. Le riforme in corso, per questi motivi, rischiano di essere disomogenee e rischiano di affossare il sistema giustizia. È un momento di assoluta gravità che genera forte stato di preoccupazione dentro la magistratura, che non vuole essere trascinata su un terreno di scontro: non siamo un soggetto politico". L'incontro con Fini si inquadra negli incontri istituzionali che l'Anm ha aperto con la visita al capo dello Stato e proseguito con il presidente del Senato Schifani proprio per sottolineare "la gravità del momento" e la "forte preoccupazione della magistratura anche per le riforme", ha chiarito il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini, che ha aggiunto che gli incontri proseguiranno con i rappresentanti dei gruppi parlamentari.

LA CRITICA DEL PDL - Immediata la reazione del Pdl alla visita di Fini all'Anm: "Gianfranco Fini può raccontare quello che vuole. Ma un fatto politico è evidente: da mesi, ha scelto di infilarsi politicamente nel fronte giustizialista che va dai diepietristi alla sinistra. E per capirlo non occorrono carte segrete: è sufficiente sentire parlare Fini, parla come Di Pietro" ha detto il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone.

Redazione online

18 aprile 2011

 

I magistrati vittime del terrorismo

EMILIO ALESSANDRINI

sostituto procuratore della Repubblica a Milano, ucciso a Milano da Prima Linea il 29 gennaio 1979. Aveva 36 anni

MARIO AMATO

sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ucciso a Roma il 23 giugno 1980 dai Nar. Aveva 42 anni

FEDELE CALVOSA

procuratore della Repubblica di Frosinone, ucciso a Patrica (Fr) dalle Formazioni comuniste combattenti l’8 novembre 1978. Aveva 59 anni

FRANCESCO COCO

procuratore generale presso la Corte d’Appello di Genova, ucciso a Genova dalle Brigate Rosse l’8 giugno 1976. Aveva 67 anni

GUIDO GALLI

giudice istruttore a Milano, ucciso a Milano da Prima linea il 19 marzo 1980. Aveva 47 anni

NICOLA GIACUMBI

procuratore della repubblica di Salerno, ucciso a salerno il 16 marzo 1980. Aveva 51 anni

GIROLAMO MINERVINI

direttore generale degli istituti di prevenzione e pensa, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 18 marzo 1980. Aveva 61 anni

VITTORIO OCCORSIO

sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ucciso a Roma da Ordine nuovo il 10 luglio 1976. Aveva 47 anni

RICCARDO PALMA

capo dell’ufficio VIII della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 14 febbraio 1978 . Aveva 62 anni

GIROLAMO TARTAGLIONE

direttore generale degli affari penali presso il ministero della Giustizia, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 10 ottobre 1978. Aveva 67 anni

 

 

 

2011-04-17

intervento al teatro Nuovo per Letizia Moratti. L'Anm: "Grave calunnia, faccia i nomi

"Le amministrative test per il governo"

E sul patto Fini-giudici è scontro

Nuovo attacco ai magistrati, poi un lapsus: "C'erano sempre i miei giudici pagati da me". Fli: "Cabaret"

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Silvio Berlusconi al teatro Nuovo

Silvio Berlusconi al teatro Nuovo

MILANO - "Sono elezioni cittadine ma sono forse di più elezioni nazionali" ha detto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi parlando alla convention per Letizia Moratti. Aprendo il suo intervento al Teatro Nuovo ha detto: "Il berlusconismo non è al tramonto, a Milano supereremo i 53 mila voti delle ultime elezioni". "Noi abbiamo introdotto una nuova moralità in politica che è quella di mantenere gli impegni assunti con gli elettori. Una nuova moralità della politica che non significa solo non rubare". Il presidente del Consiglio ha ricordato la sua vita in città e anche gli anni durante la guerra in cui era emigrato in Svizzera. Proprio lì ha detto che mamma Rosa gli faceva cantare quasi come un inno nazionale "Nustalgia de Milan". "La conoscete?" - ha detto - intonandone le prime parole e facendole cantare a tutti. Berlusconi rilancia le riforme della giustizia, dell'architettura istituzionale e tributaria. Il premier ha ribadito che queste riforme sono possibili anche grazie all'uscita di Fini dalla maggioranza, accusando il leader di Fli di essere in combutta con le procure che tramano contro di lui.

FINI E I GIUDICI - Durante l'intervento dal palco si è rivolto ai giudici: "Avviso ai naviganti della Procura: la riforma della giustizia la faremo anche se faranno fuori Berlusconi, perché avremo sempre la maggioranza nel Paese". "Ma anche questa volta - ha subito aggiunto - ci scommetto non ce la faranno a farmi fuori". Poi ha confermato anche oggi che la riforma della giustizia "non solo è indispensabile ma urgente". Lo aveva già detto in passato e lo ha ripetuto: fra Gianfranco Fini e la magistratura c'è stato un patto, anzi e quello che ha chiamato patto "sceleris". "Voi mi proteggete, perseguite Berlusconi - ha spiegato il premier - è finche sarò presidente della Camera non passerà nessuna riforma che non mi piace". Secondo il premier il patto prevede che una volta fatto fuori Berlusconi l'idea di Fini era quella di fare le riforme che convinceranno "la magistratura o non far nessun riforma".

REAZIONI INDIGNATE: ANM, DI PIETRO, FINI - Pronta la reazione dei magistrati, di Antonio Di Pietro e di Gianfranco Fini. "Quando Berlusconi dice che l'Anm avrebbe firmato un accordo con Fini dice una bugia, una grave calunnia. Inviterei presidente del Consiglio a fare nomi e a farci vedere il documento di cui parla", è il commento del segretario dell'Anm Giuseppe Cascini, che nel corso della trasmissione "In mezz'ora" ha parlato di un "metodo di avvelenare le acque". Ha definito inoltre uno "scempio istituzionale" il fatto che si facciano leggi "per determinare effetti su singoli processi". "Un fatto gravissimo, andrò a denunciarlo", ha detto Antonio Di Pietro, anche lui ospite in trasmissione. "Su Fini, Berlusconi ha detto cose gravissime. Io non credo che sia avvenuto un fatto del genere ma la magistratura deve indagare perché o è una calunnia o è un fatto vero. Bisogna accertare la verità", ha detto il leader Idv. Durissimo anche il presidente della Camera Gianfranco Fini: "L'escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile. Anche oggi, e per l'ennesima volta, il presidente del Consiglio ha detto di avere le prove di un patto scellerato che avrei sottoscritto con la magistratura per impedire le riforme della giustizia. Lo sfido a dimostrare quel che dice: dica il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà, cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna".

IMMUNITA' PARLAMENTARE - "Le accuse su cui si basano i miei processi e sostenute dalla cellula rossa dei pm sono assolutamente infondate", ha aggiunto ancora il premier. "L'ho giurato sulla testa dei miei cinque figli e dei miei amatissimi nipoti". Berlusconi è tornato a difendere le leggi che permettono al presidente del Consiglio di difendersi dal punto di vista legale una volta che ha finito di "occuparsi a tempo pieno degli interessi del Paese". Ha criticato il fatto che queste leggi siano state bocciate da "questa Corte costituzionale". "Il presidente - ha detto fra gli applausi - è stato dato in pasto ai pm della sinistra, soprattutto a quelli della Procura di Milano". "Una decina di volte su 26 - ha aggiunto - sono stato assolto con formula pienissima, le altre archiviato perché per fortuna la maggioranza dei giudici compie con onestà il proprio dovere". E conclude: "L'abrogazione dell'immunità parlamentare è stato un errore gravissimo". "Forse - ha aggiunto - è stato l'errore più grave delle precedenti maggioranze".

LAPSUS - Poi il lapsus mentre parlava di giustizia e ricordava che per 30 anni da imprenditore non è stato accusato di nulla: "E poi - ha aggiunto - sono diventato peggio di Al Capone". Ha parlato delle oltre 2.100 udienze che lo hanno riguardato "a cui qualche volta - ha spiegato - ho partecipato. E dove c'erano sempre i miei giudici pagati ovviamente da me". Percepito il lieve imbarazzo del pubblico si è corretto dicendo "i miei avvocati. Adesso diranno - ha aggiunto - che c'è stato un lapsus freudiano di Berlusconi".

GIORNALI E TV - Poi parte all'attacco di giornali e trasmissioni radio e tv che - dice - lo "azzannano" in continuazione. Il premier, dal palco del teatro Nuovo di Milano, se la prende con il "teatrino della politica" che favorisce questa situazione. E porta un esempio citando il caso di Angelo Rizzoli per parlare di "ciò che sono capaci di fare alcuni pm della procura di Milano". "Non possiamo più sopportarlo - ha aggiunto - e non lo sopporteremo. Cambieremo la situazione è approveremo la riforma costituzionale per la giustizia in Italia"

LA SINISTRA- "La sinistra ha tentato, tenta e tenterà una nuova eversione cercando di dare una spallata al governo eletto dagli italiani come hanno tentato di fare con la diaspore di Fini cercando di farci perdere la maggioranza contro il voto degli italiani. Ci hanno provato il 14 dicembre, gli è andata male, ma per fortuna alcuni deputati che venivano dalla società civili dopo aver conosciuto i sistemi comunisti hanno deciso di dare alla terza gamba della maggioranza dandoci una nuova maggioranza più esile nei numeri ma più coesa". Poi ha attaccato un nemico storico: "Ho evitato che il signor De Benedetti, tessera numero uno del Pd, mettesse le mani sulla Mondadori". Dopo ha usato l'ironia per ripetere che serve la riforma costituzionale perché adesso il potere è diviso fra Camere, Consulta e Presidente della Repubblica. "Quando dicono che sono l'uomo più potente d'Italia - ha spiegato il presidente del Consiglio - dicono una bugia, a meno che non si riferiscono ad altre potenze... tutto ciò che vi passa per la mente corrisponde al vero".

FAMIGLIA - Berlusconi, che è capolista del Pdl alle Comunali, è arrivato al teatro Nuovo tra gli applausi della platea mentre risuonava la canzone "Meno male che Silvio c'e". "Amo tantissimo la famiglia, nonostante quel che dice Bersani, talmente tanto che ne ho due", aggiungendo che le sue due famiglie gli hanno "dato grandi soddisfazioni: ho cinque figli uno più bravo dell'altro e anche cinque nipoti. Ne mancano sei e poi è la squadra del Milan". Oppure, altra battuta e barzelletta, sui cugini dell'Inter: "A me piace molto Mourinho. Mi piace molto - ha aggiunto - quando dice "tituli ziru"". Berlusconi ha parlato a lungo nel suo intervento del Milan e dell'Inter.

TELEFONINO - Il presidente è un fiume in piena e tra ricordi e attacchi non sono mancate altre battute: "A Milano non ci sono più i negozi di una volta, non c'è più quello dove si compravano le meringhe per la mamma, ora c'è un negozio della Tim ma io non ci vado perché al presidente del Consiglio è vietato avere il telefonino perché sono controllato da tutte le procure d'Italia. Sono tornato a scrivere le lettere d'amore". Aggiungendo: "Le intercettazioni sono immonde, non sono daStato libero. I cittadini sono controllati, per questo va fatta la riforma".

APPLAUSI E CONTESTAZIONI - "Eversivo, eversivo", "Silvio, Silvio": mentre Silvio Berlusconi lasciava il teatro sono partiti i cori di opposte fazioni, dei suoi fan e di contestatori. "Basta impunità, basta leggi su misura", era uno dei cartelli che hanno sventolato diverse persone che chiedevano a Berlusconi di farsi processare elencando i nomi di giudici uccisi come Alessandrini e Bachelet. Dall'altro lato, invece hanno inneggiato al premier i suoi fan che agli altri hanno gridato di "andare a lavorare". Silvio Berlusconi è subito salito in macchina e se ne è andato.

VALDITARA (FLI) - "Splendido intervento da cabaret, credo che il pubblico si sia molto divertito, peccato non abbiano fatto pagare il biglietto. Così avrebbero potuto contribuire alle spese elettorali milionarie del candidato Moratti. Non è con il cabaret che si risolvono i problemi di Milano e del Paese", afferma Giuseppe Valditara, senatore di Fli e coordinatore regionale della Lombardia.

Redazione online

17 aprile 2011

 

 

Il coordinatore milanese del partito: "SOLO Una provocazione"

"I manifesti? Responsabilità mia"

Autosospeso dalla lista della Moratti

Roberto Lassini, ex sindaco di Turbigo, rivela di essere l'autore della scritta "Fuori le Br dalle procure"

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I manifesti contestati (Newpress)

I manifesti contestati (Newpress)

MILANO - "Quei manifesti sulla giustizia non volevano essere offensivi verso i magistrati, né mancare di rispetto alle istituzioni. Sono stati una provocazione". Intervistato dal Giornale sulla vicenda dei manifesti con la scritta "Fuori le Br dalle procure" apparsi a Milano, Roberto Lassini spiega: "Non è mia la paternità ma sono il presidente onorario" dell' associazione "Dalla parte della democrazia" che li ha fatti realizzare e "allora eccomi - dice - ci metto la faccia". Lassini spiega che l'associazione è "regolarmente registrata": "L'abbiamo creata - aggiunge - apposta per dar manforte a Silvio Berlusconi" mentre, sul contenuto dei manifesti, osserva: "Credo che i militanti abbiano fatto una sintesi dell'espressione" del premier che ha parlato di brigatismo giudiziario.

MORATTI E LA SOSPENSIONE - Lassini è anche nella lista del Pdl per il consiglio comunale di Milano. Che succederà ora? Ieri il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, aveva confermato che Roberto Lassini resterà nella lista, lasciando agli elettori il giudizio. Ma dopo la "confessione" è arrivata anche la "sconfessione", ovvero la comunicazione ufficiale da parte della stessa candidata sindaco, Letizia Moratti, della sua autosospensione. "Ho già stigmatizzato quanto accaduto - ha la Moratti - le istituzioni vanno tutte rispettate, so che si è autosospeso".

LA STORIA - Lassini racconta poi la sua storia. Accusato di tentata concussione, "sono stato in carcere da innocente e ho perso tutto. In cella 42 giorni a San Vittore e poi 5 anni e mezzo per la sentenza di proscioglimento: risarcito con 5 mila euro" non sufficienti nemmeno per "le spese legali". Racconta anche che "la procura nemmeno fece appello. Nel frattempo però mi dimisi da sindaco" di Turbigo, in provincia di Milano; e poi si chiede: "Quanti sono i casi come il mio? Noi siamo stati dimissionati da Tangentopoli!". Lassini spiega quindi il senso del suo invito alla mobilitazione: "È il sistema giustizia che non funziona. La nostra associazione è nata per sostenere il premier nella battaglia per la riforma".

Manifesti pro Berlusconi

Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi Manifesti pro Berlusconi

Roberto Lassini (Ansa)

Roberto Lassini (Ansa)

MANTOVANI - "Sceglieranno i milanesi - ha detto Mantovani - arrivato alla convention del Pdl al Teatro Nuovo di Milano dove è atteso l'arrivo di Silvio Berlusconi - se sia opportuno o meno votare e far eleggere Roberto Lassini. La sua mi sembra una provocazione forse eccessiva, ma leggendo le sue parole sul Giornale di questa mattina ho apprezzato il suo rispetto per la buona magistratura". "Noi condanniamo la lotta armata - ha aggiunto Mantovani - ma la lotta a colpi di avvisi di garanzia e di manette che certa magistratura utilizza non è certo da esaltare". Il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, ha confermato che Roberto Lassini resterà nella lista del partito per le prossime elezioni comunali di Milano, lasciando agli elettori il giudizio.

Redazione online

17 aprile 2011

 

 

i cartelloni sono firmati dall'"Associazione dalla parte della democrazia"

Manifesti anti giudici, aperta indagine

La Procura ha aperto un fascicolo per vilipendio dell'ordine giudiziario: sequestri e perquisizioni

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I manifesti contestati (Newpress)

I manifesti contestati (Newpress)

MILANO - La procura di Milano ha aperto un fascicolo per vilipendio dell'ordine giudiziario. Sotto accusa i manifesti firmati "Associazione dalla parte della democrazia", l'ultimo dei quali affisso sui muri del capoluogo lombardo nei giorni scorsi recitava "Fuori le Br dalla Procura". Le perquisizioni eseguite oggi dalla Digos, sono state effettuate nelle sedi delle società che distribuiscono e curano l'affissione dei manifesti a Milano. Gli investigatori hanno sentito quattro persone e se tecnicamente al momento non ci sono degli indagati, è molto probabile che arrivino presto delle denunce. Gli elementi frutto del lavoro degli agenti sono ora al vaglio dei magistrati meneghini.

SEQUESTRI E PERQUISIZIONI - Copie dei manifesti contestati sono stati sequestrati dalla Digos di Milano nell'ambito degli accertamenti disposti dalla procura della Repubblica di Milano. La Digos ha effettuato numerose perquisizioni e sono state sentite varie persone in qualità di testi informati sui fatti per risalire ai committenti dei manifesti diffusi dall'"Associazione dalla parte della democrazia". Nel corso delle perquisizioni, secondo quanto si è appreso, anche in alcuni locali ritenuti di pertinenza della stessa associazione (che non ha sede legale né sito Internet), sono stati sequestrati numerosi manifesti tra cui appunto quelli con la scritta "Via le Br dalle procure". Gli elementi raccolti dalla Digos sono ora al vaglio della procura della Repubblica di Milano.

Redazione online

16 aprile 2011(ultima modifica: 17 aprile 2011)

 

 

 

l'omelia dell'arcivescovo per la domenica delle Palme in Duomo

Tettamanzi: giorni paradossali,

ingiusti non vogliono essere giudicati

Il cardinale fa riferimenti all'attualità: la guerra, gli attacchi alla magistratura, l'immigrazione

l'omelia dell'arcivescovo per la domenica delle Palme in Duomo

Tettamanzi: giorni paradossali,

ingiusti non vogliono essere giudicati

Il cardinale fa riferimenti all'attualità: la guerra, gli attacchi alla magistratura, l'immigrazione

L'arcivescovo Tettamanzi (Fotogramma)

L'arcivescovo Tettamanzi (Fotogramma)

MILANO - Quelli che stiamo vivendo oggi, secondo l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, sono "giorni strani. I più dotti potrebbero dirli giorni paradossali". Nella sua omelia per la celebrazione della Domenica delle Palme in Duomo, il cardinale ha ricordato le profezie di Zaccaria e poi, in poche battute, ha tracciato un quadro dei "paradossi" attuali della nostra società. Battute in cui è facile cogliere riferimenti a personaggi politici di primo piano della scena italiana. "Ad esempio, per stare all’attualità: perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come "guerra" le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?".

L'APPELLLO AI CRISTIANI - Tettamanzi ha quindi tratto le sue conclusioni invitando i fedeli a un esame di coscienza: "Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti". L'arcivescoco ha invitato a un atteggiamento di "attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene", opposto a quello di "dominio superbo, subdolo, violento" che sembra predominare nella società. "Siamo allora chiamati a interrogarci sull'unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti: la vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sé, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita", ha concluso l'arcivescovo di Milano.

Redazione online

17 aprile 2011

 

 

2011-04-15

Giulia Bongiorno "Dalla maggioranza provvedimenti da Far West"

"Intese tra Fli e Pd? Niente panico

Destra e sinistra categorie superate"

Di giustizia mi intendo più di Berlusconi, ma non mi ha mai ascoltato. Parlava dei suoi processi

Giulia Bongiorno "Dalla maggioranza provvedimenti da Far West"

"Intese tra Fli e Pd? Niente panico

Destra e sinistra categorie superate"

Di giustizia mi intendo più di Berlusconi, ma non mi ha mai ascoltato. Parlava dei suoi processi

Giulia Bongiorno

Giulia Bongiorno

C'è un neonato, Ian, che dorme con gli emendamenti al processo breve sotto il materasso. Dice la madre che "il pediatra mi ha detto di farlo riposare in posizione inclinata, e così...".

La madre è Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, molto vicina a Fini. In silenzio da mesi, e non solo per la maternità. "Ora è stato il turno del processo breve, ma in precedenza la commissione Giustizia è stata occupata quasi a tempo pieno da provvedimenti analoghi. Cambia il nome, la sostanza è la stessa: si tratta sempre di provvedimenti Far West, una definizione che mi sembra rispecchi il modo in cui Berlusconi, sentendosi perseguitato dalla magistratura, si fa confezionare delle norme per farsi giustizia da sé".

Lei non lo considera perseguitato?

"Da avvocato, posso dire che la quasi totalità degli imputati è convinta di essere vittima di complotti giudiziari e quindi l'istinto di molti è scagliarsi contro la magistratura o eludere i processi. Faticosamente, si cerca di spiegargli che esistono procedure attraverso cui si accerta una responsabilità penale e che queste procedure devono essere rispettate; altrimenti si crea un sistema di giustizia fai-da-te inaccettabile e pericoloso. In questo senso, il premier non costituisce un'eccezione. L'unica, rischiosa differenza sta nel fatto che lui possiede gli strumenti per tentare davvero di farsi giustizia da sé. Ed è chiaro che se un leader, che dovrebbe essere anche un modello, organizza manifestazioni contro i giudici davanti ai tribunali o cerca di eludere i processi con le norme che fa produrre in Parlamento, gli imputati si sentono legittimati, o persino incoraggiati, a emularlo. Stiamo attenti al Far West".

Qual è il rischio?

"Che si produca una vera e propria degenerazione etica e sociale. Ricordiamoci di Andreotti, che quando fu condannato per omicidio a 24 anni dichiarò: "Credo ancora nella giustizia". Senza dubbio esistono magistrati politicizzati, e persino magistrati corrotti. Esistono anche errori giudiziari commessi in buona fede. Ma queste storture devono essere corrette con le riforme: è inconcepibile inveire contro la magistratura in blocco o costringere il Parlamento a occuparsi di norme mostruose, con uno spaventoso dispendio di tempo, energia e risorse".

Com'è trattare sulla giustizia con Berlusconi?

"Quando ne ho avuto occasione, ho notato che Berlusconi parla, non ascolta. Me ne sono stupita: è evidente che di giustizia mi intendo più di lui; credevo gli interessasse conoscere la mia opinione. Sbagliavo. Io parlavo di sistema giustizia e lui portava il discorso sui suoi processi. Ritiene che il suo status di imputato lo abbia trasformato in un esperto di giustizia. Sarebbe come rompersi più volte una gamba facendo alpinismo estremo e sentirsi poi non solo legittimati a riformare la sanità, ma anche in possesso delle credenziali per farlo; oltre che perseguitati dai medici. E non va dimenticato che il tempo destinato a queste leggi è stato sottratto ad altre mai fatte e che invece avrebbero dovuto avere priorità assoluta: quelle per rendere più efficace il sistema".

Berlusconi ha annunciato una "riforma epocale" della giustizia.

"Non ci sarà mai: perché non credo che il premier abbia a cuore il buon funzionamento della giustizia. Non vedrà la luce nemmeno la riforma sulla separazione delle carriere e del Csm: dopo mille proclami siamo ancora a semplici enunciazioni di princìpi. Al contrario, si continuerà a produrre leggine Far West".

Il processo breve passerà al vaglio della Consulta? O è incostituzionale?

"Non mi azzardo a fare previsioni, ma il testo è sicuramente caratterizzato da irragionevolezza. Essere incensurati significa non avere sentenze definitive. Quindi, teoricamente, beneficia della prescrizione breve anche chi ha decine di processi a carico, ma è finora riuscito a sfuggire a una condanna; grazie alla fortuna o ai suoi avvocati. Vedo qualche problema anche con la Convenzione Onu sulla corruzione, perché questo tipo di reati saranno certamente toccati dalla prescrizione breve. La Convenzione Onu invita i Paesi aderenti a fissare "un lungo termine di prescrizione": l'opposto di quello che accadrà in Italia".

Futuro e Libertà ha davvero un futuro? O si sta sgretolando?

"Senza dubbio ci sono stati momenti difficili, ma se mi guardo attorno non vedo gruppi senza problemi...".

Dicevate di voler cambiare la politica, siete nel mezzo di una lite interna.

"Resto convinta che l'unico modo per riconciliare i cittadini con la politica sia cambiare. Cambiare radicalmente. E in quest'ottica di rinnovamento credo che le donne saprebbero riconquistare la fiducia delle gente comune. Purtroppo rimangono confinate ai margini delle istituzioni. Da sempre sono costrette a lottare più degli uomini per affermarsi: tutto questo è ingiusto, faticoso, sbagliato, ma ha avuto il pregio di affinare le loro capacità. Dare più spazio alle donne sarebbe anche una possibilità di riscatto dall'umiliazione che il premier ha inflitto a tutte noi - e a tutti gli uomini che credono nella parità e nel rispetto - con parole e comportamenti dai quali traspare un maschilismo radicato e insultante".

Lei crede ancora nella leadership di Fini? E al Terzo polo? Sarà mai possibile un accordo con il Pd?

"Certo mi trovo più a mio agio con alcuni del Terzo polo che con altri in cui mi sono imbattuta quando sono entrata in An. So che l'ipotesi di un accordo con il Pd getta nel panico parecchi. Personalmente, reputo superate le categorie destra e sinistra e quindi per me i no pregiudiziali sono incomprensibili. Sulla legalità, io dovrei essere etichettata come di destra; ma se parliamo di procreazione assistita, in confronto a me Enrico Letta è un chierichetto".

Aldo Cazzullo

15 aprile 2011

 

 

 

IL CAPO DELLO STATO

Processo breve, i dubbi di Napolitano: "Valuterò gli effetti prima del voto finale"

Poi il Quirinale precisa: arbitrario pensare a intervento preventivo. Berlusconi: Alfano sul Colle a spiegare tutto

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Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano

MILANO - Giorgio Napolitano interviene sul processo breve all'indomani dell'approvazione alla Camera del provvedimento che accorcia i tempi della prescrizione per gli incensurati e che ora passa all'esame del Senato. Il capo dello Stato ha intenzione di verificare gli effetti del ddl, prima ancora della sua approvazione finale da parte del Parlamento. A chi gli chiedeva infatti cosa pensasse delle molte preoccupazioni espresse dal Csm e dalle famiglie delle vittime di Viareggio sul fatto che la legge possa fare saltare molti processi, l'inquilino del Quirinale - a margine dell'inaugurazione della ristrutturata stazione centrale di Praga - ha detto: "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento". Successivamente, ambienti del Quirinale hanno tenuto a diffondere un'"interpretazione autentica" delle parole del Capo dello Stato: l'espressione "vicini al momento" significa che il capo dello Stato comincerà ad esaminare il testo alla vigilia della decisione che gli toccherà prendere a proposito della promulgazione. Le stesse fonti aggiungono che interpretare le parole del presidente Napolitano come annuncio di un intervento preventivo è del tutto arbitrario.

Il disegno di legge nel frattempo è stato trasmesso giovedì mattina dalla presidenza della Camera alla presidenza del Senato. Ora dovrà essere assegnato alla commissione Giustizia di Palazzo Madama. Relatore del provvedimento sarà il senatore del Pdl Giuseppe Valentino.

ALFANO - Il ministro della Giustizia Alfano andrà al Quirinale ad illustrare al capo dello Stato i contenuti del ddl sul processo breve. Lo ha detto Luciano Sardelli, capogruppo dei Responsabili alla Camera, parlando con i cronisti al termine di un incontro avuto con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli. "Alfano andrà dal presidente dopo tutte le false notizie che sono state diffuse sul processo breve, come quella su Viareggio, processo per il quale la prescrizione arriverà dopo 30 anni", ha detto Sardelli rispondendo alla domanda se nel corso della riunione si fossero analizzate le dichiarazioni di Napolitano di oggi da Praga.

IL PDL ATTACCA LA BINDI - Intanto in due lettere al presidente della Camera, Gianfranco Fini, il Pdl ha espresso "indignazione" e "imbarazzo" per i giudizi "personali e offensivi" che il vicepresidente di turno, Rosy Bindi ha espresso nei confronti del capogruppo del Pdl a Montecitorio, Fabrizio Cicchitto. Il fatto: subito dopo l'approvazione del processo breve, in chiusura dei lavori, Bindi è stata criticata dai deputati della maggioranza perché poco prima dal suo banco di deputato aveva gridato "P2, P2" all'indirizzo di Cicchitto. Lei, mentre presiedeva, ha subito spiegato di aver chiesto di poter essere sostituita, ma comunque ha rivendicato la sua accusa: "Ho ritenuto giusto gridare la verità perché credo che in questa Aula nessuno può permettersi di strumentalizzare le parole di Aldo Moro. Quelle parole ("Non ci faremo processare nelle piazze", usate da Cicchitto in dichiarazione di voto, ndr) furono pronunciate qui e furono pronunciate da una persona che aveva la dignità per farlo. Il martirio di Aldo Moro è la prova della sua dignità. Nessuno se ne può appropriare in maniera strumentale e indegna e tanto meno se nel 1980 era iscritto alla P2".

Redazione online

14 aprile 2011(ultima modifica: 15 aprile 2011)

 

 

 

 

2011-04-14

Il Cavaliere e Gheddafi: "Prima di dire sì agli alleati ho pensato alle dimissioni"

Berlusconi alla stampa straniera:

"Non mi ricandido, Alfano premier"

Il Wsj e il Guardian dopo la cena coi corrispondenti esteri. Ma Bonaiuti: "Un ragionamento enfatizzato"

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Angelino Alfano e Silvio Berlusconi (Ansa)

Angelino Alfano e Silvio Berlusconi (Ansa)

MILANO - Silvio Berlusconi non ha intenzione di ricandidarsi alla guida del governo, al termine del suo attuale mandato. Questo almeno sarebbe emerso nel corso della cena di martedì sera con la stampa estera. Il presidente del Consiglio, riportano sul loro sito l'autorevole Wall Street Journal (il cui corrispondente a Roma ha partecipato all'incontro) ha indicato come suo successore alla guida del Pdl e quindi alla premiership per il centrodestra l'attuale ministro della Giustizia Angelino Alfano. Le dichiarazioni rilasciate dal capo del governo sono state "enfatizzate", hanno voluto però precisare il portavoce del premier Paolo Bonaiuti e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. "Penso che sia uno stato d'animo del presidente", ha affermato Verdini, "sono cose che ha detto, non dico che non le ha dette, ma gli viene data un'enfasi che le fa sembrare cose certissime; sono cose che ha detto spesso "se fosse per me...". Noi ora siamo sommersi di fax e telefonate al partito, il cui senso è "Silvio resisti"". Secondo Bonaiuti "è bene circoscrivere queste dichiarazioni, rese nel corso di una cena, di una chiacchierata libera, ma non sono cose da dare in modo così apodittico, non c'è nulla di deciso".

IL LEGAME CON GHEDDAFI - Nel corso della cena, il Cavaliere si è soffermato sulle prossime elezioni politiche: "Se ci sarà bisogno di me come padre nobile, sono disponibile. Potrei essere capolista del Pdl, ma non voglio un ruolo operativo", ha puntualizzato. Berlusconi poi ha anche citato il suo legame "personale" con il colonnello libico Muammar Gheddafi, svelando di aver preso in considerazione l'idea delle dimissioni nei giorni precedenti alla decisione di partecipare assieme agli alleati alle operazioni in Libia. "Con tutte le difficoltà personali che questa decisione rappresentava per me, ho pensato fosse mio dovere dimettermi. Ma tutti mi hanno chiesto di non farlo e così sono rimasto al mio posto", ha spiegato Berlusconi.

Redazione online

13 aprile 2011(ultima modifica: 14 aprile 2011)

 

 

Processo Breve

Pagina Oscura

Processo Breve

Pagina Oscura

Compatto e pronto a una serie di forzature, il governo ha vinto la guerra parlamentare del "processo breve". E un'opposizione salda solo a parole l'ha persa malamente. Ma i riflessi sull'opinione pubblica di quanto è avvenuto andranno misurati nel tempo, e a freddo. Si fatica a ritenere che rappresentino gli umori profondi del Paese sia i deputati che hanno permesso a Silvio Berlusconi questa affermazione; sia quelli che l'hanno contrastata; sia chi protestava fuori dal Parlamento al grido di "mafiosi" e "vergogna". L'unico dato vistoso è che il presidente del Consiglio ha politicizzato il conflitto, ottenendo il risultato che voleva.

Attraverso la Camera intendeva impartire una lezione all'odiata Procura di Milano. E adesso forse riuscirà a uscire indenne da uno dei processi più insidiosi, quello Mills in cui è accusato di corruzione in atti giudiziari. Ma il provvedimento approvato ieri sera dovrà superare una serie di severe verifiche istituzionali. Proprio perché segnato da una logica quasi disperata, si lascia dietro un alone di perplessità e di veleni; e un altro cumulo di macerie nei rapporti fra centrodestra e magistratura. È indubbio, tuttavia, che gli avversari di un Berlusconi debole riemergono per l'ennesima volta più logorati di lui.

Lo scrutinio segreto chiesto nel pomeriggio dal centrosinistra nella speranza di fare affiorare una maggioranza sommersa favorevole alla crisi, è stato un boomerang imbarazzante. Ha rivelato l'esistenza di una "minoranza silenziosa" pronta a sostenere il governo nelle pieghe di un'ostilità in apparenza così aggressiva e irriducibile da ricorrere all'ostruzionismo. La vera sconfitta di chi non voleva il "processo breve" è questa: aver dovuto registrare che i cosiddetti franchi tiratori, quelli che colpiscono a tradimento, non si annidano nelle file di Pdl e Lega, ma nelle proprie.

I 316 "sì" sono stati due più di quelli ottenuti nella votazione finale; e sei più di quelli a disposizione del centrodestra. Dunque contano e, soprattutto, pesano. Dicono che l'onda lunga della sconfitta degli avversari del premier, il 14 dicembre scorso, continua a produrre effetti. Puntella ulteriormente un governo che pure è in affanno sul piano internazionale per l'emergenza dell'immigrazione; e un Berlusconi inseguito tuttora da rivelazioni imbarazzanti sulla sua vita privata. Attraverso canali oscuri ma inesorabili, si ingrossa un "partito del galleggiamento" destinato a frustrare quanti sognano velleitarie spallate.

È probabile che al Senato il percorso del provvedimento sia meno tormentato. Il governo ne sembra così convinto che dedicherà le prossime settimane a depotenziare i referendum di giugno su giustizia e nucleare. D'altronde, la strategia del conflitto permanente premia ancora una volta Berlusconi: un elemento sul quale riflettere. Ma le incognite che si allungano su alcuni processi a rischio di prescrizione non possono essere sottovalutate, né sacrificate sull'altare di una stabilità fine a se stessa. Non è stata una giornata memorabile: non, almeno, nel senso positivo del termine. Una pagina oscura, tra le tante.

Massimo Franco

14 aprile 2011

 

 

 

2011-04-13

BERSANI: "Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso"

Processo breve , via libera alla Camera

Berlusconi: "Noi compatti, gli altri no"

Maggioranza a quota 314. Il testo va al Senato. Bossi: i numeri ci sono. Senatùr contestato a piazza Montecitorio

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I cartelli di protesta dell'Idv dopo l'approvazione del ddl

I cartelli di protesta dell'Idv dopo l'approvazione del ddl

MILANO - La Camera approva il testo sul processo breve e Silvio Berlusconi rinsalda la sua maggioranza. Le "Disposizioni in materia di spese di giustizia, danno erariale, prescrizione e durata del processo", il nuovo nome dato al provvedimento all'ultimo minuto grazie a un emendamento del relatore Maurizio Paniz, passa a Montecitorio con 314 voti a favore e 296 contrari su 610 votanti. Soddisfatto il premier. Finalmente una legge che mette l'Italia al passo con l'Europa, avrebbe argomentato con i diversi deputati che lo hanno chiamato per informalo dell'approvazione della legge sulla cosiddetta "prescrizione breve". La soddisfazione del capo del governo è chiaramente legata anche alla tenuta della maggioranza che in questi due giorni ha dato prova, a detta del premier, di una reale compattezza: è stata l'opposizione - ha confidato ai suoi - a fare una pessima figura. Tra l'altro - ha proseguito nel ragionamento - i voti in più che ha ottenuto la maggioranza dimostrano che quota 330 è un obiettivo concreto. Dello stesso avviso Umberto Bossi: "Questo voto ci dice che i numeri ci sono. Non arriviamo a 330? Sempre meglio di niente" ha commentato il leader della Lega, dopo il voto finale. E alla domanda sul timore di scarcerazioni per effetto della legge, il Senatùr ha aggiunto: "Sono tutti giochi di prestigio della sinistra che ha fatto questa battaglia alla morte".

PROTESTANO IDV E POPOLO VIOLA - L'opposizione ha votato con la Costituzione in mano il suo "no" al testo sulla prescrizione breve. Al momento del voto infatti, i deputati del Pd e IdV, in piedi hanno esposto il testo della Carta. A voto concluso poi i deputati dipietristi hanno innalzato dei cartelli con scritte "Rogo Thyssen, nessuna giustizia"; "Crac Parmalat, nessuna giustizia"; "Santa Rita, nessuna giustizia". "Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso - ha detto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani -. Ora sta a noi far comprendere la vergogna di questo provvedimento che dimostra l'assoluto disprezzo verso i problemi veri del paese". E mentre andava in scena anche l'ultimo atto per l'approvazione alla Camera , in piazza Montecitorio infuriava la protesta del popolo viola e dei familiari delle vittime di Viareggio e L'Aquila. "Così ci negate la giustizia" è stato per tutto il pomeriggio lo slogan dei manifestanti. L'onda lunga del dissenso finisce per travolgere la deputata Daniela Santanchè, che viene apostrofata dai manifestanti con parole dure ed invitata a dimettersi. Anche Bossi è stato contestato: "Venduto, venduto" gli ha gridato la folla dopo il voto in Aula.

GLI ARTICOLI 3 E 4 - L'articolo 3 del testo approvato, modificato da un emendamento del relatore Paniz riduce i tempi della prescrizione per gli incensurati passando da un quarto a un sesto della pena edittale. Si applica ai processi che non sono ancora giunti a sentenza di primo grado. Non riguarda i reati di grave allarme sociale: terrorismo e mafia, ad esempio. Contro questa norma hanno tuonato le opposizioni, sostenendo che è l'ennesima legge ad personam applicabile al processo Mills, in cui è imputato il premier. In Aula passa anche l'articolo l'articolo 4, quello sulla "durata ragionevole del processo" e sull'"obbligo di segnalazione" L'articolo, anche questo riformulato dal relatore Paniz, prevede che il capo dell'ufficio giudiziario segnalerà al ministro della Giustizia e al Csm le toghe che "sforano" i tempi del processo stabiliti dalla legge: tre anni in primo grado, due anni in appello, e un anno e 6 mesi in Cassazione, per quanto riguarda i reati con la pena massima di 10 anni.

SCRUTINIO SEGRETO - In Aula la maggioranza ha superato anche la prova del voto segreto chiesto e concesso su un emendamento dell'Idv, ottenendo 316 preferenze, e dunque sei voti in più rispetto alla quota massima di 310 ottenuta durante le votazioni a scrutinio palese. Il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha parlato di "opposizione ridicolizzata". "Sui miei deputati metto non una mano sul fuoco, ma tutte e due" ha replicato Dario Franceschini, capogruppo del Pd. "Sono in sei - ha aggiunto - ad aver votato con la maggioranza. Sui deputati del Pd non ho dubbi. Chi sia stato lo si capisce, ma io non sono sleale da attribuire ad altri questo voto".

ATTACCHI A FINI - Dopo la seduta notturna di martedì, polemiche e ostruzionismo hanno tenuto banco anche durante la seduta di mercoledì mattina. Il Pd, con Roberto Giachetti, ha duramente attaccato il presidente della Camera Gianfranco Fini definendolo "il peggiore presidente per l'opposizione" per via delle sue decisioni sui tempi a disposizione della minoranza. Subito dopo l'attacco di Giachetti, è intervenuto Pier Ferdinando Casini a difesa del leader di Montecitorio: "Inaccettabile". "Giachetti ha esagerato ma il suo giudizio era rivolto su un punto specifico dei lavori dell'aula. Non si è trattato di un giudizio complessivo sulla persona e sul modo con il quale il presidente Fini sta conducendo i lavori" ha detto poi il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. In serata poi le scuse dello stesso Giachetti al presidente della Camera.

APPELLO CEI - In queste ultime ore di schermaglie alla Camera, dai vescovi italiani è arrivato intanto l'appello una "maggiore serenità". "Al di sopra di tutto ci deve essere il desiderio e la meta concreta del bene comune - ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei - che è fatto di tanti aspetti che devono essere affrontati in un clima di maggiore serenità. Altrimenti - ha concluso il cardinale - non si va da nessuna parte". 

Redazione online

13 aprile 2011

 

 

LA NOTA

Un sì a tutti i costi

per "sterilizzare" i processi del premier

Il Pdl è convinto che il Quirinale non si opporrà. Ma nessuno può dirlo

Il centrodestra si prepara a consegnare a Silvio Berlusconi il primo "sì" parlamentare al cosiddetto "processo breve". La Camera dei deputati potrebbe approvarlo stasera, nonostante l'ostruzionismo tentato ieri dal Pd. Una maggioranza mobilitata allo spasimo sa che, una volta passata a Montecitorio, al Senato la legge dovrebbe avere vita meno difficile. Ma la logica è quella di un provvedimento avulso dalle esigenze di riforma della giustizia. Il Pdl risponde con una forzatura a quella che considera un'altra forzatura, attribuita alla Procura di Milano.

Per il governo si tratta di riaffermare il primato nei confronti della magistratura: con in palio la possibilità di proteggere il premier dai processi. Su questo, Pdl e Lega ostentano una compattezza che resiste a ogni pressione. Significa che la maggioranza è pronta a sfidare l'impopolarità. Il fatto che oggi si riunisca il Cdm in un intermezzo delle votazioni conferma la determinazione ad arrivare al risultato.

Un personaggio defilato come il sottosegretario Gianni Letta prevede "una settimana incandescente". E fa capire che Palazzo Chigi ha chiare le incognite dell'operazione; e che nella cerchia berlusconiana si spera di chiudere la fase più acuta con l'approvazione del Parlamento.

In realtà, i passaggi successivi appaiono altrettanto incerti. Il governo è convinto che Giorgio Napolitano non avrà obiezioni nei confronti della legge. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invece, ritiene che Berlusconi tenga "il Paese in ostaggio". In realtà, nessuno può fare previsioni né in un senso né nell'altro. Finora l'atteggiamento presidenziale è stato guardingo. Si può solo dare per certo che gli scambi d'accuse di queste ore sono l'opposto dell'invito del Quirinale a tenere i nervi saldi: anche nei rapporti con l'Europa. Viste le premesse, tuttavia, lo scontro era inevitabile. Rappresenta un'anteprima del panorama di macerie politiche che "il processo breve" porterà con sé; e che verranno additate con intenti opposti all'opinione pubblica.

Per il governo, l'accusa più insidiosa è quella di Antonio Di Pietro, di far saltare alcuni processi. Il Guardasigilli, Angelino Alfano, spiega che "sarebbe a rischio solo lo 0,2% dei procedimenti penali". "Se l'impatto è così modesto, perché state bloccando il Parlamento?", lo rimbecca il leader centrista, Pier Ferdinando Casini. L'ultima istantanea è quella dell'Anm che taccia di irresponsabilità il premier per gli "appelli alla piazza" contro i magistrati. Stancamente, dopo una seduta notturna col brivido del voto segreto, forse oggi si chiude il primo capitolo di una vicenda assai poco esaltante.

Massimo Franco

13 aprile 2011

 

 

IL TELEGRAMMA

Napolitano: "L'equilibrio dei poteri

è un'eredità preziosa della Costituzione"

Messaggio del capo dello Stato a un convegno di Torino

IL TELEGRAMMA

Napolitano: "L'equilibrio dei poteri

è un'eredità preziosa della Costituzione"

Messaggio del capo dello Stato a un convegno di Torino

MILANO - "Pur in una realtà certamente molto diversa da quella del 1948, la grande attenzione posta dalla nostra Carta al bilanciamento dei poteri e alla presenza nel corpo sociale e istituzionale di formazioni intermedie costituisce un'eredità preziosa, frutto di lungimiranza politica e di capacità di riflessione sulla complessità degli equilibri sociali". Lo scrive il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato in occasione della manifestazione Biennale Democrazia dal titolo "Tutti. Molti. Pochi", in programma a Torino.

CONTRAPPESI - Il tema alla base della Biennale Democrazia "riflette una viva preoccupazione circa le insidie che la concentrazione dei poteri comporta per la vita democratica", aggiunge Napolitano nel telegramma letto dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino nell'intervento prima della lectio magistralis di Mario Draghi. "Nulla - ha scritto Napolitano - potrebbe essere più lontano dall'idea di una democrazia temperata e funzionante dell'idea di un corpo sociale distinto, in grado di esprimersi solo elettoralmente, cui corrispondano ristrette oligarchie dotate di poteri economici e sociali senza contrappesi resi più insidiosi dagli effetti del progresso tecnologico".

13 aprile 2011

 

"Ci portò Fede, fu scioccante". Segue la descrizione più esplicita del bunga bunga

Feste di Arcore, spuntano

due nuove testimoni

Chiara e Ambra, 19enni piemontesi: "Avances dal premier, rifiutammo il gioco della statuetta"

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Chiara e Ambra, 19enni piemontesi: "Avances dal premier, rifiutammo il gioco della statuetta"

Chiara Danese, 19 anni

Chiara Danese, 19 anni

MILANO - "I complimenti del presidente Berlusconi furono talmente intensi che Fede, non so se come battuta o meno, gli disse: "Eh, mangia nel piatto tuo che io mangio nel piatto mio(...)". Forse nelle sue intenzioni io dovevo essere destinata a lui e Ambra a Berlusconi". Il quale, "dopo l'ultima barzelletta sconcia si fece portare una statuetta di Priapo" (personaggio della mitologia classica simbolo dell'esuberanza sessuale) "e la fece girare tra le ragazze", chiedendo loro "un gioco sconcio al quale né io né Ambra ci prestammo".

Proprio mentre l'altro ieri al 1° piano del Tribunale il presidente del Consiglio arringa i cronisti sulle "elegantissime cene" di Arcore, al 5° piano della Procura due ragazze piemontesi di 19 anni, Chiara Danese e Ambra Battilana, consegnano invece ai pm la descrizione più diretta ed esplicita dei bunga bunga del premier mai fatta nell'inchiesta Ruby. Più ancora della compagna di scuola di Minetti, sinora la teste più neutra.

Ambra Battilana, 19 anni

Ambra Battilana, 19 anni

Per la prima volta, infatti, in almeno due ragazze si rompe il cordone di negazioni opposte dalle 32 giovani qualificate dai pm nel capo d'imputazione di Lele Mora, Emilio Fede e Minetti come prostitute convogliate dal terzetto ad Arcore. E il racconto è sorprendente anche per la genesi: non lo scoprono i pm, bensì lo portano le due ragazze, confermando negli interrogatori di lunedì le memorie del 4 aprile, benché riguardanti la notte del 22-23 agosto 2010, e stilate dopo aver consultato un avvocato che dicono di ignorare sia deputata dell'Idv di Di Pietro, Patrizia Bugnano. L'innesco, stando al racconto delle 19enni provenienti dalle selezioni di Miss Italia e con agente quel Daniele Salemi già emerso in contatto con Mora, è dato sia dalle maldicenze alimentate in piccoli paesi dai loro nomi "equiparati sui giornali alle escort", sia da un "effetto boomerang" di Berlusconi: "Uno degli elementi che mi hanno spinto a prendere questa decisione - esordisce Chiara davanti ai pm Forno e Sangermano - è la posizione che ha pubblicamente assunto il presidente Berlusconi, il quale in più occasioni ha definito "cene eleganti" le serate che per quanto mi risulta avevano tutt'altra natura, e per di più ha difeso alcune ragazze del suo "giro" che avevano avuto atteggiamenti sconvenienti, mentre non ha ritenuto di spendere una parola a favore nostra che ci eravamo comportate in tutt'altro modo".

Chiara e Ambra spiegano di essere state presentate nell'agosto 2010 da Salemi a Fede, "che subito si mostrò entusiasta di noi, disse "vanno benissimo", non ci richiese l'effettuazione di alcuna prova ma si mostrò deciso a sceglierci come "meteorine" a 5.000 euro a settimana". Seguono ristorante con Fede, battute a doppio senso, "esame del fondoschiena", promessa di risentirsi. E in effetti la sera del 22 agosto, senza prima saperlo, con Salemi e poi con Fede finiscono ad Arcore. La cena "con una quindicina di persone" (da tempo individuate dai pm con i tabulati) è animata dalle "barzellette sconce del premier", alle quali "Fede con piccole gomitate ci spingeva a ridere nel coro" di "tutti i presenti che scoppiavano a ridere in maniera eccessiva e forzata".

Parte il gioco della statuetta di Priapo, del quale qui si edulcora la descrizione al pari del prosieguo: "Le ragazze si dimenavano, ballavano, cantavano "meno male che Silvio c'è", si facevano baciare i seni dal presidente, lo toccavano nelle parti intime, e poi facevano lo stesso con Fede. Eravamo scioccate, in una situazione più grande di noi. A un certo punto Berlusconi, visibilmente contento, disse "allora siete pronte per il bunga bunga?", e tutte le ragazze in coro hanno urlato "Siiii!"". Mentre il gruppo si sposta e sale su una scala, "Berlusconi dietro di noi ci poggiò le mani sui glutei", non un aiuto (dice Ambra) ma "un palpeggiamento sul sedere, e reiterato". Arrivate nel centro benessere sempre più perplesse ("Ma che dobbiamo fare, disse la mia amica, dobbiamo darla?"), Chiara vede "le ragazze ballare in maniera piuttosto volgare" con "vestiti da infermiera molto corti, da crocerossina", "i seni molto scoperti", "anche un frustino", e "avvicinandosi a Berlusconi lo toccavano e si facevano toccare nelle parti intime", una "ballava mentre Berlusconi la baciava sul seno".

Chiara e Ambra dicono di essere rimaste paralizzate, "mentre Fede e Berlusconi incitavano le altre ragazze a coinvolgerci in questo "gioco" con parole quali "dai spogliatele... spogliatevi... ballate"". E quando spiegano di volersene andare, "Fede risponde: "Se volete andare via, va bene, ma non pensate di poter fare le meteorine o Miss Italia". Berlusconi, che sedeva accanto, annuiva senza dire una parola". In auto, Fede di colpo cambia e esalta il "nostro non essere come le altre: brave, avete superato una prova". E l'sms "grazie per la fantastica serata!" dal telefonino di Chiara a Fede? "In realtà lo mandò Salemi, per assicurarmi la selezione a Miss Italia, quando ancora non gli avevamo raccontato la serata".

Luigi Ferrarella,

Giuseppe Guastella

13 aprile 2011

 

 

in una nota dopo il DEPOSITATE delle TESTIMONIANZE DI ALTRE DUE RAGAZZE

"Le nuove testimoni?Inconsistenti"

E Fede: "Querelo Ambra e Chiara"

Piero Longo e Niccolò Ghedini: "La genesi delle dichiarazioni e i tempi appaiono davvero indicativi"

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MILANO - "Le nuove dichiarazioni apparse anche quest'oggi su alcuni giornali in relazione alle serate in Arcore, sono destituite di ogni fondamento e contrastano con numerosissime indicazioni di segno completamente opposto". È quanto dichiarano in una nota i parlamentari e legali del premier Piero Longo e Niccolò Ghedini che sottolineano i loro dubbi sul timing delle novità emerse sui quotidiani oggi: "La genesi delle dichiarazioni e i tempi appaiono davvero indicativi e ne dimostrano l'assoluta inconsistenza". Si tratta delle dichiarazioni di due diciannovenni, Chiara Danese e Ambra Battilana, sentite lunedì dai pm. Le due ragazze saranno querelate dal direttore del Tg4 Emilio fede, chiamato in causa dalle loro dichiarazioni che i legali del giornalista definiscono "assolutamente false e gravemente denigratorie dello stesso Fede, oltre che delle altre persone citate dalle stesse".

Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni Feste Arcore, le due nuove testimoni

PROROGA 20 GIORNI PER MINETTI-FEDE-MORA - Queste deposizioni si inseriscono nell'ambito dell'altro filone d'indagine sul caso Ruby. I pm milanesi che indagano sul caso Ruby hanno concesso un'altra proroga di 20 giorni a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, indagati per induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile, per decidere se farsi interrogare o meno, dopo la chiusura dell'inchiesta a loro carico avvenuta nelle scorse settimane. Il termine per decidere se farsi interrogare o meno, o per presentare memorie difensive, sarebbe scaduto infatti domani, ma ieri a metà pomeriggio i legali dei tre indagati hanno ricevuto un avviso di deposito di nuovi atti integrativi di indagine. In particolare, gli avvocati hanno ricevuto l'avviso di deposito delle due testimonianze di due ragazze, Chiara Danese e Ambra Battilana, sentite lunedì dai pm. Le testimonianze delle due giovani che parlano di una serata ad Arcore con il premier e descrivono il "bunga-bunga" sono riportate sul Corriere della Sera. Da giovedì, dunque, scatteranno altri 20 giorni per i tre indagati che se vorranno potranno farsi interrogare. È più probabile però che vengano presentate memorie difensive. Da quanto si è saputo, inoltre, i pm sarebbero ancora impegnati nella stesura di altri atti integrativi di indagine che potrebbero essere depositati ai legali nei prossimi giorni. Per la procura le testimonianze delle due ragazze torinesi sono "rilevanti per il contesto", ma non integrano alcuna nuova contestazione, cioè "non dicono nulla di nuovo".

L'AVVOCATO DELLE RAGAZZE - "Ci tengo alla mia professionalità e il mio partito, l'Idv, non sapeva niente di Ambra Battilana e Chiara Danese, hanno appreso tutto dai giornali"dice la senatrice dell'Idv, Patrizia Bugnano, che è l'avvocato di Ambra Battilana, la ragazza che insieme a Chiara Danese ha deposto davanti ai pm di Milano sulle serate ad Arcore. "Io innanzitutto - precisa la senatrice raggiunta telefonicamente a Bruxelles - sono avvocato, sono in Senato da poco e nella mia professione la politica non c'entra niente. Sono le due ragazze che sono venute a riferire del loro disagio dopo che sono state ad Arcore".

Redazione online

13 aprile 2011

 

L'intercettazione depositata tra gli atti di uno dei filoni d'inchiesta sul caso Ruby

Fede: "Chiara è troppo timida, lasciala"

La telefonata del direttore del Tg4 ad Ambra: la tua amica non va bene "per fare quel che bisogna fare"

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Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa)

Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa)

MILANO - "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Emilio Fede, al telefono con Ambra Battilana, il 24 agosto scorso, dopo la serata ad Arcore a cui hanno partecipato la stessa giovane e la sua amica Chiara Danese, e al centro delle nuove testimonianze rese lunedì scorso ai pm milanesi, commenta l'atteggiamento della Danese "troppo" timida "per fare quello che c'è bisogno di fare". È quanto si legge in una intercettazione depositata tra gli atti del filone d'inchiesta che vede indagati il direttore del Tg4, Lele Mora e Nicole Minetti.

TROPPO TIMIDA - Fede e la ex miss Piemonte, due giorni dopo la festa a Villa San Martino del 22 agosto scorso, commentano al cellulare. Fede: "Chiamami eh? perchè almeno con te si parla". Ambra: "Eh lo so". Fede: "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Ambra: "Eh ma è molto timida". E il direttore: "Eh, troppo, troppo... Troppo per fare quello che c'è bisogno di fare ... capito?". Ambra: "E' vero è vero bisogna vedere un po' la situazione... perchè è piccoli... (si interrompe)". Fede: "Allora chiamami va bene?". E la Battilana: "cioè ha la mia età... ok perfetto, ciao, ciao".

GIOVANE ETA' - Secondo gli investigatori, Fede "fiuta l'attaccabilità della ragazza, consistente nella sua giovane età e nella sua scarsa capacità di 'adattamento' a contesti evidentemente suscettibili di arrecare turbamento a soggetti non avvezzi e ne accenna (...) ad Ambra (giungendo finanche a definirla 'pericolosa')". Come scrivono gli inquirenti inoltre, "appare altamente probabile, in ciò considerando il complesso degli elementi sinora acquisisti e la consistenza della piattaforma indiziaria, che le figure della Danese Chiara Andrea e della Battilana Ambra, possano essere state indotte all'attuazione di condotte di meretricio". (Fonte: Ansa)

13 aprile 2011

 

 

L'intercettazione depositata tra gli atti di uno dei filoni d'inchiesta sul caso Ruby

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Emilio Fede, direttore del Tg4 (Ansa)

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MILANO - "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Emilio Fede, al telefono con Ambra Battilana, il 24 agosto scorso, dopo la serata ad Arcore a cui hanno partecipato la stessa giovane e la sua amica Chiara Danese, e al centro delle nuove testimonianze rese lunedì scorso ai pm milanesi, commenta l'atteggiamento della Danese "troppo" timida "per fare quello che c'è bisogno di fare". È quanto si legge in una intercettazione depositata tra gli atti del filone d'inchiesta che vede indagati il direttore del Tg4, Lele Mora e Nicole Minetti.

TROPPO TIMIDA - Fede e la ex miss Piemonte, due giorni dopo la festa a Villa San Martino del 22 agosto scorso, commentano al cellulare. Fede: "Chiamami eh? perchè almeno con te si parla". Ambra: "Eh lo so". Fede: "Chiara mi sembra di un altro mondo lasciala perdere". Ambra: "Eh ma è molto timida". E il direttore: "Eh, troppo, troppo... Troppo per fare quello che c'è bisogno di fare ... capito?". Ambra: "E' vero è vero bisogna vedere un po' la situazione... perchè è piccoli... (si interrompe)". Fede: "Allora chiamami va bene?". E la Battilana: "cioè ha la mia età... ok perfetto, ciao, ciao".

GIOVANE ETA' - Secondo gli investigatori, Fede "fiuta l'attaccabilità della ragazza, consistente nella sua giovane età e nella sua scarsa capacità di 'adattamento' a contesti evidentemente suscettibili di arrecare turbamento a soggetti non avvezzi e ne accenna (...) ad Ambra (giungendo finanche a definirla 'pericolosa')". Come scrivono gli inquirenti inoltre, "appare altamente probabile, in ciò considerando il complesso degli elementi sinora acquisisti e la consistenza della piattaforma indiziaria, che le figure della Danese Chiara Andrea e della Battilana Ambra, possano essere state indotte all'attuazione di condotte di meretricio". (Fonte: Ansa)

13 aprile 2011

 

 

2011-04-12

Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire"

Il processo breve torna in Aula

Cicchitto: "Non temiamo imboscate"

Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero"

Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire"

Il processo breve torna in Aula

Cicchitto: "Non temiamo imboscate"

Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero"

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini

MILANO - L'appuntamento è fissato per martedì alle 15: in Aula riprende l'esame del processo breve e la votazione finale è fissata per l'indomani. Il Pdl non teme "brutte sorprese", come spiega Fabrizio Cicchitto. "Nella vita - ammette il presidente dei deputati - non si può mai dire, però, secondo me, ci stanno tutti i termini per un voto positivo da parte della maggioranza. Mi sembra che ci sia una tendenza al romanzo storico". Il partito del premier Silvio Berlusconi dunque non ha paura di ipotetiche imboscate. "Quella del 25 luglio - taglia corto Cicchitto - è una bella battuta, ma non mi sembra che ci sia un Consiglio nazionale alle porte". Il presidente del gruppo ha anche scritto una lettera a tutti i suoi deputati: "È indispensabile affrontare i prossimi giorni con coesione politica e attenzione, ma anche con pazienza e serenità, senza cadere nelle provocazioni che facilmente possono emergere nell'ambito di un dibattito così lungo su un provvedimento sul quale si registra un alto livello di contrapposizione politica".

"SARA' UN VIETNAM PARLAMENTARE" - L'opposizione resta sul piede di guerra, con L'Italia dei valori che mette in guardia la maggioranza: "Sarà un Vietnam parlamentare senza sconti. Faremo tutto ciò che è democraticamente consentito per impedire la più grossa amnistia della storia repubblicana" annuncia il portavoce dei dipietristi Leoluca Orlando, spiegando che il partito di Antonio Di Pietro parteciperà mercoledì in piazza Montecitorio al sit in di protesta contro il processo breve promosso dai familiari delle vittime di Viareggio e del crollo della Casa dello studente a L'Aquila.

"DIBATTITO NEL RISPETTO DEL REGOLAMENTO" - Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, assicura dal canto suo che il dibattito a Montecitorio si sta svolgendo e si svolgerà nel rispetto del regolamento. "Stiamo discutendo di prescrizione breve e non di altro perché c'è una maggioranza e c'è un regolamento parlamentare. Quest'ultimo devo rispettarlo pur avendo una mia idea personale" spiega rispondendo alle domande di alcuni studenti dell'istituto superiore agrario di Marsala (Trapani). "Ci sono forze di opposizione che non discuterebbero del processo breve ma di altro" aggiunge. "In Italia - ci tiene a precisare Fini - è rarissimo che si parli di ciò che unisce, la politica è un derby: è sempre colpa degli altri quando si perde. La politica non può essere uno scontro perenne tra fazioni ma deve avere dei principi unificanti, ovvero quelli della Costituzione. Intendo dire che se la legge è uguale per tutti - è la conclusione del leader Fli -, la legge deve essere uguale per tutti per davvero. Io sono il presidente della Camera, ma ho anche una mia idea politica".

Redazione online

11 aprile 2011

 

 

 

 

2011-04-11

Il presidente dei deputati del Pdl: "Non sarà un 25 luglio, ma nella vita non si può mai dire"

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Martedì l'esame, mercoledì il voto. Fini: "Se la legge è uguale per tutti, lo sia davvero"

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini

MILANO - L'appuntamento è fissato per martedì alle 15: in Aula riprende l'esame del processo breve e la votazione finale è fissata per l'indomani. Il Pdl non teme "brutte sorprese", come spiega Fabrizio Cicchitto. "Nella vita - ammette il presidente dei deputati - non si può mai dire, però, secondo me, ci stanno tutti i termini per un voto positivo da parte della maggioranza. Mi sembra che ci sia una tendenza al romanzo storico". Il partito del premier Silvio Berlusconi dunque non ha paura di ipotetiche imboscate. "Quella del 25 luglio - taglia corto Cicchitto - è una bella battuta, ma non mi sembra che ci sia un Consiglio nazionale alle porte". L'opposizione resta sul piede di guerra, con L'Italia dei valori che mette in guardia la maggioranza: "Sarà un Vietnam parlamentare senza sconti. Faremo tutto ciò che è democraticamente consentito per impedire la più grossa amnistia della storia repubblicana" annuncia il portavoce dei dipietristi Leoluca Orlando, spiegando che il partito di Antonio Di Pietro parteciperà mercoledì in piazza Montecitorio al sit in di protesta contro il processo breve promosso dai familiari delle vittime di Viareggio e del crollo della Casa dello studente a L'Aquila.

"DIBATTITO NEL RISPETTO DEL REGOLAMENTO" - Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, assicura dal canto suo che il dibattito a Montecitorio si sta svolgendo e si svolgerà nel rispetto del regolamento. "Stiamo discutendo di prescrizione breve e non di altro perché c'è una maggioranza e c'è un regolamento parlamentare. Quest'ultimo devo rispettarlo pur avendo una mia idea personale" spiega rispondendo alle domande di alcuni studenti dell'istituto superiore agrario di Marsala (Trapani). "Ci sono forze di opposizione che non discuterebbero del processo breve ma di altro" aggiunge. "In Italia - ci tiene a precisare Fini - è rarissimo che si parli di ciò che unisce, la politica è un derby: è sempre colpa degli altri quando si perde. La politica non può essere uno scontro perenne tra fazioni ma deve avere dei principi unificanti, ovvero quelli della Costituzione. Intendo dire che se la legge è uguale per tutti - è la conclusione del leader Fli -, la legge deve essere uguale per tutti per davvero. Io sono il presidente della Camera, ma ho anche una mia idea politica".

Redazione online

11 aprile 2011

 

 

 

2011-04-08

Il crac - I termini scadono, la sentenza attesa per il 18 aprile servirà a pochi danneggiati

L'ultima beffa del caso Parmalat

La prescrizione blocca i risarcimenti

Processo ai banchieri per aggiotaggio, a rischio 80 mila risparmiatori

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Processo ai banchieri per aggiotaggio, a rischio 80 mila risparmiatori

Calisto Tanzi

Calisto Tanzi

MILANO - Dicembre del 2003: dopo un rocambolesco e ancora oscuro viaggio di Calisto Tanzi in Ecuador per la Parmalat non ci sono più speranze. Per il manager scattano le manette. Per la multinazionale si arriva allo spaventoso crac da 14 miliardi e si apre il paracadute della Marzano Bis, l'amministrazione straordinaria. Per oltre 120 mila obbligazionisti del re del latte Uht e delle carte false inizia una dolorosa Via Crucis. Aprile del 2011, il 18 per l'esattezza, tra pochissimi giorni: le banche potrebbero non pagare e per 80 mila di quei risparmiatori si potrebbe chiudere l'ultima finestra per sperare nei rimborsi.

La questione è complessa: il 18 è attesa la sentenza di primo grado nel processo per aggiotaggio presso il Tribunale di Milano contro le banche Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank e Morgan Stanley e i cinque manager degli istituti esteri. Le date sono importanti: perché nel caso di aggiotaggio la prescrizione del reato per le persone fisiche scatta dopo sette anni e mezzo. Cioè tra poche settimane. Dunque c'è il rischio di una beffa per chi seguiva il processo speranzoso sulla strade della giustizia. La verità è che per i manager che - secondo l'accusa sostenuta dai magistrati Eugenio Fusco, Carlo Nocerino e Francesco Greco - sono coinvolti nelle vicende del crac, anche se si dovesse arrivare a una sentenza di colpevolezza di primo grado, seppure molto importante, sarebbe penalmente una vittoria di Pirro. Con l'appello, per Carlo Pagliani, Paolo Basso (Morgan Stanley), Marco Pracca, Tommaso Zibordi (Deutsche Bank) e Paolo Botta (di Citi) scatterebbe senz'altro la prescrizione del reato.

Il punto è che l'aggiotaggio è un reato puntuale: se c'è stato deve essere stato compiuto un giorno preciso. Sull'argomento c'è un'ampia manualistica. E inoltre con le nuove norme non sarebbe comunque possibile tentare di dimostrare che si tratterebbe di reiterazione del reato. Già la Chiaruttini nella sua famosa analisi all'inizio del primo processo aveva adombrato il rischio prescrizione. Non che i giudici non se ne siano resi conto: dallo scorso gennaio il processo ha subito un'accelerazione proprio per evitare il rischio di arrivare alla prescrizione addirittura prima della sentenza. Va detto onestamente che il processo principale, quello per le responsabilità del crac vero e proprio, è quello di Parma. Un avvocato di una delle banche considera l'appuntamento milanese una "scheggia". Anche perché la stessa persona sottolinea come la maggior parte dei risparmiatori che si sono costituiti parte civile nel processo (32 mila rappresentati dall'avvocato Carlo Federico Grosso e circa 8 mila rappresentati dalle associazioni dei consumatori) abbiano già sottoscritto degli accordi con le banche nel processo.

Ma sembra un punto di vista di parte. Perché da un punto di vista mediatico e di partecipazione emotiva, al processo sono in molti che attendono di vedere cosa succederà agli istituti di credito tra gli ex creditori di Tanzi. Basterebbe una passeggiata nella blogosfera. La posizione delle banche estere è comunque diversa perché in un'affollata aula del Tribunale meneghino, lo scorso gennaio, Fusco ha chiesto in base alla legge 231 - non aver predisposto delle strutture atte a evitare che i propri dipendenti si possano rendere responsabili di comportamenti contro il mercato - di procedere contro le banche confiscando parallelamente la cifra monstre di 120 milioni.

Contro la 231 non c'è prescrizione. Ma in ogni caso la Cassazione ha già chiarito che non è possibile costituirsi parte civile contro le società per le responsabilità amministrative. Dunque, in soldoni, da un'eventuale sentenza di colpevolezza delle banche come persone giuridiche non arriverà nulla ai risparmiatori. L'unica speranza era la sentenza contro le persone fisiche che avrebbe permesso ai risparmiatori di chiedere di fronte al giudice civile il risarcimento del danno subito. Ma gli unici che potrebbero trarne vantaggio a questo punto sono 1.200 parti civili che non hanno firmato per vari motivi gli accordi con le banche. Per loro, in caso di sentenza favorevole, potrebbe aprirsi qualche spiraglio. Per tutti gli altri, se ancora hanno le azioni che hanno ricevuto sulla base del concordato in cambio dei Tanzi-bond, non resta che sperare in una ripresa del titolo Parmalat in Borsa nella contesa in corso tra Italia e Francia.

Massimo Sideri

08 aprile 2011

 

 

 

2011-04-05

LA SCHEDA

Come funziona il conflitto di attribuzione

Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato il giudizio penale verrebbe travolto

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(Imagoeconomica)

(Imagoeconomica)

MILANO - La Camera ha deciso con una maggioranza di 12 voti di sollevare davanti alla corte Costituzionale un conflitto di attribuzione nei confronti dei magistrati di Milano, nel tentativo di togliere loro il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby, che si apre mercoledì. La maggioranza di centrodestra sostiene che uno dei due reati contestati al premier, la concussione, sia di natura ministeriale e, pertanto, l'inchiesta dovrebbe ricominciare quasi da zero davanti al tribunale dei Ministri, annullando buona parte degli atti compiuti finora dai pm e dal gup di Milano, che ha rinviato Berlusconi a giudizio immediato. Inoltre, di fronte ad un reato di natura ministeriale contestato ad uno dei membri del governo, il Parlamento potrebbe negare l'autorizzazione a procedere. La Camera chiede quindi alla Corte Costituzionale di avallare questa tesi.

L'ACCUSA - L'accusa dice che Berlusconi abbia avuto rapporti sessuali a pagamento con la giovane marocchina Karima el Mahroug, detta Ruby, lo scorso anno, quando era minorenne, e che abbia cercato illegittimamente di ottenerne il rilascio dalla questura di Milano, dove era stata fermata per furto, con l'obiettivo di occultare la sua relazione con la ragazza. La maggioranza alla Camera si è schierata con la tesi che la presunta concussione fosse "ministeriale", perché telefonando in questura, il premier avrebbe agito nell'esercizio delle sue funzioni di premier; infatti, pensava che la ragazza fosse la nipote dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak - una tesi considerata ridicola dall'opposizione. Il tribunale di Milano ha detto di non sentirsi vincolato alle tesi della Camera e che il processo andrà avanti. La Corte costituzionale dovrebbe decidere nei prossimi mesi se accogliere il ricorso ed eventualmente poi decidere nel merito entro un anno dalla sollevazione del conflitto. Ma come funziona il conflitto?

LA LEGGE - La legge costituzionale 1 del 1989 attribuisce alla Camera il potere di dare l'autorizzazione a procedere di fronte a reati ministeriali, commessi da ministri e presidente del Consiglio, secondo quanto disciplinato dall'articolo 96 della Costituzione. Nel caso in cui, dunque, la Camera ritenesse lesa questa sua prerogativa, la Camera può sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Corte Costituzionale. I passaggi parlamentari previsti chiamano rispettivamente in causa Ufficio di presidenza, Giunta per le autorizzazioni e quindi voto dell'assemblea. Sul caso Ruby che vede il presidente del Consiglio a processo mercoledì, si è dunque aperta la prospettiva di un conflitto davanti alla Corte Costituzionale, paventata fin dall'inizio dal Pdl, posta la competenza del Tribunale dei ministri "rivendicata" da subito da parte della maggioranza, che in tal modo si era già espressa negando l'autorizzazione alla perquisizione chiesta dai pm di Milano.

I TEMPI - Ad ogni modo, non si sospende da subito il procedimento ormai avviato davanti ai magistrati. L'ipotesi di sospensiva del procedimento, infatti, nella legge del 1953 che regola il funzionamento della Corte Costituzionale, viene disciplinata dall'articoli 35 e 40 e riguarda il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi sollevato in via principale ed il conflitto fra enti e non fra poteri dello Stato: "L'esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero fra Regioni - si legge nell'articolo 40 - può essere in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte".

LE FASI - Sollevato il conflitto di attribuzione, il giudizio della Consulta si articola invece in due fasi. In una prima fase i giudici costituzionali sono chiamati a conoscere il ricorso del ricorrente, in camera di consiglio e senza contraddittorio. Se giudicano ammissibile il ricorso, la Corte dispone la notificazione alle parti che ha individuato e dà un termine al ricorrente perché ridepositi il ricorso notificato. Per le notifiche in genere il termine è di 60 giorni, 30 o 15 in alcuni casi più urgenti. La Corte dà quindi un termine giorni anche alla parte resistente per decidere di costituirsi in giudizio. Dal momento, dunque dell'eventuale dichiarazione di ammissibilità passerebbero alcuni mesi per giungere alla trattazione nel merito del conflitto sollevato.

GLI EFFETTI - Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato, il giudizio penale verrebbe travolto e il procedimento ripartirebbe secondo la legge costituzionale, che prevede l'autorizzazione a procedere in caso di reato ministeriale

Redazione online

05 aprile 2011

 

 

in piazza pd e popolo viola. Di Pietro: "Le proteste potrebbero trasformarsi in rivolta"

Caso Ruby, la maggioranza tiene

L'Aula approva la richiesta di sollevare il conflitto di attribuzione contro i magistrati di Milano

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MILANO - Sul caso Ruby la maggioranza tiene. La Camera ha infatti approvato, con dodici voti di scarto, la richiesta avanzata dal Pdl di sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. L'obiettivo è quello di trasferire il processo al Tribunale dei ministri, dal momento che uno dei reati contestati al premier Silvio Berlusconi, la concussione sarebbe di natura ministeriale (l'altro reato è prostituzione minorile).

PROCESSO BREVE E OSTRUZIONISMO - Dopo la votazione sul caso Ruby e una piccola interruzione, la seduta è ricominciata con l'esame della proposte di legge sul sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni. L'Italia dei Valori ha iniziato un'azione ostruzionistica per far slittare il più avanti possibile l'inizio dell'esame del testo sul processo breve. I deputati di dipietristi hanno fatto interventi a raffica sugli emendamenti al testo.

LA VOTAZIONE - Per la votazione sul caso Ruby, i banchi del governo erano al gran completo. Presenti tutti i ministri, tranne il presidente del Consiglio: nella poltrona da lui abitualmente occupata si è seduta Michela Vittoria Brambilla, tra Umberto Bossi e Franco Frattini. I banchi erano tanto pieni che Ignazio La Russa e Giorgia Meloni non hanno trovato posto e hanno dovuto accomodarsi sui banchi dei deputati. Con la maggioranza hanno votato anche i deputati liberaldemocratici Daniela Melchiorre e Italo Tanoni.

I NUMERI - Sui numeri in Aula è però bagarre. Il capogruppo Pd Dario Franceschini ha apostrofato la votazione come "un'altra pagina davvero vergognosa", mettendo poi l'accento sui dodic voti di vantaggio della maggioranza. "I 330 Berlusconi se li è sognati di notte. Sono arrivati a 314: i 330 sono un miraggio del premier e come tutti gli altri si allontana", ha detto Franceschini. "Dodici voti di maggioranza bastano" ha tagliato corto il leader della Lega Umberto Bossi. E anche il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, ha mostrato soddisfazione per l'esito del voto alla Camera. "La maggioranza cresce e continuerà a crescere" ha detto. Secondo i calcoli fatti nel Pdl, infatti, con i due nuovi "ingressi" (Melchiorre e Tanoni), i voti a favore del governo dovrebbero essere 323: in realtà, però, si continua a conteggiare tra le fila della maggioranza Antonio Gaglione, che, sempre assente nelle ultime votazioni, non si è mai schierato ufficialmente a favore del governo. Quanto al voto su Ruby, sempre secondo fonti Pdl, alla maggioranza sarebbero mancati i voti di 7 assenti.

IN PIAZZA PD E POPOLO VIOLA - In concomitanza con l'inizio dei lavori alla Camera ha preso il via il presidio organizzato da Popolo Viola e Articolo 21 contro il disegno di legge del governo sulla giustizia e in particolare contro il processo breve che sarà in discussione alla Camera. Piazza Montecitorio è blindata e un centinaio di persone manifesta dietro le transenne a una cinquantina di metri dall'ingresso principale di Montecitorio. Il Pd ha deciso di organizzare una propria manifestazione al Pantheon, a partire dalle ore 18, alla quale parteciperà il segretario Pier Luigi Bersani.

BERLUSCONI - Assente a Montecitorio il premier ha riunito a Palazzo Grazioli i capigruppo della maggioranza, prima della votazione in Aula. "Contro di me è in atto un vero brigatismo giudiziario", avrebbe detto Berlusconi commentando la pubblicazione delle intercettazioni a suo carico contenute negli atti di accusa dei pm nel processo Ruby. "Ve lo ripeto ancora una volta - avrebbe aggiunto il presidente del Consiglio - io non ho fatto nulla".

DI PIETRO - A Montecitorio erano arrivati alla spicciolata prima del voto i deputati, con Antonio Di Pietro che si è fermato a parlare con la gente in piazza. "Prima che si passi dalla manifestazione alla rivolta vera e propria - ha detto il leader Idv -, invito i cittadini a dare seguito a un referendum politico che metta con le spalle al muro il presidente del Consiglio e indichi, al presidente della Repubblica, la dicotomia ormai esistente tra una maggioranza numerica in parlamento e una maggioranza politica che non c'è più".

Redazione online

05 aprile 2011

 

 

POLITICA E MAGISTRATURA

Montecitorio blindata: il popolo viola contro il conflitto di attribuzione

L'aula approva il provvedimento sul caso Ruby. Fuori, mobilitazione delle opposizioni. Alle 18 Bersani al Pantheon, dalle 20 "notte bianca per la democrazia"

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La protesta viola a Montecitorio (Eidon)

La protesta viola a Montecitorio (Eidon)

ROMA - "Blindata". Mentre in parlamento si discuteva il caso Ruby, piazza Montecitorio era già sorvegliata speciale. Tesserini e documenti chiesti anche ai parlamentari che entravano in aula, in uno dei giorni più "caldi" delle settimane in cui si discute di giustizia e conflitti di attribuzione con la magistratura in merito al rinvio a giudizio del premier Berlusconi.

Dopo la bagarre di mercoledì scorso e le accuse del ministro la Russa, "il popolo viola" è in sit in da giorni. Il gruppo è stato definito da esponenti Pdl "intimidatorio, offensivo, violento" e le polemiche erano già calde prima di cominciare la discussione nel transatlantico.

SMS E FAX POI IL VOTO - Fin dalla mattina la maggioranza aveva attivato una mobilitazione: sms e fax inviati a tutti i parlamentari per far approvare la mozione sul conflitto di attribuzione, che alla fine è passata per 12 voti di vantaggio. All'ordine del giorno, oltre al il voto sul caso Ruby, l'ipotesi ventilata dalla maggioranza di votare già in settimana il processo breve che contiene la prescrizione "più corta" per gli incensurati.

La protesta Pd (Eidon)

La protesta Pd (Eidon)

TRICOLORE DI 60 METRI - A manifestare in piazza Montecitorio insieme al popolo viola ci sono le opposizioni, dall'Idv al Pd, a Rifondazione a Futuro e Libertà. Mentre in aula si dibatteva, i viola hanno srotolato in piazza un tricolore lungo circa 60 metri, lo stesso utilizzato nella firmata della Costituzione. Tra gli slogan gridati in piazza "Silvio Berlusconi deve morire". Antonio Di Pietro che si è unito alla folla, mentre in mattinata aveva usato toni accesi dicendo che "le proteste potrebbero trasformarsi in rivolta", ha stemperato le parole invitando ad andare a votare il referendum del 12 e 13 giugno sul legittimo impedimento: "per far capire a Berlusconi che la maggioranza degli italiani sulla giustizia non è con lui".

LA GIORNATA DI PROTESTE - Nel programma dei "viola" si andrà avanti con altre manifestazioni nella "notte bianca per la democrazia" a partire dalle 20 (fino alle 24) in piazza Santi Apostoli. Il Pd, inoltre, manifesterà alle 18 a poche centinaia di metri da Montecitorio, a piazza del Pantheon.

Redazione online

05 aprile 2011

 

 

 

il presidente della repubblica riceve i vertici dell'anm. E attende il testo della riforma

Napolitano alle toghe:

"Autonomia inderogabile"

"Confronto senza pregiudiziali sulla riforma, ma sia rispettata la divisione dei poteri dello Stato"

il presidente della repubblica riceve i vertici dell'anm. E attende il testo della riforma

Napolitano alle toghe:

"Autonomia inderogabile"

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Il capo dello Stato

Il capo dello Stato

MILANO - "Ci sentiamo rinfrancati". Sono soddisfatti i vertici dell'Associazione nazionale dei magistrati al termine dell'incontro con Giorgio Napolitano, nel corso del quale il sindacato delle toghe ha espresso le sue preoccupazioni sulla riforma della giustizia annunciata dal governo Berlusconi. Il capo dello Stato, è spiegato in una nota diffusa dal Quirinale dopo l'incontro, ha ribadito la convinzione che "l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Auspicando un "più sereno clima istituzionale", Napolitano ha anche affrontato più specificatamente il tema della riforma della giustizia, sottolineando la necessità di un "confronto senza pregiudiziali" tra tutte le forze politiche e culturali e in particolare tra tutte le componenti del mondo della giustizia.

POTERI E GARANZIE - Per Napolitano è fondamentale che la riforma della giustizia rispetti poteri e garanzie. Il capo dello Stato "ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della seconda parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948". Ma questa rimodulazione, si legge in un passaggio del messaggio del Quirinale, "in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia".

BOSSI: "E' GIUSTO" - Un richiamo, quello di Napolitano, che trova la condivisione del leader della Lega Nord, Umberto Bossi. "È giusto" ha detto il Senatùr ai giornalisti che alla Camera gli chiedevano un giudizio sull'appello del presidente della Repubblica al rispetto della divisione e dell'equilibrio dei poteri.

IL TESTO NON ANCORA AL COLLE - Nella nota del Quirinale è anche detto per inciso che il testo del disegno di legge costituzionale in tema di riforma della giustizia approvato l'11 marzo 2011 dal Consiglio dei ministri non è stato ancora trasmesso al capo dello Stato per la presentazione alle Camere. A stretto giro, arriva la risposta da fonti del ministero della Giustizia secondo le quali il testo è stato inviato lunedì sera a Palazzo Chigi seguendo la procedura ordinaria e sarà entro oggi nella disponibilità del Presidente della Repubblica. Il ddl, varato nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 10 marzo scorso, è stato quindi licenziato martedì mattina da Palazzo Chigi con la sua relazione di accompagnamento e - sottolineano le stesse fonti - inviato al Quirinale, dove sta seguendo il regolare iter.

"GRANDE ATTENZIONE" - "Abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato" hanno detto i leader del sindacato delle toghe che all'inquilino del Quirinale hanno espresso tutte le loro preoccupazioni "sia in riferimento all'annunciata riforma costituzionale della giustizia, che in riferimento ai progetti di legge ordinaria come per la responsabilità civile dei giudici e la prescrizione breve". Quello che le toghe temono principalmente è che i principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura possano risultare "fortemente alterati" nel caso in cui si dovesse approvare la riforma costituzionale della giustizia". Una preoccupazione che i magistrati hanno espresso a Napolitano nel corso dell'incontro. "Da parte nostra - ha spiegato il presidente dell'Anm, Luca Palamara parlando con i giornalisti alla fine della riunione - non c'è una chiusura corporativa ma la volontà di mantenere fermi questi principi che sono capisaldi dello stato di diritto e che sono a garanzia dei cittadini".

LA PROTESTA - Quanto all'ipotesi di uno sciopero delle toghe contro le riforme della giustizia alle quali lavora il governo Berlusconi, Palamara ha spiegato che "la magistratura non vuole essere trascinata sul terreno dello scontro. Stiamo seguendo - ha detto Palamara - un percorso istituzionale presentando le nostre posizioni ai principali organi istituzionali. E per le nostre decisioni ci sono sedi prestabilite, cioè il Comitato direttivo centrale a cui riferiremo l'esito degli incontri".

Redazione online

05 aprile 2011

 

 

 

 

2011-04-03

il premier è intervenuto via telefono all'assemblea di "Rete Italia" a Riva del Garda

Berlusconi: "Noi impotenti di fronte

al potere pervasivo dei giudici"

Il premier: "Avanti così con la nuova maggioranza. Domani sarò a Tunisi"

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Berlusconi: "Noi impotenti di fronte

al potere pervasivo dei giudici"

Il premier: "Avanti così con la nuova maggioranza. Domani sarò a Tunisi"

(Fotogramma)

(Fotogramma)

RIVA DEL GARDA (Trento) - " Oggi in Italia la politica è debole, a volte impotente. Noi siamo diventati dei capri espiatori, dei parafulmini della società. I poteri che contano, dall'economia alla finanza a quello pervasivo della giustizia, che in Italia è diventato un vero e proprio contropotere. Ma non gode della legittimità popolare". Così il premier Silvio Berlusconi, intervenendo via telefono all'assemblea di "Rete Italia" a Riva del Garda, associazione vicina al presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. "Ecco perché sono necessarie le riforme - aggiunge il premier - a partire dalla giustizia per garantire un corretto equilibrio tra i poteri dello Stato".

RIVOLUZIONE - "Potremmo completare la rivoluzione necessaria per garantire un futuro di libertà e giustizia al paese" ha sottolineato il presidente del Consiglio alla platea. "Andiamo avanti con la nuova maggioranza", ha aggiunto spiegando che "sono finiti i veti di Fini e Casini" e quindi è possibile "il varo della riforma dell'architettura istituzionale, della giustizia e delle tasse". "In due anni - ha concluso - riusciremo a modernizzare il paese". "La politica non può vivere senza fede, ideali profondi. E non può sussistere se questa non si trasforma in competenze" ha spiegato citando Paolo VI e don Luigi Giussani.

LAMPEDUSA - Entro domenica sera a Lampedusa dovrebbero rimanere 2.500 immigrati, grazie agli "ultimi imbarchi"ha detto poi parlando del problema immigrazione. Berlusconi ha ricordato le "condizioni del mare che hanno reso impossibile l'imbarco" degli immigrati per alcuni giorni: "Andrò a Tunisi a vedere se un governo non forte e non eletto riuscirà a imporsi e evitare nuove partenze".

FORMIGONI - Dopo che Nichi Vendola ha definito la Lombardia come la regione più mafiosa d'Italia, il presidente della Regione, Roberto Formigoni, ha incassato la solidarietà del premier Silvio Berlusconi. "È una cosa paradossale che ti diano del mafioso - ha osservato -. È quasi normale se penso a quello che dicono di me". Berlusconi ha sottolineato che la Lombardia è la "regione meglio amministrata dell'Italia, ha la sanità migliore ed è il nostro fiore all'occhiello in Europa". E poi ha rivendicato il fatto che è stato trovato il "miglior modo" per battere la 'ndrangheta "con la confisca dei beni, il carcere duro e in Lombardia con un'amministrazione trasparente e con i conti a posto".

Redazione online

03 aprile 2011

 

il premier: "completeremo la legislatura siamo vicini a 330 deputati"

Alfano: "Faremo passare la riforma

della giustizia nelle piazze"

L'opposizione si ribella, lui replica:

"Non si può strumentalizzare tutto e sempre"

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MILANO - "Ci batteremo per far passare la riforma della giustizia nelle piazze". Il ministro Angelino Alfano parla di giustizia al convegno di Rete Italia a Riva del Garda: "Sarà necessario l'impegno di un grande partito come il nostro, guidato da Berlusconi". Immediate le reazioni di alcuni esponenti dell'opposizione. Il pd Andrea Orlando: "Evidentemente al ministro Alfano non giova la frequentazione con il suo collega La Russa. Così oggi si produce in un equivoco richiamo alla piazza". E un altro Orlando (Leoluca) dell'Italia dei valori: "È chiaro che con questa riforma vogliono punire i magistrati, come ha minacciato di fare Berlusconi, ed eliminare la loro autonomia sancita dalla Costituzione. Alfano stia sicuro che saranno i cittadini a scendere in piazza, ma lo faranno per mandare a casa lui e i suoi colleghi di questo indegno governo".

CONTROREPLICA - "Ma dai, non si può strumentalizzare tutto e sempre": così ha ribattuto Alfano. "È chiaro che faremo assemblea di partiti, comizi e trasmissioni televisive - dice il ministro -. Mi pare questa la forma più alta della democrazia; o forse vogliono metterci il bavaglio senza farci parlare della riforma costituzionale della giustizia?".

Pier Luigi Bersani (Scudieri)

Pier Luigi Bersani (Scudieri)

BERSANI - Riforma sulla cui possibilità di realizzazione hamolti dubbi il segretario del Pd Pier Luigi Bersani che, al termine del seminario dei Democratici sul partito, è tornato a ipotizzare un prossimo approdo alle urne. "Berlusconi potrà comprare uno o due parlamentari", ha detto Bersani, "ma tutti vedono che non c'è il governo, da mesi non fanno nulla. Berlusconi confonde la governabilità con la sua sopravvivenza. Qualsiasi cosa è meglio di questa situazione, compreso il voto anticipato".

IPOTESI ELETTORALE - Rispetto a chi anche nel Pd, come Walter Veltroni ipotizza soluzioni diverse dal voto anticipato come il governo di transizione, Bersani sostiene che "non siamo preclusi a niente". "Noto solo che dopo la nostra proposta di governo di transizione - sostiene Bersani - sono arrivati i responsabili che hanno in mano la situazione. Per questo, per non stare dove siamo l'ipotesi è solo quella delle elezioni anticipate che sono meglio di questa situazione".

AMMINISTRATIVE - Bersani è poi intervenuto sulla questione delle elezioni amministrative "Siccome c'è da vincere, si vincerà con più gusto. È da un po' che lo dico che si vince a Milano: l'ho detto dal primo momento e lo confermo. E aggiungo che vinceremo con più gusto".

Berlusconi si dice convinto di arrivare a quota 330 deputati, replica : "Potrà comprarne uno o due, ma tutti vediamo che non c'è un governo. Da mesi non combinano nulla. Berlusconi confonde la governabilità con la sua sopravvivenza".

BERLUSCONI - In precedenza infatti il premier si era detto sicuro di arrivare in breve tempo a quota 330 deputati " "Completeremo la legislatura. È ormai un fatto acquisito che siamo vicini al traguardo dei 330 deputati e la maggioranza è in grado di approvare le riforme che abbiamo in programma. In Parlamento bisogna trovare il modo di andare avanti: l'opposizione può dire quello che vuole, cioè menzogne e falsità, ma non dobbiamo dare loro importanza, non dobbiamo cadere in provocazioni". Il premier si era detto anche sicuro che il centrodestra vincerà le prossime amministrative: "Vinceremo anche le prossime amministrative" averva sottolineato Berlusconi.

Redazione online

02 aprile 2011(ultima modifica: 03 aprile 2011)

 

 

 

 

2011-04-01

La russa sarà sanzionato dall'ufficio di presidenza per gli insulti a Fini

Prescrizione breve, il governo va sotto

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Il ministro La Russa durante il suo intervento di mercoledì alla Camera (Ansa)

Il ministro La Russa durante il suo intervento di mercoledì alla Camera (Ansa)

ROMA - Il giorno dopo la bagarre fuori e dentro Montecitorio, per la decisione della maggioranza di imporre un'inversione dell'ordine dei lavori anticipando la discussione sulla cosiddetta prescrizione breve, il testo che prevede la riduzione dei tempi di giudizio e di cui potrebbe beneficiare anche Silvio Berlusconi per il caso Mills - di qui le accuse di ennesima legge ad persona - è approdato in Aula per il dibattito. La maggioranza avrebbe voluto chiudere in fretta la questione, ma le tensione degli ultimi giorni e la nuova bagarre esplosa all'interno dell'emiciclo hanno indotto il Pdl a chiedere che la discussione del testo sia rinviata a martedì. Ma questo l'epilogo di una mattinata convulsa e ad altissima tensione.

IL CASO LA RUSSA - L'inizio dei lavori era stato fissato per le dieci, per dare modo all'ufficio di presidenza della Camera di valutare l'episodio del battibecco tra Ignazio La Russa e il presidente Gianfranco Fini, preceduto dalle polemiche tra lo stesso La Russa e i rappresentanti dell'opposizione, che ha di fatto determinato l'interruzione della seduta e l'aggiornamento a oggi. E' stato proprio Fini a chiedere ai questori di esaminare "la genesi di quanto accaduto", in particolare per determinare se c'è stata oppure no una mancanza di rispetto da parte del ministro nei confronti della presidenza rappresentata da un "vaffa" espresso a gesti (e forse non solo a giudicare dal labiale) da La Russa. Una sanzione nei confronti del ministro viene data per scontata da molti, anche se non esistono precedenti del genere. Per questo motivo l'ufficio di presidenza ha rimandato ogni decisione nell'attesa che esprima un parere anche la Giunta per il regolamento, appositamente convocata per le 16. Il collegio dei questori della Camera ha comunque ritenuto di esprimere "ferma deplorazione" per il comportamento del ministro.

Maggioranza sotto, nuova bagarre

MALUMORI NEL PDL - La Russa, in ogni caso, ieri in serata, aveva telefonato a Fini per un chiarimento a voce e per esprimere le sue scuse, pur ritenendo di non avere commesso alcuno sgarbo verso la presidenza. Al di là di un intervento sanzionatorio formale nei suoi confronti, nei corridoi di Montecitorio la querelle con Fini e l'intervento "muscolare" con cui prendendo la parola dai banchi del governo aveva rivendicato il suo faccia-a-faccia con i manifestanti in piazza Colonna ("Figuriamoci se mi sono lasciato intimidire, sono andato loro incontro a testa alta mentre voi - rivolto all'opposizione, ndr - sareste scappati come conigli!") sono stati oggetto di critiche da una parte dei deputati del Pdl, in particolare da quelli che fanno capo all'ex ministro Claudio Scajola che hanno stigmatizzato pubblicamente il suo comportamento. Ancora oggi Scajola ha parlato di "spettacolo indegno" in riferimento a quanto accaduto mercoledì.

Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula Processo breve, bagarre in Aula

VERBALE CONTESTATO - La discussione oggi avrebbe dovuto entrare nel vivo e per questo erano attese scintille. E alla fine sono arrivate. Anzi, all'inizio, già all'avvio della seduta con la mancata approvazione del processo verbale della seduta di mercoledì. Il no al resoconto della giornata è arrivato mediante voto elettronico. La cosa non è così usuale, perchè solitamente si approva senza troppi dibattiti e per alzata di mano. Ma le opposizioni, Pd, Udc e Idv, hanno contestato che nel processo verbale non ci fosse esplicito riferimento all'episodio che ha visto protagonista il ministro La Russa. La votazione ha visto un pareggio e dunque il processo è stato respinto. Diversi esponenti del governo erano arrivati di corsa per votare - e per questo era stato sospeso il Consiglio dei ministri in corso a Palazzo Chigi - ma i loro voti non sono comunque bastati. La seduta è poi stata sospesa e i capigruppo hanno deciso che riprenderà solo dopo che il verbale sarà integrato della parte mancante e, di conseguenza, sottoposto a nuova votazione.

LA STIZZA DI ALFANO - Quanto accaduto, seppure su un aspetto secondario come l'approvazione di un verbale, dà il segno della tensione in corso. Va tra l'altro registrato il gesto di stizza del ministro della Giustizia, Angelino Alfano: alla chiusura del voto sul processo verbale Alfano, secondo quanto riferito dal leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, ha infatti gettato la sua tessera della Camera contro i banchi dell'Italia dei Valori. "È stato un gesto irresponsabile, immorale, illegittimo da parte del portantino di Berlusconi", ha detto Di Pietro davanti alle telecamere e mostrando tra le mani la tessera di Alfano. "Lo denuncerò al presidente della Camera" aggiunge l'ex pm stigmatizzando "lo spregio e il disprezzo del ministro nei confronti del Parlamento". Disprezzo tale che, conclude Di Pietro, "mi fa chiedere le immediate dimissioni del ministro". Esponenti della maggioranza hanno invece criticato Fini - e chiesto che sia lui a dimettersi - sia per avere concesso il voto sui verbali (ma il presidente ha fatto notare che era impossibile non farlo essendo stato chiesto da tutte le opposizioni) sia per non avere voluto attendere l'arrivo di altri ministri a dar manforte alla maggioranza. Quattro di loro, secondo la maggioranza, erano già in aula e quindi sarebbe bastata un'attesa di pochi altri minuti e per questo Pdl e Lega sono tornati invocare un nuovo presidente, considerando Fini non più "super partes".

La deputata disabile: "Io, offesa"

"SPETTACOLO INDECOROSO" - Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha fatto invece notare che "è stata una votazione lunghissima" e che "il Parlamento non può aspettare i comodi dei ministri" e Dario Franceschini ha parlato di "spettacolo indecoroso" da parte del governo che interrompe un consiglio dei ministri per consentire ai suoi esponenti di votare un verbale. Sulla stessa linea Futuro e Libertà: "In quale democrazia occidentale i ministri di un governo riunito lasciano precipitosamente la riunione per votare sul processo verbale della Camera di appartenenza in soccorso della maggioranza - si chiede il vicecapogruppo, Carmelo Briguglio -? Parliamo di ministri di un Paese impegnato in un'azione militare o meglio, se vogliamo usare un'immagine cruda ma che rende, ministri di un Paese in guerra a pochi chilometri dalle sue coste. Che spettacolo".

GIORNALE IN TESTA A FINI - E non solo: a rimarcare il nervosismo della giornata c'è il fatto che il presidente della Camera è stato colpito alla testa da un giornale che gli è stato lanciato da un a deputata del Pdl mentre usciva dal'Aula della Camera dopo la bocciatura del processo verbale. Il giornale, hanno riferito i presenti, ha colpito il presidente della Camera, che poi, fuori dall'emiciclo, ha avuto uno scambio di battute con un altro deputato del Pdl, Pietro Franzoso. Fini sembra tuttavia aver completamente sorvolato sull'episodio, di certo non ne ha poi fatto cenno.

LA DEPUTATA DISABILE - Altro episodio che rientra perfettamente nel clima di scontro che si respira a Montecitorio: la deputata del Pd, Ileana Argentin, disabile e in carrozzella, ha denunciato che un deputato si è avvicinato al proprio assistente "dicendogli che non deve permettersi di applaudire. Ma lei, signor presidente, sa che io non posso usare le mani. Se desidero applaudire lo faccio come credo e quando credo e se non lo posso fare con le mie mani lo faccio con le mani di chiunque". Dai banchi dell'opposizione si sono levate urla e grida di "vergogna, vergogna". Subito dopo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha invitato il deputato che si era rivolto all'Argentin a chiedere scusa. Dai banchi della Lega si è alzato Massimo Polledri, che si è scusato, giustificandosi di "non aver capito".

Il "vaffa" di La Russa

ANCORA IN PIAZZA - Anche oggi ci saranno mobilitazioni del "popolo viola" all'esterno di Montecitorio, in concomitanza con la discussione del testo sul processo e della prescrizione breve. "Staremo lì fino a che il dibattito si svolgerà alla Camera - ha annunciato Gianfranco Mascia, uno dei coordinatori -. Poi ci sposteremo al Senato. In questo momento, decisivo per le regole democratiche del nostro Paese, è fondamentale che ciascuno faccia la sua parte". Non solo: è allo studio una mobilitazione nazionale che unisca partiti, movimenti e società civile che potrebbe essere convocata per il 16 aprile.

Redazione Online

31 marzo 2011

 

 

 

 

 

2011-03-30

Passa il voto che inverte l'ordine del giorno dei lavori a Montecitorio. Discussione giovedì

Prescrizione breve, subito in discussione

L'opposizione insorge, scontro in Aula

Tensione tra i banchi, parole grosse tra Fini e La Russa. Casini: "Vergogna". Il Pd insorge: "Sit-in di protesta"

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Il momento della bagarre in aula e del battibecco tra Fini e La Russa (Ansa)

Il momento della bagarre in aula e del battibecco tra Fini e La Russa (Ansa)

ROMA - L'Aula della Camera ha dato il via libera alla richiesta della maggioranza di invertire l'ordine del giorno per discutere subito il ddl sul processo breve, che contiene la norma sulla prescrizione breve per gli incensurati. Se approvata in via definitiva la norma avrebbe un effetto quasi immediato sul processo Mills, dove Berlusconi è imputato in primo grado per corruzione in atti giudiziari. La prescrizione del reato dovrebbe intervenire tra gennaio e febbraio del 2012. La norma taglierebbe di circa otto mesi i tempi di prescrizione, per cui il processo potrebbe finire all'inizio dell'estate, sempre che non arrivi prima a sentenza. La discussione è stata in ogni caso rinviata a giovedì, dopo che in aula era scoppiata la bagarre, con tanto di battibecco e scambio di maleparole tra il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Le agenzie di stampa parlano di un "vaffa" lanciato dal ministro all'indirizzo del numero uno di Montecitorio, ma la circostanza è stata in un secondo tempo smentita da La Russa, che ha poi ridimensionato tutto parlando non di un'accusa verbale ma di un semplice gesto con la mano indirizzato ad alcuni settori dell'Aula e non al suo presidente.

DISCUSSIONE RINVIATA - Qualcosa, tuttavia, tra i due è successo: la seduta è infatti stata sospesa e alla ripresa sullo scranno più alto non sedeva più Fini ma il vicepresidente Antonio Leone il quale ha annunciato che il presidente della Camera ha chiesto ai questori di verificare "la genesi di quanto accaduto". Della questione si occuperà l'Ufficio di presidenza, convocato giovedì mattina alle 9. La seduta dell'aula è stata quindi definitivamente sospesa. L'esame del provvedimento sul processo breve riprenderà alle 10. Annuncio che è stato accolto da un applauso e un vero e proprio boato dai banchi dell'opposizione. In serata, poi, La Russa ha telefonato a Fini per scusarsi dopo gli incidenti in Aula.

"Berlusconi si è comprato il salvacondotto"

RIVOLTA DELL'OPPOSIZIONE - I deputati dell'opposizione avevano abbandonato la riunione del Comitato dei Nove della commissione Giustizia per protesta contro la decisione della maggioranza di "strozzare i tempi del dibattito sul testo". "Loro vogliono strozzare al massimo i tempi del dibattito su questo provvedimento - spiega il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti - perché vogliono votare al massimo entro giovedì il testo. Ma questo è un blitz inaccettabile e noi in Aula daremo battaglia". Il Pd ha anche indetto un sit in di protesta davanti a Montecitorio alle 18 di mercoledì. Al sit in interverranno i dirigenti del partito, guidati dal segretario Pierluigi Bersani.

L'ORDINE DEI LAVORI - Gianfranco Fini aveva in precedenza replicato al Pd, che protestava per l'inversione dell'ordine dei lavori. Il presidente della Camera ha spiegato che ci sono deliberazioni della Giunta del regolamento che fin dal 1998 precisano che le richieste di inversione di ordine del giorno, così come le richieste di rinvio in commissione di un ddl, "non incidono" sul provvedimento in discussione ma sulla "procedura" dell'esame.

Processo breve subito, bagarre in aula

La decisione di far votare l'aula, ha aggiunto Fini, "spetta al presidente della Camera che chiama l'assemblea a pronunciarsi". Le richieste di inversione dell'odg, quindi, "non possono essere contestate" e non sono "connesse ad alcuna conseguenza definitiva sul merito".

CASINI E ALFANO - "Altro che riforma epocale della giustizia - ha commentato il capogruppo dell'Udc, Pier Ferdinando Casini -. Siamo alle solite. Il governo e il ministro Alfano, dopo averci illuso e illuso gli italiani che erano pronti a fare una riforma per i cittadini, ecco spuntare il solito provvedimento che serve solo a placare le ossessioni giudiziarie del presidente del Consiglio". Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha però respinto le polemiche dell'opposizione. "L'inversione dell'ordine del giorno ha destato scandalo, se si fosse proceduto da calendario si sarebbe votata la Comunitaria con la responsabilità civile dei magistrati", ha ricordato il ministro rispondendo ai cronisti in Transatlantico. "L'indignazione era comunque programmata", ha aggiunto.

Redazione Online

30 marzo 2011

 

CONTESTAZIONE DAVANTI A MONTECITORIO, BAGARRE IN AULA

Monetine contro il processo breve

Insulti e lo scontro Fini-La Russa

Il ministro reagisce ai richiami durante l'intervento di Franceschini. La risposta: "Non le permetto di offendere la Presidenza della Camera". E la seduta è sospesa

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Proteste contro Berlusconi all'esterno dell'aula di Montecitorio

Proteste contro Berlusconi all'esterno dell'aula di Montecitorio

MILANO - Monetine e contestazioni fuori. Tensione e insulti in aula. Il processo breve "debutta" a Montecitorio in una giornata che diventa difficile e si chiude con la seduta sospesa perché il presidente della Camera, Fini si è sentito offeso dalle parole (o dal gesto, o da entrambi) usate nei suoi confrontidal ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il "fuori" e il "dentro" sono legati non soltanto dall'argomento in discussione, ma anche proprio dall'episodio finale della sospensione della seduta, poiché proprio le parole di La Russa sui contestatori e la replica di Franceschini sono state la miccia che ha acceso gli animi.

LA CONTESTAZIONE - Un centinaio di manifestanti è arrivato ad un passo del portone della Camera dei deputati. I manifestanti, che avevano in evidenza le insegne del "popolo viola", molto agguerriti al sit in promosso dal Pd contro il processo breve hanno preso di mira, tra gli altri, Ignazio La Russa che proprio in quel momento stava passando per la piazza. "Venduto, ladri, fascisti", hanno gridato al ministro della Difesa. Il coordinatore del Pdl ha mantenuto la calma ed è entrato nel portone principale della Camera protetto dalla scorta. I manifestanti sono poi passati al portone principale di Montecitorio per impedire l'ingresso ai parlamentari. Ha superato il "blocco" la sottosegretario Daniela Santanché, grazie all'aiuto delle forze dell'ordine che hanno formato un cordone di sicurezza per circondare il palazzo e proteggere l'ingresso principale. Ma, non appena i manifestanti si sono accorti del passaggio dell'esponente Pdl, sono scattati i cori. Al grido di "ladri, mafiosi, andatevene", e ancora "vergogna, imputati impuniti". Epiteti poi sono piovuti sulla deputata. La contestazione è proseguita con il lancio di monetine, che hanno colpito pure alcuni giornalisti. A tentare di placare la tensione è arrivata Rosy Bindi. Intanto, i commessi e i responsabili sicurezza della Camera chiamavano le forze dell'ordine rafforzare il presidio davanti a Montecitorio: "La situazione sta precipitando", affermava un commesso.

IL "VAFFA" - La tensione della piazza contagia l'Aula, dove il ministro La Russa interviene duramente contro la contestazione "a due metri dal portone della Camera" e riferisce di aver riconosciuto il capofila della contestazione, accusando l'opposizione di essere "complice dei contestatori e ancora più violenta". A quel punto il capogruppo Dario Franceschini prende la parola contro La Russa e la sua ricostruzione dei fatti, accusandolo di aver voluto provocare i manifestanti. Il ministro della Difesa, dai banche del governo, gli fa segno di tacere e si mette ad applaudire in maniera ostentata l'intervento del capogruppo Pd. "Bravo, bravo, bravo" gli urla. Il presidente della Camera, Fini, lo richiama una prima volta ad "avere un atteggiamento rispettoso verso l'assemblea". Una prima volta La Russa si volta verso Fini allargando le braccia e continuando la sua "replica" a Franceschini. Al secondo richiamo di Fini, La Russa, di spalle, risponde con un "vaffa" secondo i testimoni più vicini, comunque con un gesto visibile anche ai presenti più lontani. La Russa ha poi smentito il "vaffa...". E può darsi che non sia stato un "vaffa" perché soltanto chi era vicino può aver sentito ciò che ha detto. E' certo però che Fini ha sentito benissimo e l'ha considerato un insulto visto che sospende la seduta con queste parole: "Onorevole ministro non le consento di offendere la Presidenza". E uscendo dall'aula, ma qui tornano a essere determinanti i testimoni diretti, Fini avrebbe sibilato: "Fatelo curare". In Aula continuano per un po' urla e tumulti, mentre l'esame del testo sul processo breve slitta a giovedì.

TERZO POLO: LA RUSSA SI DIMETTA - Poco dopo arriva la richiesta di dimissioni del ministro La Russa da parte del Terzo Polo: "Un ministro della Repubblica che, in un momento così delicato della vita del Paese, prima offende l'assemblea di Montecitorio con atteggiamenti arroganti e provocatori, e poi lancia un gravissimo insulto al presidente della Camera, cioè alla terza carica dello Stato, si rende responsabile di una violenta contrapposizione istituzionale che il suo ruolo non gli consente. A questo punto chiediamo a La Russa di dimettersi".

Redazione online

30 marzo 2011

 

PARITà IN UFFICIO DI PRESIDENZA, LA PAROLA PASSA A MONTECITORIO

Caso Ruby, la Camera voterà il 5 aprile

Il Pd ha richiesto la diretta televisiva per la decisione sul conflitto di attribuzione

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Gianfranco Fini (Fotogramma)

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MILANO - L'aula della Camera voterà sulla richiesta di conflitto di attribuzione sul caso Ruby martedì 5 aprile alle ore 15: lo ha stabilito la conferenza dei capi gruppo di Montecitorio. Il Pd ha richiesto la diretta televisiva. Fini, in precedenza, aveva detto "che doveva essere l'aula di Montecitorio a deliberare direttamente sulla richiesta, avanzata dai capigruppo della maggioranza, di elevare conflitto di attribuzione nei confronti della Procura della Repubblica e del gip di Milano sul caso Ruby". L'ufficio di presidenza convocato si era concluso infatti con un voto di parità e, in mancanza di un'espressione di parere, il giudizio dell'assemblea diventa così obbligatorio.

"ASPETTI SPECIALI E UNICI" - "Ora è ancor più necessario che sia l'aula ad esprimersi" avrebbe sottolineato il presidente della Camera, al termine dell'ufficio di presidenza. Già prima del voto, Fini aveva comunque sottolineato la necessità che fosse l'assemblea a pronunciarsi sulla questione secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo. Per il leader di Fli e presidente della Camera infatti la vicenda del conflitto di attribuzione da parte della Camera sul caso Ruby "presenta aspetti speciali ed unici". Nella sua relazione, Fini aveva detto, fra l'altro, che la composizione dell'ufficio di presidenza vede di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che ha citato. Peraltro, aveva aggiunto Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all'Aula. "Nella presente circostanza- ha voluto puntualizzare il presidente della Camera- la decisione dell'Ufficio di presidenza in merito all'elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell'organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi". Fini, dopo aver ribadito che la richiesta di sollevare conflitto di attribuzione si collega alla deliberazione dell'assemblea di Montecitorio che il 3 febbraio scorso ha detto "no" alla richiesta di perquisizione domiciliare avanzata dai pm milanesi, aveva anche messo l'accento sul fatto che la richiesta è prospettata come strumento per assicurare, in sede di contenzioso costituzionale, una tutela effettiva alla volontà manifestata dall'assemblea ed ha sottolineato che "nei precedenti casi non si riscontrava" questo collegamento con una decisione dell'aula sulla stessa materia.

Redazione online

30 marzo 2011

 

2011-03-25

apezzone: "Parlano da partito politico". Ma il Pd: grave attacco per tutelare il premier

Le toghe: "Aggrediti dal governo"

L'Anm attacca la riforma: "La prescrizione viola la Costituzione. Leggi piegate a interessi particolari"

Capezzone: "Parlano da partito politico". Ma il Pd: grave attacco per tutelare il premier

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MILANO- "Nel giro di pochi giorni la maggioranza di governo ha dimostrato quale era il vero obiettivo dell'annunciata riforma epocale della giustizia". Non hanno mezzi termini, Luca Palamara, Antonello Ardituro e Giuseppe Cascini, rispettivamente presidente, vicepresidente e segretario generale dell'Associazione nazionale magistrati. E in una nota congiunta, sparano, punto per punto, sulla riforma della giustizia. Per i vertici dell'Anm "la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati appare talmente assurda e disorganica da potersi spiegare soltanto come atto di aggressione nei confronti della magistratura diretto ad influenzarne la serenità di giudizio".

I TEMPI DELLA PRESCRIZIONE - I vertici dell'associazione puntano il dito anche sulla riduzione dei tempi di prescrizione: "Il principio costituzionale della ragionevole durata del processo è un principio fondamentale cui l'ordinamento deve tendere con ogni mezzo, ma la riduzione dei termini di prescrizione nulla ha a che vedere con quel principio e rischia solo di determinare l'impunitá per autori di gravi delitti". Per i magistrati l'attività legislativa risulterebbe piegata a interessi particolari: "Risolvere situazioni legate a singole vicende processuali, direttamente con una norma sulla prescrizione dichiaratamente destinata ad incidere sullo svolgimento di un processo in corso, e indirettamente con una modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati punitiva e intimidatoria. Non era mai successo che l'attivitá legislativa venisse piegata in maniera così esplicita ad interessi particolari". Per i vertici dell'Anm, "gli unici processi che potranno essere portati a termine" con questa norma "saranno quelli nei confronti dei recidivi, mentre gli incensurati avranno ottime probabilità di restare tali per sempre". E tanto per essere ancora chiari: "E' impensabile che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti di un incensurato si estingua, mentre debba proseguire quello per una truffa da cinque euro commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato".

LE REAZIONI - Immediate le reazioni della politica, a partire dal portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, che liquida la protesta come "un'anomalia tutta italiana". "L'Anm continua ad esprimersi come se fosse un partito politico - sottolinea l'esponente pidiellino - , come se toccasse all'Anm definire cosa governo e Parlamento possono o non possono, debbono o non debbono fare. Questo è un chiaro vulnus rispetto alla sovranità popolare, rispetto agli elettori, che votano i parlamentari e scelgono le maggioranze, e possono cambiare gli uni e le altre alla successiva tornata elettorale. Ma la riforma della giustizia si farà e andrà avanti, e non sará bloccata nè dettata da una parte della magistratura". Sul fronte opposto, Giuseppe Lumia, membro Pd della Commissione Antimafia, ritiene che "il governo e la maggioranza vogliono sovvertire l'equilibrio istituzionale che assegna alla magistratura piena autonomia e indipendenza rispetto alla politica. Si tratta di un grave attacco, compiuto per garantire al presidente del Consiglio e alle cricche di potere impunità e privilegi". "Quindici giorni fa discutevamo di riforme epocali e costituzionali sulla giustizia - è invece il commento di Pier Luigi Bersani, segretario del Pd -. Io allora feci una facile previsione, che dopo due settimane ci saremmo ritrovati sulle leggi ad personam e sugli attacchi alla magistratura. Così è oggi. Fra l'altro con norme assolutamente assurde".

Redazione online

25 marzo 2011

 

 

 

 

2011-03-22

Tutta l'opposizione ha votato contro. Pd e Terzo Polo lasciano i lavori

Processo breve, ridotti i tempi

di prescrizione per gli incensurati

La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Paniz

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La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Paniz

Maurizio Paniz (archivio Corriere)

Maurizio Paniz (archivio Corriere)

ROMA - La Commissione giustizia della Camera ha approvato la norma presentata dal relatore Maurizio Paniz al testo sul processo breve che riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati. Una mossa che potrebbe accorciare di circa 8 mesi la vita del processo Mills al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tutta l'opposizione ha votato contro.

PD E TERZO POLO SULL'AVENTINO - I deputati dell'Udc, Fli e del Pd hanno abbandonato i lavori della Commissione durante l'esame del testo. "Prendiamo atto - ha dichiarato il capogruppo del Pd Donatella Ferranti - che non c'è più alcuna possibilità di costruire migliorando il testo insieme. Pertanto abbandoniamo i lavori". Analogo il commento di Lorenzo Ria (Udc) secondo il quale la maggioranza sta andando avanti da sola senza ascoltare i contributi dell'opposizione". Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, invece, resta e vota contro: "Siamo riusciti a ridurre moltissimo la portata della norma - spiega - pertanto restiamo e votiamo contro".

BERLUSCONI - Conclusi i lavori della commissione dalla prossima settimana il disegno di legge andrà al voto in aula alla Camera, dopodiché dovrà tornare al Senato per l'approvazione definitiva. L'emendamento prevede tempi più brevi per l'estinzione del reato, se l'imputato è arrivato al processo incensurato, come Berlusconi. Ora il tempo di prescrizione è di norma pari alla pena massima prevista per il reato più un quarto per via delle interruzioni. La proposta prevede di ridurre da un quarto a un sesto questo aumento automatico della prescrizione, ma soltanto per gli incensurati e per i processi di primo grado. Se approvata in via definitiva la norma avrebbe un effetto quasi immediato sul processo Mills, dove Berlusconi è imputato in primo grado per corruzione in atti giudiziari. La prescrizione del reato dovrebbe intervenire tra gennaio e febbraio del 2012. La norma taglierebbe di circa otto mesi i tempi di prescrizione, per cui il processo potrebbe finire all'inizio dell'estate, sempre che non arrivi prima a sentenza.

Redazione online

22 marzo 2011

 

 

2011-03-19

Giappone

Fukushima, a breve l'energia elettrica

Tokyo, tracce di radioattivià nell'acqua

Livelli "superiori ai limiti legali" riscontrati nel latte e nella verdura prodotto vicino alla centrale nucleare

Giappone

Fukushima, a breve l'energia elettrica

Tokyo, tracce di radioattivià nell'acqua

Livelli "superiori ai limiti legali" riscontrati nel latte e nella verdura prodotto vicino alla centrale nucleare

MILANO - Nell'area della centrale nucleare giapponese disastrata di Fukushima il livello di radioattività rilevato nell'aria è "stabile", ma "significativamente più elevato" del normale. Lo dice l'Aiea, l'agenzia Onu per l'energia atomica, precisando che i livelli non impediscono tuttavia il lavoro dei tecnici che stanno combattendo la crisi. I tecnici sono riusciti a connettere un cavo ad uno dei reattori della centrale di Fukushima 1 danneggiata, ma l'elettricità ancora deve essere ripristinata, secondo la Tokyo Electric Power, la società che gestisce la centrale. In mattinata era stato annunciato che a breve sarebbe stata ripristinata l'elettricità all'interno del sito danneggiato dal terremoto, un passo importante per cercare di far funzionare le pompe di raffreddamento dell'impianto. L'energia elettrica dovrebbe essere ripristinata in giornata per i reattori 1, 2, 5 e 6 e domenica per i reattori 3 e 4. Intanto le autopompe speciali dei vigili del fuoco di Tokyo hanno ripreso a sparare acqua sul reattore numero 3. Solo nella giornata di venerdì sull'impianto nucleare sono state gettate 50 tonnellate di acqua marina. Il governo giapponese ha detto che parti dei sistemi di raffreddamento dei reattori 2 e 6 della centrale nucleare di Fukushima Daiichi sono funzionanti. L'agenzia per la sicurezza nucleare e industriale ha confermato che un generatore diesel di emergenza ha ripreso a funzionare al reattore 6 e una pompa di raffreddamento al reattore 5 è in grado di funzionare. L'agenzia ha detto inoltre che i livelli di radiazioni al cancello occidentale della centrale nucleare, che si trova a circa un chilometro dal reattore numero 3, ha fatto registrare la lettura piuttosto alta di 830.8 microsievert all'ora alle 8.10 di questa mattina (00.10 ora italiana). Ma il livello è diminuito fino a 364.5 microsievert all'ora alle 9. La notizia si apprende dall'emittente televisiva giapponese Nhk World.

Migliaia di corpi non identificati

RADIOATTIVITA' - Nonostante i continui tentativi di rassicurazioni da parte del governo giapponese, tracce di iodio radioattivo sono state trovate nell'acqua di rubinetto a Tokyo e in altre aree limitrofe. Lo riferisce l'agenzia Kyodo. Livelli di radioattività "superiori ai limiti legali" sono stati riscontrati nel latte prodotto nei pressi della centrale nucleare di Fukushima e negli spinaci coltivati nella vicina prefettura di Ibaraki. Circa un quinto di quello di una Tac sarebbe quello trovato negli spinaci. Lo ha comunicato il portavoce del governo Yukio Edano precisando che, sebbene i livelli superino i limiti permessi dal governo, i prodotti "non pongono immediato pericolo alla salute". Il portavoce Edano ha aggiunto che le autorità stanno cercando di individuare in quali luoghi del Giappone siano state inviate le ultime partite dei due prodotti impegnandosi a bloccarle nel caso i risultati dei nuovi test fossero uguali ai primi.

VOLI - Nessuna restrizione per i collegamenti aerei da e per il Giappone. Lo sottolinea la Iata, l'associazione internazionale del trasporto aereo, che, in una nota, accoglie con favore la decisione dell'Icao (l'organizzazione internazionale dell'aviazioni civile), dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, l'Organizzazione mondiale della Sanitá, l'Organizzazione marittima internazionale e l'Organizzazione meteorologica mondiale di confermare la normale operatività nei maggiori aeroporti giapponesi, inclusi i due scali di Tokyo Haneda e Narita.

ASSESTAMENTO - Una nuova scossa di assestamento, di magnitudo 6,1 gradi della scala Richter, è stata avertita alle 18.30 locali, con epicentro vicino a Ibaraki. La scossa non ha danneggiato le strutture nucleari di Ibarak. Potrebbe invece causare variazioni del livello del mare, avverte la stessa fonte sull'agenzia Kyoso, ma non tali da causare nuovi danni. In tanto si registrano le variazioni ala suolo terreste causate dalla scossa di magnitudo 9 dell'11 marzo. Secondo i dati forniti dall'Autorità di informazione geospaziale giapponese a Tsukuba ha causato uno spostamento di 5,3 metri della penisola di Oshika, nella prefettura di Miyagi. La stessa striscia di terra è scesa di 1,2 metri. La penisola situata sulla costa Pacifica si è spostata in direzione est-sudest, verso l'epicentro della scossa. Spostamenti di fasce di territorio sono stati registrati in molte zone, dalla regione nordorientale di Tohoku a quella di Kantu. A Yamada, nella prefettura di Iwate, si è registrato uno spostamento di 25 centimetri verso est.

Redazione online

19 marzo 2011

 

2011-03-16

GLI EMENDAMENTI

Processo breve, depositato il nuovo testo

Saranno segnalati i magistrati "lenti"

Il relatore di maggioranza, Paniz: saranno diversificati

i tempi di prescrizione per incensurati e recidivi

GLI EMENDAMENTI

Processo breve, depositato il nuovo testo

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Maurizio Paniz (Ansa)

Maurizio Paniz (Ansa)

ROMA - Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz ha presentato nella serata di mercoledì alla commissione Giustizia della Camera un emendamento che di fatto riscrive completamente il progetto di legge. La novità più importante della riscrittura dell'articolo 5 del provvedimento riguarda l'obbligo di segnalazione al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, da parte dei capi dell'ufficio giudiziario, del magistrato che non ha concluso il processo nei tempi stabiliti dalla legge. Cambiano poi i tempi di prescrizione che vengono differenziati per incensurati e recidivi: "Non è giusto che un incensurato sia trattato come un recidivo".

LA NUOVA PRESCRIZIONE - Attualmente il tempo della prescrizione è pari alla pena massima prevista per un reato e per effetto delle interruzioni questo tetto massimo viene aumentato di un quarto. Il reato di corruzione in atti giudiziari, ad esempio, che prevede una pena massima di 8 anni con l'aumento di un quarto si prescrive in 10 anni. Con l'emendamento di Paniz di questa sera, per gli incensurati accusati ad esempio di corruzione in atti giudiziari, il reato si prescriverebbe in 9 anni e 4 mesi. Dunque, il processo Mills, che vede coinvolto Silvio Berlusconi, secondo i calcoli che si fanno nella maggioranza, sarebbe prescritto. Paniz però sostiene che la norma del processo breve non possa essere applicabile ai processi in corso. Tesi questa smentita dal capogruppo dell'Idv in commissione Giustizia del Senato Luigi Li Gotti: "Chi dice una cosa del genere - commenta - è quanto meno un ignorante visto che la prescrizione è una norma cosiddetta sostanziale di diritto penale e non di procedura. E quindi, per regola generale codicistica, all'imputato si applica sempre, nella successione di legge nel tempo, quella più favorevole. E dato che non è credibile che si tratti di ignoranza, questa non può che essere malafede".

Redazione Online

16 marzo 2011

 

 

 

 

2011-03-14

Sequestrati beni per 2 milioni di euro

'Ndrangheta: 35 arresti in Lombardia

Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti

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Accuse di associazione per delinquere, estorsione, spaccio di droga, minacce e smaltimento illecito di rifiuti

MILANO - Sono 35 gli arresti di presunti affiliati alla 'ndrangheta effettuati lunedì mattina in Lombardia da parte del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale. Sequestrati beni per 2 milioni di euro. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. L'operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, insieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto.

ALLARME - Questa operazione giunge a quattro giorni di distanza dall'allarme lanciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia per la "penetrazione con il modello della colonizzazione" delle cosche calabresi di 'ndrangheta in Lombardia.

LE ATTIVITÀ - Non c'è solo la "classica" e diffusissima infiltrazione nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, ma anche la gestione della "security" in molti, notissimi, locali notturni, l'estorsione agli esercizi pubblici che sorgono nelle stazioni della metropolitana, l'attività di "pizzo" ai chioschi dei "porchettari", il controllo dei posteggi fuori dalle discoteche più celebri, gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt e persino una "tassa" imposta a chi intendeva spacciare in alcune piazze della città. È l'inquietante quadro, l'ennesimo, che emerge dall'operazione, denominata "Redux - Caposaldo". Delle 35 ordinanze di custodia in carcere richieste dalla Dda di Milano e disposte dal gip Giuseppe Gennari, ben 14 contestano l'associazione per delinquere di stampo mafioso e sono indirizzate a personaggi di primo piano della 'ndrangheta "milanese". Oltre al boss Giuseppe "Pepé" Flachi, suo figlio Davide ed Emanuele Flachi (ritenuti legati ai Pesce di Reggio Calabria, e da decenni imperanti dalla Comasina a Quarto Oggiaro, dalla Bovisa ad Affori fino a Bruzzano), per il 416 bis sono scattate le manette anche ai polsi di Paolo Martino, considerato "diretta espressione" della famiglia reggina dei De Stefano, e di Giuseppe Romeo e Francesco Gligora considerati punti di riferimento delle cosche di Africo in Lombardia.

Redazione online

14 marzo 2011

 

 

interventi telefonici: "Io coraggioso e temerario, forse anche eroico e matto"

Berlusconi: "I pm cittadini come gli altri"

Processo breve, da Alfano una svolta

Il premier e la responsabilità dei magistrati: "Se sbagliano devono pagare". Il ministro: "Proporrò il ritiro della norma transitoria sul processo breve"

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Berlusconi: "I pm cittadini come gli altri"

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Il premier e la responsabilità dei magistrati: "Se sbagliano devono pagare". Il ministro: "Proporrò il ritiro della norma transitoria sul processo breve"

MILANO - "L'autonomia dell'azione penale secondo la legge significa solo che anche i pm sono cittadini come gli altri e devono rispettare le norme e le priorità che sono indicate dal Parlamento". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente ad una convention del Pdl a Torino a sostegno del candidato sindaco Michele Coppola. E sempre parlando della riforma della giustizia: "La responsabilità civile dei magistrati se sbagliano è quella che devono pagare, perché questo è il minimo richiesto in uno stato di diritto", e inoltre "le carriere separate di giudici e magistrati esistono in tutto il mondo, sono la regola. Quindi non c'è nulla in questa riforma che possa far gridare allo scandalo o suscitare indignazione".

"SONO CORAGGIOSO E TEMERARIO" - "Tutte le persone sagge e con la testa sulle spalle mi hanno detto: non presentare adesso la riforma della giustizia perché altrimenti chissà cosa ti fanno. Io invece, avendo ritenuto di aver raggiunto una maggioranza in grado di farla, ho detto: non mi importa niente. Sono coraggioso e temerario, forse anche un po' eroico e matto, e ho detto: variamo subito questa importante riforma. E così abbiamo fatto nel Consiglio dei ministri straordinario di giovedì". Berlusconi ha ribadito che la riforma della giustizia "non è una forzatura" ma un impegno ad adeguare l'Italia a quanto avviene in altre parti del mondo.

"ESODO BIBLICO" - Intervenendo telefonicamente ad una manifestazione della Democrazia cristiana del segretario Giuseppe Pizza a Catania, Berlusconi ha parlato anche della crisi in Nordafrica: "In questo momento, con alle porte un possibile esodo biblico dal Nordafrica che arriva verso di noi e verso l'Europa, ci sarebbe bisogno di una forte coesione nazionale e di una comune assunzione di responsabilità. Invece le nostre opposizioni stanno davvero offrendo, ancora una volta, uno spettacolo sconsolante". Berlusconi si è detto comunque sicuro della maggioranza in Parlamento: "Oggi rispetto a prima possiamo contare su una maggioranza che è numericamente meno ampia. Vi anticipo che penso che possiamo arrivare oltre i 330 alla Camera, ma è una maggioranza politicamente più coesa e che sono sicuro consentirà al governo di fare un enorme salto di qualità per quanto riguarda la realizzazione delle riforme ed in generale per la produzione delle leggi".

LA SPALLATA - "La sinistra ha coniato lo slogan "piazza continuA": passa da una manifestazione all'altra e spera di dare al governo, attraverso la piazza, quella spallata che non è riuscita a dare in Parlamento", ha detto in un altro passaggio Berlusconi. "Credo che così facendo la sinistra si sta condannando a una definitiva marginalità e anche ad altri lunghi anni di opposizione, perché la politica ha un senso se riesce a dare risposte positive e concrete ai cittadini".

BERSANI: IL FUTURO SIAMO NOI - Pier Luigi Bersani, da Abano Terme, replica a caldo alla frase di Berlusconi "lunghi anni di opposizione": "Io la penso all'opposto - dice il segretario Democratico - credo invece che il suo sia un tramonto, purtroppo pericoloso per il Paese, perché non riusciamo ad affrontare nessuno dei problemi di questo Paese, e perché vediamo picconate ai presidi democratici e costituzionali". "Noi non stiamo lavorando contro - tiene a ribadire Bersani - stiamo lavorando oltre. Stiamo lavorando per un progetto per un risveglio italiano. Per noi si tratta di fare opposizione ma anche di costruire un progetto per il futuro. Il futuro siamo noi, non è lui".

ALFANO: NON TEMO RITORSIONI - Sempre di riforma della Giustizia ha parlato il ministro Angelino Alfano, rispondendo alle domande di Lucia Annunziata alla trasmissione "In mezz'ora". L'apertura più importante, politicamente, è quella che riguarda il processo breve e la possibilità che diventi una norma "ad personam" pro berlusconi: "Proporrò il ritiro della norma transitoria sul processo breve". Alla domanda se tema ritorsioni giudiziarie, ha risposto: "Assolutamente no. Non temo le intercettazioni neanche se mettono una microspia tra un neurone e l'altro, i reati neanche li penso, e poi non riesco a immaginarmi dei magistrati che si vendicano per via giudiziaria di un provvedimento di riforma". E parlando del pm Ingroia, che "ha scelto di scendere in piazza in una manifestazione contro il Governo": "Figuriamoci se inizio un provvedimento disciplinare contro il pm Ingroia. Per quanto mi riguarda non esiste, non chiederei mai a un magistrato di dimettersi. Il Presidente della Repubblica e quello della Cassazione hanno sempre detto che i magistrati devono essere indipendenti oltre che apparirlo". Quando Ingroia venne nominato Procuratore aggiunto a Palermo, ricorda il ministro, "furono presentati molti ricorsi e io scelsi di nominarlo ugualmente. In questo momento la politica non deve farsi prendere da un eccesso di passione, la riforma della giustizia ha bisogno di tenacia e perseveranza".

Redazione online

13 marzo 2011(ultima modifica: 14 marzo 2011)

 

 

 

2011-03-12

IL "C-day" in tutta Italia. Gli organizzatori: "Siamo un milione"

I cortei pro-Costituzione: "Va difesa"

In piazza anche il pm Ingroia, è scontro

.Il procuratore: "Cittadini non più tutti uguali di fronte alla legge". Cicchitto: "Clamoroso schieramento"

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Il Secolo d'Italia, vicino ai finiani, dedica l'apertura alla manifestazione

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MILANO - "Nelle piazze d'Italia siamo un milione". Gli organizzatori del C-Day, il giorno della Costituzione, lo hanno gridato dal palco di Piazza del Popolo a Roma, prima di chiudere la manifestazione intonando l'Inno di Mameli. La Capitale ha ospitato il corteo principale a difesa della Carta e dei suoi valori, messi in pericolo, a detta dei promotori dell'iniziativa, da alcune delle scelte di riforma portate avanti dal governo. E manifestazioni pro-Costituzione si sono tenute in decine di città grandi e piccole del Paese e anche in alcune capitali europee come Bruxelles, Londra, Parigi, Praga, Madrid, Helsinki, Amsterdam, Ginevra, Edimburgo e Siviglia. All'iniziativa promossa dall'associazione Articolo 21 e dal senatore Pd Vincenzo Vita hanno aderito gran parte delle forze politiche di opposizione, parlamentari e non, e diverse associazioni.

PM IN PIAZZA - Tanti e lunghi gli applausi che i manifestanti di Piazza del Popolo hanno riservato al pm Antonio Ingroia, la cui partecipazione al C-Day però ha suscitato non poche polemiche. "Con la riforma della giustizia del governo Berlusconi - è stato l'allarme lanciato dal procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo - i cittadini non saranno più uguali di fronte alla legge". "Se dovesse passare questa controriforma della giustizia - ha chiarito poi - avremmo uno stato di diritto azzoppato. Se il potere giudiziario viene schiacciato dal potere esecutivo, che vuole conquistare il controllo diretto dell'esercizio dell'azione penale, di fatto i cittadini non saranno più uguali di fronte alla legge e non lo saranno all'interno della Costituzione". Parole che non sono piaciute al capogruppo Pdl alla Camera dei Deputati Fabrizio Cicchitto: "Ingroia - ha detto - è la più evidente dimostrazione del giudice al di sopra delle parti. Non si capisce come - ha aggiunto - di fronte a episodi così clamorosi di schieramento politico, l'Anm possa parlare di difesa di indipendenza dei giudici".

Le coccarde a Torino

I CORTEI - A Roma il corteo principale è partito alle 14 da piazza della Repubblica per concludersi a piazza del Popolo ed è stato seguito in diretta da Corriere Tv. Ogni comitato locale ha poi stabilito modalità diverse per le iniziative decentrate, alcune delle quali svoltesi in mattinata. Molte le adesioni eccellenti. Tra questa l'ex presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, in piazza a Torino: "Ci sono momenti di aggregazione sociale in difesa delle buone regole della vita democratica. Credo che oggi sia uno di questi". E ancora: "Siamo di fronte a un rovesciamento della base democratica. La democrazia deve tornare a camminare sulle sue gambe: sostenuta dal basso. Non un potere populista che procede dall'alto".

Un migliaio in piazza a Milano

LE POSIZIONI - Anche la politica ha guardato con grande attenzione all'iniziativa, che giunge a pochi giorni dalle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. "Non è una piazza contro, è una piazza per un'alternativa" ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, descrivendo la manifestazione a difesa della Costituzione a Roma alla quale ha partecipato insieme ad altri esponenti del suo partito. "Non c'è un animo contro, è una piazza per una Italia diversa - ha spiegato il leader Pd -. C'è un grande movimento nel Paese e i partiti, in particolare il nostro, devono affiancarlo, dargli la mano. Politica e società civile insieme per una strada di speranza e di ricostruzione". Battagliera l'Italia dei Valori. "Anche la Cei - ha spiegato il portavoce Leoluca Orlando - ha scaricato Berlusconi e ha diffuso un documento che è un vero e proprio j'accuse al presidente del Consiglio. La difesa a oltranza della Costituzione, la proposta di rendere ineleggibile chi ha pendenze penali, la lotta alla mafia e la cittadinanza agli immigrati, sono veri e propri schiaffi al berlusconismo e ai berluschini. Dal Pdl sicuramente si leveranno voci per attaccare questi "comunisti" della Chiesa cattolica".

La manifestazione a Firenze

GLI ALTRI PARTITI - In piazza anche diversi esponenti di Futuro e Libertà (e va registrato che nell'edizione di sabato il Secolo d'Italia, quotidiano vicino a Gianfranco Fini, ha dedicato il titolo di apertura proprio alle manifestazioni: "Quelli che... Siamo stufi"), tra cui Fabio Granata: "Vado in piazza, la manifestazione l'abbiamo organizzata anche noi. Non provo nessun imbarazzo e lo dico da uomo di destra. La Costituzione rappresenta il tessuto connettivo della nazione. A qualcuno fa comodo strumentalizzare la manifestazione per parlare di santa alleanza: quell'ipotesi non è attuale, visto che la situazione è cambiata". Più cauta la posizione del leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini: "La Costituzione è stata fatta bene. Detto questo non è tabù, può essere migliorata, rinnovata, l'importante è che non ci siano apprendisti stregoni. Quello che ci spaventa è il pressapochismo, la superficialità, l'ignoranza con cui si vuole ritoccare la Costituzione. Di per sé è possibile migliorarla, in tutti gli Stati ci sono lavori di ammodernamento costituzionale".

Redazione online

12 marzo 2011

 

 

 

E citando Toqueville: "Così ci opponiamo alla dittatura dei giudici"

Giustizia, Berlusconi attacca Fini:

"Colpa sua se la riforma arriva solo ora"

"Lui e i suoi sono giustizialisti, da sempre d'accordo con le componenti di sinistra della magistratura"

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Silvio Berlusconi (Afp)

Silvio Berlusconi (Afp)

MILANO - E' colpa di Gianfranco Fini se la riforma costituzionale della giustizia arriva in Parlamento solamente oggi, nonostante sia tra gli obiettivi del centrodestra sin dal 1994, anno della sua discesa in campo. Silvio Berlusconi indica chiaramente nell'ex alleato il "colpevole" della mancata attuazione di uno dei punti più enfatizzati del programma elettorale del suo schieramento. E lo fa , come ormai è diventata una sua consuetudine, con un audiomessaggio al sito dei Promotori della Libertà.

"STATALISTI E GIUSTIZIALISTI" - "Dal 1994 in poi nelle campagne elettorali ci siamo impegnati a rifondare la giustizia - dice Berlusconi -, ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perchè Fini e i suoi, giustizialisti e statalisti, si sono messi sempre di traverso, in accordo con le correnti di sinistra della magistratura". E ancora: "Ora che Fini e i suoi non sono più con noi, la maggioranza - anche se più limitata nei numeri - è più coesa e determinata e questo ci consentirà di portare in Parlamento una riforma costituzionale della giustizia assolutamente equilibrata e moderna".

"NO A DITTATURA DEI GIUDICI" - Il leader del Pdl torna a sottolineare che non si tratta di una legge ad personam, "perché non si applica ai processi in corso", ma di un provvedimento in grado di "restituire ai cittadini la fiducia in un servizio fondamentale dello Stato quale deve essere la giustizia giusta, che si ottiene attraverso un giusto processo, il processo dove l'accusa e la difesa sono poste sullo stesso piano di fronte a un giudice finalmente terzo, finalmente indipendente dal pm". Citando Toqueville, spiega poi che la riforma serve per evitare la "dittatura dei giudici" ed esorta i suoi a stare vigili perché "nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso".

Redazione Online

12 marzo 2011

 

 

 

Ghedini su Ruby: "Corruzione della funzionaria in Marocco? Forse trappolone"

Mills, Berlusconi scrive ai giudici

"Alle udienze ci sarò, oggi non posso"

Il processo in cui il premier è imputato per corruzione.

La lettera: "Si proceda in mia assenza".

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La lettera: "Si proceda in mia assenza".

MILANO - "È mia intenzione partecipare all'udienza". È stata depositata al collegio dai suoi legali e letta in aula una lettera di Silvio Berlusconi indirizzata ai giudici del processo Mills, ricominciato a Milano. Nella missiva, il premier spiega che vuole prendere parte alle udienze ma che per quella odierna aveva già in programma un impegno istituzionale a Bruxelles. Nella dichiarazione, il presidente del Consiglio chiarisce dunque che non può presenziare l'11 marzo ma "consente" di proseguire con l'udienza, dato che in data odierna si trattano "solo questioni attinenti al calendario" delle udienze.

IL CALENDARIO - Il processo, nel quale il presidente del Consiglio è imputato per corruzione del legale inglese, è stato intanto rinviato al prossimo 21 marzo. Per quella data i lavori prevedono la deposizione dei consulenti del pm. È improbabile che Berlusconi sia in aula. "Dieci giorni sono pochi per organizzarsi", ha spiegato uno dei suoi legali, Niccolò Ghedini, "comunque vedremo...". Quello fissato dai giudici della decima sezione penale del Tribunale di Milano è un calendario di 9 udienze. Le date indicate sono quelle del 21 marzo, del 9, 16 e 23 maggio, del 20 e 27 giugno e del 4, 11 e 18 luglio. Sono tutti lunedì: in questo il tribunale ha accolto la richiesta dei legali del presidente del Consiglio con cui era stato raggiunto un accordo la settimana scorsa. In caso il capo del governo non fosse disponibile di lunedì, c'è la possibilità di recupero il sabato. In questo il processo Mills va a intersecarsi con il procedimento Ruby, le cui udienze si possono celebrare anche il venerdì pomeriggio e il sabato, se i lunedì sono impegnati da altri processi a carico del premier. È quanto fanno sapere fonti della procura di Milano.

"IL TEMPO È INESORABILE" - "Il tempo è inesorabile" ha detto il pm, Fabio De Pasquale, manifestando il timore che non si riescano a concludere i tre gradi di giudizio prima che l'accusa a carico del Cavaliere di corruzione giudiziaria si prescriva, nei primi mesi del 2012. Intervenendo all'udienza con cui si è riaperto il processo dopo lo stop per consentire alla Consulta di decidere sulla costituzionalità del legittimo impedimento (poi dichiarato parzialmente illegittimo), il rappresentante della pubblica accusa ha affermato: "È necessario, usando un termine giornalistico, capire quale sarà la roadmap di qui al 18 luglio (ndr, ultima data tra le nove fissate dal tribunale) per capire cosa succederà". De Pasquale ha espresso l'auspicio che "non si navighi a vista". Pronta la risposta del presidente del collegio, Francesca Vitale: "Speriamo che questo tribunale sia in grado di non navigare a vista".

"UNA FRETTA FRENETICA" - Per Ghedini "il pm ha una fretta frenetica". "Noi - ha anche specificato il legale del presidente del Consiglio - ci opporremo alle forzature". Ghedini è anche tornato sul caso Ruby e in particolare sulla vicenda del tentativo di corruzione della funzionaria dell'anagrafe marocchina affinchè modificasse il certificato di nascita della ragazza coinvolta nell'inchiesta. Per l'avvocato del premier potrebbe essere "un trappolone" o un fatto architettato "per vendere qualche cosa a qualcuno". Ghedini ha inoltre precisato che la denuncia presentata a Roma non riguarda "assolutamente" il quotidiano Il Fatto: "Non ho motivo di credere che i giornalisti abbiano fatto qualche cosa di illecito". Infine il legale ha sottolineato che "la possibilità che i certificati anagrafici marocchini vengano modificati è demenziale in quanto il sistema di registrazione è blindato".

Redazione online

11 marzo 2011(ultima modifica: 12 marzo 2011)

 

 

 

 

2011-03-10

Applausi per alfano dagli altri ministri. Di Pietro: "Nemmeno degna del peggior SUdafrica"

Riforma della giustizia, sì dal governo

Il premier: "In aula avrò soddisfazione"

Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità il testo. Berlusconi: "È nell'interesse di tutti"

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Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al ddl costituzionale di riforma della Giustizia. Il consenso è arrivato all'unanimità e ad approvazione avvenuta, secondo fonti governative, il Cdm l'ha salutata con un applauso indirizzato al Guardasigilli, Angelino Alfano. Trattandosi di una riforma costituzionale, dovrà essere approvata due volte da entrambi i rami del Parlamento: qualora avrà il consenso di due terzi dei parlamentari entrerà subito in vigore; in caso contrario, sarà sottoposta ad un referendum confermativo tra i cittadini.

"CITTADINO E PM A PARI LIVELLO" - Subito dopo l'approvazione, Alfano ha spiegato i dettagli della legge e ha riassunto il suo spirito in una battuta: "Questo nuovo sistema prevede il giudice in alto, con il pm e il cittadino allo stesso livello". Un concetto che più tardi lo stesso premier ha illustrato con un disegno che rappresenta due versioni di una bilancia: nella prima uno dei due piatti prevale perché vi si trovano sia il pm sia il giudice, mentre sull'altro c'è solo l'avvocato della difesa; nella seconda, il giudice sta sul perno centrale e i due piatti sono equilibrati con il pm da una parte e la difesa dall'altra. Alfano ha difeso l'impianto generale della riforma e ha commentato che a suo parere non c'è alcun motivo affinché i magistrati indicano scioperi e mobilitazioni contro di essa, perché "non è punitiva nei loro confronti"

"Riforma epocale"

"RIFORMA PER TUTTI" - Silvio Berlusconi, che già nella notte, in un vertice a Palazzo Grazioli aveva spiegato che non si tratta di una legge ad personam ma di una riforma "nell'interesse di tutti", ha poi ribadito che il provvedimento "è un punto qualificante della nostra azione di governo, una riforma organica, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso". E che per di più era tra i suoi obiettivi già dal 1994, anno della sua "discesa in campo". "Questa riforma costituzionale - ha sottolineato il capo del governo - sarà affidata a 10 leggi che avranno percorsi parlamentari singoli e che presenteremo in successione al parlamento". In ogni caso, ha assicurato Berlusconi anche in conferenza stampa, "faremo di tutto per poter discutere con l'opposizione queste norme e lo farà il ministro della Giustizia". Oltretutto, ha ricordato, "questi temi sono stati per cinquant'anni temi portati avanti proprio dalla sinistra". Responsabile di questo confronto, ha aggiunto il premier, "sarà Alfano".

IL GIUSTO PROCESSO - Tra i tanti punti della riforma della giustizia ce n'è uno che Berlusconi ha particolarmente a cuore e lo ha spiegato lui stesso in conferenza stampa a palazzo Chigi: "regolamentare l'inappellabilità per le assoluzioni in primo grado" perché un cittadino, assolto in primo grado ma processato di nuovo in appello e in terzo grado, "ha la vita completamente rovinata: lui, la sua famiglia, i suoi rapporti con la società e le sue finanze". Il cuore della riforma, ha poi aggiunto , è "il giusto processo" che "non deve solo essere portato a termine in tempi ragionevoli, ma garantire il contraddittorio e garantire la parità tra accusa e difesa. Il giusto processo è un diritto di tutti i cittadini".

La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia La bilancia della giustizia

IL CASO RUBY - A chi gli chiedeva se il caso Ruby avesse influenzato i tempi e i contenuti della riforma della giustizia, Berlusconi ha dato una risposta tranchant: "Zero. È pensata dal '94". Poi ha parlato delle sue vicende personali: "Questa volta mi prenderò la soddisfazione di essere presente nelle aule dei processi. Ho destinato la domenica alla preparazione e il lunedì alla mia presenza nelle aule dei tribunali. Credo che mi prenderò delle belle soddisfazioni e soprattutto spiegherò agli italiani come stanno le cose". E ancora: "Io non mi sono mai interessato di queste leggi, perché ho garantito con un giuramento sui miei figli e sui miei nipoti che i processi che mi sono stati portati addosso sono fondati sul nulla". E a questo proposito ha spiegato: "Ho la pretesa di venire assolto nei processi, come fatto 24 volte su 30 nei processi che mi sono stati organizzati contro e come farò per quelli che mi restano".

Le tappe della riforma

"SARA' APPREZZATA" - Positivi anche i primi commenti arrivati dai ministri che l'hanno approvata. "È una riforma attesa da anni, i cittadini la apprezzeranno e, se chiamati ad un referendum confermativo, la voteranno massicciamente" ha detto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma. Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, l'approvazione del testo rappresenta ora "un'occasione anche per i garantisti di sinistra". E il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo: "E' una riforma seria, profonda, attenta ai pesi e contrappesi della democrazia, ai diritti dei cittadini, all'equilibrio sostanziale fra accusa e difesa era nei nostri programmi fondativi".

"SCRITTA SOTTO DETTATURA" - La riforma è invece bocciata senza mezzi termini dal leader dell'Idv, Antonio di Pietro: "È stata proposta una riforma così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto, noi presenteremo un solo emendamento, completamente abrogativo di tutta la riforma", che l'ex pm ha definito "non degna nemmeno del peggior vecchio stato sudafricano". Stroncatura totale anche da Oliviero Diliberto, portavoce nazionale della Federazione della sinistra, secondo cui si tratta di una "pseudo riforma" che "non è altro che un'ennesima legge ad personam, scritta sotto diretta dettatura di un premier oramai disperato". Meno netto il finiano Benedetto Della Vedova: "Esamineremo i testi e faremo le nostre valutazioni senza pregiudizi".

Redazione Online

10 marzo 2011

 

 

Applausi per alfano dagli altri ministri. Di Pietro: "Nemmeno degna del peggior SUdafrica"

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Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il premier, Silvio Berlusconi

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al ddl costituzionale di riforma della Giustizia. Il consenso è arrivato all'unanimità e ad approvazione avvenuta, secondo fonti governative, il Cdm l'ha salutata con un applauso indirizzato al Guardasigilli, Angelino Alfano. Trattandosi di una riforma costituzionale, dovrà essere approvata due volte da entrambi i rami del Parlamento: qualora avrà il consenso di due terzi dei parlamentari entrerà subito in vigore; in caso contrario, sarà sottoposta ad un referendum confermativo tra i cittadini.

"CITTADINO E PM A PARI LIVELLO" - Subito dopo l'approvazione, Alfano ha spiegato i dettagli della legge e ha riassunto il suo spirito in una battuta: "Questo nuovo sistema prevede il giudice in alto, con il pm e il cittadino allo stesso livello". Un concetto che più tardi lo stesso premier ha illustrato con un disegno che rappresenta due versioni di una bilancia: nella prima uno dei due piatti prevale perché vi si trovano sia il pm sia il giudice, mentre sull'altro c'è solo l'avvocato della difesa; nella seconda, il giudice sta sul perno centrale e i due piatti sono equilibrati con il pm da una parte e la difesa dall'altra. Alfano ha difeso l'impianto generale della riforma e ha commentato che a suo parere non c'è alcun motivo affinché i magistrati indicano scioperi e mobilitazioni contro di essa, perché "non è punitiva nei loro confronti"

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IL GIUSTO PROCESSO - Tra i tanti punti della riforma della giustizia ce n'è uno che Berlusconi ha particolarmente a cuore e lo ha spiegato lui stesso in conferenza stampa a palazzo Chigi: "regolamentare l'inappellabilità per le assoluzioni in primo grado" perché un cittadino, assolto in primo grado ma processato di nuovo in appello e in terzo grado, "ha la vita completamente rovinata: lui, la sua famiglia, i suoi rapporti con la società e le sue finanze". Il cuore della riforma, ha poi aggiunto , è "il giusto processo" che "non deve solo essere portato a termine in tempi ragionevoli, ma garantire il contraddittorio e garantire la parità tra accusa e difesa. Il giusto processo è un diritto di tutti i cittadini".

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IL CASO RUBY - A chi gli chiedeva se il caso Ruby avesse influenzato i tempi e i contenuti della riforma della giustizia, Berlusconi ha dato una risposta tranchant: "Zero. È pensata dal '94". Poi ha parlato delle sue vicende personali: "Questa volta mi prenderò la soddisfazione di essere presente nelle aule dei processi. Ho destinato la domenica alla preparazione e il lunedì alla mia presenza nelle aule dei tribunali. Credo che mi prenderò delle belle soddisfazioni e soprattutto spiegherò agli italiani come stanno le cose". E ancora: "Io non mi sono mai interessato di queste leggi, perché ho garantito con un giuramento sui miei figli e sui miei nipoti che i processi che mi sono stati portati addosso sono fondati sul nulla". E a questo proposito ha spiegato: "Ho la pretesa di venire assolto nei processi, come fatto 24 volte su 30 nei processi che mi sono stati organizzati contro e come farò per quelli che mi restano".

Le tappe della riforma

"SARA' APPREZZATA" - Positivi anche i primi commenti arrivati dai ministri che l'hanno approvata. "È una riforma attesa da anni, i cittadini la apprezzeranno e, se chiamati ad un referendum confermativo, la voteranno massicciamente" ha detto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma. Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, l'approvazione del testo rappresenta ora "un'occasione anche per i garantisti di sinistra". E il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo: "E' una riforma seria, profonda, attenta ai pesi e contrappesi della democrazia, ai diritti dei cittadini, all'equilibrio sostanziale fra accusa e difesa era nei nostri programmi fondativi".

"SCRITTA SOTTO DETTATURA" - La riforma è invece bocciata senza mezzi termini dal leader dell'Idv, Antonio di Pietro: "È stata proposta una riforma così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto, noi presenteremo un solo emendamento, completamente abrogativo di tutta la riforma", che l'ex pm ha definito "non degna nemmeno del peggior vecchio stato sudafricano". Stroncatura totale anche da Oliviero Diliberto, portavoce nazionale della Federazione della sinistra, secondo cui si tratta di una "pseudo riforma" che "non è altro che un'ennesima legge ad personam, scritta sotto diretta dettatura di un premier oramai disperato". Meno netto il finiano Benedetto Della Vedova: "Esamineremo i testi e faremo le nostre valutazioni senza pregiudizi".

Redazione Online

10 marzo 2011

 

 

Bersani: "Discussione a vuoto per due anni che non risolve i problemi della giustizia"

Le toghe: "È una riforma punitiva"

D'Alema: "Premier principale ostacolo"

L'Anm: "Minata l'indipendenza della magistratura, ridotte le garanzie per i cittadini"

Bersani: "Discussione a vuoto per due anni che non risolve i problemi della giustizia"

Le toghe: "È una riforma punitiva"

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Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano

MILANO - "È una riforma punitiva il cui disegno complessivo mina l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato. È una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini". È quanto affermano il presidente Luca Palamara e il segretario dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini a proposito della riforma varata dal Consiglio dei ministri.

BERSANI: "NO PERDITE TEMPO" - "Si butterà la palla avanti per due anni con una discussione a vuoto su una riforma costituzionale mentre i problemi della giustizia sono completamente dimenticati e il servizio giudiziario non sta funzionando", ha commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. "L'Italia è inchiodato sulle priorità politiche e personali di Berlusconi, mai su quelle vere della gente".

"MOBILITAZIONE" - Contraria anche Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, che considera la riforma "pericolosa" e "dannosa" e che "non accorcia di un giorno la durata dei processi". "Chiediamo una grande mobilitazione di tutta la magistratura". L'Unione delle camere penali invece fa "appello a tutti i parlamentari di minoranza affinché la riforma della giustizia sia dibattuta a viso aperto".

D'ALEMA - "In tutti questi anni- dice Massimo D'Alema- è stato proprio Berlusconi il principale ostacolo a una riforma della giustizia perché lui è mancante di quella condizione di terzietà che è fondamento di autorevolezza politica senza la quale è impossibile qualsiasi riforma".

"NORME AD SILVIUM" - "Si tratta di norme ad Silvium che hanno solo il fine di intimidire e sottomettere la magistratura al potere politico", o dichiara il presidente di Italia dei valori al Senato, Felice Belisario. Francesco Rutelli (Api) invece giudica come elemento "positivo" il fatto che Berlusconi abbia chiarito che non ci saranno norme "ad personam", ma ha escluso che dal suo partito possa arrivare un via libera ad alcuni punti della riforma.

Redazione online

10 marzo 2011

 

NO DEL PD: "QUEL TESTO E' INACCETTABILE, COPRE LEGGI AD PERSONAM"

Giustizia, Alfano presenta la riforma

"Recepite le considerazioni del Colle"

Il ministro due ore al Quirinale: "È andata bene"

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Pierluigi Bersani (Ansa)

Pierluigi Bersani (Ansa)

MILANO - Il Guardasigilli Angelino Alfano è salito al Quirinale per illustrare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il testo della riforma costituzionale della giustizia, che giovedì sarà esaminata da un Consiglio dei Ministri straordinario. Il colloquio è durato un paio d'ore. "Ho illustrato il disegno di legge di riforma della Costituzione in materia di giustizia. Il presidente Napolitano ha ascoltato, ha preso atto ed ha svolto considerazioni di carattere generale che io ho ascoltato e recepito con la dovuta attenzione". Alfano, sintetizza così con i cronisti l'incontro con il capo dello Stato. "Si tratta di considerazioni di ordine generale - aggiunge Alfano - sono soddisfatto dell'incontro". "Modifiche al testo?", gli chiedono i cronisti. "Quale testo? - risponde il Guardasigilli - il testo lo presentiamo domani". "Le indiscrezioni hanno rango di indiscrezioni, i testi quello di testi", conclude Alfano. Poi il Guardasigilli è andato a illustrare la bozza di riforma anche alla terza gamba della maggioranza, "I Responsabili", finora un po' a margine del procedimento dell'elaborazione del provvedimento. Secondo quanto viene riferito da alcuni partecipanti il ministro avrebbe sottolineato la volontà della maggioranza di sensibilizzare e informare l'opinione pubblica, anche in considerazione del fatto che, trattandosi di legge costituzionale, c'è un referendum in vista.

LE NOVITA' - Oltre a quanto trapelato già nei giorni scorsi, ci sarebbero delle novità dell'ultim'ora. Nel nuovo testo si direbbe che i "I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". Questo significa che le toghe potranno essere chiamate a rispondere di tasca propria dal cittadino che potrà citare direttamente loro in giudizio e non lo Stato come è ora. Nella bozza, si prevede anche, come aggiunta all'articolo 113 della Costituzione (diventerà se approvato il 113 bis), che "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati" la quale "si estende allo Stato".

Altra novità: i Csm diventano due. Uno per i giudici e uno per i Pm. Entrambi presieduti dal Capo dello Stato. Cade dunque l'ipotesi che a capo del Csm dei magistrati inquirenti vada il Procuratore generale della Cassazione eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione del Csm. Parte quest'ultima eliminata nelle ultime ore.

Per quanto riguarda poi l'obbligatorietà dell'azione penale nel nuovo testo si direbbe che "L'ufficio del Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge". Se ad oggi l'articolo 112 della Costituzione prevede che "Il Pm ha l'obbligo di esercitare l'azione penale", nella penultima bozza la formulazione era "secondo le modalità stabilite dalla legge". Ora, invece, la versione sottoposta al Quirinale parla di "criteri". Comunque un'azione penale limitata rispetto a quella che oggi può esercitare il Pm.

BERSANI - Al Pd però la riforma non piace è pronto a dare battaglia. "Le anticipazioni sulla riforma della giustizia contengono elementi inaccettabili. C'è un elemento di manovra per dare copertura sul piano politico generale e costituzionale al bricolage domestico dell'aggiustamento delle leggi ad personam, e continuare a non parlare dei problemi seri della giustizia". Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani valuta le anticipazioni sulla riforma della giustizia che domani sarà approvata in consiglio dei ministri. "Vedremo le carte - afferma Bersani - ma le premesse non sono buone. È un treno senza stazione". "Avremo mesi in cui si continuerà a parlare di giustizia - ha detto ancora Bersani - senza concludere nulla e questo, viste le intenzioni, potrebbe anche essere positivo, ma senza riuscire a occuparsi dei problemi veri del Paese. Noi le nostre proposte per migliorare il servizio-giustizia le abbiamo presentate ed è su questo che non si sta lavorando". "O si fanno leggi ad-personam -ha osservato il segretario del Pd, riferendosi alla politica del governo in materia di giustizia- o si prospettano riforme costituzionali negative, che non approderanno a nulla. Non ci si preoccupa mai del funzionamento della giustizia per i cittadini, la giustizia è la cosa di cui si è parlato di più da quando c'è Berlusconi, ma in cui si è fatto di meno per modernizzare il servizio". "Questo è abbastanza agghiacciante, perchè vuol dire che questo tema serve a Berlusconi per proteggersi o fare dei diversivi e un tema preso in ostaggio dal presidente del Consiglio. Si parli di giustizia ma per favore il governo pensi anche a mettere mano ai temi economico-sociali. È allucinante che siamo l'unico Paese occidentale a non concentrarsi su fenomeni di gravità enorme -ha concluso Bersani- come occupazione, controllo dell'inflazione e del debito".

SPATARO - Da segnalare l'opinione sul nuovo testo del procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, protagonistas in questi giorni di una polemica proprio sulla riforma della giustizia: "Ciò che sta accadendo in questi giorni, quello che si legge sui giornali, sembra essere incompatibile con la Costituzione". Secondo il magistrato milanese, sembra esserci "un modello di magistrato che risponde agli interessi della politica, ma la Costituzione dice altro. L'obbligatorietà dell'azione penale è garanzia di uguaglianza tra i cittadini e di indipendenza della magistratura. A chi mi chiede quale sia più pericoloso tra gli elementi emersi dico che non si può fare una classifica perchè tutto è pericoloso".

Redazione online

09 marzo 2011

 

 

Il Colle I tecnici: nessuna violazione di principi intangibili

"Presa d'atto di una scelta che riguarda

il governo". La linea di Napolitano

L'invito: servono ampio respiro e condivisione

Il Colle I tecnici: nessuna violazione di principi intangibili

"Presa d'atto di una scelta che riguarda

il governo". La linea di Napolitano

L'invito: servono ampio respiro e condivisione

Napolitano e Alfano (Ansa)

Napolitano e Alfano (Ansa)

ROMA - "Bene, è andata bene", dice Angelino Alfano, proclamandosi "soddisfatto". "È stata la presa d'atto di una scelta che rientra nelle responsabilità dell'esecutivo", dicono laconici al Quirinale. Comunque si consideri la prima versione (improntata a una certa euforia) e la seconda (formale e cauta senza ruvidezze), di sicuro c'è che l'incontro di ieri tra il ministro della Giustizia e il capo dello Stato non si è svolto all'insegna di quell'irritazione e di quel gelo profetizzati da qualcuno, anticipando addirittura che il presidente non avrebbe personalmente ricevuto il membro del governo e lo avrebbe invece dirottato sul suo segretario generale, Donato Marra.

 

Non è andata così. Il faccia a faccia c'è stato, approfondito, ed è durato quasi due ore. Durante le quali il Guardasigilli si è affannato a spiegare nei dettagli l'impianto della proposta di riforma costituzionale sulla giustizia. Mentre Giorgio Napolitano ha ascoltato, preso appunti e avanzato qua e là alcune "considerazioni di carattere generale". Evitando di entrare nel merito dei 14/16 articoli che compongono il progetto di revisione. E soffermandosi con richieste di chiarimento solo su qualche snodo critico, ad esempio sulle parti che dovrebbero modificare il titolo IV della Carta - in cui si disciplinano le funzioni giurisdizionali -, per capire come potrebbero conciliarsi cambiamenti di carattere ordinamentale con cambiamenti di carattere normativo, tenendo tutto in equilibrio. Alla fine ha fatto intendere che autorizzerà la presentazione del disegno di legge al Consiglio dei ministri.

Un via libera senza censure o avalli preventivi. Un disco verde scontato, visto che nella storia repubblicana non esistono precedenti di dinieghi quirinalizi per leggi di riforme costituzionali, nelle quali il dominus è e deve restare il Parlamento. Del resto, anche nelle ipotesi più controverse del progetto firmato da Alfano, come la separazione delle carriere dei magistrati o lo sdoppiamento del Consiglio superiore (oggi organo unico, presieduto dal capo dello Stato che, ha garantito il ministro, dovrebbe in ogni caso guidare entrambi), i tecnici non ravvisano al momento violazioni di quelli che di solito si definiscono "sacri e intangibili principi". Oltretutto, c'è chi osserva che proprio sullo stesso terreno ipotizzava di lavorare pure la vecchia Commissione bicamerale di D'Alema.

 

Due sole raccomandazioni ha fatto Napolitano, coerenti con tanti suoi ripetuti appelli: 1) Studiare una revisione "di ampio respiro, senza interventi sterili e settoriali" che mortifichino l'autonomia e l'indipendenza delle toghe o, peggio, che abbiano un sapore ritorsivo "influenzato dalle contingenze", che sarebbero poi le pendenze giudiziarie del premier; 2) La ricerca di larghe intese con l'opposizione fin da subito, l'unico metodo per costruire in Parlamento il massimo consenso possibile e restituire davvero "qualità ed efficienza al processo penale".

Una doppia precondizione, chiamiamola così, che il governo sa di dover onorare. Nel proprio interesse. Se non altro perché, a fine percorso, su tutto incomberà un referendum confermativo. L'esperienza di quattro anni fa, quando fu bocciata a furor di popolo la Grande Riforma messa allora in cantiere dal centrodestra, dovrebbe avere insegnato qualcosa.

Marzio Breda

10 marzo 2011

 

 

 

2011-03-06

Il presidente del Consiglio: "Riforma della giustizia epocale"

Ghedini: "Berlusconi scenderà

in campo per difendersi"

Il legale del premier: "C'è la disponibilità di celebrare i processi e rapidamente". Mediatrade, rinvio al 28 marzo

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La proposta del premier: a processo il lunedì (5 marzo 2011)

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Ghedini: "Si difenderà"

MILANO - "Il premier ritiene opportuno scendere in campo in prima persona per difendersi". Così l'avvocato Niccolò Ghedini ha spiegato la volontà del premier di partecipare a tutte le udienze dei suoi processi a Milano. "Da parte nostra c'è la disponibilità di celebrare i processi e rapidamente, per questo abbiamo dato la disponibilità del lunedì per le udienze". Lo ha detto l'avvocato Niccolò Ghedini in tribunale a Milano durante la seconda udienza preliminare del processo Mediatrade.

LUNEDI' - "Abbiamo proposto al tribunale di bloccare il lunedì. Da noi è arrivato un notevole sforzo collaborativo ed è il massimo che si può pretendere da un presidente del consiglio" ha detto Ghedini, a proposito del calendario delle udienze, argomento di discussione venerdì con il presidente del tribunale Livia Pomodoro.

CORSIA PREFERENZIALE? NON HA SENSO - Per l'avvocato Niccolò Ghedini "non ha senso parlare" di una corsia preferenziale per il processo al premier sul caso Ruby. Venerdì, dal quarto piano del Palazzo di Giustizia di Milano avevano spiegato che il processo sul caso Ruby, essendo un rito immediato e dunque per definizione celere ed avendo come parte offesa una minorenne, ha una sorta di corsia preferenziale, proprio come tipo di procedimento, rispetto agli altri processi. "Credo che non abbia senso parlare di questo", ha chiarito Ghedini, che ha sottolineato anche l'intenzione del premier che i processi a suo carico vengano celebrati "rapidamente". I tempi delle udienze però, ha concluso l'avvocato, "non li decide nè la difesa, nè la procura e spero che ci siano dei giudici super partes che tengano conto anche degli impegni istituzionali di Berlusconi".

"Riforma epocale della giustizia"

MEDIATRADE - Intanto per un difetto di notifica l'udienza preliminare per il caso Mediatrade è stata rinviata al prossimo 28 marzo. Lo ha deciso il Gup di Milano, Maria Vicidomini. Il giudice dell'udienza preliminare ha dovuto disporre il rinvio in quanto all'avvocato Filippo Dinacci, difensore di Piersilvio Berlusconi, non è stato notificato l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare. Pertanto il procedimento è slittato proprio per consentire la notifica dell'atto.

BERLUSCONI - Dal canto suo Berlusconi ha inviato un messaggio alla prima Conferenza nazionale sul lavoro e occupazione femminile con il quale sfiora l'argomento dei suoi processi: "La sinistra ancora una volta non esita di fronte a nulla nell'ultimo disperato tentativo di ottenere con scorciatoie mediatico-giudiziarie quello che non riesce a ottenere nelle urne". Poi in collegamento telefonico con la convention di "Noi Riformatori" ad Avezzano, ribadisce che sarà "epocale" la riforma della giustizia che verrà "presentata nel Cdm di giovedì prossimo". Il premier ha rivendicato il buon lavoro della sua maggioranza in Parlamento: "Davvero - ha detto - siamo soddisfatti della maggioranza che abbiamo in Parlamento. Prima, quando presentavamo riforme sulla giustizia, avevamo un no preliminare di Fini e dei suoi, oggi questo non accade più, quindi pensiamo di poter portare avanti le riforme che per noi sono un impegno contrattuale con elettori".

CALDEROLI - Sulla riforma della giustizia interviene successivamente anche il ministro per la Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli, per il quale: "Se parliamo di una riforma costituzionale è evidente che nessuna di quelle misure andrà a ricadere sui processi a Berlusconi, il problema della giustizia italiana è garantire processi in tempi certi altrimenti non è giustizia". Calderoli ha poi aggiunto: "Stiamo lavorando sulla proposta che verrà portata al Consiglio dei ministri, su cui stanno lavorando tutte le parti del governo".

Redazione online

05 marzo 2011(ultima modifica: 06 marzo 2011)

 

 

I processi I nodi

La proposta del premier:

a processo il lunedì

Ghedini incontra il presidente del Tribunale. Ma i giudici punteranno sul sabato o su doppie udienze

I processi I nodi

La proposta del premier:

a processo il lunedì

Ghedini incontra il presidente del Tribunale. Ma i giudici punteranno sul sabato o su doppie udienze

MILANO - Un giorno alla settimana, il lunedì: è quanto Silvio Berlusconi, in considerazione dei propri impegni di premier e di leader del Pdl, è disposto a concedere al Tribunale di Milano per permettere la celebrazione dei suoi 4 processi in primo grado, alle cui udienze rilevanti dichiara di "voler essere presente". È questa l'"ambasciata" che il presidente del Consiglio ha mandato ieri il suo avvocato-parlamentare Niccolò Ghedini a esporre al presidente del Tribunale milanese Livia Pomodoro, vista "la necessità a nostro parere - dice Ghedini - di un coordinamento di date tra le varie udienze in modo da consentire al presidente Berlusconi di essere sempre presente nei processi in cui è imputato".

Berlusconi (Reuters)

Berlusconi (Reuters)

Un coordinamento, in quanto tale, non può esistere né in teoria essere imposto (neppure se volesse) dalla presidenza del Tribunale, giacché ciascuno dei 4 collegi di giudici è del tutto autonomo anche nella definizione dei calendari e nei ritmi d'udienza: tanto più che assai differenti sono gli stati dei dibattimenti (se supererà le eccezioni procedurali il processo Mills ripartirà da una buona fetta di istruttoria già fatta, Mediaset diritti tv è oltre la metà ma impantanato in complicate rogatorie estere per i testi, Mediatrade è in udienza preliminare, il caso Ruby deve ancora iniziare), e ancor più differenti i rischi di prescrizione che sono minacciosi per il processo Mills (già tra un anno), seri per Mediaset diritti tv, lontani per Mediatrade, inesistenti per Ruby.

È tuttavia improbabile la soluzione del solo lunedì fisso: sia perché è un giorno che non sempre (specie di pomeriggio) è al riparo da lavori parlamentari, e dunque potrebbe a volte anche "saltare" per gli impegni in Parlamento di Berlusconi e dei suoi legali, sia soprattutto perché il solo lunedì spalmato su 4 processi significherebbe al massimo una udienza al mese per ciascun dibattimento, ritmo un po' troppo sonnolento. È invece immaginabile che a Ghedini venga richiesto di aggiungere ai lunedì i sabato (quando non c'è attività in Parlamento), sebbene la difesa li escluda ritenendoli spesso prenotati da missioni all'estero del premier.

Ghedini: "Berlusconi andrà in Aula"

Poiché è escluso che qualunque dei 4 processi possa avere una corsia preferenziale (nemmeno quello che pur ha parte lesa una minorenne come Ruby), un punto d'equilibrio potrebbe essere un lunedì alla settimana, ma double-face: nel quale cioè si riescano a celebrare un processo di mattina e un altro di pomeriggio, con recupero al successivo sabato solo delle udienze eventualmente "saltate", permettendo così almeno due udienze al mese per ciascuno dei 4 dibattimenti.

D'altra parte è anche evidente il sottotesto implicito nell'offerta del premier, indisponibile a lasciar fare 4 giorni alla settimana i processi in cui è imputato: se non si accoglie la sua disponibilità del solo lunedì, le udienze diventerebbero uno slalom continuo tra i singoli "legittimi impedimenti" che Berlusconi (come qualunque altro imputato comune) può sollevare ora che non è più protetto dalla legge (dichiarata incostituzionale dalla Consulta) che lo presumeva premier sempre legittimamente impedito a comparire in udienza per 6 mesi alla volta in forza di una autocertificazione della segreteria di Palazzo Chigi.

Il problema non si porrà oggi all'udienza preliminare Mediatrade dove il premier risponde di frode fiscale con il figlio e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri: l'udienza "salterà" da sola per un difetto di notifica all'avvocato Filippo Dinacci che difende Piersilvio Berlusconi.

Luigi Ferrarella, Giuseppe Guastella

05 marzo 2011

 

 

 

 

2011-03-02

Il Guardasigilli: "Nessun problema con la Lega, vediamo come far partecipare il popolo"

Giustizia, la riforma arriva in CdM

"Si avrà parità tra accusa e difesa"

Alfano anticipa: la discussione la prossima settimana. Resterà l'obbligatorietà dell'azione penale

Il Guardasigilli: "Nessun problema con la Lega, vediamo come far partecipare il popolo"

Giustizia, la riforma arriva in CdM

"Si avrà parità tra accusa e difesa"

Alfano anticipa: la discussione la prossima settimana. Resterà l'obbligatorietà dell'azione penale

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa)

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa)

MILANO - La riforma costituzionale della Giustizia approderà la prossima settimana al consiglio dei ministri. La conferma arriva dal Guardasigilli, Angelino Alfano, che ai cronisti che gli chiedevano se il testo sarà messo in calendario ha risposto affermativamente: "Credo proprio di sì".

CARRIERE SEPARATE - Lo stesso ministro ha illustrato i capisaldi del provvedimento nel corso della consulta del Pdl. "Si tratta di una riforma - ha detto Alfano - che si basa sulla separazione delle carriere e sulla parità tra accusa e difesa, oltre che su una giustizia disciplinare che non sia domestica e sulla architettura del processo che riaffermi l'effettiva del primato del giudice". Il Guardasigilli ha poi parlato di un confronto positivo con la Lega e ha confermato che, proprio su richiesta del Carroccio, si sta lavorando sull'articolo 106 della Costituzione, così da contemplare le modalità di partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia: "Siamo aperti ai suggerimenti della Lega, stiamo lavorando assieme" per arrivare "ad una amplia condivisione". Alfano ha inoltre precisato che nella sua relazione non si è fatto cenno a modifiche alla Corte costituzionale, e che resterà l'obbligatorietà dell'azione penale seppure "ci sarà un intervento con legge ordinaria per regolamentarne le modalità".

IL DOPPIO CSM - Quanto ai due Csm, Alfano ha spiegato: "Abbiamo varie opzioni in campo. È esclusa, per quanto mi riguarda, l'ipotesi di presentare una proposta che preveda la presidenza da parte del ministro della Giustizia. Stiamo valutando, perchè sulla presidenza del consiglio superiore della magistratura requirente in questi anni ci sono state varie proposte in campo e tutte hanno una loro cittadinanza". "Stiamo risolvendo questo che non è un problema - ha detto ancora il titolare del dicastero di via Arenula- ma un punto importante che contribuirá a determinare complessivamente l'equilibrio di questo sistema che ha come bussola il processo giusto e la parità di accusa e difesa".

Redazione Online

02 marzo 2011

 

 

 

 

2011-02-22

Il ddl sulle intercettazioni "non appare indirizzato ad una lotta alla corruzione"

"La corruzione e la frode, sono patologie che continuano ad affliggere la Pa"

La Corte dei Conti: "I dati non consentono ottimismi". Male soprattutto il settore della sanità

Il ddl sulle intercettazioni "non appare indirizzato ad una lotta alla corruzione"

"La corruzione e la frode, sono patologie che continuano ad affliggere la Pa"

La Corte dei Conti: "I dati non consentono ottimismi". Male soprattutto il settore della sanità

La Corte dei Conti (Ansa)

La Corte dei Conti (Ansa)

MILANO - Un nuovo avvertimento. La corruzione e la frode, soprattutto nel settore dei contributi nazionali e dell'Ue, sono "patologie" che "continuano ad affliggere la Pubblica amministrazione" e i cui dati "non consentono ottimismi". A sottolinearlo è il procuratore generale della Corte dei Conti, Mario Ristuccia.

I DATI - Nel 2010 dalle forze dell'ordine sono stati segnalati 237 casi di corruzione (+30,22% rispetto al 2009), 137 di concussione (-14,91%), 1090 di abuso di ufficio (-4,89%). In calo, però, persone denunciate nel 2010: 709 per corruzione (-1,39% rispetto al 2009), 183 per concussione (-18,67%) e 2.290 per abuso di ufficio (-19,99%). In particolare nel settore della sanità "si intrecciano con sorprendente facilità veri e propri episodi di malaffare con aspetti di cattive gestioni talvolta favorite dalle carenze del sistema dei controlli".

INTERCETTAZIONI - Il disegno di legge sulle intercettazioni "non appare indirizzato ad una vera e propria lotta alla corruzione" ha aggiunto Ristuccia, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. Le intercettazioni, sottolinea ancora il procuratore generale, costituiscono "uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo" di contrastare il fenomeno della corruzione. La Corte dei conti boccia anche la legge Cirielli, che ha dimezzato i termini di prescrizione "con il risultato che molti dei relativi processi si estingueranno poco prima della sentenza finale, sebbene preceduta da una o deu sentenza di condanna".

Redazione online

22 febbraio 2011

 

 

 

 

 

2011-02-21

IL PDL IN PRESSING. E Cicchitto ATTACCA: "Sinistra CONTRADDITTORIA"

L'immunità parlamentare scuote il Pd

Bersani e Franceschini: "Siamo assolutamente contrari". Ma la Chiaromonte: "Non ritirerò il ddl bipartisan"

IL PDL IN PRESSING. E Cicchitto ATTACCA: "Sinistra CONTRADDITTORIA"

L'immunità parlamentare scuote il Pd

Bersani e Franceschini: "Siamo assolutamente contrari". Ma la Chiaromonte: "Non ritirerò il ddl bipartisan"

Pier Luigi Bersani (LaPresse)

Pier Luigi Bersani (LaPresse)

MILANO - Il tema dell'immunità parlamentare scuote maggioranza e opposizione, agitando soprattutto le acque del Pd. Se il Pdl infatti preme perché si modifichi l'articolo 68 della Costituzione, il Partito democratico, dopo le iniziali aperture, chiude invece all'ipotesi di una intesa bipartisan sulla questione. La posizione del Pd su un eventuale ripristino dell'immunità parlamentare è "assolutamente contraria" ha detto senza mezzi termini Pier Luigi Bersani. "Noi siamo per ribaltare l'agenda - ha chiarito - e per dire che è ora di mettere all'ordine del giorno, non l'immunità parlamentare, ma regole, onestà, sobrietà". "La posizione del Pd è contraria senza alcuna ambiguità" ha aggiunto il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini. E lo stesso Silvio Sircana, che nei giorni scorsi aveva fatto intendere di essere favorevole alla reintroduzione in tempi brevi dell'immunità per "evitare altre forzature in materia di giustizia", ha spiegato di essere disposto a seguire la linea del partito. "Se il partito decide diversamente non ne faccio una malattia, io sono un parlamentare disciplinato" ha detto. Chi non retrocede è invece la senatrice democratica Franca Chiaromonte. "Non ritirerò il disegno di legge che chiede il ripristino dell'immunità parlamentare" ha chiarito, sottolineando che "si tratta di un'iniziativa personale e trasversale. Poi se e quando dovesse andare in aula vedremo".

"SINISTRA CONTRADDITTORIA" - Chiaromonte ha tenuto a ricordare che il disegno di legge depositato alla fine del 2009 e firmato anche da senatori del Pdl, "non è assolutamente imputabile di servilismo alle vicende attuali". Il testo, ha insistito, "nasce da una convinzione che porto avanti da anni e che si basa sulla preoccupazione che ebbero i padri costituenti quando scrissero l'articolo 68". Parole che spingono il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ad accusare il Pd di essere contraddittorio. "L'immunità - ha spiegato Cicchitto - era nella Costituzione e serviva a bilanciare il rapporto complesso tra le garanzie di una magistratura indipendente e le garanzie dei parlamentari. Si tratta di ripristinarla. La sinistra ufficiale si dice contraria, anche rispetto alla posizione di esponenti come la senatrice Chiaromente e Sircana. Si apre dunque una contraddizione tra chi è forzatamente giustizialista e chi invece è garantista".

Redazione online

21 febbraio 2011

 

 

IL CASO

Il biotestamento finisce in teatro

ma è polemica sull'intervento di Saviano

Happening teatrale di Ignazio Marino con Beppino Englaro a favore della libertà di scelta

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IL CASO

Il biotestamento finisce in teatro

ma è polemica sull'intervento di Saviano

Happening teatrale di Ignazio Marino con Beppino Englaro a favore della libertà di scelta

Saviano: "Battaglia di libertà"

Doveva essere la presentazione di uno spettacolo, si è trasformata, come prevedibile, in un'affaire politico. Per presentare "Testamento biologico. Sentimenti e diritti a confronto", iniziativa teatrale di Ignazio Marino, che va in scena lunedì stasera alle 21 al teatro Sala Umberto, uno dei protagonisti, Roberto Saviano è intervenuto con un video-messaggio, in cui ha parlato del disegno di legge sul testamento biologico che sarà votato con molta probabilità la prossima settimana a Montecitorio. "Il disegno di legge sembra essere un disegno liberale, ma non lo è. Complica le cose, burocratizza, non va nella direzione della libera scelta". Lo scrittore e giornalista ha esordito così: "Ci tenevo particolarmente ad esserci, ma ovviamente ho difficoltà di movimento a causa della mia vita. Decidere cosa fare del proprio corpo non riguarda solo la malattia o il coma, ma è un passo fondamentale per una società diversa con una democrazia articolata e un diritto compiuto. La battaglia di Beppino Englaro - ha aggiunto Saviano - è un passo verso la libertà perchè è un passo verso la scelta".

Ignazio Marino (Ansa)

Ignazio Marino (Ansa)

ENGLARO IN SCENA - E sarà Beppino Englaro, il papà di Eluana, la donna in stato vegetativo 17 anni prima che le venissero sospese idratazione e alimentazioni artificiali, entrerà in scena in silenzio, e silente osserverà il pubblico mentre in sottofondo un suono cadenzato ricorderà quello dei macchinari che tenevano in vita sua figlia. "Una scelta - spiega il senatore Pd Ignazio Marino, presentando 'Le ragioni del cuorè in un incontro con la stampa - fatta anche per manifestare il sentimento di offesa per la decisione del Governo di celebrare la Giornata degli stati vegetativi proprio nel giorno del secondo anniversario della morte di Eluana". Con l'appuntamento in teatro"non vogliamo creare conflitti, ma condivisione - assicura il senatore e medico - rappresentare e dare spazio a tutte le opinioni, compresa, ad esempio, la testimonianza che arriva dalla Casa dei risvegli". Marino, che in Senato ha dato battaglia strenuamente al Ddl Calabrò, ha composto la lettera che leggerà all'amata donna di un uomo che immagina in stato di coma. Saviano, come si è detto, parteciperà con un video-contributo. Sul palco si alterneranno, tra gli altri, anche Elio De Capitani, regista e attore teatrale, con il collega Corrado Accordino. La cantante Sarah Demagistri, l'avvocato Ettore Martinelli, Monica Fabbri della Commissione di bioetica della Tavola valdese. "Mai come in questi anni - sottolinea l'attrice Simona Marchini, anche lei in scena stasera al fianco di Marino - la parola 'rispettò è stata svuotata nei contenuti. Ma sta a ciascuno di noi fare la propria parte, darsi da fare per cambiare le cose".

Beppino Englaro (Lapresse)

Beppino Englaro (Lapresse)

ROMA - MARINO: "DDL CONTRO LA LIBERTA' DI SCELTA" - Intanto si stringono i tempi per il ddl sul biotestamento, che arriverà in Aula alla Camera in marzo, è questo, secondo il chirurgo e senatore del Pd Marino, per una ragione: "Il ddl serve per rinsaldare una maggioranza traballante e si tira fuori dal cassetto ora perché serve al presidente del Consiglio che vede la sua maggioranza a rischio, investito dagli scandali, e utilizza uno strumento così importante che riguarda la dignità della vita, strumentalmente". L'obiettivo, secondo Marino, deve essere una legge "diversa da quella che si sta scrivendo in questi giorni e che di fatto è contro il testamento biologico e la libertà di scelta, dal momento che in un articolo del ddl si dice chiaramente che idratazione e nutrizione artificiali sono obbligatorie e che, inoltre, le dichiarazioni anticipate di trattamento dati non sono vincolanti". Ci si trova dinanzi, ha concluso Marino, alla "arroganza di chi ha vinto le elezioni e dice 'io faccio una legge e dico a te, cittadino, come ti devi curare".

"SAVIANO ARROGANTE" - "Non vogliamo togliere a Saviano il gusto di pontificare su quello che gli pare. Ma l'essersi calato nel ruolo di nuovo guru della sinistra iper-laicista deve avergli preso troppo la mano". Così il senatore Pdl, Vincenzo Fasano, che spiega: "Pensa di poter dettare legge su tutto ed ora si spinge fino a volersi sostituire al legislatore, definendo illiberale il disegno di legge sul fine vita. Sarà il Parlamento a dover giustamente regolamentare una materia tanto delicata, avendo come principio guida il valore della vita, la tutela dell'essere umano e il rispetto delle famiglie. E di certo non si farà influenzare da chi, con malcelata arroganza, emette sentenze su tutto".

Redazione online

21 febbraio 2011

 

CASO RUBY, IL GUARDASIGILLI: "SUL CONFLITTO D'ATTRIBUZIONE IL PREMIER DECIDERà A BREVE"

Alfano: "Sì, riformeremo la Consulta"

Il ministro conferma in tv quanto già annunciato dal premier: "Vedremo come fare"

CASO RUBY, IL GUARDASIGILLI: "SUL CONFLITTO D'ATTRIBUZIONE IL PREMIER DECIDERà A BREVE"

Alfano: "Sì, riformeremo la Consulta"

Il ministro conferma in tv quanto già annunciato dal premier: "Vedremo come fare"

Angelino Alfano

Angelino Alfano

MILANO - La riforma della Consulta si farà. Parola di Angelino Alfano. Ospite di Porta a Porta, il ministro della Giustizia conferma che il governo è intenzionato a ritoccare la Corte costituzionale, in riferimento in particolare alla maggioranza qualificata. Durante la registrazione della trasmissione di Bruno Vespa, il Guardasigilli ha spiegato che la Consulta "fa parte dell'assetto delle garanzie. Siccome - ha chiarito - avremo anche una riforma della forma di Stato e di governo, valuteremo se la riforma della Corte costituzionale vada inserita in questo contesto o nell'ambito della riforma della giustizia". Quanto ai tempi, le due cose, ha detto Alfano, "partiranno in parallelo".

CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE - Sul tema più generale della riforma della Giustizia, Alfano ha spiegato: "Riteniamo che nel nostro Paese la pubblica accusa e il cittadino che viene messo sotto accusa non siano pari. Bisogna affermare che giudici e pm sono parti separate perchè se l'accusa e il giudice sono collegati non c'è parità". Ospite di Vespa, il Guardasigilli è anche tornato sulla questione del processo a carico di Silvio Berlusconi, spiegando che "il conflitto di attribuzione può essere sollevato anche da forze parlamentari, quindi il diretto interessato può chiedere alle Camere di pronunciarsi. Sono scelte che competono al presidente del Consiglio - ha aggiunto - e credo che le compirà a breve".

SI RIUNISCE IL COMITATO TECNICO- Intanto, è stata fissata per martedì mattina alle 9 la prima riunione del comitato tecnico - formato da ministri ed esperti - chiamato ad approfondire i contenuti della riforma costituzionale della giustizia, che un Consiglio dei ministri straordinario dovrà varare nelle prossime settimane. Tra i grandi temi oggetto del confronto ci sarà la riforma dell'articolo 68 della Costituzione sull'immunità parlamentare, assieme alla separazione delle carriere, e alla responsabilità civile dei magistrati, all'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e al doppio Csm.

Redazione online

21 febbraio 2011

 

 

 

2011-02-19

sulle intercettazioni, il cavaliere vorrebbe tornare al testo originario

Immunità e intercettazioni,

Berlusconi alza la posta

Il premier: avanti tutta. Primo sì del Cdm al piano giustizia di Alfano. L'Anm: non ci lasceremo intimidire

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Il ministro Angelino Alfano (Eidon)

Il ministro Angelino Alfano (Eidon)

MILANO - Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità la relazione del ministro della Giustizia Angelino Alfano sul disegno di legge che contiene le linee guida per la riforma costituzionale della giustizia. Nel corso della riunione dell'esecutivo, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi avrebbe insistito nel chiedere tempi stretti non solo sulla riforma costituzionale, ma anche sulle intercettazioni e sull'immunità parlamentare prevista dal vecchio articolo 68 della Costituzione.

INTERCETTAZIONI - Secondo un parlamentare Pdl anonimo citato dall'Ansa, il partito di Silvio Berlusconi provvederà "a riformare le intercettazioni riproponendo il testo originario del ddl che giace alla Camera", cioè tornando alla versione precedente le modifiche imposte da finiani e centristi le quali, secondo Berlusconi, avevano reso "inutile" il provvedimento. La maggioranza di governo sarebbe intenzionata dunque a riformare le intercettazioni ripartendo dal testo che era stato approvato in Senato diversi mesi fa. Il testo approvato a Palazzo Madama prevedeva un rigido regime delle intercettazioni che fu successivamente indirizzato su un "binario morto" in Parlamento, dopo le modifiche introdotte dalla commissione Giustizia alla Camera.

RIFORMA GIUSTIZIA - Più in generale, la riforma della giustizia approvata dal governo prevede la separazione delle carriere di giudici e pm, la divisione in due del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e il conferimento di maggiori poteri al Guardasigilli. Non è escluso che - secondo quanto si è appreso - il governo intenda procedere anche con un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati. Un Cdm straordinario sarà convocato nei prossimi giorni per l'approvazione definitiva, mentre martedì si riunirà un comitato di ministri e di tecnici per approfondire i contenuti del testo del ddl.

"NON CI FAREMO INTIMIDIRE" - "È un copione già visto: ogni volta che emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti, poi seguono iniziative legislative punitive per i magistrati" ha detto Luca Palamara, presidente dell'Anm, interpellato in merito alla discussione, in Consiglio dei ministri, sul pacchetto di riforme della giustizia. "Noi non ci faremo intimidire - ha aggiunto il leader del sindacato delle toghe - e continueremo ad applicare la legge con serenità, imparzialità e in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero". "Ciò che più preoccupa in questa fase - ha aggiunto Palaara - sono le posizioni di ministri in carica - come quello dell'Istruzione, addirittura degli Esteri e persino Giustizia - che partecipano senza alcuna remora, che pure sarebbe doverosa per la carica istituzionale ricoperta, alla sistematica aggressione nei confronti dei magistrati".

I PRINCIPI DEL PREMIER - "È giusto modificare l'articolo 68 della Costituzione reintroducendo l'immunità parlamentare". Il presidente Berlusconi, che avrebbe apprezzato pienamente la relazione del Guardasigilli, ha rilanciato e fatto sue le proposte di alcuni ministri tra cui, appunto, la reintroduzione dell'immunità parlamentare. "Deve essere oggetto di confronto", ha detto il premier ricordando ai ministri che la riforma del comparto "è uno dei punti più importanti del nostro programma di governo. "Questa è una riforma basata su principi di civiltà", ha commentato il premier. Il Cavaliere avrebbe sottolineato che in questo frangente va affrontato anche il nodo delle intercettazioni, senza indicare lo strumento per limitarne gli eventuali abusi. "L'importante - avrebbe detto - è che si vada al più presto a definire la riforma. Bisogna chiudere nel più breve tempo possibile".

IL DDL - La bozza di riforma che il Guardasigilli Angelino Alfano aveva sottoposto all'attenzione del Quirinale lo scorso novembre aveva ricevuto un altolà dai finiani che, per bocca della presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno, contestavano la prevista maggioranza laica del Csm, l'attribuzione di maggiori poteri al ministro della Giustizia, l'ipotesi di una polizia giudiziaria più autonoma dal pubblico ministero. La trattativa si era interrotta in contemporanea con lo strappo politico tra Pdl e Fli.

NELLA BOZZA - Secondo quanto previsto dal ddl i giudici saranno indipendenti da ogni potere e soggetti solo alla legge, mentre i pm potrebbero diventare un "ufficio" organizzato secondo le norme sull'ordinamento e con la facoltà di esercitare l'azione penale secondo priorità stabilite dalla legge. E ancora: l'uso della polizia giudiziaria avverrà "secondo modalità stabilite dalla legge"; verranno creati due Csm, uno dei giudici e l'altro dei pm mentre un organismo ad hoc (una sorta di alta corte di disciplina) vaglierà i procedimenti disciplinari di tutte le toghe. Nelle originarie bozze, inoltre, era prevista l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado e l'attribuzione al ministro della Giustizia di maggiori poteri, incluso quello di partecipare alle riunioni dei Csm senza diritto di voto.

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Eidon)

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Eidon)

BERLUSCONI - Il progetto di riforma della giustizia riparte nel momento in cui il presidente del Consiglio si sente politicamente più forte dopo la fuoriuscita di alcuni senatori e deputati da Futuro e libertà. Berlusconi, dopo aver incassato due rientri importanti, è convinto che la maggioranza crescerà ancora alla Camera: l'obiettivo resta quello di "aggiungere" almeno dieci deputati ai 316 attuali, per garantirsi il riequilibrio delle Commissioni e la tenuta nei prossimi passaggi parlamentari. E il traguardo sarebbe in vista: "Mi avevano dato per finito e invece...", sarebbe stato il ragionamento del Cavaliere con chi ha avuto modo di sentirlo a cui avrebbe confidato, come rivela il Corriere: "I miei avversari non esistono più". Si parla anche dell'ipotesi di formare un nuovo gruppo a Montecitorio in modo da avere più rappresentanti nelle Commissioni e in particolar modo nell'ufficio di presidenza che dovrà essere chiamato a pronunciarsi sull'eventuale conflitto di attribuzione da sollevare davanti alla Consulta per il caso Ruby, anche se lo stesso Berlusconi anticipa che "non presenteremo richiesta di conflitto di attribuzione". Mercoledì prossimo, quando i "numeri" in Parlamento saranno più chiari, Berlusconi dovrebbe ritoccare la squadra di Palazzo Chigi con l'innesto dei "Responsabili". Per lunedì prossimo il partito ha convocato a Milano parlamentari, ministri, sottosegretari e presidenti di commissione lombardi per studiare le prossime iniziative politiche contro la cosiddetta "giustizia a orologeria" perché, riferiscono, "non si può accettare una così palese violazione della volontà parlamentare".

Redazione online

18 febbraio 2011

 

 

 

 

"Il conflitto tra poteri rischia l'inammissibilità". Pdl: "attendiamo smentita"

Caso Ruby, secondo fonti della Consulta:

"Su giurisdizione decide la Cassazione"

Sul trasferimento del processo a carico del premier Berlusconi dal tribunale di Milano a quello dei ministri

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Gli avvocati di Berlusconi Ghedini e Longo (Ansa)

Gli avvocati di Berlusconi Ghedini e Longo (Ansa)

MILANO - Se l'obiettivo è trasferire il processo a carico del premier Berlusconi sul "caso Ruby" dal tribunale di Milano a quello dei ministri, il conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale rischia di cadere nel vuoto e di essere fermato da una pronuncia di inammissibilità. E questo perché - spiega all'Ansa un'importante e qualificata fonte di Palazzo della Consulta- sulle questioni di giurisdizione decide la Cassazione e non la Corte Costituzionale, "secondo quanto previsto dall'art.37, secondo comma, della legge 87 del 1953" sul funzionamento della Consulta. Negli stessi ambienti si auspica che tali norme siano tenute in conto nel caso in cui la Camera o la Presidenza del Consiglio decidano di sollevare il conflitto.

LA NORMA - La norma citata prevede che il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale "se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali". Ma la stessa norma, al secondo comma, precisa che "restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione". Quindi, se la questione verrà posta per risolvere il nodo della competenza funzionale (nel telefonare in questura a Milano per chiedere il rilascio di Ruby Berlusconi ha agito o no abusando della sua funzione di premier tanto da dover essere giudicato dal tribunale dei ministri?) la Consulta dovrebbe rigettarla, dichiarandola inammissibile e senza entrare nel merito. La sollecitazione in ambienti di Palazzo della Consulta è dunque quella di "valutare bene" la strada del conflitto tra poteri. E se questo dovesse essere sollevato, si tenga conto che il conflitto non sospende il procedimento in corso. Inoltre - fa notare la stessa fonte qualificata - tra ammissibilità e decisione nel merito mediamente passa oltre un anno prima che la Consulta si esprima sui conflitti. "Potremmo anche ridurre i tempi arrivando a sei mesi ma - viene ribadito - non si dimentichi che è la Cassazione a decidere sulle questioni di competenza".

CAPEZZONE - Daniele Capezzone, portavoce PdL, reagisce all'indiscrezione dell'Ansa: "Leggiamo di indiscrezioni propalate da una presunta "fonte qualificata di Palazzo della Consulta" secondo la quale un possibile conflitto di attribuzioni nei confronti dei giudici di Milano sarebbe inammissibile perché riguardante una questione di giurisdizione, tanto che la presunta fonte si affretta ad avvertire (o forse sarebbe il caso di dire, minacciare) il Parlamento e il Governo di "valutare bene" la strada del conflitto tra poteri". "Al di là del merito delle argomentazioni, che sembrano peraltro prive di fondamento, sconcerta e indigna che in un momento di tensioni così forti ci possa essere qualcuno che gioca a fare la "gola profonda" in una sconcertante e destabilizzante strategia della tensione tra le istituzioni, lasciando intendere ai cittadini cose che non stanno né in cielo né in terra - aggiunge -. Ci aspettiamo che il Presidente della Corte costituzionale, che è un insigne giurista cui non sfuggirà la gravità della situazione, voglia smentire categoricamente simili voci ed esercitare ogni suo potere per smascherare chi rimesta nel torbido proprio in seno all'organo che rappresenta il massimo tutore della legalità costituzionale - conclude Capezzone -. Anche per evitare l'impressione che ci possa essere qualcuno che vuole ridurre quello costituzionale ad un processo sommario con condanna anticipata".

Redazione online

17 febbraio 2011

 

 

2011-01-14

ultim'ora

Caso Ruby, Berlusconi indagato

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Silvio Berlusconi (Archivio)

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MILANO - La Procura di Milano ha indagato Silvio Berlusconi per le ipotesi di reato di "concussione" e di "prostituzione minorile". Secondo la contestazione d’accusa, allo scopo di occultare di essere stato cliente di una prostituta minorenne in numerosi week-end ad Arcore, assicurarsi l’impunità da questo reato e scongiurare che venissero a galla i retroscena delle feste nella sua residenza brianzola, il Presidente del Consiglio la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 avrebbe abusato della propria qualità di primo ministro per indurre i funzionari della Questura di Milano ad affidare indebitamente l’allora 17enne marocchina Karima "Ruby" El Mahroug, scappata da una comunità per minori, alla consigliere regionale lombarda pdl Nicole Minetti.

Il reato di "concussione" (articolo 317 del codice penale) punisce con la reclusione da 4 a 12 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringa o induca taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità. Al premier è contestato con l’aggravante il reato di "prostituzione minorile" (articolo 600 bis, contestato al premier nella forma del secondo comma) punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni chiunque compia atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e 18 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica, ed è l’unico caso nel quale il cliente di una prostituta è sanzionato penalmente.

La polizia sta perquisendo gli uffici della consigliere regionale Nicole Minetti, indagata per favoreggiamento della prostituzione sia adulta sia minorile. Stessa ipotesi di reato per Lele Mora ed Emilio Fede.

Luigi Ferrarella

14 gennaio 2011

 

 

 

il commento del premier alla decisione della consulta sullo "scudo"

Berlusconi e il legittimo impedimento

"Non mi aspettavo una sentenza diversa"

Il presidente del Consiglio a Mattino Cinque: "La Corte non ha demolito l'impianto della legge"

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Silvio Berlusconi (Ansa)

Silvio Berlusconi (Ansa)

MILANO - "Non mi aspettavo nulla di diverso". Silvio Berlusconi esordisce così nel suo intervento telefonico a Mattino Cinque, commentando la sentenza della Consulta di giovedì sul legittimo impedimento. La Corte Costituzionale, sottolinea il premier (come già avevano fatto i suoi legali) "non ha demolito l'impianto" della legge. Il capo del governo ci tiene a sottolineare di non aver richiesto in prima persona lo scudo, specificando tra le altre cose che la decisione della Consulta ha addirittura migliorato la legge. Il premier spiega infatti che i giudici della Corte hanno ""tipizzato"" alcune fattispecie, "cioè si è indicato nella legge che per esempio presiedere il Consiglio dei ministri è un impedimento legittimo, così come presiedere una riunione internazionale è legittimo impedimento. E quindi da questo punto di vista la sentenza ha migliorato la situazione precedente". Quanto alle ripercussioni che la decisione della Consulta avranno sul futuro dell'esecutivo, il premier assicura che la sentenza sul legittimo impedimento è "assolutamente ininfluente" e che "il governo andrà avanti perché l'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate".

"Sentenza salomonica"

Maria Antonietta Calabrò

"PROCESSI GROTTESCHI" - In collegamento con Mattino Cinque e parlando dei procedimenti a suo carico, Berlusconi è tornato a ribadire che si tratta "processi assolutamente inventati, ridicoli, grotteschi. Intanto io ho assicurato davanti a tutti che questi fatti non esistono. Non ci sono fatti che possono rendere possibili una condanna". Il Cavaliere si è mostrato ottimista. "Ma - ha avvertito, ospite della rubrica di Maurizio Blepietro - se nei collegi giudicanti ci saranno giudici di sinistra andrò in tv e spiegherò di cosa si tratta. Secondo il premier "non si possono trovare giudici che oseranno dare una condanna su fatti che non esistono". La previsione di Berlusconi è chiara: anche dopo la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, "non sarà così facile per i difensori dei miei processi - ha detto - ottenere un atteggiamento benevolo da parte dei magistrati". "Sanno tutti che c'è persecuzione politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo" ha aggiunto il Cavaliere, ricordando anche i "tantissimi processi" in cui i suoi difensori "sono stati impegnati" e in cui il capo del governo è "stato assolto".

FIAT - Dal premier anche un accenno alla Fiat al referendum di Mirafiori. Il sì all'accordo avrà "percentuali elevate" secondo il presidente del Consiglio e "a vincere sarà il buonsenso". Berlusconi ha ribadito che il governo sta dalla parte dell'ad del Lingotto Sergio Marchionne e dei sindacati con "forte senso di responsabilità nazionale", ovvero Cisl e Uil e gli altri firmatari dell'accordo di Mirafiori. "L'accordo è emblematico di ciò che serve per tenere aperte le fabbriche, cosa che non accadrebbe con le rivendicazioni ideologiche della Fiom, della Cgil e della sinistra di Bersani - è l'affondo del presidente del Consiglio - . Purtroppo hanno perso un'altra occasione di diventare socialdemocratici, di capire che le aziende devono essere organizzate sulle esigenze del mercato non sulle ideologie già condannate dalla storia. Invece di insultare, Bersani dovrebbe farsi spiegare da Fassino e dal sindaco di Torino, suoi compagni di partito, che con l'accordo si possono conservare posti di lavoro e aumentare anche le retribuzioni".

Redazione online

14 gennaio 2011

 

 

Che Succede Ora

Che Succede Ora

La flemma con la quale Palazzo Chigi ha accolto la sentenza di ieri della Corte costituzionale sul legittimo impedimento non è solo di facciata. Fa intuire il sollievo di un governo che forse temeva la bocciatura totale della legge, mentre invece almeno il principio è salvo. E sembra confermare che Silvio Berlusconi non vuole arrivare al voto anticipato sull'onda del conflitto con la magistratura: un tema scivoloso, se non impopolare. Il futuro della legislatura rimane in bilico. Ma non sarà il verdetto della Consulta a portare l'Italia alle urne.

Il tentativo è di accogliere la decisione come un compromesso tutto sommato accettabile e ininfluente sul destino del governo. Per questo gli avvocati di Berlusconi minimizzano, mentre il premier ufficialmente non parla. E minimizza la Lega, preoccupata solo di non intralciare la marcia sorniona verso il federalismo: al punto che gli attacchi alla Corte di alcuni esponenti del Pdl finiscono per apparire fuori misura, nella loro virulenza. Siccome fingere che non sia successo niente appare difficile, si tende a dimostrare che non è accaduto nulla di traumatico: le incognite per la coalizione sono altre, e si annidano in Parlamento.

Il responso della Consulta si aggiunge al rosario delle difficoltà berlusconiane. Ma le affianca, non le sovrasta. E non è destinato a rivoluzionare una tabella di marcia che prevede il puntello di un gruppo di "responsabili", sebbene abbia contorni numerici da definire; il sostegno a intermittenza del Polo della Nazione di Pier Ferdinando Casini; e una continuità precaria quanto obbligata. La versione governativa stride con l'entusiasmo del "popolo viola". Eppure la gioia antiberlusconiana suona un po' eccessiva, se Di Pietro conferma il referendum contro il legittimo impedimento.

Il centrodestra ostenta tranquillità perché lo svuotamento della legge, determinato dal responso della Consulta, è bilanciato dal riconoscimento della rilevanza costituzionale del presidente del Consiglio; e soprattutto perché sente di poter dettare l'agenda agli avversari, spaventati dalle elezioni. La strategia di Berlusconi è quella di accreditarsi come garante della stabilità e antidoto al caos, nonostante la defezione di Gianfranco Fini; e di concedere il minimo indispensabile a Casini.

Si tratta di un'operazione sul filo del rasoio, perché cresce l'impressione di uno scambio asimmetrico, che l'Udc teme di pagare col logoramento. L'apparente irrigidimento centrista sul federalismo e sulle dimissioni del ministro Sandro Bondi nasce da questa preoccupazione. Quando Casini ricorda al premier che il legittimo impedimento sarebbe passato alla Consulta con le modifiche suggerite dall'Udc, sembra dargli un avvertimento: senza di noi, la legislatura finisce. Berlusconi lo sa. Non vuole le elezioni ma confida che gli avversari, temendole più di lui, alla fine si piegheranno.

Massimo Franco

14 gennaio 2011

 

 

 

 

Ripartono i processi delle "3 M"

Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio

LA SCHEDA

Ripartono i processi delle "3 M"

Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio

La parziale bocciatura del legittimo impedimento da parte della Consulta complica gli scenari futuri relativi ai tre processi milanesi, Mediaset, Mills e Mediatrade, a carico di Silvio Berlusconi. I tre procedimenti non riprenderanno prima di un paio di mesi, considerando anche i tempi tecnici necessari alla Corte Costituzionale per trasmettere a Milano le motivazioni della pronuncia. Si ricomincerà in un clima simile a quello in cui si era finito, quando, prima delle sospensioni determinate dall'invio degli atti alla Corte Costituzionale, i legali del premier e il pm Fabio De Paquale, battagliavano - udienza dopo udienza - sui legittimi impedimenti invocati da Berlusconi e "certificati" con timbro della presidenza del Consiglio.

MILLS - Il processo per la corruzione del testimone - legale inglese David Mills dovrebbe ripartire dall'inizio perché il presidente della decima sezione penale, Francesca Vitale, ora è in corte d'appello ed è stata sostituita da Antonella Lai, alla quale si affiancheranno due nuovi giudici. La prescrizione scatterà tra poco più di un anno e Berlusconi rischia una condanna in primo grado, dopo che, nel "processo gemello", la Cassazione, pur sancendo la prescrizione per Mills, ha riconosciuto che il premier corruppe l'avvocato britannico. Ad allungare i tempi del verdetto, la possibilità che vengano svolte, su richiesta della difesa, due rogatorie all'estero, una a Lugano per sentire il banchiere Paolo Del Bue (Arner Bank) e un'altra a Londra per ascoltare alcuni testimoni.

MEDIASET - Nel processo per i diritti tv Mediaset, in cui il premier risponde di frode fisale e che è iniziato nel 2006 davanti alla prima sezione, tutti e tre i giudici hanno cambiato posto. Il presidente Edoardo D'Avossa da tempo dirige il Tribunale di La Spezia e aveva potuto proseguire il processo grazie all'"applicazione" autorizzata dal Csm, ma con una durata massima di due anni. Poiché metà si è già consumata, alla ripresa delle udienze D'Avossa si troverà di fronte a un bivio: se andrà avanti e non riuscirà a finire il processo entro un anno, ne verrà sancita la nullità; se si farà sostituire subito, il rischio è quello della prescrizione perché è improbabile che i difensori diano il consenso a "salvare" le prove assunte davanti ai vecchi giudici.

MEDIATRADE - Anche la gup dell'udienza preliminare sui diritti tv Mediatrade, Marina Zelante, nel frattempo si è trasferita ad altri incarichi e le carte del procedimento in cui Berlusconi è accusato di appropriazione indebita sono passate al giudice Maria Vicidomini che, proveniente da Reggio Calabria, ne ha ereditato il ruolo e le cause. Il procedimento è considerato dagli addetti ai lavori quello probatoriamente più debole da parte dell'accusa e la prescrizione è un'ipotesi remota. (Fonte Agi)

13 gennaio 2011

 

 

 

LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Ecco i due commi "bocciati"

LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Ecco i due commi "bocciati"

Sono due i commi dell'articolo 1 della legge sul legittimo impedimento (numero 51 del 7 aprile 2010) che non hanno passato indenni l'esame dei giudici della Consulta.

È stato giudicato "illegittimo" il comma 4, quello che prevede che "ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi".

L'illegittimità nasce dalla violazione di due articoli della Costituzione, il numero 3 ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali..") e il numero 138 ("le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione..).

Per violazione degli stessi articoli della Costituzione è stato giudicato illegittimo il comma 3 ("il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza") nella parte in cui non prevede espressamente che il giudice valuti in concreto l'impedimento indicato, come già stabilisce l'articolo 420-ter del codice di procedura penale.

13 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-01-13

LA sentenza della Corte Costituzionale: 12 sì e 3 no. Esulta il popolo viola

La Consulta: "scudo" bocciato in parte

Ghedini soddisfatto: "Valido l'impianto"

Il verdetto sul legittimo impedimento:

"Sugli impegni del premier valuti il giudice"

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LA sentenza della Corte Costituzionale: 12 sì e 3 no. Esulta il popolo viola

La Consulta: "scudo" bocciato in parte

Ghedini soddisfatto: "Valido l'impianto"

Il verdetto sul legittimo impedimento:

"Sugli impegni del premier valuti il giudice"

"Sentenza salomonica"

Maria Antonietta Calabrò

MILANO - Lo scudo per il premier e i ministri è parzialmente illegittimo. È questo il verdetto della Consulta, che ha ridimensionato di fatto la legge sul legittimo impedimento, bocciandone una parte. Con 12 sì e 3 no, i quindici giudici della Corte Costituzionale (GUARDA: chi sono) hanno rilevato questione di illegittimità sul comma 4 dell'articolo 1 (quello relativo all'"impedimento continuativo") e, in parte, l'incostituzionalità del comma 3, nella parte in cui il legittimo impedimento non poteva essere valutato dal giudice (GUARDA: la scheda). La Consulta ha stabilito che devono essere i magistrati a valutare, caso per caso, se sussistano realmente motivi di legittimo impedimento per il capo del governo e per i ministri, rifiutando invece l'automatismo del legittimo impedimento, perdipiù autocertificato dal soggetto interessato. I commi della legge che la Consulta ha bocciato in tutto o in parte sono stati dichiarati illegittimi per violazione degli articoli 138 (necessità di una legge costituzionale) e 3 (principio di uguaglianza dinanzi alla legge e irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione) della Costituzione. "Si tratta - ha spiegato il costituzionalista Giovanni Guzzetta - di una sentenza di illegalità parziale, che salva la logica del bilanciamento fra l'esigenza dell'imputato di essere presente nelle udienze e quella dei giudici di celebrare il processo. In tal senso, la Consulta indica il perimetro entro il quale si può "giocare" la carta del legittimo impedimento e soprattutto chi è che alla fine dà le carte. È una sentenza che fa chiarezza, sdrammatizzando il conflitto e agendo in modo molto equilibrato".

IL PREMIER E I SUOI LEGALI - Attraverso una nota, Palazzo Chigi ha fatto sapere che Silvio Berlusconi, che venerdì interverrà telefonicamente a Mattino Cinque, non intende commentare la sentenza. Cauto il commento dei legali del premier: in una nota congiunta, Niccolò Ghedini e Piero Longo spiegano di rispettare la sentenza ed esprimono soddisfazione per il fatto che "la legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace". Gli avvocati sottolineano tuttavia che la sentenza è basata su un "equivoco" sulla natura della norma e non tiene conto del fatto che è stata già provata la "oggettiva impossibilità" di una "leale collaborazione" con i giudici. "Nell'intervenire su modalità attuative - spiegano Ghedini e Longo -, la Corte Costituzionale sembra avere equivocato la natura e la effettiva portata di una norma posta a maggior tutela del diritto di difesa e soprattutto della possibilità di esercitare serenamente l'attività di governo".

I COMMI - Con la sua decisione, la Corte costituzionale ha posto diversi paletti alla legge, nata come scudo dai processi per il presidente del Consiglio e i ministri e che lo stesso Cavaliere ha fatto valere in tre procedimenti a suo carico (Mediatrade, Mills e Mediaset) con conseguenze sollevazione della questione di legittimità da parte dei magistrati milanesi titolari dei fascicoli. In particolare, la Consulta ha bocciato la certificazione di Palazzo Chigi sull'impedimento e l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza fino a sei mesi, dichiarando illegittimo il comma 4 dell'articolo 1 della legge 51 del 2010. I giudici avrebbero inoltre bocciato in parte il comma 3, affidando al giudice la valutazione del legittimo impedimento. Quanto all'articolo 1, quello che prevede che per premier e ministri, chiamati a comparire in udienza in veste di imputati, costituisce legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti", la Consulta ha fornito una interpretazione del comma, ritenendolo legittimo solo se, nell'ambito dell'elenco di attività indicate come impedimento per premier e ministri, il giudice possa valutare l'indifferibilità della concomitanza dell'impegno con l'udienza, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra esigenze della giurisdizione, esercizio del diritto di difesa e tutela della funzione di governo, oltre che secondo un principio di leale collaborazione tra poteri.

Il Popolo Viola festeggia

REAZIONI - La decisione dei giudici della Consulta soddisfa l'opposizione, mentre non convince particolarmente la maggioranza. Per il Pd, la legge è stata "smontata" dal verdetto della Corte Costituzionale. "Non c'era bisogno di essere né cattivi né comunisti per capire che la legge sul legittimo impedimento sarebbe stata sostanzialmente bocciata" ha detto la capogruppo Anna Finocchiaro. Assai critico il coordinatore del Pdl Sandro Bondi. "Siamo di fronte - ha detto - al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico". Ha brindato ed esultato invece la piccola delegazione del Popolo Viola riunitasi davanti al palazzo della Corte costituzionale dopo aver appreso la notizia della bocciatura parziale. "Berlusconi ora dovrà spiegare a Napolitano perché ha fatto promulgare una legge in parte incostituzionale", hanno detto i rappresentati del movimento.

REFERENDUM - Il verdetto della Consulta avrà ricadute sulla Consulta stessa, che diventerà con molta probabilità arbitro di frequente interpellato dal governo per conflitto di attribuzioni ogni qual volta il magistrato ordinario non riconoscerà in un processo sussistere i presupposti per il legittimo impedimento sollevato da un membro dell'esecutivo. Non solo. Alla luce della decisione dei giudici della Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione dovrà adattare il quesito referendario per l'abrogazione del legittimo impedimento, ammesso mercoledì, alla nuova formulazione uscita dalla sentenza Consulta.

Redazione online

13 gennaio 2011

 

 

LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Ecco i due commi "bocciati"

LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Ecco i due commi "bocciati"

Sono due i commi dell'articolo 1 della legge sul legittimo impedimento (numero 51 del 7 aprile 2010) che non hanno passato indenni l'esame dei giudici della Consulta.

È stato giudicato "illegittimo" il comma 4, quello che prevede che "ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi".

L'illegittimità nasce dalla violazione di due articoli della Costituzione, il numero 3 ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali..") e il numero 138 ("le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione..).

Per violazione degli stessi articoli della Costituzione è stato giudicato illegittimo il comma 3 ("il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza") nella parte in cui non prevede espressamente che il giudice valuti in concreto l'impedimento indicato, come già stabilisce l'articolo 420-ter del codice di procedura penale.

13 gennaio 2011

 

 

 

finocchiaro (Pd): saltato l'impianto complessivo della legge

"La Consulta ha stabilito la superiorità della magistratura sulla democrazia"

Il duro commento di Bondi (Pdl) sulla sentenza della Corte sul legittimo impedimento

finocchiaro (Pd): saltato l'impianto complessivo della legge

"La Consulta ha stabilito la superiorità della magistratura sulla democrazia"

Il duro commento di Bondi (Pdl) sulla sentenza della Corte sul legittimo impedimento

Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi (Eidon)

Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi (Eidon)

MILANO - La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sul legittimo impedimento fa discutere tutto il mondo politico. In attesa di conoscere il parere del premier Silvio Berlusconi (che ha già fatto sapere di voler parlare in tv venerdì a Mattino 5 su Canale 5) si sono già espressi numerosi esponenti della politica.

PDL: PARLA IL COORDINATORE BONDI - "Oggi la Consulta ha stabilito la superiorità dell'ordine giudiziario rispetto a quello democratico, rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all'esercizio della responsabilità politica e istituzionale. Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico" dichiara il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi.

"La sentenza della Corte costituzionale non mi sorprende. Non risolve e rischia di riproporre lo stesso schema noto a tutti gli italiani: il presidente del Consiglio continua a essere palesemente oggetto di una persecuzione di alcune procure politicizzate, iniziata nel 1994" sottolinea la sua compagna di partito il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini.

"Non commento mai le sentenze, qualsiasi esse siano, anche quelle che non mi piacciono. Figuriamoci ora". Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture, preferisce non esprimersi sul verdetto della Consulta sul legittimo impedimento. "Mi pare di capire - dice Matteoli - che Berlusconi vuole andare avanti lo stesso, ma questo lo davo per scontato. Berlusconi, lo sappiamo bene, non è uno che si arrende. Io ritengo che bisogna prendere atto delle sentenze. Poi c'è chi le critica, chi le apprezza, e quelli come me che non hanno mai voluto esprimere giudizi in proposito".

La decisione della Consulta sul legittimo impedimento "ha una sua contraddizione: avalla la legge nella sua ispirazione fondamentale e poi, invece, si mette in moto un meccanismo che porta al contenzioso fra il magistrato e il presidente del Consiglio e ciò darà vita a un conflitto permanente" sottolinea invece Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl.

ALFANO - "Sono surreali le grida esultanti di una sinistra che scommetteva sulla bocciatura della legge sul presupposto che era tutto già scritto e compreso nella fattispecie prevista dal vigente codice di procedura penale all'art. 420 ter. Questa scommessa la sinistra l'ha persa" ha dichiarato invece il ministro della Giustizia Angelino Alfano a proposito della sentenza della Consulta. "Siamo convinti che il principio di leale collaborazione spingerà i giudici a non tradire lo spirito di questa sentenza. Attendiamo comunque - conclude Alfano - di leggere le motivazioni per una più approfondita valutazione della decisione".

LEGA - "La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del governo. Il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi giá stabiliti e per la Lega non cambia nulla. Dalla Corte Costituzionale non c'era da aspettarsi altro: sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c'è sentenza della magistratura che può bloccare l'azione dell'esecutivo" affermano in una dichiarazione congiunta i capigruppo della Lega di Camera e Senato, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo.

PD - Completamente diverso il parere delle opposizioni sulla sentenza della Consulta. "Non c'era bisogno di essere nè cattivi nè comunisti per capire che la legge sul legittimo impedimento sarebbe stata, come sembra emergere dalla lettura delle prime agenzie sulla sentenza della Consulta, sostanzialmente bocciata. La Consulta ha infatti bocciato l'automatismo disposto dalla legge e la certificazione di Palazzo Chigi e ha rimesso ai giudici la valutazione relativa al rinvio dell'udienza per contemperare le esigenze della giurisdizione con quelle dell'esercizio del diritto di difesa e della tutela della funzione di governo. Mi sembra chiaro che a saltare è l'impianto complessivo della legge". Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato.

"Nella sostanza la Corte costituzionale ha bocciato completamente la linea del governo e dei consigliori del premier". Lo afferma il senatore del Pd ed ex magistrato, Felice Casson. "In particolare - aggiunge - il ministro Alfano continua a fornire interpretazioni della Costituzione italiana ripetutamente rigettate dalla Corte".

FLI - "Le sentenze della Corte Costituzionale vanno sempre e comunque rispettate. Nessuno colga l'occasione per farne strumento di parte" dichiara invece il coordinatore di Futuro e Libertà, Adolfo Urso, secondo cui "questo è il momento di concentrare ogni sforzo per fare le riforme che servono a l Paese e non certo per lacerarlo in campagne che possono delegittimare le sue istituzioni".

IDV - L'Idv confida ancora nel referendum abrogativo (che però dati gli effetti della sentenza della Consulta potrebbe anche non tenersi). Per il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro con il referendum infatti dopo i giudici anche i cittadini diranno "in modo forte e chiaro che anche Berlusconi deve andare dal giudice quando viene chiamato e non si deve inventare una scusa ogni volta". "La Corte costituzionale, pur riconoscendo la illegittimità di diverse norme, di una terza legge che Berlusconi si è voluto fare per non farsi processare, - ha detto ancora Di Pietro - ha fatto rientrare dalla finestra quel che essa stessa ha messo fuori dalla porta e cioè che il presidente del Consiglio possa svolgere qualsiasi attività consequenziale e coessenziale alle funzioni di governo e questo consiste in legittimo impedimento. Conoscendo Berlusconi, anche quando andrà al bagno sarà un'attività consequenziale all'attività di governo".

VIETTI - "La decisione della Corte costituzionale appare saggia e equilibrata; fa salvo l'impianto originario del legittimo impedimento nella versione che a suo tempo ho proposto alla Camera". Così sottolinea invece Michele Vietti , già deputato dell'Udc e oggi vice presidente del Csm ed ispiratore della normativa.

"La tipizzazione dei casi di giustificata mancata comparizione - sottolinea Vietti - è compatibile con le esigenze della giurisdizione, nell'ottica di garantire il sereno svolgimento della funzioni del presidente del Consiglio e il suo diritto di difesa".

Redazione online

13 gennaio 2011

 

 

 

LA SCHEDA

Ripartono i processi delle "3 M"

Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio

LA SCHEDA

Ripartono i processi delle "3 M"

Mills, Mediatrade e Mediaset: i procedimenti a carico del presidente del Consiglio

La parziale bocciatura del legittimo impedimento da parte della Consulta complica gli scenari futuri relativi ai tre processi milanesi, Mediaset, Mills e Mediatrade, a carico di Silvio Berlusconi. I tre procedimenti non riprenderanno prima di un paio di mesi, considerando anche i tempi tecnici necessari alla Corte Costituzionale per trasmettere a Milano le motivazioni della pronuncia. Si ricomincerà in un clima simile a quello in cui si era finito, quando, prima delle sospensioni determinate dall'invio degli atti alla Corte Costituzionale, i legali del premier e il pm Fabio De Paquale, battagliavano - udienza dopo udienza - sui legittimi impedimenti invocati da Berlusconi e "certificati" con timbro della presidenza del Consiglio.

MILLS - Il processo per la corruzione del testimone - legale inglese David Mills dovrebbe ripartire dall'inizio perché il presidente della decima sezione penale, Francesca Vitale, ora è in corte d'appello ed è stata sostituita da Antonella Lai, alla quale si affiancheranno due nuovi giudici. La prescrizione scatterà tra poco più di un anno e Berlusconi rischia una condanna in primo grado, dopo che, nel "processo gemello", la Cassazione, pur sancendo la prescrizione per Mills, ha riconosciuto che il premier corruppe l'avvocato britannico. Ad allungare i tempi del verdetto, la possibilità che vengano svolte, su richiesta della difesa, due rogatorie all'estero, una a Lugano per sentire il banchiere Paolo Del Bue (Arner Bank) e un'altra a Londra per ascoltare alcuni testimoni.

MEDIASET - Nel processo per i diritti tv Mediaset, in cui il premier risponde di frode fisale e che è iniziato nel 2006 davanti alla prima sezione, tutti e tre i giudici hanno cambiato posto. Il presidente Edoardo D'Avossa da tempo dirige il Tribunale di La Spezia e aveva potuto proseguire il processo grazie all'"applicazione" autorizzata dal Csm, ma con una durata massima di due anni. Poiché metà si è già consumata, alla ripresa delle udienze D'Avossa si troverà di fronte a un bivio: se andrà avanti e non riuscirà a finire il processo entro un anno, ne verrà sancita la nullità; se si farà sostituire subito, il rischio è quello della prescrizione perché è improbabile che i difensori diano il consenso a "salvare" le prove assunte davanti ai vecchi giudici.

MEDIATRADE - Anche la gup dell'udienza preliminare sui diritti tv Mediatrade, Marina Zelante, nel frattempo si è trasferita ad altri incarichi e le carte del procedimento in cui Berlusconi è accusato di appropriazione indebita sono passate al giudice Maria Vicidomini che, proveniente da Reggio Calabria, ne ha ereditato il ruolo e le cause. Il procedimento è considerato dagli addetti ai lavori quello probatoriamente più debole da parte dell'accusa e la prescrizione è un'ipotesi remota. (Fonte Agi)

 

13 gennaio 2011

 

 

 

LA SCHEDA

La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa

Il ruolo dei 15 giudici del palazzo della Consulta, gli effetti sulle leggi sottoposte alla loro valutazione

LA SCHEDA

La Corte Costituzionale, cos'è e cosa fa

Il ruolo dei 15 giudici del palazzo della Consulta, gli effetti sulle leggi sottoposte alla loro valutazione

Alcuni dei giudici della Corte Costituzionale

Alcuni dei giudici della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale - genericamente indicata anche come Consulta, dal nome dell'antico palazzo romano in cui è ospitata - è un organo istituzionale inserito nella Costituzione (all'art. 134).

LE FUNZIONI - E' chiamata a giudicare "sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione".

LA COMPOSIZIONE - La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d'esercizio. I giudici non possono essere membri del Parlamento in carica o di un consiglio regionale e non possono contemporaneamente esercitare la professione di avvocato. Ogni giudice resta in carica per nove anni, decorrenti dal giorno del giuramento (che può essere diverso per ogni singolo membro), e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni.

GLI EFFETTI DELLE SENTENZE - Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali. Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione

Redazione Online

13 gennaio 2011

 

 

Già arrivato il via libera all'eventuale referendum per cancellare la legge

"Scudo" al premier, il giorno del verdetto

La Consulta si esprime sul legittimo impedimento. Il premier: nessuna ripercussione sul governo

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Il plenum della Corte, riunito al palazzo della Consulta (Ansa)

Il plenum della Corte, riunito al palazzo della Consulta (Ansa)

ROMA - Silvio Berlusconi assicura che qualunque siano le indicazioni dei giudici costituzionali sul "legittimo impedimento", - ovvero lo scudo che protegge il presidente del consiglio e i ministri dai processi e che lo stesso Cavaliere ha fatto valere in tre procedimenti a suo carico (Mediatrade, Mills e Mediaset) con conseguenze sollevazione della questione di legittimità da parte dei magistrati Milanesi titolari dei fascicoli - non ci saranno ripercussioni sulla stabilità del governo. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, sono in molti a pensare che il pronunciamento della Consulta possa poi avere un ruolo determinante per le sorti dell'esecutivo e nel favorire un ritorno alle urne.

LA MEDIAZIONE - I quindici giudici della Corte costituzionale (GUARDA: chi sono) si sono riuniti alle 9,30. Negli ultimi giorni il plenum della Consulta ha cercato, secondo le ricostruzioni più accreditate, di trovare una mediazione per evitare un pronunciamento secco che avrebbe di fatto consegnato un organismo spaccato in due: otto dei 15 membri sarebbero infatti stati propensi a valutare illegittimo il provvedimento, che toglie ogni prerogativa ai giudici e che di fatto sospende i processi in corso. Per evitare la spaccatura potrebbe essere dunque individuata una formula che interviene solo parzialmente sulla legge. Nei giorni scorsi gli avvocati del premier e quello incaricato da Palazzo Chigi di rappresentare le ragioni del governo avevano presentato le proprie memorie difensive. Poco prima delle 14 la Corte Costituzionale ha sospeso la camera di consiglio. I giudici della Consulta si sono aggiornati per le 15.30, dopo la pausa pranzo.

IL REFERENDUM - Il verdetto sul legittimo impedimento dovrebbe arrivare nel pomeriggio. In ogni caso la Corte ha dichiarato legittimo il quesito referendario per l'abolizione del provvedimento proposto dall'Italia dei valori. Qualora dovesse essere dato il via libera allo "scudo", saranno dunque i cittadini italiani ad esprimersi votando nei prossimi mesi per la cancellazione della norma. Il referendum sarebbe invece di fatto superato qualora fosse la stessa Consulta a bocciare il legittimo impedimento dichiarandolo non costituzionale.

Redazione online

13 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-01-12

LA CONFERENZA STAMPA DEL VERTICE ITALO-TEDESCO

Berlusconi: "Ridicoli i processi

contro di me . Andrò a dirlo in tv"

Il premier: "La sentenza della Corte costituzionale

non influirà sulla stabilità di governo"

LA CONFERENZA STAMPA DEL VERTICE ITALO-TEDESCO

Berlusconi: "Ridicoli i processi

contro di me . Andrò a dirlo in tv"

Il premier: "La sentenza della Corte costituzionale

non influirà sulla stabilità di governo"

MILANO - Interrogato sulla sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento, attesa per giovedì, il premier (nella conferenza stampa al termine del vertice bilaterale italo-tedesco con la cancelliera Angela Merkel) è stato nettissimo: "Non c'è nessun pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l'esito della decisione della Corte costituzionale". Per poi aggiungere, riferendosi alla norma all'esame della Corte, che "io non l'ho mai richiesta; è un'iniziativa portata avanti dai gruppi parlamentari. Io sono naturalmente e totalmente indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno nei processi che considero processi assolutamente ridicoli". Conclusione: "Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra democrazia è la presenza di un ordine giudiziario che si è trasformato in un potere giudiziario, esorbitando dal suo alveo costituzionale". Berlusconi ha anche aggiunto che andrà in tv a spiegare ai cittadini l'anomalia italiana.

EURO - La conferenza stampa si era aperta sulle difficoltà economiche nella Ue. "Faremo tutto il necessario per dare stabilità all'euro che è la nostra moneta comune", ha assicurato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, aggiungendo che su questo c'è stata condivisione con il presidente del Consiglio. "Si vedrà gradualmente cosa fare, se ne discuterà", ha risposto la Merkel a chi chiedeva se sarà rafforzato il fondo europeo di salvataggio per i Paesi in crisi. "Il volume del fondo - ha ricordato - non è esaurito" ma "la Germania farà quello che è necessario per salvaguardare l'euro".

AIUTI - Sulla crisi finanziaria europea la cancelliera ha spiegato che "passo dopo passo, il nostro

Berlusconi e Merkel (Afp)

Berlusconi e Merkel (Afp)

compito sia quello di aiutare i Paesi in emergenza. Ci devono essere bilanciamento, solidarietà e controllo della crescita in Europa" che sono "la faccia della stessa medaglia. Possiamo farcela perché vogliamo farcela, nessun collega europeo pensa che con questa determinazione non possiamo farcela. Tutto deve andare di pari passo con una cultura di stabilità e di crescita, così riusciremo a superare i deficit che abbiamo nell'economia e io penso che ce la possiamo fare"

"NO AL PESSIMISMO" - Sul versante italiano della crisi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ribadito un concetto a lui caro: "Nell'ambito di una crisi dei consumi e degli investimenti è molto importante il fattore psicologico. Non bisogna infondere pessimismo tra i cittadini e gli operatori, ma bisogna invece che i governi cerchino di dare una prospettiva positiva, infondendo fiducia e ottimismo".

"NESSUNA MANOVRA" - Il presidente del Consiglio si è detto contrario anche a una nuova manovra, di cui ha smentito l'imminenza: "Non c'è nessuna necessità di una manovra correttiva. I conti dello Stato sono in continuo miglioramento e non vediamo ad oggi alcun rischio di questo tipo", ha aggiunto, definendo "irrealistica" la manovra da oltre 100 miliardi di euro come ipotizzato da alcuni giornali.

SULLA FIAT - Il premier ha anche risposto a una domanda sulla Fiat. "Riteniamo assolutamente positivo lo sviluppo che sta prendendo la vicenda con la possibilità di un accordo tra le forze sindacali e l'azienda": questa l'analisi sulla vertenza Mirafiori. La "direzione" che si sta prendendo, ha aggiunto il premier, è quella di una "maggiore flessibilità nel lavoro".

GRANDE COALIZIONE - La presenza della cancelliera tedesca ha suggerito anche una domanda sulal praticabilità, in Italia, di un governo di Grande coalizione. Ma è un'ipotesi che il presidente del Consiglio ha escluso senza mezzi termini: "Non credo alla possibilità di una Grande coalizione alla tedesca. Non possiamo contare su un'opposizione socialdemocratica. In italia l'opposizione è senza idee e senza leader. Non c'è nessuna persona nell'opposizione da prendere sul serio e con cui poter parlare".

BCE - Infine, da segnalare un inciso di Berlusconi sulla presidenza della banca centrale europea: "È ovvio che saremmo onorati se la scelta dell'Europa cadesse sul nostro governatore di Banca Italia", ha affermato il premier.

 

 

 

Alle urne solo se lo "scudo" non verrà bocciato giovedì dai giudici costituzionali

Legittimo impedimento, sì al referendum

La Consulta ha dato il via libera allo svolgimento della consultazione. Ma c'è attesa per il verdetto sulla legge

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Una seduta della Corte costituzionale (Ansa)

Una seduta della Corte costituzionale (Ansa)

ROMA - La Corte Costituzionale - secondo quanto appreso dall'Ansa - ha dichiarato ammissibile il referendum promosso dall'Idv per l'abolizione totale della legge sul "legittimo impedimento" che mette al riparo il premier Berlusconi dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade).

INCOGNITA LEGITTIMITA' - L'effettivo svolgimento della consultazione dipenderà però dal verdetto di giovedì della stessa Corte sulla legittimità dello "scudo". Se infatti la Consulta dovesse bocciare del tutto la legge, allora niente consultazione popolare, che invece ci sarebbe senz'altro in caso di sentenza interpretativa di rigetto oppure di un verdetto di inamissibilità o infondatezza dei ricorsi. Il voto sarebbe in forse se la Consulta bocciasse lo "scudo" solo in parte: in questo caso spetterebbe all'Ufficio centrale della Cassazione valutare se sussista ancora l'interesse alla consultazione referendaria. (Fonte: Ansa)

12 gennaio 2011

 

 

2011-01-05

protesta contro "il famigerato progetto del governo"

Giudici di pace: "No alla controriforma"

Sciopero dal 17 al 28 gennaio

"Non assicura la continuità del rapporto e non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale"

protesta contro "il famigerato progetto del governo"

Giudici di pace: "No alla controriforma"

Sciopero dal 17 al 28 gennaio

"Non assicura la continuità del rapporto e non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale"

ROMA - Giustizia italiana nel caos: da un lato il rischio di blocco dell'attività per la debolezza delle sistema informatico, dall'altro lo sciopero di due settimane, dal 17 al 28 gennaio prossimo, proclamato dall'Unione nazionale dei giudici di pace. Questa nuova protesta è rivolta contro "il famigerato progetto di controriforma della magistratura onoraria", che il governo si accingerebbe a "presentare nei prossimi giorni" e per sollecitare una "ragionevole proroga" per tutti i giudici di pace in scadenza.

CONTESTAZIONI - "Nonostante gli incontri e le assicurazioni avuti con il Ministro Alfano durante l'anno 2010, lo stesso Guardasigilli ha proposto al Consiglio dei Ministri (convocato per il 30 novembre 2010 e poi rinviato all'ultimo momento) un disegno di legge sulla riforma della magistratura onoraria quasi identico a quello già elaborato dal Ministero della Giustizia nel dicembre del 2009 e ritirato dopo gli scioperi indetti dall'Unione a dicembre 2009 e gennaio 2010", lamenta l'Unione. Quel progetto, che ora il governo si accingerebbe a rispolverare "peggiora la condizione dei giudici di pace" perché tra l'altro non solo "non assicura la continuità del rapporto" e "non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale", ma anche "mina l'autonomia dei giudici di pace, sottoposti alla direzione del giudice di appello, previa soppressione dei coordinatori"e "preannuncia una sensibile riduzione delle indennit…". I giudici di pace contestano anche il decreto legge con cui il governo ha limitato "la proroga dei termini in scadenza al 31 marzo 2011, escludendo i colleghi il cui terzo mandato scade durante l'anno 2011".

05 gennaio 2011

 

 

 

"Impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi"

"Tribunali a rischio chiusura a causa

del blocco dell'assistenza informatica"

L'Anm: "Si prepara una paralisi complessiva

del sistema"

"Impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi"

"Tribunali a rischio chiusura a causa

del blocco dell'assistenza informatica"

L'Anm: "Si prepara una paralisi complessiva

del sistema"

Il presidente dell'Anm Luca Palamara (Ansa)

Il presidente dell'Anm Luca Palamara (Ansa)

MILANO - "Una paralisi complessiva del sistema", con la "chiusura dei tribunali", e l'impossibilità per le imprese e i privati di partecipare a gare di appalti e concorsi. È quello che si rischia con il blocco dal primo gennaio scorso dell'assistenza informatica agli uffici giudiziari a causa della mancanza di fondi a seguito dei tagli decisi dal governo. Per questo l'Associazione nazionale magistrati annuncia una "protesta forte e decisa" e parla di "colpo finale" del governo a una "macchina che ha già enormi difficoltà di funzionamento".

LA NOTA - "C'è il concreto rischio - si legge sul sito dell'Anm - che la giustizia possa subire un altro colpo ferale a causa degli ulteriori disservizi che potranno crearsi". "Da tempo - prosegue l'Anm - sosteniamo la necessitá di considerare il settore giudiziario un settore strategico per il Paese e, invece, dobbiamo amaramente constatare come avvenga sistematicamente il contrario. Se l'informatizzazione dovesse venire meno il principale sconfitto sarebbe il cittadino".

Redazione online

04 gennaio 2011(ultima modifica: 05 gennaio 2011)

 

 

ra stata data in affitto da due anni a un imprenditore agricolo di manduria

Incendio nella masseria del giudice Forleo

Danni a due capannoni adiacenti alla villa in Puglia del magistrato che si occupò del caso Unipol-Bnl

era stata data in affitto da due anni a un imprenditore agricolo di manduria

Incendio nella masseria del giudice Forleo

Danni a due capannoni adiacenti alla villa in Puglia del magistrato che si occupò del caso Unipol-Bnl

MILANO - "È solo l'ultimo episodio di una lunga catena di intimidazioni, lettere di minacce e strani avvenimenti". Così il giudice Clementina Forleo ha commentato l'incendio che ha danneggiato gravemente la sua masseria, sulla strada tra Francavilla Fontana (Brindisi) e Sava (Taranto). Il rogo è divampato la scorsa notte intorno all'una. Accertamenti sono in corso sulle cause dell'incendio che per gli investigatori è probabilmente doloso. La villa da due anni era stata data il locazione a un imprenditore agricolo di Manduria (Taranto), che sempre la scorsa notte ha subito l'incendio della sua azienda, a Manduria. Anche la polizia sta indagando sui due incendi, che hanno causato danni ingenti. Nell'incendio sono andati a fuoco due capannoni, contenenti rotoballe di fieno, rispettivamente di 300 e di 100 metri quadrati, l'uno accanto all'altro. Gli investigatori sono sostanzialmente convinti che si sia trattato di un attentato, probabilmente contro l'inquilino della masseria.

Clementina Forleo (Raffaele Rastelli)

Clementina Forleo (Raffaele Rastelli)

INCIDENTI - Nel 2005 entrambi i genitori della giudice Forleo persero la vita in un incidente stradale, sempre nelle campagne di Francavilla. Sulla natura di quello e di altri episodi la giudice Forleo ha sempre manifestato forti sospetti e dubbi.

GLI ANTEFATTI - L'incendio alla masseria del giudice Forleo, attualmente gip a Cremona dopo un lungo periodo di lavoro a Milano (il caso più celebre di cui si occupò fu quello Unipol-Bnl), città da cui fu trasferita d'ufficio (sul trasferimento pende ricorso), arriva inoltre dopo un altro misterioso incidente stradale avvenuto vicino Cremona del 3 dicembre 2009 che coinvolse la stessa Forleo ("un'auto mi tagliò la strada e finii sul guard rail perché, come ha accertato in seguito la perizia sulla mia vettura, l'auto era stata manomessa") e la decisione nel 2010 del prefetto di Cremona di togliere la scorta al magistrato. "Nonostante tutto ciò, a oggi non ho ancora alcuna forma di tutela", ha commentato il giudice. "Spero che questa sia l'occasione per fare chiarezza su una serie di episodi che mi hanno riguardato. E spero soprattutto che le autorità si attivino per mettere in atto forme adeguate di tutela e di protezione che finora mi sono state negate".

Redazione online

05 gennaio 2011

 

 

 

2010-12-22

La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo

Processi lunghi: Italia condannata "Troppi ritardi anche nei risarcimenti"

La sentenza: cambiare la legge Pinto e istituire un fondo speciale per il pagamento in tempo ragionevoli

La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo

Processi lunghi: Italia condannata "Troppi ritardi anche nei risarcimenti"

La sentenza: cambiare la legge Pinto e istituire un fondo speciale per il pagamento in tempo ragionevoli

MILANO - La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato l'Italia per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi legati alla lentezza dei processi. I giudici hanno infatti reso noto di aver dato ragione a 475 soggetti che si lamentavano per aver dovuto attendere da nove a 49 mesi per incassare il risarcimento che era loro stato riconosciuto in base alla legge Pinto del 2001 per l'eccessiva lunghezza del processo. Le legge Pinto infatti stabilisce un risarcimento per ogni anno di eccessiva durata del processo e sei mesi per l'erogazione degli indennizzi in caso di ritardo. Per periodo "ragionevole" della durata del processo solitamente si intendono due anni per ogni grado di giudizio e sei mesi per l'erogazione degli indennizzi.

SENTENZA - La Corte europea ha quindi chiesto all'Italia di rivedere la legge Pinto e di istituire un fondo speciale per il pagamento degli indennizzi in tempi ragionevoli e si sottolinea che in Italia esiste un "problema diffuso" inerente i pagamenti degli indennizzi. La Corte rileva inoltre che al momento pendono in attesa di giudizio a Strasburgo oltre 3.900 ricorsi presentati per il ritardato pagamento degli indennizzi e che il loro numero è salito dai 613 del 2007 a circa 1.340 ricevuti tra il 1° giugno e il 7 dicembre 2010. Nel comunicato inoltre si legge che la Corte "pur non appoggiando tutte le riforme attualmente all'esame della Camera, considera che questo sia l'àmbito ideale per prendere in considerazione le indicazioni della Corte stessa e le raccomandazioni sinora fatte dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa". La Corte ha accordato a ciascun ricorrente 200 euro per danni non pecuniari.

Redazione online

21 dicembre 2010(ultima modifica: 22 dicembre 2010)

 

 

2010-12-03

IL GOVERNO

Giustizia, slitta la riforma

Rinviato il pacchetto Alfano: verrà discusso in Consiglio dei ministri dopo la fiducia del 14 dicembre

IL GOVERNO

Giustizia, slitta la riforma

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Il Guardasigilli Angelino Alfano

Il Guardasigilli Angelino Alfano

MILANO - Slitta il pacchetto di riforme sulla giustizia. L'esame del provvedimento in Consiglio dei ministri, previsto inizialmente per martedì, è stato rinviato e si terrà dopo il 14 dicembre, data in cui il Parlamento dovrà esprimersi sulla fiducia al governo. Secondo quanto si apprende, il Guardasigilli Angelino Alfano avrebbe deciso, dopo aver sentito Silvio Berlusconi, di rinviare il tutto.

TRE TESTI - Accantonata l'idea iniziale di portare martedì in Cdm anche il ddl costituzionale su Csm e separazione delle carriere giudici-pm, il restante pacchetto di riforme della giustizia sarebbe dovuto essere composto da un decreto legge (con misure urgenti per abbattere l'arretrato nel civile) e da due ddl (riforma della magistratura onoraria; modifiche al decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche). Questi ultimi tre testi erano stati diramati per la riunione del preconsiglio che si è tenuta lunedì mattina. Nel frattempo, però, Alfano avrebbe convenuto con Berlusconi sull'opportunità di far slittare l'intera riforma della giustizia a dopo il 14 dicembre.

"TROPPA CARNE AL FUOCO" - Secondo quanto si apprende nel centrodestra, infatti, si sarebbe deciso di non mettere "altra carne al fuoco" in un momento politicamente delicato come l'attuale. In più, si aggiunge, il premier in questi giorni sarebbe troppo assorto da numerosi impegni internazionali: lunedì è in Libia e poi dovrebbe andare in Kazakistan e infine a Soci. Un'altra spiegazione del rinvio, che circola in queste ore in Transatlantico, è quella secondo la quale si cercherebbe di evitare di inasprire ulteriormente gli animi in un momento in cui gli indecisi in Parlamento, sul fronte della fiducia, non sarebbero così pochi. La retromarcia, in ambienti parlamentari, viene letta anche come una sorta di "ramoscello d'ulivo" temporaneo offerto dal Guardasigilli all'assemblea dell'Anm.

Redazione online

29 novembre 2010(ultima modifica: 30 novembre 2010)

 

2010-11-17

La relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia

Lombardia: la 'ndrangheta influenza

la vita politica, sociale ed economica

Pubblici amministratori e tecnici hanno agevolato l'assegnazione di appalti alle cosche

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I boss riuniti attorno al tavolo a ferro di cavallo a Paderno, al circolo Arci "Falcone e Borsellino", scelto per spregio

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MILANO - Le famiglie storiche della 'ndrangheta presenti in Lombardia influenzano la vita economica, sociale e politica della regione. Lo rileva la relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia (Dia) riferita al primo semestre 2010. La "consolidata presenza" in alcune aree lombarde di "sodali di storiche famiglie di 'ndrangheta" ha "influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi", riporta la Dia. La relazione sottolinea il "coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede a impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l'assegnazione di appalti e assestato oblique vicende amministrative".

CONSENSO E ASSOGGETTAMENTO - Per penetrare nel tessuto sociale, le cosche - che in Lombardia godono di una certa autonomia ma dipendono sempre dalla "casa madre" calabrese come ha dimostrato l'inchiesta "Crimine" che ha ricostruito l'organigramma della 'ndrangheta - si muovono seguendo due filoni: "quello del consenso e quello dell'assoggettamento". Tattiche che, sottolineano gli esperti della Dia, "da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall'altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici".

MOVIMENTO TERRA E OPERE DI URBANIZZAZIONE - Con questa strategia, e favorita da "una serie di fattori ambientali", si consolida la "mafia imprenditrice calabrese" che con "propri e sfuggenti cartelli d'imprese" si infiltra nel "sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell'edilizia privata" come il "multiforme compartimento che provvede alle cosiddette opere di urbanizzazione". Secondo la Dia dunque, si assiste ad un vero e proprio "condizionamento ambientale" da parte della 'ndrangheta, che è riuscita "a modificare sensibilmente le normali dinamiche degli appalti, proiettando nel sistema legale illeciti proventi e ponendo le basi per ulteriori imprese criminali". E la penetrazione nel sistema legale dell'area lombarda, è favorita, dice la Direzione investigativa antimafia, da "nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: il ricorso al massimo ribasso" nelle gare d'appalto e la "decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere".

Redazione online

17 novembre 2010

 

 

Dopo i recenti arresti, ricostruiti quarant'ani di infiltrazioni e malaffare

'Ndrangheta, una storia milanese

Nel regno di Cosa nostra, dadi, affari e donnine

Poi arrivarono i "silenziosi" calabresi. E la politica

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Nel regno di Cosa nostra, dadi, affari e donnine

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Francis Turatello (a sinistra) durante un processo

Francis Turatello (a sinistra) durante un processo

MILANO - L'inchiesta che ha squinternato la 'ndrangheta in regione e condotto sul proscenio gl'insospettabili reggicode racconta come sia cambiato in vent'anni il sistema di potere nel Paese: dal mondo dell'impresa al mondo della politica. All'epoca del dominio mafioso, dal '70 al '90, nessuno si curava degli amministratori, al massimo Turatello ed Epaminonda li facevano entrare gratis nei club sottoposti all'organizzazione, le prede ambite erano i padroni delle ferriere. Oggi gli ambasciatori delle 'ndrine cercano assessori, sindaci, consiglieri comunali. La mafia aveva occhi solo per il "privato", sicura che il "pubblico" sarebbe venuto al traino; la 'ndrangheta s'interessa soltanto del "pubblico" quale unico dispensatore di prebende e appalti: le aziende coinvolte sono padane nella forma, calabresi nella sostanza. Nel '74 fece scalpore che nell'agenda di Luciano Leggio - all'epoca capo di Riina, di Provenzano, di Bagarella - fosse rinvenuto il numero telefonico riservato di Ugo De Luca, direttore generale del Banco di Milano. Le intercettazioni e i verbali recenti parlano di direttori sanitari, dirigenti di ospedali, coordinatori di consorzi e società municipali.

La scoperta della cuccagna comincia con Peppe Genco Russo, "capofamiglia" di Mussomeli, inviato, nel '64, in soggiorno obbligato in Lombardia. Lo ritengono l'erede di Calogero Vizzini, la cui fama si lega a un incontro con Montanelli pubblicato dal Corriere all'inizio degli Anni Cinquanta. I due sono, però, troppo provinciali, vivevano nel vallone nisseno, per essere alla testa di Cosa Nostra. Destinato a Lovere, non ancora toccata dal benessere e dalla popolarità del turismo sul lago d'Iseo, Genco Russo viene trattato da giornali e televisione come quel numero uno che mai è stato. E grande stupore manifestano gli abitanti della zona nello scoprire non solo l'esistenza della mafia, ma che il vecchietto tanto malandato in salute quanto gentile e manieroso ha tre metri di fedina penale con abbondanza di omicidi, estorsioni, violenze d'ogni tipo.

Un'opinione pubblica ancora sconvolta dal massacro di sette militari a Ciaculli con una Giulietta piena di esplosivo pretende una reazione, che lo Stato è incapace di produrre nei tribunali. Allora fioccano i soggiorni obbligati, resi inutili dall'irrompere della teleselezione telefonica. Così nell'hinterland milanese arrivano i Ciulla, i Guzzardi, i Carollo, Gerlando Alberti. A Milano, dove ancora ricordano il cinematografico agguato per uccidere Angelo La Barbera in viale Regina Giovanna, si stabilisce addirittura Leggio in fuga dal divieto di Badalamenti di effettuare sequestri di persona in Sicilia. I rapimenti di Torelli, di Rossi di Montelera, di Barone scatenano il terrore tra i re di denari: ciascuno cerca un palermitano di riferimento, cui affidare l'incolumità della propria famiglia. È il periodo in cui Dell'Utri piazza Vittorio Mangano nella villa di Berlusconi ad Arcore.

Attorno a Leggio si muovono e prosperano Nino Grado, Ignazio e Giovanbattista Pullarà, Simone Filippone, Salvatore Di Maio, Pippo e Alfredo Bono, Robertino Enea, Ugo Martello, Gino Martello, Gioacchino Matranga, Gaetano Fidanzati. Tra ippodromi, bische, night sbocciano conoscenze e amicizie impossibili. Tutti insieme appassionatamente fino alla sera in cui gli sgherri di Turatello rifilano un ceffone ad Alfredo Bono: l'onta sarà lavata anni dopo con lo sventramento in galera di Francis "faccia d'angelo".

In quella Milano piena di tavoli di chemin de fer e di dadi, di donne disponibili e di champagne i mafiosi ci sguazzano a tal punto da rifiutare la creazione di una "famiglia" per non dover prendere ordini da Palermo. Le basi sono dapprima le enoteche dei Pullarà al Giambellino e in viale Umbria, poi l'ufficetto di via Larga a un passo dall'appartamento in cui aveva abitato Joe Adonis, al rientro in Italia. Milano diviene la capitale economica di Cosa Nostra: a Palermo si corrompe, si trama, si traffica, si ammazza, ma senza le complicità eccellenti degli insospettabili industriali, banchieri e finanzieri allocati sotto la Madonnina le "famiglie" non potrebbero moltiplicare per mille e riciclare i proventi delle proprie malefatte.

Le inchieste dell'83 e del '90 svelano nomi, interessi, complicità. L'arresto dell'oscuro ragioniere Pino Lottusi, secondo Borsellino regista del più importante business planetario del decennio, segna l'inizio della fine. Cosa Nostra è costretta a battere in ritirata. Le subentra la 'ndrangheta. A spingerla verso la Lombardia sono state le confidenze in carcere di Leggio a Mammoliti. La gestione dell'Ortomercato di Milano testimonia il passaggio di consegne, il rovesciamento dei ruoli tra chi aveva recitato da protagonista e chi da comprimario. Cambiano le regole e gli atteggiamenti. I boss giunti da Palermo si comportavano come bambini capricciosi al parco giochi: erano eccitati da Milano, non degnavano di uno sguardo il resto a eccezione di Como, importante per la vicina frontiera con la Svizzera, e del casinò di Campione. Che differenza con i silenziosi successori, lontani da ogni sfoggio ed esibizionismo, però capaci di stendere una micidiale tela d'interessi sull'intera regione. Sono i collaudati metodi che hanno consentito d'installarsi nei cinque Continenti e di trasformarsi in una inarrestabile macchina di soldi e di corruzione.

Alfio Caruso

27 ottobre 2010

 

 

I camion dei killer di Lea Garofalo scoperti dai carabinieri nei tunnel della M5

Mafia nei cantieri, cacciate 39 imprese

La Prefettura: in mano alla 'ndrangheta il 40% delle società ispezionate dalla Dia

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MILANO - All'imbocco dei tunnel che portano nel ventre di Milano c'erano i camion della 'ndrangheta: i mezzi di Sergio e Giuseppe Cosco, gli uomini arrestati dieci giorni fa dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano per l'omicidio dell'ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. L'impresa dei boss di viale Montello ha lavorato nel grande cantiere della Metropolitana 5. Un progetto finanziato con fondi pubblici, un tavolo al quale - sfruttando subappalti e nolo mezzi con conducenti - hanno mangiato anche gli uomini delle cosche. Nelle prossime settimane gli investigatori dei carabinieri e della Dia cercheranno di approfondire e comprendere i meccanismi in base ai quali una piccola ditta come quella dei Cosco sia potuta arrivare a lavorare in quell'impresa. Ma non c'è solo il cantiere di viale Zara, perché nonostante gli allarmi e i 158 arresti del 13 luglio scorso, i clan calabresi continuano a infiltrarsi negli appalti milanesi.

I numeri dell'Ufficio antimafia della Prefettura sono la fotografia - ufficiale - di quanto sia ormai estesa la metastasi (e allo stesso tempo serrata l'azione di contrasto delle forze dell'ordine). Negli ultimi dodici mesi gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Milano hanno effettuato 99 "accessi" nei cantieri (24 in città e 75 in provincia). Dopo le ispezioni, sono state estromesse 39 aziende, il 40 per cento delle imprese controllate. Per gli uomini della Dia, quelle imprese erano legate a doppio filo agli interessi mafiosi. Non semplici contatti, ma "chiari ed evidenti" collegamenti con persone indagate, denunciate o arrestate per associazione mafiosa. A queste bisogna poi sommare altre 43 interdittive antimafia (stop alle aziende prima dell'inizio lavori). Atti che hanno visto coinvolte anche imprese "nate e cresciute a Milano". Come accaduto ormai due anni fa, sempre nei cantieri della M5, per il gruppo Lucchini Artoni, legato a 17 imprese di movimento terra calabresi in odore di mafia. Un caso che aveva rischiato di lasciare 200 persone senza lavoro e risolto solo quando la Lucchini ha dimostrato di aver "rescisso" ogni legame con le aziende dei clan.

Cesare Giuzzi

Gianni Santucci

27 ottobre 2010

 

 

Il blitz - I boss di Corigliano si riunivano all’ombra del Duomo

Vertici della ’ndrangheta

tra i tavoli del "Santa Tecla"

Lo storico locale scelto per le riunioni strategiche

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tra i tavoli del "Santa Tecla"

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Serata musicale al "Santa Tecla" (Fotogramma)

Serata musicale al "Santa Tecla" (Fotogramma)

MILANO - Riunioni di mafia a pochi metri dal Duomo. Ne ha viste e sentite di tutti i colori il palco del "Santa Tecla ", a due passi dalla Madonnina. Nato come locale jazz, luci soffuse e pochi drink, svoltò bruscamente verso il mitico rock degli anni Sessanta, con Gaber, Jannacci e Celentano. E fu gloria. Chiasso e allegria. Più colori, colori accesi e toni alti, sempre più alti, in una Milano che in quel fazzoletto di terra esibiva una concentrazione di vita artistica stupefacente. Da lì, in via Santa Tecla, sono passati in tanti. Anche chi, di musica, conosceva meglio quella dei mitra e delle pistole. Gente come Turatello, del calibro di Epaminonda e Vallanzasca, boss e criminali senza paura e senza scrupoli che lì, a due metri dal bancone, bevendo chissà che cosa magari decidevano quale bisca fare saltare quella notte, oppure quale banca ripulire la mattina dopo.

E sempre lì, tra i tavoli del "Santa Tecla" e del "Cafè Dalì", si è scoperto proprio ieri, si riunivano diversi e temuti capi ’ndrangheta, soprattutto quelli di una potente cosca cosentina di Corigliano che nel cuore di Milano decideva gli "affari" di famiglia. Usura, droga, riciclaggio, persino la strategia di fatturare le estorsioni "per giustificare" quella montagna di soldi che ogni fine settimana entrava nelle tasche della "locale" del boss Maurizio Barilari.

Al "Santa Tecla", hanno scoperto gli investigatori del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro, dello Scico di Roma e dei carabinieri di Cosenza, la "locale" di Corigliano decideva persino a quanto si sarebbe dovuta vendere la droga in Lombardia e nel resto dell’Italia. A coordinare l’indagine, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ai 64 arresti, di cui nove eseguiti in città e nel milanese, ha voluto dare il nome di "Operazione Santa Tecla". "A Milano—ha scritto il gip — gli affiliati si ritrovavano nei locali pubblici Santa Tecla e Caffè Dalì per concludere accordi e concordare strategie sulla gestione del traffico di droga" e del resto degli affari.

I calabresi che si davano appuntamento ai tavolini di via Santa Tecla sono stati seguiti e intercettati dal 2007 fino a pochi mesi fa. Hanno ascoltato musica doc, i finanzieri e i carabinieri. Ma anche i discorsi di gente come Michele Villì, casa a Milano, e di Giuseppe Orsomarso, casa a Trezzo, che stringevano patti scellerati con Gualtiero Milani, di Sondrio, Massimo Lupone, Vincenzo Grosso, Adil Ben Sahri, Eugenio Minghetti, Girolamo Nasso e Zydan Mohamed. All’alba di ieri sono finiti tutti in galera.

Biagio Marsiglia

22 luglio 2010

 

 

 

la terza generazione dei mafiosi non si accontenta più di un ruolo subalterno

Grandi appalti, il salto delle cosche

Il pg: "Ora la gestione è diretta"

Minale: con la "Perego strade" puntava alle opere pubbliche. Il Pd in Regione: consiglio straordinario

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L'assessore che organizzava le cene tra il boss Perego e i politici

MILANO - Bisogna fissare due punti nel tempo, due maxi-operazioni avvenute a 16 anni di distanza l’una dall’altra, per leggere le trasformazioni della ’ndrangheta in Lombardia. Per capire come siano cambiate, nei metodi e negli obiettivi, le infiltrazioni della criminalità nell’economia regionale. È ricordando i 150 arresti della "Notte dei fiori di San Vito", nel 1994, che il procuratore generale di Milano, Manlio Minale, ha spiegato il senso dei nuovi 300 arresti, quelli di due giorni fa: "Negli anni scorsi ci siamo resi conto del passaggio alla seconda generazione della ’ndrangheta, oggi probabilmente siamo alla terza generazione".

Lo snodo che meglio spiega la trasformazione è quell’azienda, la "Perego general contractor", divenuta il canale delle cosche per entrare nei cantieri dell’area ex Portello-Fiera, di CityLife, della statale Paullese. È questo il "salto diverso" a cui ha fatto riferimento Minale: "L’organizzazione criminale, attraverso la Perego strade, puntava a una presenza nuova all’interno dei lavori pubblici. Non più soltanto al livello dei subappalti, qui l’obiettivo era quello di utilizzare la "Perego strade", che poteva competere come capocommessa, per aggiudicarsi direttamente i grandi lavori". La Perego era una delle più grandi ditte di "movimento terra" della Lombardia ed è fallita nel 2009. La scalata ad un’altra grande impresa trentino-austriaca, la "Cosbau " (completamente estranea alle manovre) è stata tentata e per poco non è riuscita.

È uno degli elementi chiave dell’inchiesta: l’aver intercettato l’aggressione della ’ndrangheta a livelli sempre più alti dell’imprenditoria. Ha aggiunto il procuratore generale: "L’organizzazione criminale in Lombardia è una presenza diffusa e strutturata, con un’evoluzione delle attività. Oggi siamo al livello delle piccole emedie imprese nel campo dell’edilizia, ma abbiamo sotto gli occhi il tentativo di un salto, non accaduto, verso la grande imprenditoria".

È un panorama fluido, con i diversi piani che si intrecciano. La fotografia che esce dagli atti dell’inchiesta è quella di un’organizzazione ramificata, che ha una sorta di radar sempre acceso per intercettare lavori, appalti, commesse grandi e piccole, dalla città ai paesi della provincia, sfruttando vecchi canali politico-imprenditoriali o cercandone nuovi contatti. Definito dai magistrati questo contesto, l’opposizione in consiglio regionale e il segretario lombardo del Pd, Maurizio Martina, chiedono la convocazione di una seduta straordinaria sulla criminalità organizzata in Lombardia, invitando il presidente della commissione bicamerale antimafia, Giuseppe Pisanu. Il presidente del consiglio, Davide Boni (Lega), risponde che "decideranno i capigruppo".

Gianni Santucci

15 luglio 2010

 

 

 

 

'Ndrangheta, 304 arresti

L’impero delle cosche a Milano, i tre livelli: "locale", "provincia", "Lombardia"

Appalti e appoggi politici: gli affari, le infiltrazioni e un esercito di cinquecento picciotti

MILANO - "Siamo cinquecento uomini. Non siamo uno... Cecè vedi che siamo cinquecento uomini. Qua in Lombardia, sono venti locali aperti". È passata da un pezzo la mezzanotte di venerdì 13 giugno di due anni fa. In macchina, alla guida di una Peugeot 307, c’è un tranquillo pensionato con la fedina penale immacolata, Saro Minasi. Insieme a lui, Cecè Raccosta. Le parole di Minasi, uomo della locale di Bresso, l’alleato più fedele nel progetto indipendentista del boss di Guardavalle Carmelo Novella poi ucciso, rimbalzano dalla cimice nascosta sotto il cruscotto. Per i carabinieri chiusi nella sala d’ascolto con le cuffie in testa sono un oracolo destinato ad annodare i fili, da lì a due anni, della più grande rete ndranghetistica mai scoperta in Lombardia. La struttura delle cosche prende forma in un racconto in prima persona dei protagonisti di questa metastasi cresciuta nella terra dei dané scopertasi d’un tratto fragile come un costone d’Aspromonte.

La mafia a Milano oggi è una fotografia nitida e indelebile. Nomi, volti, ruoli, picciotti e sgarristi sistemati con pazienza sulle caselle della grande mappa della Nord Italia. Una struttura organizzata secondo le identiche regole della Calabria. Con i medesimi riti, con gli stessi arcaici dettami della mafia dei vecchi boss Mommo Piromalli e Antonio Pelle.

E’ questa, forse, la più grande novità dell’inchiesta "Infinito" (poi diventata "Il crimine") chiusa martedì dai carabinieri del Gruppo di Monza. Non una ’ndrangheta di conquista, ma una mafia stanziale, strutturata, incredibilmente ancorata al terreno politico, produttivo e sociale di buona parte dell’hinterland di Milano. Tre livelli: la locale (il territorio di azione di ogni famiglia), la provincia (l’insieme delle locali) e la Lombardia, il grado più alto, l’unione dei capolocali. A guidarla fino a ieri il settantenne Pasquale Zappia di Gudo Visconti, il mastrogenerale della ’ndrangheta al Nord. Uno schema ricalcato sul modello calabrese, diviso tra provincia Jonica, Tirrenica e Reggio città. A Milano, e su fino ai confini con il Lecchese e le province di Varese e Como, le locali scoperte sono una quindicina. Per ciascuna i carabinieri hanno annotato nomi e doti. Quella di Milano centro era guidata dal 54enne Cosimo Barranca, da anni residente a Legnano. Insieme a lui i due fratelli, Armando e Giuseppe, e (almeno) altri nove affiliati di livello. A seguire un lungo elenco che da Corsico, corre fino a Bollate, Seregno, Desio, Cormano, Pioltello, Rho, Legnano, Bresso, Solaro, Limbiate, Pavia, Erba arriva fino a Mariano Comense. A Corsico, uno dei territori più caldi, ci sono le famiglie originarie di Platì (Rc) Barbaro e Papalia, guidate da Bruno Longo prima e dallo stesso Pasquale Zappia poi. Quelli della montagna, come li chiamavano i padrini brianzoli nelle intercettazioni, rappresentano il fondamento della ’ndrangheta, tanto che il loro giudizio aveva un peso specifico notevole in ogni questione. A Bollate, giu sto a ridosso tra la nuova Fiera e i futuri terreni Expo, il comando da vent’anni è nelle mani di Vincenzo Mandalari, ieri mattina sfuggito per un soffio alla cattura. Cormano è invece terra di Pietro Panetta, uomo influente del tessuto politico e imprenditoriale. Fino al confine sud della provincia, dove Giuseppe Neri, massone, da tempo in dialisi, non ha mai smesso di guidare le decisioni più difficili per la "pace tra le famiglie". Equilibri fragili, ricordati ieri dal procuratore Generale Manlio Minale: "Nel ’94 con 150 arresti fu sgominato il clan Mazzaferro. L’inchiesta di oggi dimostra, purtroppo, come la ’ndrangheta è tornata a commissariare la Lombardia".

Cesare Giuzzi

14 luglio 2010

 

 

in manette anche Domenico Oppedisano considerato il numero uno delle cosche calabresi

Maxi blitz contro la 'ndrangheta. "Stava per mettere le mani anche su Expo"

Boccassini: 500 affiliati in Lombardia. Nella regione una mutazione genetica: infiltrata in economia e istituzioni

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MILANO - La 'ndrangheta ha tentato di infiltrarsi negli appalti per l'Expo 2015. E' quanto è emerso dall'inchiesta coordinata dalle Dda di Milano e Reggio Calabria, che martedì ha portato a una maxioperazione che ha accertato l'infiltrazione della mafia calabrese nel nord Italia e in Lombardia in particolare e che ha portato a oltre 300 arresti. Nelle indagini è stato ricostruito, tra le altre cose, il tentativo "di assorbire nel gruppo Perego - riconducibile alla cosca degli Strangio, che gestiva per conto della 'ndrangheta le infiltrazioni di imprese calabresi nell'ambito dei lavori pubblici - importanti aziende lombarde del settore edile che versavano in condizione di difficoltà economiche, allo scopo di costruire apposite attività di impresa in grado di partecipare direttamente all'affidamento degli appalti per l'Expo 2015". Il progetto, hanno spiegato gli inquirenti, non si è concretizzato a causa del mancato risanamento economico della stessa Perego General Contractor, attualmente sottoposta a procedura fallimentare.

"MUTAZIONE GENETICA" - Gli accertamenti hanno documentato come nel territorio lombardo negli ultimi anni è avvenuta una "mutazione genetica" del modo di agire della ’ndrangheta, che ha portato al passaggio dai tradizionali omicidi, sequestri di persona, grandi traffici di droga, a forme di controllo di settori economici (movimento terra nei cantieri, edilizia, concessione di finanziamenti a persone in difficoltà) e di infiltrazioni in istituzioni pubbliche a livello locale. Manlio Minale, procuratore della Repubblica all’avvio dell’inchiesta oggi procuratore generale, ha parlato di una nuova forma di "mafia imprenditrice" di cui gli esponenti "costituiscono la terza generazione di ’ndranghetisti sul territorio lombardo, che però agiscono come quelli della seconda generazione perché operano nel mondo imprenditoriale". L’affare messo in luce dagli inquirenti che esemplifica meglio di tutti il modo di agire degli affiliati è l’ingresso di due indagati oggi arrestati, Salvatore Strangio e Andrea Pavone, nella Perego General Contractor srl in veste di società "capo commessa" per partecipare agli appalti pubblici (di Citylife, del cantiere di un nuovo edificio del Tribunale in via Pace, del Portello, del quartiere Mazzini, dell’area ex Ansaldo, della Paullese all’altezza di Crema, dell’ospedale Sant’Anna di Como). Gli appalti dei lavori dell'Expo erano dunque uno degli obiettivi di Salvatore Strangio, il boss della 'ndrangheta arrestato nell'ambito dell'inchiesta milanese, assieme all'imprenditore Ivano Perego. Strangio intercettato al telefono il 25 aprile 2009 dice: "Il primo lavoro dell'Expo al novantanove per cento lo prende la Perego". Il riferimento è all'impresa Perego, riconducibile alla cosca Strangio, che gestiva per conto della 'ndrangheta le infiltrazioni di imprese calabresi nell'ambito dei lavori pubblici. La società, come spiega il gip Giuseppe Gennari nell'ordinanza, secondo lo stesso Strangio ha la "funzione" di "mantenere 150 famiglie calabresi".

GLI "AFFILIATI" - Gli "affiliati" lombardi della 'ndrangheta individuati nel corso dell'inchiesta sono ben 160, ma la cifra totale sarebbe ben più alta: secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini che ha illustrato l'operazione in una conferenza stampa, sarabbero 500. Boccassini ha inoltre spiegato che nell'inchiesta sono state individuati 15 "locali" (le famiglie mafiose), tra cui anche uno a Milano centro, a Bollate, a Erba a Cologno e in altri centri sparsi nella regione, in particolare in Brianza. "Ovviamente è un punto di partenza - ha affermato - perchè dalle persone indagate sappiamo che sono molti di più".

LA RETATA - I procuratori Boccassini e Pignatone, che hanno organizzato questa retata senza precedenti, si sono convinti che sia stato il sequestro di Alessandra Sgarella, rapita nella sua casa in zona San Siro nel dicembre del 1997, l'ultima "azione" dei clan tradizionali. Dal Duemila la 'ndrangheta si sarebbe trasformata in "mafia imprenditrice". Ci sono i criminali, ma accanto a loro affiliati lombardi, spesso senza problemi con la giustizia, com'è un alto funzionario della sanità lombarda. L'inchiesta sembra riguardare anche il recente voto in Lombardia. Tra le persone arrestate a Milano, Carlo Antonio Chiriaco, classe 1959, nato a Reggio Calabria, direttore sanitario dell'Asl di Pavia, Francesco Bertucca, imprenditore edile del pavese e Rocco Coluccio, biologo e imprenditore residente a Novara. I tre sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della 'ndrangheta attiva da anni sul territorio di Milano e nelle province vicine. E in manette è finito anche Domenico Oppedisano, 80 anni, considerato dagli investigatori l'attuale numero uno delle cosche calabresi. Arrestato anche Pino Neri, ritenuto boss della 'ndrangheta in Lombardia, accusato di avere convogliato voti elettorali su indicazione di Chiriaco, a favore del deputato del Pdl Giancarlo Abelli, che risulta estraneo ai fatti e non è indagato.

ATTIVITA' AD ALTA REDDITIVITA' - Nel commentare la maxi operazione contro la 'ndrangheta condotta dalle procure di Milano e Reggio Calabria il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha detto che "non si può parlare di una conquista di Reggio Calabria sulla Lombardia", ma ha voluto sottolineare che in territorio lombardo "c'è una struttura che voleva rendersi autonoma ed è stata riportata all'obbedienza". Gli appetiti della 'ndrangheta sulla Lombardia vengono spiegati da Grasso con la presenza in questa regione di "attività imprenditoriali ad alta redditività: qui le società nascono una dietro l'altra e sono in grado di mimetizzarsi". Infine, l'alto magistrato ha sottolineato la "reazione emotiva" suscitata negli investigatori dallo scoprire come, proprio in un centro dedicato a Falcone a Borsellino, venisse celebrata l'investitura del nuovo capo della 'ndrangheta lombarda. "La criminalità - ha spiegato - ha voluto scegliere un locale per anziani intitolato a Falcone e Borsellino per destare meno sospetti. Non pensavano che sarebbe stata fatta una intercettazione ambientale proprio là. Sono stati bravi i carabinieri. Quando ci toccano i nostri martiri, è ovvio che ci sia una reazione emotiva".

Redazione online

13 luglio 2010(ultima modifica: 14 luglio 2010)

 

PAVIA - maxi operazione "Dirty Energy" a cura del corpo Forestale

Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l'impianto della Riso Scotti Energia

Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione

PAVIA - maxi operazione "Dirty Energy" a cura del corpo Forestale

Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l'impianto della Riso Scotti Energia

Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione

Sigilli all'impianto Riso Scotti Energia (Milani)

Sigilli all'impianto Riso Scotti Energia (Milani)

MILANO - L’impianto di coincenerimento Riso Scotti Energia S.P.A., una delle società della galassia del gruppo Riso Scotti, nel Comune di Pavia, è stato posto sotto sequestro: utilizzava nella produzione di energia elettrica e termica, oltre agli scarti biologici della lavorazione del riso (lolla), anche rifiuti misti di varia natura - legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione di acque reflue urbane ed industriali ed altri materiali misti - che per le loro caratteristiche chimico fisiche superavano i limiti massimi di concentrazione dei metalli pesanti - cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo ed altri - previsti dalle autorizzazioni. Il presunto traffico illecito di rifiuti, scoperto dal Corpo Forestale, ha generato un giro d’affari di circa 30 milioni di euro nel solo periodo 2007-2009 e ha portato al sequestro dell’impianto di coincenerimento della Riso Scotti Energia a Pavia, situato in via Angelo Scotti e di più di 40 mezzi, all’arresto di 7 persone ed alla esecuzione di 60 perquisizioni. Ai domiciliari anche Giorgio Radice, presidente del consiglio di amministrazione della Riso Scotti Energia. Questo il risultato della maxi operazione "Dirty Energy", frutto di un anno e mezzo di accurate indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Pavia – diretta dal procuratore capo Gustavo Adolfo Cioppa – e condotte dai sostituti Roberto Valli, Luisa Rossi e Paolo Mazza.

40 MILA TONNELLATE DI RIFIUTI - Dalle indagini svolte è stato possibile accertare il coinvolgimento di diversi impianti di trattamento dei rifiuti provenienti dal circuito della raccolta urbana, dall’industria e da altre attività commerciali dislocati in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana e Puglia, impegnando oltre 250 Forestali su tutto il territorio. L’ingresso delle circa 40.000 tonnellate di rifiuti gestiti illecitamente dalla Riso Scotti Energia S.p.A. veniva reso possibile ed apparentemente regolare attraverso la falsificazione dei certificati d’analisi, con l’intervento di laboratori compiacenti e con la miscelazione con rifiuti prodotti nell’impianto, così da celare e alterare le reali caratteristiche dei combustibili destinati ad alimentare la centrale. Oltre al traffico illecito di rifiuti e alla redazione di certificati di analisi falsi si ipotizza una frode in pubbliche forniture e una truffa ai danni dello Stato, visto che tali rifiuti non potevano essere utilizzati in un impianto destinato alla produzione di energia da fonti rinnovabili che ha goduto di pubbliche sovvenzioni. L'inchiesta è stata sviluppata dal Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale di Pavia del Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con personale della Polizia di Stato - Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica di Milano e Direzione Centrale Anticrimine di Roma.

LOLLA DI RISO MISCELATA CON POLVERI - Tra i materiali combustibili impiegati c'era anche la lolla di riso, proveniente dall’adiacente riseria e convogliata nell’impianto sequestrato dalla Forestale attraverso una condotta aerea. La lolla veniva frequentemente miscelata, all’interno dell’impianto, con polveri provenienti dall’abbattimento dei fumi, fanghi, terre dello spazzamento strade ed altri rifiuti conferiti da ditte esterne. A seguito della miscelazione, la lolla perdeva le caratteristiche di sottoprodotto e diventava un rifiuto speciale, anche pericoloso, che non poteva più essere destinato alla produzione di energia pulita, ma avrebbe dovuto essere smaltito presso impianti esterni autorizzati. Gli accertamenti eseguiti hanno permesso di accertare che ingenti quantitativi di lolla di riso, anche di quella miscelata con i rifiuti, sono stati venduti illecitamente ad altri impianti di termovalorizzazione, ad industrie di fabbricazione di pannelli in legno e ad aziende agricole ed allevamenti zootecnici (pollame e suini) - dislocati in Lombardia, Piemonte e Veneto - che la utilizzavano per la formazione delle lettiere per gli animali.

INQUINAMENTO DELL'ARIA - Tenuto conto della miscelazione con i rifiuti, l’incenerimento della lolla all’interno dell’impianto Riso Scotti Energia S.p.A., molto vicino alla città di Pavia, pone seri interrogativi sul probabile superamento dei limiti imposti per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, e di conseguenza sulla qualità dell’aria. In questo modo, si traevano illeciti vantaggi sia dalla vendita della lolla di riso come sottoprodotto, sia dal risparmio sui costi di smaltimento dei rifiuti prodotti dall’impianto, che periodicamente venivano miscelati alla lolla di riso, sia dalla vendita di energia allo Stato a prezzo vantaggioso.

Redazione online

17 novembre 2010

 

2010-11-12

Una pistola carica trovata nell'androne del palazzo in cui abita il figlio dell'ex sindaco

Incontri tra Berlusconi e Ciancimino

La vedova dell'ex sindaco: "Io c'ero"

La moglie dell'ex primo cittadino di Palermo conferma la sua presenza a due incontri a Milano

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Epifania Scardino ai funerali del marito Vito Ciancimino con i figli (Ansa)

Epifania Scardino ai funerali del marito Vito Ciancimino con i figli (Ansa)

MILANO - Dopo il 1972 l'allora sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, incontrò l'imprenditore Silvio Berlusconi in tre occasioni a Milano. A due dei colloqui, avvenuti in un ristorante del capoluogo lombardo, partecipò anche Epifania Scardino, moglie del politico corleonese. Lo ha confermato ai pm di Palermo Paolo Guido e Nino Di Matteo la stessa vedova Ciancimino, durante un interrogatorio che è stato secretato. Alla presenza del suo legale, la donna ha anche ricordato che Berlusconi e Ciancimino parlarono di affari.

LA PRIMA VOLTA - È la prima volta che la Scardino rivela ai pm la sua presenza ai colloqui tra l'attuale premier e il marito. Interrogata a luglio e settembre scorsi, infatti, aveva riferito di aver saputo dall'ex sindaco che i due si erano visti tre volte, ma non aveva fatto cenno alla sua partecipazione. Chi ne ha parlato per la prima volta è stato invece il figlio Massimo che, a una trasmissione tv, ha detto di averlo saputo dalla madre. La circostanza sarebbe tornata in mente solo successivamente alla donna su sollecitazione del figlio. La testimonianza della Scardino potrebbe ora essere decisiva per riscontrare quanto Massimo Ciancimino sostiene di avere appreso dal padre in merito a presunti investimenti dell'ex sindaco corleonese da lui fatti nella realizzazione del complesso edilizio Milano 2 di Berlusconi.

IL CASO DE MAURO - Dopo l'interrogatorio di Guido e Di Matteo, Epifania Scardino è stata sentita dal pm Sergio De Montis e dall'aggiunto Antonio Ingroia sul caso del giornalista Mauro De Mauro, scomparso a Palermo nel '70. La donna dovrebbe riferire sui rapporti di amicizia tra il marito e l'ex procuratore di Palermo Pietro Scaglione ucciso il 5 maggio del 1971. La decisione di sentire la vedova è sta presa dopo che il figlio, Massimo Ciancimino, ha consegnato ai pm di Palermo, che per il delitto processano il boss Totò Riina, degli appunti manoscritti del padre in cui si sostiene che l'omicidio del giornalista inaugurò una stagione di delitti in cui Cosa Nostra avrebbe agito su input istituzionali. Massimo Ciancimino, poi interrogato dai magistrati, ha anche raccontato di avere saputo che il padre parlò delle sue intuizioni sul caso De Mauro al procuratore Scaglione di cui era amico. Il figlio dell'ex sindaco deporrà venerdì prossimo al processo de Mauro. Secondo indiscrezioni il boss Totò Riina, in quella sede, potrebbe fare dichiarazioni spontanee.

LA PISTOLA NELL'ANDRONE - Nel frattempo si è appreso che u na pistola calibro 9 carica è stata trovata, nel pomeriggio, nel vano contatori del palazzo di via Torrearsa, a Palermo, in cui vive Massimo Ciancimino. A scoprirla sono stati gli agenti che tutelano il figlio del supertestimone, sotto protezione dopo la lettera intimidatoria con minacce a suo carico ricevuta dal padre. La scorsa notte qualcuno aveva citofonato al campanello di casa e poi si era allontanato. "Combatto comunque una guerra persa in partenza - ha commentato il testimone , dopo essere stato avvisato dell'accaduto -. Sono stanco di queste continue intimidazioni. Spero solo che nessuno faccia del male alla mia famiglia".

Redazione online

12 novembre 2010

 

 

 

 

La replica del capo dello Stato: "Mai detto "no" ai tagli, chiedo scelte di responsabilità"

Quirinale-Gasparri, polemica sui tagli

L'esponente pdl dopo le critiche di Napolitano: "Esternare è facile, governare i conti è difficile"

La replica del capo dello Stato: "Mai detto "no" ai tagli, chiedo scelte di responsabilità"

Quirinale-Gasparri, polemica sui tagli

L'esponente pdl dopo le critiche di Napolitano: "Esternare è facile, governare i conti è difficile"

Il senatore Maurizio Gasparri (Emblema)

Il senatore Maurizio Gasparri (Emblema)

MILANO - Botta e risposta a distanza tra Maurizio Gasparri e Giorgio Napolitano sui tagli contenuti nel disegno di legge di stabilità (la vecchia Finanziaria, ndr). L'esponente pdl ha mal digerito le critiche espresse dal capo dello Stato nei confronti delle scelte di governo e Parlamento in materia. "Tutti dicono non bisogna fare tagli. Anche il presidente della Repubblica partecipa a questo esercizio ma esternare è facile, mentre governare i conti e tenere ferma la spesa è difficile" è stato l'affondo di Gasparri. "Bisogna riconoscere i meriti di un governo che ha tenuto sotto controllo la finanza pubblica in un contesto tutt’altro che facile ed è merito di Tremonti", il capogruppo del Pdl a Palazzo Madama. La replica del Quirinale non si è fatta attendere. "Diversamente da quanto affermato dal senatore Maurizio Gasparri - si legge nella nota del Colle - il presidente della Repubblica non ha mai sostenuto che "non bisogna fare tagli" alla spesa pubblica partecipando a "questo esercizio"".

"INCITO A SCELTE RESPONSABILI" - Nessun "no" ai tagli, dunque, da parte del presidente della Repubblica, ma piuttosto "un invito (in termini generali e senza entrare nel merito della legge finanziaria in discussione in Parlamento) a un'assunzione di responsabilità nel fare delle scelte e stabilire delle priorità, fermo restando - spiega la nota del Quirinale - che di fronte a una rischiosa situazione finanziaria come quella attuale sul piano internazionale si deve rispondere con "un contenimento della spesa pubblica"".

L'INTERVENTO A PADOVA - Intervenendo all'assemblea Cuamm (Medici con l'Africa) a Padova il presidente della Repubblica, come ricorda lo stesso comunicato, ha rilevato che "ormai c'è un vuoto di riflessione e di confronto sulla questione cruciale: quella delle scelte da compiere e delle priorità da osservare nella destinazione delle risorse pubbliche".

Redazione online

12 novembre 2010

 

 

Le regioni: "il maxiemendamento alla Legge di Stabilità è del tutto insoddisfacente"

"C'è vuoto su scelte di finanza pubblica"

Napolitano: "C'è una grande confusione, il vuoto sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche"

Le regioni: "il maxiemendamento alla Legge di Stabilità è del tutto insoddisfacente"

"C'è vuoto su scelte di finanza pubblica"

Napolitano: "C'è una grande confusione, il vuoto sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche"

Giorgio Napolitano (LaPresse)

Giorgio Napolitano (LaPresse)

MILANO - Il capo dello Stato è critico verso le scelte effettuate da governo e Parlamento in materia di disegno di legge di stabilità (vale a dire la vecchia Finanziaria). "C'è una grande confusione, un grande buio, il vuoto sulle scelte e sulle priorità nella destinazione delle risorse pubbliche" ha detto Giorgio Napolitano, intervenendo all'assemblea del Cuamm, l'associazione dei medici per l'Africa. "Abbiamo un debito pesante sulle spalle - sottolinea Napolitano - e dobbiamo contenere la spesa pubblica. Ma non dobbiamo tagliare tutto. L'arte della politica consiste proprio nel fare delle scelte".

SOLIDARIETA' - Napolitano ricorda che esiste "un'imperativo della solidarietà, che è uno dei fondamenti della nostra Costituzione, un patto che ci lega come italiani". Ma quando si parla di questo imperativo "dobbiamo dire - aggiunge Napolitano - che noi stiamo derogando a quei doveri di solidarietà".

LE REGIONI - Dopo le parole di Napolitano, arriva anche la bocciatura delle Regioni. "Il maxiemendamento alla Legge di Stabilità è del tutto insoddisfacente - dichiara il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Vasco Errani, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta nella sede del Cinsedo. "Il maxiemendamento non risponde alle necessità di dare una serie di servizi fondamentali per le persone, le famiglie e le imprese". "Chiediamo un incontro al governo, ai presidenti di Camera e Senato e ai capigruppo di tutte le forze politiche - aggiunge Errani - per spiegare le nostre ragioni e chiedere uno sforzo al governo con cui vogliamo fare un accordo". "Sappiamo che il momento è complicato - spiega Errani - ma lavoriamo per la piena collaborazione tra i diversi livelli istituzionali. Con questa manovra si verifica una oggettiva insostenibilità dei bilanci regionali. I tempi dell'incontro col governo devono essere rapidissimi, auspichiamo si possa uscire da questa impasse"

Redazione online

11 novembre 2010(ultima modifica: 12 novembre 2010)

 

 

 

 

 

 

 

2010-11-10

Quella notte si occupò della vicenda della marocchina portata in questura

Caso Ruby, il pm dei minori contro Maroni: "Mi rivolgerò al Csm"

Anna Maria Fiorillo attacca la versione del ministro. Il ministro: "Caso chiuso". Bruti Liberati: nulla da dire

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Il ministro dell'Interno Roberto Maroni in aula alla Camera (Ansa)

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni in aula alla Camera (Ansa)

MILANO - Il pm dei Minori Anna Maria Fiorillo si rivolgerà al Csm "in quanto le parole del ministro Maroni che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso". Il Pm si occupò quella notte della vicenda della marocchina Ruby, portata in questura. "Io non dico più niente - ha proseguito il magistrato dei minori -, parlerò eventualmente dopo, quando il Csm sarà intervenuto". "Penso però che sia importante soprattutto il rispetto delle istituzioni e della legalità - ha aggiunto -, cosa a cui ho dedicato la mia vita e cosa in cui credo profondamente". "Proprio per questo rispetto della legalità e della giustizia - ha concluso -, quando le vedo calpestate parlo, perché altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio come un essere umano".

"CASO CHIUSO" - Maroni, dal canto suo, non sembra avere molta intenzione di tornare sulla vicenda. "Il caso è chiuso" sarebbe stato il suo commento dopo la diffusione delle parole della Fiorillo, secondo quanto riportato dalle agenzie. Maroni ha poi sottolineato che la sua posizione "è la stessa del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati".

BRUTI - La posizione a cui si riferisce Maroni è quella sin qui sostenuta da Bruti Liberati perché il procuratore oggi si è limitato a dire di non avere nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi: "Per me la vicenda era già chiusa allora" ha detto il procuratore, precisando che non intende replicare al pm dei Minori Annamaria Fiorillo rispetto alle dichiarazioni di quest'ultima rese mercoledì. Bruti Liberati aveva spiegato di considerare chiarita la vicenda perché sulla base dell’esame delle carte a disposizione (memorie del pm dei minori e della Questura) la polizia la notte de 27 maggio scorso aveva agito correttamente identificando e fotosegnalando l’allora minorenne Ruby per poi affidarla a Nicole Minetti, consigliere regionale del Pdl.

Redazione online

10 novembre 2010

 

 

2010-11-09

Saviano in apertura: "democrazia a rischio con la macchina del fango"

Benigni: gag sul premier, Ruby e la Bindi

Il comico: "Silvio non ti dimettere, ci rovini"

Saviano in apertura: "democrazia a rischio con la macchina del fango"

Benigni: gag sul premier, Ruby e la Bindi

Il comico: "Silvio non ti dimettere, ci rovini"

MILANO - Una battuta dopo l'altra e come filo conduttore Berlusconi e il caso Ruby. La comicità di Roberto Benigni ha fatto irruzione (con successo, a giudicare dagli applaudi in studio) in Vieni via con me, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano in onda su Raitre. "Premetto che i gossip sessuali sono spazzatura. Sono qui per parlare di politica" è stato l'incipit del lungo monologo del premio Oscar. "Se queste notizie venissero confermate, ma io non credo, figurati se è vero, dice che c'è un premier che è stato con una minorenne marocchina, ma per ragioni d'età non è stata resa nota l'identità del premier".

"SILVIO DIMETTITI" - Rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio, Benigni ha affondato a più riprese il dito nella piaga della sempre più vicina crisi di governo. "Silvio, non ti dimettere, non dare retta a Fini, perché altrimenti ci rovini, non si lavora più. Santoro, Fazio, l'Unità, Repubblica non lavorano più. E poi Ghedini che fa, il solito film horror? Silvio, tieni duro, dai retta a me". Quindi il dietrofront: "Silvio dimettiti... Non ne possiamo più". E di nuovo Ruby: "Berlusconi ha detto che la vicenda è stata una vendetta dalla mafia. La mafia una volta ti ammazzava, ora invece ti manda due escort in bagno... Io ho il terrore di questo. Voi mafiosi siete delle bestie, vendicatevi di me, fate schifo: vi fornisco l'indirizzo del mio albergo a Milano".

MESSAGGIO ALLA BINDI - Quindi le frecciatine al Pd, con un appello lanciato direttamente alla Bindi. "Rosy, dai, tu gli garbi, sacrificati per il partito" dice sempre parlando di Berlusconi e delle feste di Arcore. "Rosy tu gli piaci, si vede, ti nomina sempre...fa continui riferimenti a te. Fai così dai una foto a Fede e così ti intrufoli. Vai là e digli che sei maggiorenne - urla il comico toscano - tutto regolare mi raccomando, e quando resti sola con lui...digli chi sei! Rosy non devi temere niente perchè se ti arrestano basta che dici che sei la suocera di Zapatero".

GAG SUL COMPENSO - Nel suo lungo monologo, il comico toscano non ha evitato di ironizzare sulle polemiche legate al suo compenso inizialmente indicato per la partecipazione al programma di Fazio e Saviano, compenso che non ci sarà perché il regista e attore toscano ha deciso di esserci a titolo gratuito. "Sono d'accordo a venir gratis, la Rai ha bisogno di soldi, però Masi non fare scherzi. A un semaforo quando ho abbassato il vetro un polacco mi ha riconosciuto e mi ha dato un euro.." ha detto il comico. "Ringrazio la Rai, e anche Saviano e Fazio che mi hanno invitato: a voi do il 70 per cento del mio cachet di questa sera. Meglio gratis. Io ho portato lo champagne, Masi i bicchieri, i suoi personali, abbiamo brindato. Direttore generale siamo qua, ma chi c'è dietro, chi manovra?. Che fai mi cacci? Sarebbe il colmo".

SAVIANO - La puntata di Vieni via con me si è aperta l'editoriale di Roberto Saviano. "Da un po' di tempo - ha detto lo scrittore - vivo come una sorta di ossessione, che riguarda la macchina del fango, il meccanismo che arriva a diffamare una persona": per questo "la democrazia è letteralmente in pericolo". "La democrazia è in pericolo - ha aggiunto l'autore di Gomorra - nella misura in cui se tu ti poni contro certo poteri, contro questo governo, quello che ti aspetta è un attacco della macchina del fango, che parte da fatti minuscoli della tua vita privata".

08 novembre 2010

 

 

2010-10-30

Il Quirinale era preoccupato per possibili voti a maggioranza sulla procedibilità

Lodo Alfano, Napolitano:

"Si va verso la giusta direzione"

Il presidente di rientro dal viaggio in Cina: bene l'emendamento che ripristina la sospensione automatica

Il Quirinale era preoccupato per possibili voti a maggioranza sulla procedibilità

Lodo Alfano, Napolitano:

"Si va verso la giusta direzione"

Il presidente di rientro dal viaggio in Cina: bene l'emendamento che ripristina la sospensione automatica

Il presidente Napolitano durante un suo intervento in Cina (Ansa)

Il presidente Napolitano durante un suo intervento in Cina (Ansa)

HONG KONG - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non vuole sbilanciarsi troppo sul Lodo Alfano costituzionale all'esame del Parlamento in un testo su cui, alla vigilia della partenza ha segnalato un punto che a suo avviso diminuirebbe il ruolo del capo dello Stato. Ma, sia pure in attesa della presentazione formale dell' emendamento annunciato dalla maggioranza, parlando con i giornalisti prima di rientrare in Italia dopo una settimana in Cina, qualcosa dice. Visto che "si parla di eliminare la specie dell' autorizzazione e di tornare alla sospensione automatica prevista dalla legge Alfano, che io promulgai, è evidente - afferma - che si va in quella direzione".

IL VOTO DI PROCEDIBILITA' - "Non mi imbarco adesso in una discussione su ciò che troverò a Roma - ha precisato il presidente ai cronisti - , perchè ho l'abitudine di leggere le carte. Certamente, in quella lettera al presidente Vizzini si sollevava il problema della diminuzione del ruolo, e anche della condizione di disagio, in cui avrebbe potuto trovarsi il presidente se fosse stata sottoposta una questione di procedibilità nei suoi confronti con un voto a maggioranza semplice del Parlamento".

VIETTI: "SIA PROGETTO CONDIVISO" - Il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, è invece intervenuto sul tema della riforma della giustizia. "La nostra costituzione è stato frutto di un progetto largamente meditato e condiviso" ha detto, spiegando che per sostituirla o modificarla "occorre un altro progetto non meno meditato e condiviso". Vietti ha invocato la necessità di "riforme organiche e di ampio respiro, non condizionate dalle contingenze e ha sostenuto che "non si coglie ancora, ne sembra prossimo, il clima politico per riflessioni serene ed equilibrate su snodi istituzionali di tale delicatezza". Quindi ha invocato rispetto per i giudici: "La giustizia è amministrata dai giudici e ad essi e alla loro funzione si deve rispetto, un rispetto talora troppo trascurato, in ossequio a un malinteso senso di libertà dai ruoli e dalle regole". Per Vietti è "essenziale" la funzione della magistratura, uno "strumento di tutela dei più deboli".

Redazione online

30 ottobre 2010

 

 

2010-10-29

Il presidente della Camera: "non si rinunci all'indipendenza delle toghe"

Berlusconi: la giustizia è un macigno,

accordo o parlerò in Parlamento

L'ultimatum del Cavaliere. E Fini avverte: no ai pm sottomessi all'esecutivo, sarebbe fascismo

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MILANO - Il tema della riforma della giustizia resta in primo piano. Lo dimostrano le parole del premier Silvio Berlusconi. La giustizia "è un macigno sulla vita della nostra democrazia. Sto preparando un intervento in Parlamento per chiarire la nostra e la mia posizione sull'intervento nel nostro Paese della magistratura" ha annunciato il presidente del Consiglio a margine della riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, incontrando i giornalisti. Berlusconi ha anticipato che il suo intervento in Parlamento sullo stato della giustizia in Italia sarà una sorta di messaggio agli italiani, è a loro infatti che ha puntualizzato di voler parlare in quella occasione, lasciando intravedere una regia politica dietro i colpi di scena di questi giorni. In realtà, l'intervento alle Camere e la trattativa in corso sui dossier giustizia si tengono strettamente, come ha spiegato il premier: "Non ho ancora deciso quando fare questo intervento e spiego perché. Stiamo trattando con le altre forze politiche per una riforma della giustizia e quindi non voglio anticipare un mio forte intervento rispetto a possibili accordi che potrebbero farci arrivare a una conclusione positiva sulla possibilità di una riforma globale della giustizia". "Se questo non dovesse succedere - è la subordinata - allora io farò un intervento in Parlamento in cui, togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia dirò agli italiani, partendo dal Parlamento, quale secondo me è oggi la situazione della giustizia e della magistratura italiana".

FINI E L'INDIPENDENZA DELLE TOGHE - Di giustizia era tornato a parlare in precedenza anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. Ribadendo la necessità che la riforma sia realizzata "senza rinunciare all'indipendenza della magistratura". "Sarebbe grave - ha detto il leader di Montecitorio intervenendo a un convegno a Bari - tornare alla soggezione dei pm all'esecutivo, com'era nel fascismo". Fini è convinto infatti che "non sarebbe motivo di scandalo separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, ma - ha spiegato - è una riforma da fare senza rinunciare all'indipendenza della magistratura. Carriere separate sì - ha sottolineato - ma senza assoggettamento all'esecutivo".

LA COMPOSIZIONE DEL CSM - Nel suo intervento, il leader di Futuro e Libertà ha parlato anche del Csm, giudicandone la composizione "adeguatamente bilanciata" ."Un eccessivo peso ai non togati - ha sottolineato Fini - esporrebbe l'organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato".

IL MALE DELLA LENTEZZA - Per Fini, infine, il peggior male della giustizia italiana "sta nella sua lentezza anacronistica, che ci colloca agli ultimi posti delle classifiche europee". "L'applicazione delle leggi penali - ha spiegato a Bari il presidente della Camera - non sopporta lentezza, che vuol dire scarsa tutela degli imputati e perdita di garanzia. Vuole dire inefficacia del sistema della pena, che invece deve essere pronta e certa. Non si possono riempire le carceri - ha continuato - di detenuti in attesa di giudizio perchè si ripercuote sulle garanzie".

"FOSSATO CITTADINI-ISTITUZIONI" - Giustizia a parte, il presidente della Camera ha voluto sottolineare che in un momento in cui siamo davanti a nuove sfide, "la credibilità delle istituzioni sarà anche nella capacità complessiva delle medesime istituzioni di alzare la qualità del dibattito, di alzare la qualità del confronto e di alzare la qualità dell'azione, avendo a cuore l'interesse generale". Solo in questo modo, secondo Fini, si potrà "ridurre il fossato che c'è tra cittadini e istituzioni e che rappresenta il serio rischio per la nostra democrazia".

Redazione online

29 ottobre 2010

 

 

 

 

 

2010-10-26

IL'attività è ridotta al minimo. Le cause? Pochi soldi, priorità e tempi dettati dal governo

Camere paralizzate, in un anno 10 leggi

Dal 1° gennaio l'Aula di Montecitorio si è riunita 126 volte, il Senato 92

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L'aula della Camera (Agf)

L'aula della Camera (Agf)

ROMA - Alla Camera dicono che succede, qualche volta. Succede quando arriva la Finanziaria, che adesso si chiama "legge di stabilità". Allora si ferma tutto, in religiosa attesa che la commissione Bilancio partorisca. Ecco spiegato perché almeno per tutta la prossima settimana le luci dell'Aula di Montecitorio resteranno spente. Con il risultato che molti deputati, come ha sottolineato ieri sul Messaggero Marco Conti, potranno godersi un periodo di ferie supplementari.

Quella spiegazione "ufficiale", tuttavia, non spiega perché da tempo, ormai, i parlamentari non si ammazzano di lavoro. La verità è che non c'è il becco di un quattrino. Ma soprattutto che è il governo a dettare tempi, modi e priorità. Eppure, nonostante le difficoltà economiche, gli argomenti non mancherebbero. La commissione Giustizia della Camera, per esempio, ha praticamente concluso l'esame di un provvedimento antiusura già approvato dal Senato. Che però, senza apparenti motivazioni, procede lentissimo. Come anche il disegno di legge anticorruzione, approvato dal Consiglio dei ministri otto mesi or sono, e ora parcheggiato nelle commissioni di Palazzo Madama. A motori spenti. In questo caso però una ragione c'è. Si deve assicurare una corsia preferenziale al Lodo Alfano.

Per rendersi conto dell'apatia nella quale sono immerse le Camere è sufficiente dare uno sguardo ai calendari. Il Senato sarà impegnato nella discussione di mozioni sulla politica agricola comune, poi di risoluzioni, interrogazioni e interpellanze. Invece la Camera, quando la vacanzina sarà finita, dovrà fare i conti con le norme di "sostegno agli agrumeti caratteristici". Senza contare il trasferimento della Consob da Roma a Milano, preteso dalla Lega. Tutto questo, naturalmente, sempre che l'esecutivo non decida di sconvolgere il ruolino di marcia. Ma nemmeno il governo "del fare" di Silvio Berlusconi, che pure ha appena ripromesso una raffica di riforme, sembra percorso da un frenetico attivismo. Per dirne una, è da 117 giorni che aspettiamo la nomina del presidente Consob. Se non si riesce a fare quella, figuriamoci la riforma fiscale...

 

Cinque mesi sono passati da quando il presidente della Camera Gianfranco Fini sbottò pubblicamente ("a meno che il governo non presenti qualche decreto c'è il rischio di una paralisi dell'attività legislativa della Camera!"), scandalizzato per il fatto che il lavoro dei parlamentari era ormai limitato a due giorni la settimana, e nulla è cambiato. Nei 298 giorni trascorsi dal primo gennaio l'assemblea di Montecitorio si è riunita 126 volte. Quella di Palazzo Madama ancora meno: 92.

 

Il 18 ottobre la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato una legge approvata l'8 ottobre scorso, l'ultimo dei 74 provvedimenti entrati e usciti dal Parlamento quest'anno. In quel numero sono compresi 18 decreti legge del governo e altri tre provvedimenti di routine, sempre di fonte governativa, come la legge comunitaria. Poi ci sono le 17 leggi di conversione di altrettanti decreti. Quindi 22 ratifiche di trattati internazionali: atti dovuti. Ne restano dunque 14, fra cui ci sono però anche provvedimenti nati da disegni di legge governativi. Per esempio quello del ministro dell'Interno Roberto Maroni sulla nuova disciplina antimafia. Delle dodici leggi "superstiti" fanno poi parte provvedimenti a uso e consumo dei partiti e della politica, come la legge sul legittimo impedimento che ha consentito al premier di non partecipare per motivi istituzionali ai processi che lo vedono imputato, o come la sanatoria delle liste elettorali per le Regionali. Ne restano dunque una decina. Una pattuglia sparuta, nella quale, oltre a provvedimenti di indubbio spessore sociale, come le disposizioni a favore dei malati terminali, dei sordociechi, o degli alunni dislessici, troviamo per esempio una legge che consente di nominare un finanziere comandante delle Fiamme Gialle, una norma sul personale dell'agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie...

La carestia legislativa farà senza dubbio contento il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, immortalato mentre inceneriva con un lanciafiamme migliaia di provvedimenti inutili. Eppure anche nel suo partito, la Lega Nord, qualcuno ha masticato amaro. L'avvocato messinese Matteo Brigandì, fiero delle 199 cause vinte in difesa del suo leader Umberto Bossi, con coraggio leonino ha annunciato un giorno il gesto clamoroso: "Mi dimetto perché non ha più alcun senso fare il parlamentare. Le Camere sono state svuotate di ogni loro funzione. Non hanno più alcun potere di iniziativa legislativa e sono state messe nella condizione di fare solo il notaio del governo". È decaduto dall'incarico il 30 luglio 2010. Giusto poche ore dopo essere stato eletto nel Csm dal Parlamento. Per inciso, Brigandì era stato uno dei proponenti del legittimo impedimento.

Sergio Rizzo

26 ottobre 2010

 

 

Il presidente della camera era indagato assieme all'ex tesoriere di An, Pontone

"Casa di An, nessuna truffa"

I pm: archiviazione per Fini

La procura di Roma ha accertato "l'insussistenza

di azioni fraudolente" nella vendita dell'immobile

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L'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, a Montecarlo (Ansa)

L'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, a Montecarlo (Ansa)

MILANO - "Nessuna truffa". I pm di Roma che si sono occupati dell'inchiesta sulla casa di Montecarlo hanno chiesto l'archivazione del procedimento penale. Il procuratore della Repubblica di Roma, Giovanni Ferrara, e l'aggiunto Pierfilippo Laviani hanno accertato l'insussitenza di azioni fraudolente in merito alla vendita di un appartamento di proprietà di Alleanza Nazionale a una società offshore, per cui erano indagati sia il presidente della Camera, Gianfranco Fini, sia l'ex tesoriere di An Francesco Pontone. Lo riferiscono fonti giudiziarie. Adesso sarà il gip a decidere nelle prossime settimane se archiviare o meno l'inchiesta.

INDAGATI - I pm, ascoltati testimoni e studiate le carte giunte dal Principato di Monaco, ritengono che non ci sia stata alcuna frode nella vendita della casa, precedentemente donata all'ex partito di Fini da una sostenitrice, la nobildonna Anna Maria Colleoni. L'appartamento in questione è occupato attualmente da Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini, Elisabetta Tulliani. La notizia che Fini e Pontone fossero stati iscritti sul registro degli indagati non era mai stata diffusa in precedenza. L'inchiesta era nata dalla denuncia di alcuni esponenti del partito La Destra di Francesco Storace, nella quale si chiedeva di accertare se l'immobile ereditato dalla contessa Annamaria Colleoni fosse stato oggetto di una svendita.

SEDE CIVILE - "Qualsivoglia doglianza sulla vendita a prezzo inferiore - sostengono i pm - non compete al giudice penale ed è eventualmente azionabile nella competente sede civile". Il valore dell'immobile, secondo quanto comunicato dal Principato di Monaco, era triplicato al momento dell'alienazione rispetto a quello dichiarato a fini successori, 273mila euro. "Tale valutazione - si spiega - della Chambre Immobiliere Monegasque, è stata effettuata in astratto, senza tener conto delle condizioni concrete del bene, descritto dai testi come fatiscente".

LE REAZIONI - "Sono contento e soddisfatto - commenta il senatore di Futuro e libertà, Pontone - in questo modo è stato dimostrato che si tratta di un'azione sballata presa contro il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e contro il sottoscritto". Il vicepresidente dei deputati di Futuro e Libertà, Benedetto Della Vedova, esulta invece sul proprio profilo di Facebook: "E andiamo avanti!". Di tenore diverso la reazione di Storace: "Il processo breve, brevissimo si applica solo a Gianfranco Fini". Anche Vittorio Feltri, direttore del Giornale - che nelle ultime settimane ha dedicato spesso l'apertura del quotidiano alla vicenda - afferma di non spiegarsi "la decisione della procura, non penso comunque che l'aspetto civile della vicenda non debba essere chiarito. Mi auguro che il chiarimento sia fatto in fretta perchè gli italiani hanno il diritto di sapere cosa è successo".

Redazione online

26 ottobre 2010

 

 

Prove di riavvicinamento con i finiani, riaperti al Senato i termini per gli emendamenti

Berlusconi: "Il Lodo è indispensabile"

Il capo del Pdl: con questi magistrati non se ne può fare a meno. Poi l'annuncio: "Faremo commissione d'inchiesta"

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Silvio Berlusconi e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Emblema)

Silvio Berlusconi e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Emblema)

MILANO - Giovedì aveva detto alla Frankfurter Allgemeine Zeitung di non averlo mai chiesto espressamente e venerdì aveva detto al Corriere della Sera che, viste le continue polemiche e l'accusa al Pdl di dare vita ad una nuova legge ad personam, era pronto chiedere alla sua maggioranza di ritirarlo. Ma il Lodo Alfano per Silvio Berlusconi è in realtà qualcosa di "opportuno e assolutamente indispensabile". Il presidente del Consiglio lo spiega a Bruno Vespa nel nuovo libro che il giornalista pubblicherà a novembre.

"COMMISSIONE D'INCHIESTA" - "Ritengo che una legge che sospenda i processi delle più alte cariche dello Stato mentre adempiono alle loro funzioni istituzionali sia opportuna ed anzi, vista la magistratura con cui abbiamo a che fare, assolutamente indispensabile", aveva detto Berlusconi. Il colloquio con Vespa è avvenuto la scorsa settimana, prima dunque delle dichiarazioni sul possibile ritiro. Ma interpellato ieri dalle agenzie di stampa su eventuali nuove valutazioni, anche alla luce delle dichiarazioni di Fini sul Lodo, il presidente del Consiglio ha confermato la sua opinione. Non solo: "Proprio a causa di questi comportamenti dei magistrati politicizzati i nostri parlamentari sono in procinto di chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta. Penso che questa iniziativa sia largamente condivisa e debba far luce su una infinità di processi clamorosi, come quelli, tra i tanti, contro Calogero Mannino, contro il generale Ganzer e l'ex Capo della Polizia De Gennaro. È un'iniziativa a difesa dei cittadini, ma anche delle migliaia di giudici per bene che lavorano seriamente e che per colpa di pochi vedono diminuire la fiducia degli italiani anche nei loro confronti".

"NON HO COMMESSO REATI" - Quanto alle vicende giudiziarie che lo riguardano, Berlusconi ha spiegato: "Soltanto con la serenità e la forza d'animo che derivano dalla consapevolezza di non aver commesso alcun reato sono riuscito a disinteressarmi dei tanti, troppi procedimenti che mi sono stati addossati e che ogni giorno vengono amplificati da giornali e televisioni". E sugli sviluppi dell'inchiesta Mediaset: "Ancora una volta è scattato l'uso politico della giustizia per cercare di denigrare il presidente del Consiglio".

"COMMISSIONE? NON È NEL PROGRAMMA" - La commissione parlamentare d'inchiesta, ha però subito precisato il capogruppo di Futuro e Libertà a Montecitorio, Italo Bocchino, "non è nel programma di governo" e pertanto "la nostra disponibilità è nulla". I finiani dunque si smarcano e non assicurano l'appoggio - e la maggioranza - all'iniziativa auspicata dal premier. "Una commissione di inchiesta sui giudici - ha spiegato Bocchino - non è una priorità dell'agenda del paese. Ma se Berlusconi la farà presentare in commissione la valuteremo autonomamente, come facciamo con tutti i temi che non fanno parte del programma del governo". Tranchant il commento di Massimo Donadi, capogruppo dell'Idv alla Camera. "Il Lodo Alfano è un mostro giuridico che serve solo a Berlusconi. È indispensabile solo per farla franca e sfuggire ai processi, evitando possibili condanne. E' una vergogna tutta italiana che non ha eguali nelle altre democrazie. Un capo di governo non gioca allo sfascio dello Stato, nè discute il principio basilare dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge". E Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia, fa ricorso all'ironia, dicendo che Berlusconi deve mettersi d'accordo con se stesso: "Un giorno dice che il lodo Alfano non lo vuole e che gli è stato regalato dai suoi alleati, il giorno dopo dice che è indispensabile per contrastare l'azione di pm a lui ostili. Sono pensieri tra di loro agli antipodi, ben lontani dalla coerenza richiesta alla più alta carica di governo. Per noi il lodo Alfano resta un mostro giuridico con il quale il governo vorrebbe inserire un salvacondotto senza limiti per il premier. Ci opporremo duramente dentro e fuori il parlamento".

RIAPERTI GLI EMENDAMENTI - Intanto si è appreso che la Commissione Affari costituzionali del Senato riaprirà i termini per presentare nuovi emendamenti al lodo Alfano. La decisione è stata presa al termine di colloqui fra Pdl e Fli, dopo l'intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Se verranno riaperti i termini, Fli potrebbe presentare un proprio emendamento in Commissione. La riapertura dei termini per nuovi emendamenti avrà come conseguenza l'interruzione per uno o due giorni della discussione del lodo Alfano in Commissione. E potrebbe essere l'occasione per tentare un avvicinamento tra il pdl e i finiani. Ad esempio la possibilità, ventilata dal Guardasigilli Angelino Alfano, che il lodo costituzionale per le alte cariche dello stato non sia reiterabile è giudicata da Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera e avvocato del presidente di Montecitorio, "estremamente positiva perchè accoglie un principio che abbiamo sostenuto" e in questo modo viene dimostrata "la volontà di venire incontro alle nostre istanze".

Redazione online

26 ottobre 2010

 

 

 

il presidente della camera e la riforma

Fini e il nodo giustizia:

"Rischio di crisi su alcuni punti"

"La magistratura non deve essere sottoposta ad altri poteri e nemmeno a quello esecutivo"

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Gianfranco Fini (Eidon)

Gianfranco Fini (Eidon)

MILANO - Il Lodo Alfano non diventerà un pretesto per aprire una crisi di governo ma di certo, è la convinzione di Gianfranco Fini, su alcune questioni che riguardano la giustizia, "la possibilità che ne scaturisca una crisi di governo c'è".

"NON SI PUNISCA LA MAGISTRATURA" - Il presidente della Camera e leader di Fli ha affrontato il tema assai spinoso della riforma della giustizia durante un'intervista all'emittente televisiva Antennatre Nordest (che ne ha anticipato alcuni passaggi). "Noi non crediamo che si possa o si debba riformare la giustizia punendo la magistratura - ha sottolineato Fini nell'intervista che andrà in onda martedì mattina -. La magistratura non deve essere sottoposta, uso questa espressione, ad altri poteri e quindi nemmeno a quello esecutivo. Questo è un rischio concreto. Mi auguro non si concretizzi".

"LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI" - Nel suo intervento nel capoluogo lombardo, dove Fli ha organizzato una manifestazione con i quadri lombardi del nuovo partito di Fini, il presidente della Camera ha poi ribadito il suo "no" alla reiterabilità del Lodo Alfano, punto rispetto al quale lo stesso Guardasigilli ha parlato in giornata di "questione non vitale". Garantire la funzione e non la persona è "sacrosanto", secondo Fini. "La legge - ha detto il numero uno di Fli -, piaccia o no, è uguale per tutti. Noi vogliamo tutelare la funzione del presidente del Consiglio e non la persona. Questo significa che i processi devono essere sospesi ma non certo annullati e per questo siamo contrari alla reiterabilitá del Lodo Alfano".

Redazione online

25 ottobre 2010(ultima modifica: 26 ottobre 2010)

 

 

 

Il premier resiste: non mi farà perdere la pazienza

Sono convintissimo che bisogna sempre temere il leone che sembra se ne stia pacifico... Paolo Bonaiuti, Pdl "Strategia del sorriso" di Berlusconi. Bossi: Fini in cortocircuito, ma l'intesa conviene anche a lui Governo tecnico Quagliariello: il governo tecnico? L'ipotesi esiste ma la politica ha i suoi rischi. Se si perde, si va all'opposizione e poi vediamo chi vince alle urne

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Sono convintissimo che bisogna sempre temere il leone che sembra se ne stia pacifico... Paolo Bonaiuti, Pdl "Strategia del sorriso" di Berlusconi. Bossi: Fini in cortocircuito, ma l'intesa conviene anche a lui Governo tecnico Quagliariello: il governo tecnico? L'ipotesi esiste ma la politica ha i suoi rischi. Se si perde, si va all'opposizione e poi vediamo chi vince alle urne

ROMA - La chiamano la "strategia del sorriso", e la contrappongono a quella della "provocazione" di Gianfranco Fini. È l'ultima trincea di un Silvio Berlusconi sempre più silenzioso, quasi isolato nella sua Arcore, pochissimo in contatto con i suoi ma - giura chi gli ha parlato - deciso a non offrire il fianco a chi "cerca l'incidente", come fanno i finiani, e vuole solo fargli "perdere la pazienza, esasperandomi con attacchi insensati", il cui obiettivo non è ancora chiarissimo ma comunque è foriero di guai: "O vuole logorarci a fuoco lento, o farci cadere di schianto per formare un governo tecnico", è l'opzione da incubo esaminata nel Pdl.

Per questo la linea nel partito, inaugurata qualche giorno fa, è non reagire, non alzare i toni, mandare segnali incoraggianti e mostrarsi disponibili a qualunque trattativa. Così si spiega l'uscita del Guardasigilli Alfano sulla scarsa importanza da attribuire alla questione della reiterabilità del Lodo, così vanno interpretati i silenzi opposti all'ennesimo discorso dirompente del leader di Fli.

E però, è chiaro che un atteggiamento così remissivo non può durare per sempre, né può aiutare il premier a risalire la china dei sondaggi, anche se la sua speranza è che - se si riuscirà davvero a varare la riforma fiscale - il quadro cambierà radicalmente.

Ecco allora che anche una colomba per eccellenza come Paolo Bonaiuti avverte che il premier non rimarrà tranquillo e mansueto per molto: "Bisogna sempre temere il leone che sta pacifico...". "La verità - sussurra un altro fedelissimo - è che nessuno pensa che si possa andare avanti a lungo in questa situazione. Bisogna solo decidere se rompere subito sul Lodo Alfano, spiegando ai cittadini che Fini vuole solo la morte politica di Berlusconi, o più avanti su un altro terreno". Opzione quest'ultima che potrebbe andare bene anche ad un Umberto Bossi convinto - come rivela a Bruno Vespa - che Fini sia "in preda di un cortocircuito della provocazione", ma "i due hanno entrambi interesse a non fare troppo casino e a trovare la quadra".

Ma la sensazione nei palazzi della politica è che nessun accordo veramente stabile si possa siglare con un Fini che, per dirla con Fabrizio Cicchitto "deve chiarire cosa vuole fare, non si può stare in una maggioranza e allo stesso tempo prepararne un'altra". La via "più lineare e democratica", ripete Osvaldo Napoli, sarebbe quella del voto, ma il timore che una nuova maggioranza sia in rampa di lancio anche al Senato è palpabile, e consiglia a Berlusconi prudenza. Che però non può essere infinita: "È vero che in caso di rottura esiste l'eventualità di un governo tecnico - dice Gaetano Quagliariello -, ma la politica è fatta anche di rischi: se perderemo la mano, staremo all'opposizione. E vedremo poi chi vincerà quando si tornerà alle urne...".

Paola Di Caro

26 ottobre 2010

 

 

 

La città verso il voto

Il partito di Fini debutta a Milano

Comune, strappo nella maggioranza

La Moratti apre ai "futuristi" ma salta il vertice del centrodestra. La Gelmini non sarà Fli a dettarci l'agenda

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MILANO - Nel giorno in cui arriva Gianfranco Fini a Milano e incontra un migliaio di sostenitori nel teatro Derby di via Mascagni, la vicenda futurista è causa di uno scontro all'interno della maggioranza di Palazzo Marino. Ma si muovono i vertici del Pdl per gettare acqua sul fuoco: "Non c'è un pezzo di città che vota Fli, sono scelte personali", è la linea tenuta dal coordinatore cittadino Luigi Casero e rilanciata ieri da ministri e dirigenti. Una linea che però stride con le dichiarazioni di chi è sfilato ieri sul palco del Derby a ripetere che "siamo in tanti e siamo convinti" e che "la Lombardia è la regione che ha finora più circoli e più iscritti".

L'antefatto. Il sindaco Moratti aveva indetto per ieri mattina una riunione di maggioranza, escludendo i finiani. Dopo le rimostranze di Landi, ieri mattina la Moratti lo ha convocato in extremis. Apriti cielo. Il primo a innervosirsi è stato il ministro Ignazio La Russa, poi via via gli altri con toni più o meno accesi. Nel giro di un'ora, la segreteria del sindaco ha disdetto l'appuntamento, rinviato a non si sa quando. Commenta il capogruppo pdl Giulio Gallera: "Questo episodio è servito da chiarimento, perché non si può pensare che automaticamente vengano invitati anche i finiani alle riunione di maggioranza, serve un percorso e un ragionamento". Un ragionamento, ad esempio, "per capire se siamo tutti uniti o se poi i finiani si sentono liberi su ogni delibera di fare quello che credono, come abbiamo visto sugli Arcimboldi". Gallera propone una mediazione: "Le riunioni di maggioranza continuano come si erano fatte finora. Ma avviamo un tavolo che periodicamente si riunirà per fare il punto sulle attività di giunta e di governo, del quale faranno, parte oltre ai capigruppo, alcuni assessori tra i quali Landi di Chiavenna".

Più pepato il capogruppo leghista Matteo Salvini: "diciamo che c'è stata una gestione della tempistica un po' bizzarra e comunque alla Lega, come ai milanesi, non importa nulla dei finiani. Se è gente che lavora sono i benvenuti, se sono quelli che cercano di sopravvivere in politica perché trombati dall'altra parte, restino pure dove sono".

Nel frattempo, si riunisce il coordinamento regionale negli uffici del presidente Guido Podestà e la questione viene nuovamente affrontata. "Non ci facciamo dettare l'agenda da Fli - attacca il ministro Mariastella Gelmini - e non siamo preoccupati da chi si sposta in un altro partito per ambizioni personali. Qui al Nord tutti questi militanti di Fini non esistono". E poi un conto sono le riunioni di maggioranza a Palazzo Marino sulle delibere da portare avanti, un altro i possibili accordi politici con i finiani. "La Moratti - aggiunge la Gelmini - continuerà a dialogare con il Fli, ma la scelta di allargare o meno la coalizione la faremo nei tempi giusti e con l'accordo di tutto il Pdl".

E soprattutto si farà a Roma, aggiunge Roberto Formigoni: "Le alleanze competono a livello nazionale, e lasciamo volentieri a loro questo problema. Se c'è una collaborazione reale per sostenere il governo Berlusconi e per confermare lealmente il voto di fiducia dato si potrà andare avanti, altrimenti la separazione sarà nettissima". Anche per La Russa la parola d'ordine è minimizzare: "A livello di classe dirigente mai una scissione della destra a Milano ha avuto così poco seguito come quella di Fli: nè ai tempi di Nencioni, nè ai tempi di Rauti, nè ai tempi di Storace e Santanchè".

Elisabetta Soglio

26 ottobre 2010

 

 

La Nota

L'offensiva finiana mette in evidenza i problemi del Cavaliere

Il Fli non esclude elezioni. Si delinea la strategia contro il voto anticipato

S i nota un crescendo di aggressività nella minoranza finiana; ed una reazione difensiva, quasi intimorita da parte del Pdl. La riforma della giustizia ed il "lodo Alfano" si stanno rivelando fronti di oggettiva debolezza per Silvio Berlusconi. E Gianfranco Fini non fa nulla per non sottolinearlo. Il fatto che ieri, proprio da Milano, abbia avvertito che sulla giustizia si potrebbe aprire la crisi di governo, conferma una situazione patologicamente sull'orlo della rottura. Ma soprattutto dice che il presidente della Camera sembra deciso a sfidare Berlusconi, nella convinzione di avere di fronte un leader in difficoltà: tanto più dopo l'altolà arrivato da Giorgio Napolitano.

È come se il conflitto con Palazzo Chigi gli avesse restituito energia e grinta; e reso il ruolo di terza carica dello Stato un orpello residuale. "Mi è tornata la passione politica dei vent'anni", ha detto ieri a Milano. Il "no" di Fini alla possibilità di reiterare la legge che dovrebbe fare da scudo al presidente del Consiglio nei processi è netto. "Non siamo disponibili a garantire la persona, è la funzione che va tutelata", ripete. E la cautela del Guardasigilli, Angelino Alfano, per il quale la reiterabilità non sarebbe "vitale", conferma l'inquietudine di Palazzo Chigi.

Berlusconi sa di potersi ritrovare costretto a trattare anche al ribasso. E comunque si rifiuta di reagire a quella che considera una strategia di provocazioni. Qualche finiano piccona il "lodo" costituzionale in quanto tale, nella convinzione che il presidente del Consiglio non possa né voglia una crisi. Ma più la situazione va avanti, più i margini si assottigliano. Il Fli parla di un governo per cambiare la legge elettorale. E, pur rimanendo nel centrodestra, lascia che alcuni dei suoi esponenti disegnino scenari di "terzo polo" con l'Udc di Pier Ferdinando Casini; ed evochi un'alleanza contro il voto anticipato.

Fini ritiene che un mancato accordo sulla giustizia non potrebbe essere usato come "pretesto" al premier per tornare alle urne. Il messaggio è trasparente: il Fli non avallerà quello che Casini chiama "autoribaltone" della maggioranza; e dunque non darà il via libera alle elezioni. Il progetto, sempre più trasparente, è quello di scaricare sul premier e la Lega l'eventuale fine della legislatura; e di fare di tutto per scongiurare le elezioni con l'attuale sistema. Pur di evitare una nuova vittoria dell'"asse del nord", sarebbe lecito allearsi con tutti: anche con il centrosinistra.

Per quanto ci si sforzi di esorcizzare la "sindrome siciliana", dove un Pdl lacerato al suo interno è stato mandato all'opposizione da un'alleanza fra Mpa, Fli e Pd, quell'anomalia pesa. Ed ingigantisce le ombre sulla tenuta del governo nazionale; e sulle capacità del premier di amalgamare gli interessi di Nord e Sud. È il sintomo di una situazione locale fuori controllo; e la metafora di sviluppi imprevedibili. Prudente, la Lega finge di credere al traguardo del 2013. Ma si prepara al peggio. E l'assenza fisica di Berlusconi ed il suo silenzio alimentano la sensazione di un vuoto di potere ormai troppo vistoso.

Massimo Franco

26 ottobre 2010

 

 

 

 

2010-10-24

LA PRECISAZIONE Del quirinale

"Lodo Alfano, massima imparzialità"

Napolitano:"Lavoro per correttezza istituzionale". Fini: "Lo scudo non sia reiterabile". Il Pd: "Va ritirato"

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Eidon)

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Eidon)

MILANO - L'intervento di Giorgio Napolitano aveva un solo intento: quello di "favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale". Il Quirinale si fa nuovamente sentire sul lodo Alfano. Ma dopo le perplessità espresse nella lettera di venerdì, alle quali era seguito l'annuncio del premier Silvio Berlusconi di voler ritirare il provvedimento sullo scudo processuale per le alte cariche, stavolta la nota della presidenza della Repubblica serve più che altro a precisare quali siano state le ragioni della mossa di Napolitano. In particolare, si criticano le "soggettive interpretazioni e generalizzazioni" da parte della stampa e di alcuni esponenti politici. "Con la lettera inviata al Presidente Vizzini, il Capo dello Stato ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del Presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato", afferma la nota. "Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera apparse in diversi commenti di stampa - si legge ancora - così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre sono del tutto estranee agli intendimenti del Presidente della Repubblica, sempre volti a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale".

LA REAZIONI - Cosa succederà adesso al lodo Alfano? Berlusconi ha dichiarato di "non aver mai chiesto" un provvedimento del genere, e che a questo punto "è meglio ritirarlo". E il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, chiarisce di non avere alcuna intenzione di presentare nuovi emendamenti. "Martedì comunque ci riuniremo in ufficio di presidenza - dichiara - e valuteremo il da farsi". La nuova nota del Quirinale suscita ovviamente immediate reazioni. Per. Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, "sono apprezzabili le precisazioni fatte dal Presidente della Repubblica". Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, afferma però che "l'esame del lodo Alfano deve proseguire perché in Italia, come nelle più grandi democrazie del mondo, ai vertici delle istituzioni si garantisca di operare in modo sereno e senza condizionamenti". Diversi i commenti dell'opposizione. L'Italia dei Valori attacca Berlusconi: "È come Scajola, gli fanno le leggi a sua insaputa - dichiara il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando. - Proprio oggi, infatti, veniamo a sapere dalla sua bocca che non voleva il lodo Alfano e che è stata una proposta del suo partito. Se non fosse il presidente del Consiglio ci verrebbe da ridere ma, purtroppo, è tutto vero". Il Pd, annuncia la presidente dei senatori Democratici, Anna Finocchiaro, si prepara invece a chiedere "formalmente", martedì in commissione Affari costituzionali al Senato, il ritiro del testo.

FINI: "NON SIA REITERABILE" - Più tardi interviene anche Gianfranco Fini. Secondo il presidente della Camera, lo scudo processuale per le alte cariche dello Stato non può essere reiterabile. "Se la filosofia è tutelare la funzione quale che sia la persona - spiega - non credo che il Lodo possa essere reiterabile perché non sarebbe una tutela di una persona per un periodo di tempo, ma un privilegio garantito ad una persona". Per questo motivo, aggiunge Fini, Futuro e Libertà chiederà che il testo sia modificato.

BOSSI: "SERVE UNA PROTEZIONE" - In tarda serata arrivano anche le dichiarazioni di Umberto Bossi. "So che Berlusconi è un perseguitato - dice il leader del Carroccio - quindi bisognerebbe fare come in Francia, dove almeno il leader abbia la protezione dalla magistratura che in Italia si comporta male". Al ministro viene chiesto se condivide l'intenzione del premier Silvio Berlusconi di ritirare il lodo: "Se lo dice lui va bene", replica il Senatùr.

Redazione online

23 ottobre 2010

 

 

 

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MILANO - L'intervento di Giorgio Napolitano aveva un solo intento: quello di "favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale". Il Quirinale si fa nuovamente sentire sul lodo Alfano. Ma dopo le perplessità espresse nella lettera di venerdì, alle quali era seguito l'annuncio del premier Silvio Berlusconi di voler ritirare il provvedimento sullo scudo processuale per le alte cariche, stavolta la nota della presidenza della Repubblica serve più che altro a precisare quali siano state le ragioni della mossa di Napolitano. In particolare, si criticano le "soggettive interpretazioni e generalizzazioni" da parte della stampa e di alcuni esponenti politici. "Con la lettera inviata al Presidente Vizzini, il Capo dello Stato ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del Presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato", afferma la nota. "Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera apparse in diversi commenti di stampa - si legge ancora - così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre sono del tutto estranee agli intendimenti del Presidente della Repubblica, sempre volti a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale".

LA REAZIONI - Cosa succederà adesso al lodo Alfano? Berlusconi ha dichiarato di "non aver mai chiesto" un provvedimento del genere, e che a questo punto "è meglio ritirarlo". E il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, chiarisce di non avere alcuna intenzione di presentare nuovi emendamenti. "Martedì comunque ci riuniremo in ufficio di presidenza - dichiara - e valuteremo il da farsi". La nuova nota del Quirinale suscita ovviamente immediate reazioni. Per. Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, "sono apprezzabili le precisazioni fatte dal Presidente della Repubblica". Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, afferma però che "l'esame del lodo Alfano deve proseguire perché in Italia, come nelle più grandi democrazie del mondo, ai vertici delle istituzioni si garantisca di operare in modo sereno e senza condizionamenti". Diversi i commenti dell'opposizione. L'Italia dei Valori attacca Berlusconi: "È come Scajola, gli fanno le leggi a sua insaputa - dichiara il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando. - Proprio oggi, infatti, veniamo a sapere dalla sua bocca che non voleva il lodo Alfano e che è stata una proposta del suo partito. Se non fosse il presidente del Consiglio ci verrebbe da ridere ma, purtroppo, è tutto vero". Il Pd, annuncia la presidente dei senatori Democratici, Anna Finocchiaro, si prepara invece a chiedere "formalmente", martedì in commissione Affari costituzionali al Senato, il ritiro del testo.

FINI: "NON SIA REITERABILE" - Più tardi interviene anche Gianfranco Fini. Secondo il presidente della Camera, lo scudo processuale per le alte cariche dello Stato non può essere reiterabile. "Se la filosofia è tutelare la funzione quale che sia la persona - spiega - non credo che il Lodo possa essere reiterabile perché non sarebbe una tutela di una persona per un periodo di tempo, ma un privilegio garantito ad una persona". Per questo motivo, aggiunge Fini, Futuro e Libertà chiederà che il testo sia modificato.

BOSSI: "SERVE UNA PROTEZIONE" - In tarda serata arrivano anche le dichiarazioni di Umberto Bossi. "So che Berlusconi è un perseguitato - dice il leader del Carroccio - quindi bisognerebbe fare come in Francia, dove almeno il leader abbia la protezione dalla magistratura che in Italia si comporta male". Al ministro viene chiesto se condivide l'intenzione del premier Silvio Berlusconi di ritirare il lodo: "Se lo dice lui va bene", replica il Senatùr.

Redazione online

23 ottobre 2010

 

 

fini: "il parlamento tenga conto delle parole del presidente della repubblica"

Napolitano: Lodo Alfano, "Profonde perplessità , contrasta la Costituzione"

Lettera al senatore Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali. Il Pdl: modificheremo il testo

fini: "il parlamento tenga conto delle parole del presidente della repubblica"

Napolitano: Lodo Alfano, "Profonde perplessità , contrasta la Costituzione"

Lettera al senatore Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali. Il Pdl: modificheremo il testo

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Ansa)

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Ansa)

MILANO - Sulla questione del cosiddetto "lodo Alfano", lo "scudo" per le più alte cariche dello Stato in versione costituzionale (una precedente legge ordinaria infatti è stata bocciata dalla Consulta) interviene il capo dello Stato, alla luce del testo che è emerso in commissione al Senato. "Il Lodo Alfano contrasta la Costituzione" ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

LA LETTERA - In una lettera indirizzata al senatore Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, e inviata per conoscenza anche al presidente del Senato e al presidente della Camera, il presidente della Repubblica esprime "profonde perplessità" sulla norma che prevede "la sospensione dei processi penali anche per il presidente della Repubblica". Una norma, sottolinea, "che non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008". Questo il testo integrale della lettera del presidente della Repubblica: "Visto l'esito della discussione svoltasi sulla proposta di legge costituzionale 2180/S e nell'imminenza della conclusione dell'esame referente, ritengo di dover esprimere profonde perplessità sulla conferma da parte della commissione della scelta d'innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il presidente della Repubblica. Questa previsione non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008. Come già ribadito più volte, è mia intenzione rimanere estraneo nel corso dell'esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in questo caso - riguardino proposte d'iniziativa parlamentare e di natura costituzionale. Non posso peraltro fare a meno di rilevare che la decisione assunta dalla commissione da lei presieduta incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del presidente della Repubblica riducendone l'indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni. Infatti tale decisione, che contrasta con la normativa vigente risultante dall'articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale, appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dal citato articolo 90".

DAL SITO - Sul sito del Quirinale si spiega che, "su incarico del presidente Napolitano, il segretario generale della presidenza della Repubblica ha inviato al presidente del Senato, e per conoscenza al presidente della Camera, copia della lettera che richiama l'attenzione della commissione del Senato sulle conseguenze che le decisioni finora assunte possono avere sull'esercizio delle funzioni del capo dello Stato. In base a tali decisioni, infatti, il Parlamento potrebbe essere chiamato a pronunciarsi a maggioranza semplice sulla prosecuzione di procedimenti penali per fattispecie diverse da quelle previste dall'art. 90 della Costituzione, possibilità invece esclusa dalla normativa costituzionale vigente e dalla costante prassi applicativa, possibilità non contemplata neppure dalla legge Alfano n. 124 del 2008".

FINI - "Le valutazioni del capo dello Stato sono sempre sagge. Mi auguro che il Parlamento tenga conto delle criticità espresse dal capo dello Stato". È quanto afferma a caldo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, commentando i rilievi di Giorgio Napolitano.

PDL - "Le osservazioni del presidente della Repubblica non troveranno indifferenti il nostro gruppo parlamentare" affermano in una nota congiunta Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo del Pdl al Senato annunciando modifiche al testo in discussione alla Commissioni e Affari costituzionali del Senato. "Siamo perfettamente consapevoli che la discussione parlamentare in corso investe il campo delle prerogative, e che l'ipotesi formulata - come autorevolmente rilevato - potrebbe incidere negativamente sulla indipendenza della funzione del Capo dello Stato, perché‚ in ipotesi la sottoporrebbe a un giudizio politico. Pertanto - concludono Gasparri e Quagliariello -, ci faremo carico di sollecitare la Commissione Affari Costituzionali affinchè l'ipotizzata misura dell'autorizzazione parlamentare venga soppressa dalla proposta di legge in discussione".

PD - Immediate le repliche anche da parte del resto del mondo politico alle parole di Napolitano. Se da parte del senatore Vizzini (Pdl) destinatario della lettera si sottolinea che in questo momento è necessario non fare alcun commento, dalla capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti arriva un deciso avvertimento alla maggioranza: "Dopo un atto così rigoroso e di estremo equilibrio, il governo e la maggioranza si fermino e ritirino definitivamente quel mostro giuridico del lodo Alfano che mira allo stravolgimento delle basi della nostra Costituzione repubblicana". "È una lettera che proviene dal più alto garante dell'osservanza della Costituzione - aggiunge la Ferranti - e che dovrebbe far riflettere e impegnare anche chi nella maggioranza dice di aver a cuore il rispetto della legalità e dei principi fondamentali sanciti dalla nostra Carta".

CASINI - "È indispensabile farsi carico, nella stesura del testo sul lodo Alfano, delle preoccupazioni istituzionali espresse dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano" spiega invece il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini. "L'Udc - ha aggiunto Casini - agirà con coerenza in questa direzione". Casini ha poi sottolineato: "il lodo Alfano non ci piace, ma dobbiamo contribuire a rasserenare il rapporto tra Parlamento e magistratura".

IDV - "Adesso Berlusconi è stato smascherato anche dal capo dello Stato. Il presidente Napolitano non vuole essere tirato dentro un'operazione cosi squallida, in cui si fa una legge per una sola persona. Il Parlamento è chiamato ad una responsabilità storica verso il Paese: fermare questo scempio di legalità e questo oltraggio alla Costituzione prima che sia troppo tardi. E, invece, tutti coloro che continueranno a chiudere gli occhi e a far finta di non capire e di non vedere, saranno complici nella stessa maniera del beneficiario di questa legge, cioè Berlusconi" afferma in una nota il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. "Il centrodestra ritiri immediatamente il lodo Alfano costituzionale. Se neanche di fronte alle fondate osservazioni del Quirinale Berlusconi si arrende, significa che siamo di fronte a un tentativo di golpe" gli fa eco il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario.

Redazione online

22 ottobre 2010(ultima modifica: 23 ottobre 2010)

 

 

Il Cavaliere: a questo punto si ritiri il Lodo

La decisione di Berlusconi: bisogna rinunciare, non voglio si dica che faccio leggi-vergogna

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Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi

Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi

ROMA - Silvio Berlusconi è deciso a chiedere alla sua maggioranza di ritirare il lodo Alfano. Il presidente del Consiglio, raggiunto al telefono a tarda sera, non è affatto irritato per la nota del capo dello Stato, si dice anzi sereno e quasi indifferente per quanto sta accadendo in queste ore.

"Non cambia nulla con l'intervento del presidente della Repubblica - dice -. A questo punto io chiederò che quella legge costituzionale venga ritirata. Il lodo Alfano porta con sé un meccanismo farraginoso per l'approvazione e in questo modo serve soltanto a dare fiato alle polemiche strumentali dell'opposizione".

Il lodo è una legge costituzionale e come tale ha bisogno di quattro letture, due della Camera e due del Senato. Inoltre, se non approvato con una maggioranza dei due terzi, può essere sottoposto a referendum confermativo: un tipo di referendum che non ha bisogno di quorum.

Berlusconi conferma quanto detto alla Frankfurter Allgemeine Zeitung: "Questa legge non è stata una mia iniziativa, ma una proposta del mio partito. Io non sono più interessato a portarla avanti. Non voglio che si dica che faccio leggi ad personam, leggi vergogna. Altro che leggi vergogna. Sono sedici o diciassette anni che vengo perseguitato dai magistrati per fatti già chiariti".

Il premier cita l'ultima accusa rivoltagli dai pm: "Si guardi quanto emerso sull'evasione fiscale - afferma -. Io e mio figlio siamo perseguiti per una presunta frode di 800 mila euro, quando solo nell'anno in questione abbiamo versato al fisco 448 milioni".

Il presidente del Consiglio assicura che tutte le accuse contro di lui sono assolutamente infondate e strumentali: "Ho giurato sui miei cinque figli e sui miei nipoti che non sono responsabile di nessuno dei fatti che mi vengono attribuiti".

Silvio Berlusconi difende e sostiene la riforma della giustizia che il ministro Angelino Alfano sta perfezionando in questi giorni e che troverà sbocco in uno dei prossimi consigli dei ministri: "Quello è un progetto che mi interessa e che non si fermerà, ma ripeto: senza il Lodo, che invece verrà ritirato". Quindi nessuna marcia indietro sulla riforma complessiva della giustizia, alla quale il premier non vuole in nessun caso rinunciare.

Il presidente del Consiglio con i suoi ha avuto anche modo di tornare sulla vicenda delle ville costruite ad Antigua, delle quali si è di recente occupata la trasmissione Report condotta da Milena Gabanelli (per questo citata in giudizio dal premier). Silvio Berlusconi sostiene che è tutto chiarito, di essere lui il proprietario, di aver fatto l'operazione per fare un piacere a un amico, all'architetto Gamondi che voleva investire lì e portando un cliente tanto importante ha potuto ottenere la concessione.

"Sono stato in quella casa soltanto quattro giorni", ha detto ai suoi. Berlusconi ha occupato la villa di Antigua un'unica volta, dal primo al quattro di gennaio del 2008. Il presidente del Consiglio ha anche parlato con chi gli è più vicino della banca Arner, a lungo citata nel sevizio di Report su Antigua, sostenendo che tra i correntisti c'erano alcuni suoi amici e che gli è stato affidato il conto numero uno soltanto perché il suo è il nome più noto e prestigioso.

Ma è sul lodo Alfano che si concentra la sua attenzione: non ha nessuna intenzione di offrire sponde all'opposizione continuando a portarlo avanti ed è probabilmente quello che aveva già detto nel pomeriggio al ministro della Giustizia, che era andato a trovarlo a Palazzo Grazioli.

Paola Di Caro

23 ottobre 2010

 

 

 

Effetti a Catena

Effetti a Catena

L'inquietudine istituzionale di Giorgio Napolitano è più che comprensibile ma a doppio taglio. Il presidente della Repubblica vede nel "Lodo Alfano" una torsione del proprio ruolo: di fatto, un colpo alla sua autonomia perché sottopone al giudizio del Parlamento la sospensione di un eventuale processo al capo dello Stato; e per di più a maggioranza semplice e su reati non previsti dalla Costituzione. Ma esprimendo le sue "profonde perplessità" su questo punto finisce per sottolineare che la legge riguarda solo il presidente del Consiglio. Di più, fa capire che sarebbe tagliata su misura per Silvio Berlusconi.

La reazione del premier che annuncia di voler ritirare la legge sostenendo di non averla voluta lui è una risposta in tempo reale al Quirinale; e probabilmente la presa d'atto che da ieri il Lodo è in un vicolo cieco. L'impressione, d'altronde, è che Napolitano abbia toccato in modo esplicito un aspetto; ma forse sia silenziosamente preoccupato dalla possibilità che il "lodo" preparato dal ministro della Giustizia, Angelo Alfano, sia reiterabile: e cioè sospenda i processi a carico del premier anche nel caso in cui passasse in futuro da Palazzo Chigi alla presidenza della Repubblica. Insomma, sembrano intrecciarsi riserve giuridiche e strategie quirinalizie. Proprio per questo, però, il contrasto finisce per apparire soprattutto politico. E costringe a valutare l'irritualità della mossa presidenziale ed i suoi potenziali contraccolpi.

La sensazione è che l'iniziativa di Napolitano abbia colpito al cuore un provvedimento sul quale il centrodestra sta faticosamente costruendo un'intesa con la minoranza di Gianfranco Fini. Ed arriva a sorpresa, con la lettera al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini: missiva nella quale il capo dello Stato ribadisce che non vuole occuparsi di leggi costituzionali o di iniziativa parlamentare. Il fatto che però dica di sentirsi costretto a farlo drammatizza lo scontro fra il governo e l'opposizione. E, dopo la reazione di Berlusconi, mantiene la trattativa in materia di giustizia sul binario della precarietà e dell'incertezza.

Ritorna il rischio di proiettare nuove ombre sul tentativo di evitare una crisi di governo ed elezioni anticipate. Fini si ritrova esposto alle critiche del suo movimento, già irritato per le concessioni al premier; ed il Quirinale viene applaudito dalle opposizioni. Dalla freddezza del centrodestra e dallo scarto berlusconiano si indovina un'irritazione profonda. Si parla di modifiche affidate al Parlamento, accogliendo formalmente le obiezioni presidenziali. Ma la risposta vela un'indiretta accusa di sconfinamento nei confronti di Napolitano.

Proprio ieri il leader dei centristi, Pier Ferdinando Casini, ha evocato un governo politico in caso di caduta di Berlusconi, senza peraltro escludere il voto anticipato. Significa che la stabilità resta in bilico nonostante i tentativi di puntellarla. Nessuno è in grado di prevedere e di controllare l'esito di un'eventuale rottura. Si può solo registrare l'altalena sfibrante alla quale è sottoposto il governo. Per il momento, ha come unica conseguenza certa il suo ulteriore logoramento. Forse, con la disponibilità a ritirare il Lodo, Berlusconi pensa di arginarlo.

Massimo Franco

23 ottobre 2010

 

 

 

 

Palmeri, presidente del consiglio comunale di Milano: "Lascio il Pdl per Fli"

Fini: "Tassare le rendite finanziarie

per garantire la riforma Gelmini"

Il presidente della Camera: "Berlusconi dica cosa vuole fare ora. Un altro esecutivo non sarebbe colpo di Stato"

Palmeri, presidente del consiglio comunale di Milano: "Lascio il Pdl per Fli"

Fini: "Tassare le rendite finanziarie

per garantire la riforma Gelmini"

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Gianfranco Fini (Lapresse)

Gianfranco Fini (Lapresse)

ASOLO (Treviso) - "Il partito carismatico è il miglior strumento per vincere le elezioni, ma il peggiore per governare". Lo ha affermato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenuto a margine di un convegno sulla legalità organizzato dalle fondazioni Farefuturo e Italianieuropei. "Il cosiddetto partito carismatico forse non è "cosiddetto", essendo basato su un rapporto diretto tra il leader e il popolo, essendo spesso senza intermediari, senza un dibattito interno e una democrazia". Secondo Fini, "visto che siamo in una fase in cui c'è un deficit di politica e un eccesso di propaganda, esiste una prevalenza di "presentismo", di tatticismo". Secondo il presidente della Camera "questo forse spiega perché chi ha il senso della politica ragiona con pacatezza e visione strategica, mentre chi mette l'accento esclusivamente sulla propaganda ha un approccio diverso. La nostra società oggi viene informata dalla propaganda e non più animata dalla politica".

IL DIBATTITO - Fini è poi intervenuto a un dibattito con Massimo D'Alema nell’ambito del workshop sulla legalità "Dialoghi asolani". Il presidente della Camera si augura "che Berlusconi si ricordi che ha il diritto e il dovere di governare e, più che dire cosa farà quando si tornerà a votare, dica cosa vuol fare adesso". "Solo nel corso del tempo - ha aggiunto Fini - potremo vedere se la legislatura va avanti, se si interromperà bruscamente o ci sarà altro". Secondo il presidente della Camera tutto dipenderà, in particolare, dalla riforma della giustizia, dal pacchetto per il Sud e da come verrà applicato il federalismo fiscale. Fini, su quest’ultimo punto, ha voluto tranquillizzare D’Alema sul fatto che la riforma non mette in dubbio "la coesione nazionale" "Se il governo non cambia passo e cade - ha poi aggiunto - si apre una fase nuova". "Solo chi non conosce la Costituzione - ha quindi ribadito - può dire che non è lecito dar vita a un altro governo nel corso della legislatura. La possibilità di avere un altro governo all'interno della legislatura è già successa in passato, e nessuno ha parlato di colpo di Stato".

TASSARE RENDITE - Intervenendo sui temi fiscali, Fini ha lanciato la proposta di "alzare dal 12,5 alla media europea che è del 24-25% la tassazione sulle rendite finanziarie per garantire che la riforma Gelmini parta con la benzina nel motore. Vedremo come si comporta il Parlamento. Tassare le rendite finanziarie non è né di destra né di sinistra".

PALMERI - Intanto Manfredi Palmeri, presidente del consiglio comunale di Milano, ha lasciato il Pdl e ha ufficializzato il suo approdo alla formazione finiana di Futuro e libertà. "Lascio il Pdl e ne ho parlato anche con Berlusconi". Palmeri ha confermato la sua fedeltà al centrodestra e al suo ruolo istituzionale, anche se il Pdl ha chiesto le dimissioni dalla sua carica. "Questa decisione è in piena coerenza con il mio percorso politico e professionale. Dal punto di vista istituzionale non cambierà nulla: continuerò a dirigere l'aula con la massima correttezza. Ne ho già parlato con il sindaco Moratti".

Redazione online

23 ottobre 2010

 

2010-10-22

Intervista del premier sul Frankfurter Allgemeine Zeitung

Berlusconi: "Lodo Alfano?

Mai chiesto, ma esiste in molti Paesi"

"Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela". "Se si torna a votare mi ricandiderò comunque"

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Intervista del premier sul Frankfurter Allgemeine Zeitung

Berlusconi: "Lodo Alfano?

Mai chiesto, ma esiste in molti Paesi"

"Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela". "Se si torna a votare mi ricandiderò comunque"

(Ansa)

(Ansa)

Silvio Berlusconi a ruota libera sul Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il premier nell'intervista (testo integrale, in tedesco) tocca vari temi, ma quello della giustizia resta al centro, anche quando parla con giornalisti stranieri: "Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela. Il mio partito ha presentato un disegno di legge in base al quale durante il mandato vengono sospesi i processi contro il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio; anche i termini di prescrizione vengono sospesi durante il mandato. Una legge del genere esiste in molti Paesi. Così il premier Silvio Berlusconi, in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, interviene sul Lodo Alfano secondo il testo integrale del colloquio diffuso.

MI RICANDIDERO' COMUNQUE - "Mi candiderò comunque - ha aggiunto Berlusconi nell'intervista -. In caso di elezioni, vedremo se il programma del partito di Fini sarà tale da consentire di renderlo parte integrante della coalizione. Intanto, però, l'Italia continua a essere un Paese con una guida politica stabile e un esecutivo forte che poggia sul consenso della grande maggioranza degli italiani". "Dopo il 2008, il mio partito ha prevalso in tutte le elezioni. Mi sono presentato pochi giorni fa alle Camere con un programma per i prossimi tre anni, sul quale ho ottenuto la fiducia. Suppongo - aggiunge Berlusconi - che il partito di Fini continuerà a sostenere il Governo".

"NON CREDO AL NUOVO CENTRO" - Non immagina un "nuovo centro in grado di formare un Governo", il premier Silvio Berlusconi. Col Frankfurter Allgemeine Zeitung cita i sondaggi, per avvalorare la sua tesi. "Secondo i dati - spiega - un'alleanza elettorale di tutti i partiti del centro otterrebbe soltanto tra il dieci e il dodici per cento dei voti. Negli ultimi anni, sotto la mia guida, l'Italia ha fatto un passo importante verso il "bipolarismo", verso una democrazia con governi che si alternano. Non credo che sia facile abbandonare così facilmente questo schema". "Attualmente non riesco a immaginare che un tale "centro" possa essere in grado di formare un Governo.

22 ottobre 2010

 

 

 

ottimista il ministro alfano: "mi pare che con fli la strada principale sia spianata"

Giustizia, i finiani fissano i paletti

"Ecco i nostri tre "no" alla riforma"

Giulia Bongiorno: perplessità su Csm, nuovi poteri al Guardasigilli e collocazione della Polizia giudiziaria

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Giulia Bongiorno (Ansa)

Giulia Bongiorno (Ansa)

MILANO - Sulla riforma della giustizia Futuro e Libertà fissa i paletti. I finiani, per bocca di Giulia Bongiorno, aprono infatti alla separazione delle carriere e del Csm ma fanno sapere, al termine del vertice dei capigruppo e dei coordinatori con il presidente della Camera, di non condividere tre punti della bozza proposta dal Pdl. Tre i "no" di Fli: alle nuove funzioni alla composizione a maggioranza laica del Csm, ai nuovi poteri conferiti al ministro della Giustizia e alla nuova collocazione della polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura. Malgrado lo stop dei finiani, il ministro della Giustizia Angelino Alfano appare comunque ottimista. "Mi pare che la strada principale sia spianata. Occorre ora lavorare sui viali collaterali" ha detto il Guardasigilli. Il primo giudizio dato da Fli sui contenuti delle bozze? "Non male" è il commento del ministro. "L'impianto della riforma è condiviso perchè l'impianto è carriere separate di giudici e pm e due Csm".

"NON POSSIAMO CONDIVIDERE" - "Ho illustrato ai vertici di Futuro e Libertà lo stato attuale della riforma della giustizia, secondo le bozze che ho avuto modo di esaminare fino ad ora. Ovviamente - ha precisato la Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera - si tratta di bozze provvisorie. Alcuni principi erano noti, già enunciati e li riteniamo condivisibili coem la separazione delle carriere e del Csm". "Tuttavia - ha precisato la consulente giuridica di Futuro e Libertà - sono stati introdotti nuovi principi su cui dobbiamo dare un giudizio molto preciso e cioè che non li possiamo condividere. Si tratta in particolare delle nuove funzioni della composizione a maggioranza laica del Csm. Dei nuovi poteri conferiti al ministro della Giustizia. Della nuova collocazione della polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura". La Bongiorno ha sottolineato più volte che "questo giudizio si basa a tutt'oggi su testi provvisori".

21 ottobre 2010

 

 

 

L'emendamento dell'opposizione

Lodo Alfano: lo scudo sarà "ripetibile"

Bocciato l'emendamento dell'opposizione. L' ombrello giuridico scatterà di nuovo se il premier sarà rieletto nella sua carica o sarà eletto presidente della Repubblica

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Il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Imagoeconomica)

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (Imagoeconomica)

ROMA - La commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato uno degli emendamenti dell'opposizione che stabiliva la non reiterabilità della sospensione dei processi per il capo dello Stato o il presidente del Consiglio. Questo vuol dire che l'ombrello costituzionale del Lodo è legato alla carica e scatta di nuovo se il presidente del Consiglio viene rieletto nella sua carica o viene eletto presidente della Repubblica.

GLI ALTRI EMENDAMENTI - Ci sono però altri emendamenti delle opposizioni sulla non reiterabilità della sospensione dei processi che devono essere ancora votati. Sono stati bocciati anche altri emendamenti dell'opposizione che chiedevano una maggioranza qualificata di una Camera per ottenere la sospensione. In questo caso sono stati bocciati i tre emendamenti che definivano il quorum più elevato per deliberare: con maggioranza assoluta, dei tre quinti o dei due terzi. Rimane quindi la possibilità per il Parlamento di concedere la sospensione del processo, anche per reati extrafunzionali, al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio con la maggioranza semplice.

PD: I "LAVORI SIANO PUBBLICI" - "La mostruosità giuridica avanza - dice Francesco Pardi dell'Idv -, avanza il salvacondotto per Berlusconi presidente della Repubblica che è un'ignominia incancellabile che sporcherà la Repubblica per i prossimi decenni. Anche il Pd è arrabbiato: non è possibile cambiare la Carta costituzionale a porte chiuse e di notte, senza neppure lo straccio di un resoconto stenografico. Il riferimento è ai lavori della commissione Affari costituzionali del Senato alle prese con il lodo Alfano, anche con sedute notturne a partire da martedì prossimo. "Chiediamo che i lavori siano pubblici - dicono Francesco Sanna e Stefano Ceccanti (Pd) - perché noi usiamo argomenti sensati, la maggioranza si limita, invece, a tacere e votare". La capogruppo dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, chiese con una lettera a Schifani del 30 giugno scorso che "stampa e pubblico" fossero ammessi "a seguire il prosieguo dei lavori" della commissione Affari costituzionali sul lodo Alfano. "All'importanza politica e al rilievo istituzionale del tema in discussione - sostenne Finocchiaro - non corrisponde il regime di pubblicità dei lavori in commissione". Il presidente del Senato, Renato Schifani, rispose con una lettera dell'1 luglio: "In sede referente l'articolo 33 del Regolamento non sembra consentire forme di pubblicità diverse dalla resocontazione sommaria. Conforme è la prassi applicativa".

Redazione online

21 ottobre 2010

2010-10-21

"Testo sottoposto a tutte le forze politiche per accordo finale"

"Completata la riforma della Giustizia"

Berlusconi: sarà presentata la prossima settimana al consiglio dei ministri. "Intervenire sulle intercettazioni"

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Il premier Silvio Berlusconi e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Imagoeconomica)

Il premier Silvio Berlusconi e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Imagoeconomica)

ROMA - La riforma della giustizia "è praticamente già completata con un suo articolato" e sarà presentata al Consiglio dei ministri la settimana prossima. "È stata sottoposta a tutte le forze politiche presenti in Parlamento per trovare un accordo definitivo". Lo ha detto il premier, Silvio Berlusconi, aprendo il tavolo con le parti sociali sulla riforma fiscale al Ministero dell'Economia.

L'INTERVENTO SULLE INTERCETTAZIONI - Il capo dell'esecutivo ha inoltre ribadito la volontà di intervenire sul fronte delle intercettazioni: "Io vivo con grande difficoltà il fatto che non si possa più telefonare - ha detto -. E' terribile quel paese dove non puoi avere la certezza di non essere intercettato. Un qualcosa a cui dovremo rimediare".

IL NUOVO FISCO - Quanto al nuovo assetto fiscale, Berlusconi ha spiegato che dovrà passare dal complesso al semplice, dal centro alla periferia, dalle persone alle cose. "Il nodo di Gordio fatto dall’intollerabile complessità del sistema - ha commentato - non può essere sciolto ma deve essere tagliato di netto, passando ad un unico codice fiscale, sintesi dei principi generali della nostra fiscalità". Quanto alla complessità delle attuali norme in materia tributaria, Berlusconi ha spiegato: "Mi ricordo una situazione di un mio gruppo accusato di evasione fiscale in un anno in cui avevamo pagato diverse centinaia di milioni di imposte, tutto frutto di una diversa interpretazione delle norme fiscali".

IL CDM SU SICUREZZA E IMMIGRAZIONE - Berlusconi ha inoltre confermato che nel Consiglio dei ministri di questo venerdì il governo affronterà il secondo punto del "patto di legislatura", quello relativo a sicurezza e immigrazione e che fa seguito al primo dedicato al federalismo. In particolare, ha spiegato il capo dell'esecutivo, "sull’immigrazione stiamo lavorando molto bene con l’Europa per far sì che non ci si debba assumere noi il carico dei rapporti con gli Stati transfrontalieri ma sia l’Europa a interessarsi del problema e a intervenire per una soluzione definitiva di questo problema".

Redazione online

20 ottobre 2010

 

 

 

Il ministro della Giustizia: "L'obiettivo è rendere più giusto il processo italiano"

Alfano: "Stiamo lavorando

a una riforma della Costituzione"

"Va scritta con la dovuta ponderatezza, e noi crediamo di poter portare a compimento un buon lavoro"

Il ministro della Giustizia: "L'obiettivo è rendere più giusto il processo italiano"

Alfano: "Stiamo lavorando

a una riforma della Costituzione"

"Va scritta con la dovuta ponderatezza, e noi crediamo di poter portare a compimento un buon lavoro"

Alfano con Berlusconi (Ansa)

Alfano con Berlusconi (Ansa)

CATANIA - Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano è tornato a parlare di riforma della giustizia e di Costituzione: "Stiamo lavorando a una riforma della Costituzione, che va scritta con la dovuta ponderatezza, e noi crediamo di poter portare a compimento un buon lavoro che abbia come scopo quello di rendere più giusto il processo italiano, più funzionante la giustizia, più garantiti i cittadini, autonomi e indipendenti i magistrati giudicanti e inquirenti". Il ministro ne ha parlato a margine dell'assemblea dell'Upi a Catania, parlando del Lodo costituzionale che porta il suo nome.

"NESSUNA RITORSIONE CONTRO I MAGISTRATI" - Il ministro poi ha precisato che "la nostra riforma non avrà nessuna istanza di ritorsione nei confronti della magistratura, come la sinistra pregiudizialmente afferma. Ribadiremo e rafforzeremo l'autonomia e l'indipendenza della magistratura in un quadro di maggiore efficienza del sistema ed effettiva parità fra accusa e difesa e in un contesto in cui a un organo più indipendente e meno corporativo non legato ai giochi di corrente interne alla magistratura, potrà essere esercitata anche la giustizia disciplinare". Alla domanda se il governo possa cadere su questo tema, Alfano ha risposto: "non è in programma che il governo cada su questo, ne sono certo".

"POSIZIONE COERENTE DI FUTURO E LIBERTA'" - Il ministro ha poi avuto parole di elogio per i finiani per la posizione tenuta sul lodo: "Non è una novità, Futuro e libertà ha tenuto una posizione coerente con ciò che aveva sempre detto: la tutela della serenità dello svolgimento delle funzioni di alcune alte cariche che è un valore riconosciuto anche dalla Corte costituzionale e in questo senso riteniamo di avere seguito la strada che il Parlamento aveva tracciato, cioè la legge che aveva e ha un valore transitorio, il cosiddetto legittimo impedimento, nelle more della quale si potrà approvare una legge costituzionale che affermi un principio che è presente in tanti altri ordinamenti stranieri".

20 ottobre 2010

 

 

 

E Granata: un errore negare l'autorizzazione a procedere per Lunardi

Lodo, sul web i malumori della base Fli

Dubbi e perplessità dei simpatizzanti finiani che inondano di commenti i siti di Farefuturo e Generazione Italia

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Il sito di Fare Futuro con l'editoriale in difesa del Lodo Alfano

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ROMA - Ai militanti finiani non è andato giù il voto di martedì sul Lodo Alfano "retroattivo" e ancor di più il voto che, sempre nella stessa giornata alla Camera, ha negato l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro Lunardi, 'salvatò anche con i voti dei finiani. Su Facebook centinaia di messaggi, ma c'è da registrare anche l'assalto ai siti di Farefuturo e di Generazione Italia. Le proteste iniziate ieri sera subito dopo il doppio voto e proseguite anche oggi. Molti i dubbi dei lettori: "Ma dove è finita la legalità?", "Valeva la pena farsi massacrare per due mesi sulla casa di Montecarlo?".

FAREFUTURO - Commenti che hanno indotto lo stesso direttore di Farefuturo ad intervenire direttamente con un editoriale: "Il berlusconismo non può finire per via giudiziaria - argomenta Rossi -. Considero il lodo Alfano un atto doveroso (e faticoso)", "di realismo politico, di responsabilità". "Perchè qualsiasi rifondazione", spiega ancora Rossi, "del sistema politico italiano non può passare per un virtuale ma pericolosissimo "piazzale Loreto"". Il direttore di Farefuturo riporta poi alcuni dei commenti più duri per farsi, spiega, "portavoce di chi ci segue", ma le critiche non si fermano. "La legge non può finire per via berlusconiana", è il j'accuse di Giacomo. Incredulo Piero: "Ma stai scherzando??? E l'articolo 3 della Costituzione??? Lo sospendiamo "senza enfasi"?".

GENERAZIONE ITALIA - Stessa musica anche su Generazione Italia, che sceglie di riproporre un passaggio fondamentale del discorso di Gianfranco Fini a Mirabello: "Care amiche e cari amici di Mirabello - aveva detto Fini -. Nessuno è contrario al lodo Alfano o al legittimo impedimento. Siamo convintissimi che occorra risolvere la questione relativa al diritto che Berlusconi ha di governare senza che vi sia l'interferenza di segmenti iperpoliticizzati della magistratura che vogliono metterlo in fuorigioco". "Amici - commenta il responsabile Gianmario Mariniello - sul Lodo Alfano ci eravamo sempre detti favorevoli... E su Lunardi la partita è solo stata rinviata in attesa che in Aula arrivino tutte le carte dal Tribunale...". Ma Luca non è convinto e scrive a Giuseppe sul sito: "No, io e te siamo allineati sulla questione. Il lodo ci fa schifo, speriamo che non lo si approvi al quarto turno, intanto cerchiamo di lavorare e di non far fare altre porcate ben peggiori a B". E Gianni, alle 15,22, ammonisce: "Calma ragazzi, il fatto che è retroattivo e per reati al di fuori delle funzioni lo rende palesemente anticostituzionale, verrà bocciato, pensate che Fini non lo sappia...?".

L'AUTOCRITICA DI GRANATA - "Sulla legalità e la giustizia - ribadisce Granata all'indomani del discusso voto - si gioca la partita decisiva, e il perimetro della nostra identità in questi mesi è stato costruito soprattutto su questi temi". E allora, per Granata "bisogna avere l'onestà intellettuale di riconoscere che il voto al Senato sul lodo Alfano e quello su Lunardi alla Camera ha creato un combinato disposto che ha disorientato l'opinione pubblica e gran parte dei nostri quadri e militanti". "Mentre sul lodo, fin da Mirabello la posizione di Fini è stata favorevole - ricorda Granata - il voto su Lunardi, pur motivato come semplice richiesta di nuovi atti, è stato un grave errore politico. Auspico l'impegno pubblico e solenne, al ritorno degli atti in aula, a votare compatti a favore dell'autorizzazione a procedere contro il Ministro per i gravi fatti di corruzione che lo vedono coinvolto", ma, ammonisce l'esponente finiano, "anche sul Lodo è opportuna una franca discussione politica per capirne le conseguenze e se comunque posizioni contrarie come la mia abbiano cittadinanza. Noi - sottolinea - abbiamo suscitato speranze e nuovo entusiasmo verso l'impegno politico e la possibilità di cambiamento: tutto questo ci dà grandi responsabilità verso chi ci sostiene o semplicemente ci guarda con simpatia".

20 ottobre 2010

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2011-08-02

INCHIESTA P4

Camera, voto sulle intercettazioni

Sì a Milanese, Verdini salvato dall'Aula

Montecitorio concede l'autorizzazione per l'ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti coinvolto nell'inchiesta P4 e la nega per il coordinatore Pdl coinvolto nell'inchiesta su G8

Camera, voto sulle intercettazioni Sì a Milanese, Verdini salvato dall'Aula Marco Milanese

ROMA - Via libera della Camera all'autorizzazione all'apertura delle cassette di sicurezza e ai tabulati telefonici del deputato Pdl Marco Milanese. Disco rosso, con ilvoto del centrodestra, per il coordinatore del Pdl Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta per il G8. I pm non potranno utilizzare le conversazioni (una del 26 maggio 2009 e due del 17 giugno 2009), tra il coordinatore del Pdl e l'imprenditore Carlo Fusi.

Milanese. Per l'ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti erano arrivate due richieste dai pm napoletani nell'ambito dell'indagine sulla P4 1per la quale è stato chiesto anche l'arresto del parlamentare. A favore dell'autorizzazione all'uso dei tabulati si sono espressi 538 deputati mentre in 28 si sono opposti. A favore dell'apertura delle cassette, invece, i sì sono stati 545 e i no 23. Milanese, presente in Aula, si difende: "Sono schiacciato dal vento della calunnia, io sono innocente e nessuno di questi fatti è vero e ho un solo modo per dimostrarlo al più presto, di liberami dall'onta che mi sovrasta: che le indagini proseguano e vadano a compimento nel più breve tempo possibile". Semivuoti i banchi del governo, occupati solo dalle ministre Pdl (Carfagna, Prestigiacomo, Meloni) e dai ministri Romani e Rotondi. Milanese, inoltre, rivolge un appello ai deputati, citando per nome il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Se volete essere i miei giudici dovete farlo con conoscenza, chiedete anche voi di indagare su chi mi calunnia con accuse false. Io l'ho già fatto e lo farò in seguito con denunzie formali. Chiedete che si cerchi la verità, pretendete che insieme ai miei tabulati vengano acquisiti anche quelli di coloro che mi accusano di aver fornito loro informazioni riservate". "Questo accertamento - continua Milanese - non è stato fatto. Chiedetevi perché. Bersani, è evidente l'attacco mosso da più parti al sistema dei partiti. Non intervenire per capire cosa c'è dietro questa macchina del fango sarà per tutti noi imperdonabile".

Verdini. Poco dopo la Camera ha respinto, con il voto dei deputati della maggioranza di centrodestra, la richiesta dei magistrati che indagano sugli appalti per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo di poter utilizzare le intercettazioni nei confronti del coordinatore del pdl Denis Verdini. ((301 voti a favore e 278 contrari. "Io sono abbastanza forte e non mi distrugge nessuno - dice Verdini - ma bisogna preoccuparsi del futuro, perché è da tempo che con questo sistema di intercettazioni viene sputtanata troppa gente...".

De Gennaro. "Mi sentivo spiato" aveva detto Giulio Tremonti per motivare la scelta di vivere nell'appartamento romano che condivideva con Milanese. Oggi, però, il direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza, Gianni De Gennaro, nega tutto: "Il ministro spiato? I servizi segreti non hanno informazioni e non ne sanno nulla"

(02 agosto 2011)

 

 

CRONACA

Trentun anni dopo, ancora in piazza

"Continuiamo a cercare la verità"/Foto

Piazza piena nel trentunesimo anniversario della strage del 2 agosto. Dal presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime accuse durissime a Berlusconi e ad Alemanno. Il sindaco Virginio Merola: "Ogni anno siamo qui, a ricordare e a chiedere giustizia"

DI MARCO CONTINI

Trentun anni dopo, ancora in piazza "Continuiamo a cercare la verità"/ Foto

BOLOGNA - Non passa. Non passa il dolore, né la sete di giustizia; non passa il ricordo né la voglia di trasmetterlo ai più giovani. Nonostante il tempo. Trentun anni sono tanti, e sono un numero dispari - di quelli che poco si prestano alle celebrazioni. Ma il piazzale della stazione di Bologna è pieno lo stesso, in strada c'è ancora gente che nel vedere i famigliari delle vittime del 2 agosto scoppia in lacrime, e quando alle 10,25 i tre fischi del treno fermo al binario 1 segnalano l'inizio del minuto di raccoglimento, il silenzio che cala su quell'angolo di città solitamente rumorosissimo è totale.

FOTO Il corteo e la piazza | I ragazzi | In Comune

LA DIRETTA Minuto per minuto

E' il destino di Bologna - l'hanno detto in tanti, dal sindaco di Bari Michele Emiliano, che è venuto qui apposta, a quello di Bologna Virginio Merola -: ricordare e testimoniare, trasmettere la memoria e continuare a battersi perché la verità emerga tutta, per intero, e non solo quella sbocconcellata delle sentenze che hanno individuato gli esecutori ma non i mandanti.

E' il tema dominante, anche quest'anno. Perché sul bisogno di verità continua a pesare quel macigno che è il segreto di Stato, sempre lì a dispetto delle leggi che dovrebbero cancellarlo e delle promesse non mantenute. "Il 9 maggio di quest'anno - accusa Paolo Bolognesi, il presidente dell'Associazione dei famigliari delle vittime - Berlusconi disse solenne: 'Apriamo gli armadi della vergogna'. Invece niente, non un documento è stato trasmesso alla Procura di Bologna. Vuol dire che quelle parole le ha pronunciare solo per apparire sui giornali".

E' durissimo, Bolognesi. Con Berlusconi innanzitutto, per quella frase sul segreto di Stato come per le promesse, anch'esse non mantenute, di dare dare piena attuazione alla legge 206 sui risarcimenti alle vittime. Ma soprattutto, per i suoi continui attacchi alla magistratura, la stessa che tra mille difficoltà e depistaggi ha cercato di scoprire la verità sulla strage: "Non c'è pulpito da cui un esponente della loggia P2 può permettersi di esprimere simili giudizi sui giudici".

Ma non è solo il premier a finire nel mirino di Bolognesi. Nonostante che lì, a un passo da lui, svetti il gonfalone del Comune di Roma, il "padrone di casa" della manifestazione sferra un attacco durissimo al sindaco della capitale, Gianni Alemanno, e a quella rete di amicizie a solidarietà con esponenti dell'estrema destra emersa lo scorso anno dall'inchiesta sulla Parentopoli romana: "Una vicenda squallida, che ha visto una "pattuglia di estremisti neofascisti raccomandati, piazzati da Alemanno nelle municipalizzate".

Meno polemico, ma non meno netto, Virginio Merola. Quello di oggi era il suo primo 2 agosto da sindaco. Con la voce rotta dall'emozione ha ricordato il prezzo pagato dalla città per la conquista e la difesa della libertà: dalla lotta dei partigiani, a cui ha riservato un applauditissimo omaggio, alle vittime delle stragi dell'Italicus, del Rapido 904, di Ustica e del 2 agosto, fino a Marco Biagi, ammazzato dalle Br nel 2002. "Noi cittadini di Bologna abbiamo saputo rispondere in modo attivo e consapevole, chiedendo che la giustizia facesse il suo corso. Per questo siamo sempre in tanti, in questa piazza, per pronunciare quelle due parole: verità e giustizia. Bologna fa ricorso ai giovani, alla cultura, alla capacità di stare insieme nella democrazia. E ogni anno ognuno di noi torna a raccontare dov'era quel giorno. Qui è il senso profondo di questa manifestazione".

Non manca, nelle parole del sindaco, una stoccata al governo, dopo le polemiche delle ultime settimane per la decisione di non inviare alcun esponente dell'esecutivo alla commemorazione: "Si possono anche non avere risposte nuove, ma non si può mancare di rispetto ai famigliari delle vittime e alla città. Si deve avere il coraggio delle proprie responsabilità. E bisogna saper guardare oltre i fischi. Colpisce la mancanza di intelligenza del cuore, che impedisce di vedere come questo giorno sia sentito dai bolognesi".

Assente nel Palazzo, quell'intelligenza del cuore c'era però eccome, in piazza. E dev'essere stata lei a ispirare i versi inediti di Roberto Roversi, letti dal palco da due ragazzini delle scuole di Marzabotto: "I treni partivano, i treni arrivavano / 'al mare' dicevano i treni, 'alla montagna' dicevano i treni. / I treni ridevano cantavano / erano felici i treni"... Finché "Le nubi non erano più bianche, erano rosse di sangue, erano nere di fumo. / Poi il tempo è passato / i morti sono ancora con noi / con noi in partenza col treno

al mare in montagna". Versi bellissimi, scanditi da un coro di bambini che gridava "Mai più", e da una nuovola di palloncini bianchi liberata in aria dal piazzale.

(02 agosto 2011)

 

 

 

 

Il 'SISTEMA SESTO'

Trovati in casa di Penati

undicimila euro in contanti

Il ritrovamento di 66 banconote di grosso taglio durante una perquisizione della Guardia di finanza nell'appartamento dell'ex vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. E tra i testi spunta un ex della Margherita di SANDRO DE RICCARDIS e EMILIO RANDACIO

Trovati in casa di Penati undicimila euro in contanti Filippo Penati

MILANO - Sessantasei banconote in tutto. Diciassette da 500 euro, una da 100 e 48 da 50 euro, per un conto finale di 11 mila euro. Soldi ritrovati in tre distinte stanze dell'appartamento di Filippo Penati, lo scorso 20 luglio, dalla Guardia di finanza. Una cifra liquida considerevole, o un fatto normale per un esponente politico di primo piano? Al momento, l'unica cosa certa è che gli investigatori hanno etichettato il rinvenimento con la burocratica definizione di "perquisizione con esito positivo".

Penati si difende Le ricevute criptate Le mazzette da record

Tutte le banconote sono state fotocopiate e ora compaiono nei documenti allegati all'inchiesta dei pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia, in cui Penati e altre 18 persone, risultano indagati per reati che, a vario titolo, li accusano di corruzione, concussione, turbativa d'asta, finanziamento illecito ai partiti.

Non solo. Nel corridoio dell'appartamento dell'ex vice presidente regionale del Pd, è stata sequestrata una "cartelletta azzurra" dal titolo "Trasporti Sesto" che, annotano i militari, "conteneva la rassegna stampa e i comunicati stampa inerenti la linea 712 Sesto-Cinisello e il contenzioso della Caronte srl". I documenti riguarderebbero, in sostanza, le prime denunce presentate nel giugno del 2010 dal direttore generale della Caronte, Piero Di Caterina, divenuto oggi il principale accusatore proprio di Penati.

È proprio da quelle denunce che Di Caterina adombrava, per la prima volta, il "Sistema Sesto" nell'assegnazione degli appalti pubblici. Nel blitz scattato il 20 luglio, nella casa di Penati sono stati annotati anche operazioni molto più normali. I militari hanno annotato come nel garage dell'esponente del Pd, fossero parcheggiate una "Bmw serie 5", intestata a una società finanziaria di San Donato Milanese, e una "moto di grossa cilindrata", di cui risulta proprietario lo stesso Penati.

Durante la perquisizione è stata rinvenuta anche una chiave di una cassetta di sicurezza di una banca milanese. I finanzieri, dopo aver ottenuto il via libera dal pm Mapelli, si sono recati nella filiale, ma il controllo "ha dato esito negativo". Non vi era, insomma, nulla di sospetto.

Tra le carte sequestrate dieci giorni nello studio di un altro indagato, l'architetto Renato Sarno, è spuntato anche un file intitolato "Documento finanziamento sig. Penati". Tra le altre carte anche cartelline colorate e denominate "287 Penati Rev.1 Rev.2", "287 Penati Di Martino Rev.1 aggiornamento Asl", "287 Penati Di Martino". Sarno, professionista molto quotato, sarebbe stato tra i finanziatori della campagna elettorale di Penati nel 2009.

Vanno intanto avanti le verifiche della Gdf alle dichiarazioni dei due "pentiti" dell'inchiesta che ha travolto il Pd di Sesto San Giovanni. Tra i testimoni convocati nella caserma milanese di via Filzi, ci sono diversi imprenditori che hanno ricostruito il clima in cui, nell'ex Stalingrado d'Italia, venivano assegnati appalti comunali. Tra i più ascoltati, come anticipato ieri dal Tg3, c'è anche Diego Botti, ex esponente locale della Margherita, imparentato con l'altro imprenditore diventato accusatore, Giuseppe Pasini. Il contenuto dei suoi verbali, al momento, è oscuro e non è ancora possibile sapere quanto le sue versioni mettano ulteriormente nei guai gli indagati.

(02 agosto 2011)

 

 

 

 

2011-07-30

LO SCONTRO

Il contrattacco della Finanza

"Da sette anni Tremonti non dorme da noi"

Nel 2004 il ministro dormiva nella foresteria della caserma di via Sicilia a Roma. La rottura nel dicembre del 2010 avviene su Milanese

di CARLO BONINI

Il contrattacco della Finanza "Da sette anni Tremonti non dorme da noi" Il Capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi

ROMA - Sostiene il ministro dell'Economia Giulio Tremonti di essere stato "pedinato" e "spiato" nel suo lavoro. E, a un certo punto, di non essersi più sentito tranquillo nemmeno durante i suoi lunghi anni da ospite di una caserma della Guardia di Finanza. La situazione era così pesante, denuncia il ministro, che l'ultima cosa che aveva voglia di fare "era di tornare a dormire in una caserma". E per questo di aver accettato nel febbraio del 2009, l'offerta dell'onorevole Milanese per l'appartamento di via di Campo Marzio. Adesso la Finanza contrattacca e dà la sua versione. Secondo fonti del Corpo, il ministro Tremonti non avrebbe più dormito in un letto di una caserma delle Fiamme gialle dal giugno-luglio del 2004. Sette anni fa. La Guardia di Finanza che doveva proteggere la sua sicurezza e la sua privacy ha violato l'una e l'altra? E quando? In che circostanza?

Il ministro non dorme in caserma da sette anni. Per quanto la Guardia di Finanza è in grado di documentare, "l'ultima volta che Giulio Tremonti fu ospite con cadenza regolare di una struttura del Corpo fu quando, nei primi mesi dell'estate del 2004, alloggiava in una delle foresterie al secondo piano della caserma di via Sicilia". Nemmeno un chilometro in linea d'aria dagli uffici del ministero, in via XX Settembre. Da allora, la sua scorta di finanzieri, nei giorni in cui il ministro si tratteneva a Roma, lo accompagnava altrove. Alberghi, o residenze private. "Naturalmente - spiega una fonte qualificata del Corpo - tenendone traccia, come è normale e come la legge prevede per qualunque personalità sia sottoposta a un massimo livello di vigilanza come un ministro". Dunque, se si sta a quanto la Finanza sostiene di poter documentare, Tremonti, nel febbraio del 2009, quando accetta la proposta di Milanese, si è già liberato da molto tempo degli occhi e delle orecchie da caserma. E la scelta di un appartamento privato, sembra dunque legata al desiderio di una privacy assoluta che, evidentemente, neppure un albergo può garantire.

I due verbali ai pm Napoletani. Il 16 dicembre del 2010, Giulio Tremonti rende un primo interrogatorio alla magistratura napoletana. Due giorni prima, "Repubblica" ha dato conto che il suo consigliere politico Marco Milanese è indagato. Tremonti dunque è conscio di quanto sta accadendo e avrebbe l'occasione per riferire il sospetto sulla Guardia di Finanza che lo tormenta. Ma non ne fa cenno. Neppure indirettamente. La chiacchierata è sbrigativa. Gira intorno ad orologi di pregio che Milanese avrebbe acquistato a scrocco per farne dono al ministro. Passano sei mesi. Il 17 giugno, Tremonti siede nuovamente di fronte ai pm napoletani Woodcock e Curcio. Appena quattro giorni prima, il 13 giugno, Marco Milanese, nel suo ultimo interrogatorio, nel raccontare la guerra per bande che avvelena lo Stato Maggiore della Finanza, ha genericamente riferito che "il ministro aveva la percezione di essere seguito". Ma anche stavolta, Tremonti di pedinamenti e caserme non parla. Soltanto quando viene sollecitato con l'ascolto di un'intercettazione telefonica tra il capo di stato maggiore Michele Adinolfi e il presidente del Consiglio, decide di aprire uno squarcio su quanto accade negli uffici dello Stato Maggiore in viale XXI aprile. "Gli ufficiali, nella prospettiva di diventare comandanti generali hanno preso a coltivare relazioni esterne al Corpo, che non trovo opportune. C'è il rischio di competizione. (...) Ho suggerito al Comandante Generale di dare alcune direttive nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Gli ho detto: "Meno salotti, meno palazzi, più caserma". I pm insistono. E Tremonti, allora, evoca l'esistenza di "cordate" nel corpo. E una, almeno, decide di "battezzarla" con il nome del suo capobastone, il generale Michele Adinolfi, intimo di Gianni Letta e del presidente del Consiglio. Nessun accenno a pedinamenti, a spionaggio ai suoi danni. Anzi, a Woodcock e Curcio, il ministro decide di offrire un'interpretazione morbida di quanto ha appena detto. "Ribadisco che non ho mai detto a Berlusconi che lui mi voleva far fuori attraverso la Guardia di Finanza".

Il grande gelo con il generale Di Paolo. 16 dicembre 2010, 17 giugno e 28 luglio 2011. I ricordi di Tremonti si "drammatizzano" in assoluta coincidenza temporale con l'aggravarsi della posizione processuale e politica di Marco Milanese, con l'impossibilità di togliersi d'impaccio dalla vicenda di via di Campo Marzio con una scrollata di spalle, o rapide scuse. Soprattutto, dai ricordi del ministro viene cancellata una circostanza di cui, in queste ore, si raccoglie conferma da fonti qualificate del Comando Generale. La "rottura" tra il ministro e lo Stato maggiore della Guardia di Finanza ha una data: dicembre 2010. Un mese cruciale, perché è quello che precipita Milanese nell'abisso dell'inchiesta per corruzione del pm Vincenzo Piscitelli. Raccontano oggi della "furia di Tremonti in quei giorni". Dei modi bruschi che riservò al comandante generale Nino Di Paolo, nella certezza che quell'indagine fosse figlia della macchinazione di Michele Adinolfi, allora capo di Stato Maggiore.

La rottura della pace tra le due cordate. La "pace" tra le cordate di viale XXI Aprile si rompe allora, nel dicembre del 2010. Anche perché, come il ministro riferirà solo il 17 giugno di quest'anno ai pm, le cordate, appunto, sono due. E quella che lui non ha nominato a verbale fa capo proprio a Marco Milanese, nella persona del generale di corpo d'armata Emilio Spaziante, creatura di Nicolò Pollari, suo facente funzioni, già fedele alleato di Speciale nell'agguato a Padoa-Schioppa e Visco, nel loro breve intervallo all'Economia. Come Adinolfi, Spaziante lavora per diventare comandante generale della Guardia di Finanza nel giugno del 2012. E come Adinolfi, con il suo accordo e la benedizione di Milanese, ha convenuto nel giugno del 2010 che il primo Comandante generale proveniente dai ranghi del Corpo debba essere Di Paolo, perché "ufficiale più anziano" e più prossimo alla pensione. I guai di Milanese costringono i due generali a prendere le armi l'uno contro l'altro. E Spaziante, a verbale con i pm napoletani, carica Adinolfi anche di una seconda accusa per fuga di notizie. Quella sugli accertamenti fiscali a Mediolanum.

La guerra non è finita allora. Non finirà domani. Ma agli occhi degli Stati Maggiori, da oggi, il ministro Tremonti, a dispetto della telefonata fatta ieri al generale Di Paolo, non ne è più uno spettatore. Ma un protagonista.

(30 luglio 2011)

 

 

 

IL DOSSIER

Da Unipol-Bnl alla strage di Viareggio

le cause a rischio per i testimoni "infiniti"

La protesta del segretario di Md, Morosini: "Sarà un colpo mortale alla giustizia italiana". La norma concepita per salvare il premier avrà conseguenze su una moltitudine di altri processi

di LIANA MILELLA

Da Unipol-Bnl alla strage di Viareggio le cause a rischio per i testimoni "infiniti"

ROMA - Per un Berlusconi libero dai processi, che di dibattimenti in primo grado, perché solo a quelli si applica la nuova legge, ne vadano pure in malore a migliaia. Nomi? I più famosi, in questo momento, nelle aule giudiziarie italiane. Eccoli. A Milano la famosa scalata Unipol alla Bnl. Quella dei furbetti del quartierino. Ma pure i meno noti, ma assai gravi crac Burani e Cit. Clamoroso a Torino: potrebbero tornare i 9.841 testimoni chiesti dai difensori per i morti dei veleni della Eternit. I giudici ne hanno concessi due a persona, ma adesso tutto potrebbe riaprirsi. A Viareggio. Ancora di scena il dibattimento per la strage del treno deragliato in stazione. Stimano i pm che i 38 indagati delle Ferrovie potrebbero pretendere di sentire decine di testimoni a testa. E a Roma? Potrebbe andare in crisi il processo Cucchi, il detenuto morto per le percosse ricevute, perché gli avvocati sarebbero legittimati a presentare una lista testi in cui figurano tutti coloro che si trovavano nel penitenziario e in questura e in ospedale in quei drammatici momenti. A Palermo sarebbe la fine dei processi di mafia. Un esempio? Franco Mineo, deputato regionale del transfuga Pdl Micciché, indagato per essere un prestanome dei boss dell'Acquasanta, potrebbe far chiedere dai suoi avvocati una sfilza di testi che comprende l'intero quartiere dove ha vissuto. E a Bari rischierebbero l'impasse inchieste ormai in aula o prossime ad esserlo come quelle sul ministro Raffaele Fitto e sul re della sanità pugliese Giampaolo Tarantini. Idem a Bologna per la bancarotta fraudolenta della società Victoria 2000 che controllava la squadra di calcio o per le morti all'ospedale Sant'Orsola.

Potrebbero essere davvero "devastanti", come da due giorni vanno dicendo disperati i vertici dell'Anm Luca Palamara e Giuseppe Cascini, gli effetti concreti della legge sul "processo lungo". Com'è sempre avvenuto nelle leggi cucite addosso a Berlusconi, ritagliate dai suoi casi giudiziari, praticamente scritte sopra con l'antica carta carbone, i guai cominciano quando si applica la norma a tutto il resto. A tutti gli altri processi in corso in Italia. È accaduto, appena qualche mese fa, con la prescrizione breve per gli incensurati. Si calcolò che potevano finire al macero 15mila dibattimenti. Adesso il drammatico calcolo ricomincia. Ma stavolta, di primo acchito, con gli uffici che sono già o stanno per andare in ferie, l'impressione è che l'impatto, proprio per la natura della norma, potrebbe essere ben più invasivo e devastante.

In queste ore, si stanno facendo le prime valutazioni. Ci ragionano l'Anm, ma anche il Csm. Pronti, a settembre, a dare battaglia con i dati alla mano. L'opposizione già scopre la sua strategia. La dichiara Donatella Ferranti, la capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, che del Csm è stata segretaria generale: "Non è una stima facile, intendiamoci. Ma è del tutto imprescindibile. Ci comincerò a lavorare subito, da lunedì. Ed è chiaro che questo costituirà la base della nostra opposizione. Vogliamo sapere nel dettaglio quanti processi cadranno pur di salvare Berlusconi". "Impatto", magica parola, da cui in questa legislatura si sono tenuti sempre lontano gli strateghi giudiziari del premier. E il governo con l'ex Guardasigilli Alfano. Fanno le leggi, ma non danno i numeri. Perché sanno che sono catastrofi.

Di Berlusconi e dei suoi processi s'è detto. "Morte" certa per Mills, "morituro" Mediaset, in zona salvezza Mediatrade, senza rischi Rubuy. Questa previsione la ammette pure Niccolò Ghedini, l'avvocato del Cavaliere, che parla del "processo lungo" come di "una norma di civiltà giuridica" e di "semplice traduzione dell'articolo 111 della Costituzione". Abbiamo visto che effetti produce in giro per l'Italia questa norma. Un primo sondaggio attraverso gli uffici rivela una prossima e sicura catastrofe. Un "colpo mortale per la giustizia italiana", come dice il segretario di Md Piergiorgio Morosini. Quello per cui un omicidio come quello del tifoso laziale Gabriele Sandri sull'autostrada giustificherebbe la convocazione di centinaia di automobilisti in veste di testimoni.

(30 luglio 2011)

 

 

 

2011-07-29

GIUSTIZIA

Processo lungo, via libera con fiducia

Csm: "Così andiamo contro l'Europa"

Al Senato passa il ddl che permette di allungare i testi a difesa. Il governo ottiene la 48esima fiducia. Pd, Udc e Idv protestano. Famiglia Cristiana: La mafia ringrazia". Anm: "In pericolo la sicurezza di tutti". Il Guardasigilli Palma: "Nessun effetto deflagrante"

Processo lungo, via libera con fiducia Csm: "Così andiamo contro l'Europa"

ROMA - Senza sorprese. Il Senato vota la fiducia (per la 48esima volta) sul ddl del "processo lungo 1". Con 160 voti a favore, 139 voti contrari e nessun astenuto, palazzo Madama concede il via libera ad un provvedimento che l'opposizione definisce l'ennesima legge ad personam per il presidente del consiglio. Norme che, sempre secondo l'opposizione, i suoi legali potranno utilizzare nel processo Mills e in quello Ruby. Il provvedimento adesso torna alla Camera. Tra le proteste dell'opposizione, del Csm e dell'Associazione dei magistrati.

L'articolo unico di 9 commi, contiene alcune novità. Si conferma la possibilità per la difesa di presentare lunghe liste di testimoni e di non considerare più come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato in un altro procedimento, anche se, in quest'ultimo caso, le modifiche del governo precisano che da questa norma sono esclusi, ad esempio, i reati di mafia e terrorismo.

Altra modifica introdotta dal governo corregge la possibilità per un imputato di interrogare nel corso del dibattimento un testimone che rende dichiarazioni a suo carico. Qui si specifica che l'imputato potrà sì farlo, ma "a mezzo del suo difensore". Resta la norma per cui le norme del ddl si possono applicare ai processi in corso e in cui non vi sia stata ancora la sentenza di primo grado.

Confermata la parte in cui si stabilisce che quando deve essere 'irrogata la pena dell'ergastolo non si fa luogo alla diminuzione della penà prevista nell'articolo 442 del codice di procedura penale. Il condannato al carcere a vita, quindi, non avrà più la possibilità, avvalendosi del giudizio abbreviato, come avviene oggi, di avere la sostituzione dell'ergastolo con la condanna a 30 anni.

Novità vengono introdotte anche con i commi 8 e 9. Il primo prevede una stretta sui benefici: ad esempio per i condannati all'ergastolo per i reati di strage e per sequestro di persona con la morte del sequestrato, questi potranno usufruire dei benefici dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere. Infine, si precisa che la legge entra in vigore "il giorno dopo la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale".

Dura la reazione dell'opposizione. "Siete espressione di un potere arrogante che protegge il capo assoluto. Volgendo le spalle al popolo italiano dovrete scappare cercando di evitare i meritati e sacrosanti calci nel sedere" dice Luigi Li Gotti dell'Idv. Mentre i senatori dipietristi hanno anche esibito alcuni cartelli con scritto 'Ladri di giustizia'. "Oggi Berlusconi non è in aula. Non c'era nemmeno quando venne approvata la manovra economica a palazzo madama. Alla sua assenza si rispose che il premier era scivolato su una saponetta in bagno. Mi chiedo se stamattina si sia strozzato con il dentrifricio" attacca il presidente dei senatori pd, Anna Finocchiaro.

 

FOTO: LA PROTESTA DELL'IDV 2

Forti le critiche anche dall'Associazione nazionale magistrati. "Processo lungo significa non arrivare mai a sentenza - scrive in una nota il presidente Luca Palamara - questo provvedimento è dettato dall'esigenza di risolvere situazioni particolari e non porta ad alcun miglioramento dell'efficienza del processo". Palamara, inoltre, ha chiesto anche un intervento del neo ministro della giustizia, Francesco Nitto Lalma. Che, ai microfoni de ilfattoquotidiano.it. spiega: "Sul processo lungo c'è stata tanta discussione mediatica e tante inesattezze, ma non avrà nessun effetto deflagrante".

Anche il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, si schiera contro il provvedimento: "Va nella direzione opposta rispetto all'Europa. Ieri il Csm ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il Governo non ha voluto fare lo stesso".

Ed è durissimo il commento di Famiglia Cristiana. "Processo lungo, la mafia ringrazia" è il titolo di un editoriale online in cui il magistrato Adriano Sansa commenta l'approvazione al Senato del provvedimento che secondo il settimanale cattolico "farà danni agli onesti e un favore alla mafia". "A chi giova? A chi vuole tirare in lungo il processo - scrive Famiglia Cristiana -: finalmente la verità. Il processo breve era una menzogna, perchè significa la morte anticipata della procedura. Qui almeno si dice chiaramente l'obiettivo".

(29 luglio 2011)

 

 

DAL SITO INTERNET DE L'ESPRESSO

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/a-cosa-serve-il-processo-lungo/2157371

A cosa serve il processo lungo

di Fabio Chiusi

Il Senato ha approvato la norma che consente alla difesa di portare in aula un numero illimitato di testimoni. Obiettivo: far scattare la prescrizione per B. Ma gli effetti andranno molto oltre. Dieci domande e dieci risposte per capire l'ultimo fronte del Cavaliere

(29 luglio 2011)

Con 160 voti a favore, 139 voti contrari e nessun astenuto, il Senato ha approvato venerdì mattina la fiducia posta dal governo sul cosiddetto "processo lungo". Dopo l'estate il provvedimento passerà all'esame della Camera. Di che cosa si tratta? Ecco dieci domande e dieci risposte per capire che cosa c'è in gioco.

Come e quando è nato il 'processo lungo'?

Il testo del 'processo lungo' è stato concepito come emendamento al disegno di legge 2567 della senatrice della Lega Nord Carolina Lussana sulla 'Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo'. L'emendamento è stato presentato dal capogruppo del Pdl in commissione Giustizia del Senato, Franco Mugnai, ad aprile 2011. Paradossalmente, proprio mentre la Camera discuteva l'approvazione del 'processo breve'.

Che cos'è il 'processo lungo'?

E' una norma che modifica alcuni articoli del codice di procedura penale (190, 238-bis, 438, 442 e 495) per consentire alla difesa di portare in aula un numero illimitato di testimoni oltre all'"acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore".

Il giudice non può opporsi?

No, pena la nullità del processo. Il giudice può non ammettere solamente le prove ritenute "manifestamente non pertinenti" e quelle vietate dalla legge.

C'è dell'altro?

Sì, l'emendamento prevede anche che non si possa considerare più come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato di un altro procedimento.

Perché 'lungo'?

Lo spiega il procuratore Gian Carlo Caselli con una immagine molto efficace: "E' come se un imputato per un reato avvenuto allo stadio chiamasse a testimoniare tutti gli spettatori presenti". Secondo l'Associazione nazionale magistrati, ciò sarebbe possibile perché con la norma sul processo 'lungo' "verrebbe eliminata la possibilità per il giudice di escludere l'ammissione di prove manifestamente superflue o irrilevanti". Così "il difensore dell'imputato potrebbe chiedere e ottenere l'ammissione di un numero indefinito di testimoni sulla medesima circostanza, purché non manifestamente 'non pertinente'".

A quali processi si applica?

A tutti i processi in corso, tranne quelli di cui "sia stata già dichiarata la chiusura del dibattimento di primo grado".

Perché allungare i processi? Il problema non era, al contrario, accorciarli?

Ci sono due risposte a questa domanda. Quella dell'opposizione è che la norma non si curi affatto della salute del sistema giudiziario nel suo complesso, per cui sarebbe dannosa, ma di quella di una persona sola: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In particolare, il 'processo lungo' sarebbe l'ennesimo trucco ad personam per salvare Berlusconi dai processi in cui è imputato. In particolare, quello per la corruzione dell'avvocato David Mills e il processo Ruby, in cui è accusato di prostituzione minorile e concussione. Allungando i tempi del processo, si arriverebbe più facilmente alla prescrizione. A favore di questa posizione, l'opposizione porta altri due argomenti: la straordinaria coincidenza per cui la norma si applichi ai processi che non si siano già conclusi in primo grado, come quelli del Cavaliere; l'accelerazione imposta al provvedimento tramite la decisione di imporre il voto di fiducia al Senato il 29 luglio, in un momento in cui il Paese avrebbe altre priorità.

E la seconda risposta, quella della maggioranza?

La maggioranza replica che, al contrario, la norma sia "una diretta conseguenza del principi che regolano il nostro processo penale". Come argomenta il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia alla Camera, Enrico Costa, "se il giudice, terzo e imparziale, all'inizio del dibattimento non conosce gli atti processuali, come può effettuare un corretto giudizio in ordine alla sua superfluità e rilevanza, o sovrabbondanza delle prove richieste dalle parti?". Nel dubbio meglio ammetterle tutte, è la logica del provvedimento. Quanto alla presunta innaturale accelerazione, secondo Maurizio Gasparri l'iter della legge al contrario sarebbe stato "corretto e trasparente, senza alcun sotterfugio". Semmai, dice il Pdl, la decisione di porvi la fiducia è stata dettata dalla necessità di porre fine all'ostruzionismo dell'opposizione.

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

GIUSTIZIA

Processo lungo, il governo ha fretta

E in Senato pone la fiducia sul ddl

L'annuncio del ministro per i Rapporti col Parlamento Elio Vito scatena le opposizioni. Il voto domani alle 10. Anna Finocchiaro invoca in Senato il neoministro della Giustizia Nitto Palma e denuncia una "maggioranza di irresponsabili". Idv: "Stravolto il testo solo per affossare il processo Mills". L'Anm: "Significa non arrivare mai a sentenza"

Processo lungo, il governo ha fretta E in Senato pone la fiducia sul ddl

ROMA - Il governo ha posto al Senato la questione di fiducia sul ddl del cosidetto "processo lungo". Si tratta del procedimento che consente di allungare a dismisura i testi a difesa. Lo ha annunciato in Aula il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito. la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ha stabilito che la fiducia al ddl si voterà domani mattina intorno alle 10, con la prima chiama dei senatori. Alle 9 cominceranno le dichiarazioni di voto.

Non si fa attendere il commento dell'Associazione nazionale magistrati. "Processo lungo significa non arrivare mai a sentenza - scrive in una nota il presidente Luca Palamara - questo provvedimento è dettato dall'esigenza di risolvere situazioni particolari e non porta ad alcun miglioramento dell'efficienza del processo".

Le opposizioni reagiscono. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, chiede al neoministro della Giustizia Nitto Palma di presentarsi in Aula per spiegare il perché di una simile accelerazione. "Assolutamente ingiustificata - afferma l'esponente dei democratici - non si spiega se non con la necessità di salvare il presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del presidente del Consiglio". Finocchiaro denuncia soprattutto l'infelice tempistica del provvedimento parlando di "maggioranza di irresponsabili", "in una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo".

"Vergogna", afferma il presidente dei democratici Rosy Bindi, puntando il dito contro "un'altra fiducia per approvare l'ennesima norma ad personam" da parte di "un governo sfiduciato dagli italiani, bocciato dalle parti sociali e dai mercati, incapace di affrontare le vere emergenze dell'Italia". "E mentre i giornali del premier - prosegue Bindi - si scatenano contro la casta, si umilia il Parlamento, si aggirano la Costituzione e i richiami del presidente della Repubblica a un corretto rapporto tra le istituzioni"

E' un governo "distaccato paurosamente dai problemi veri del Paese", attacca il leader Udc Pier Ferdinando Casini. "Noi chiediamo al governo di occuparsi non dei processi lunghi o brevi, ma di impegnarsi per dare ossigeno vero all'economia italiana con un provvedimento per la crescita". Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l'Italia, nel suo intervento al Senato ricorda l'atteggiamento delle opposizioni sulla manovra economica, sul dl di rifinanziamento delle missioni all'estero, improntato al "senso di responsabilità, al senso delle istituzioni, al sentimento di coesione nazionale". La risposta del governo, denuncia Rutelli, è la fiducia "sull'ennesima leggina ad personam". E di fronte a questo, si chiede il leader di Api, "nessuno dalla maggioranza si alza per dire 'torniamo alle priorità', parliamo della crisi, dello spread tornato a livelli altissimi, delle riforme necessarie al Paese?".

Per l'Italia dei Valori, la senatrice Patrizia Bugnano entra nel merito denunciando come in Commissione sia stato "stravolto il condivisibile testo licenziato dalla Camera". "L'emendamento Mugnai - spiega - stravolge la ratio dell'art. 238-bis del Codice di procedura penale rendendo di fatto illimitata la durata del processo. La norma così modificata, per giunta, si potrà applicare ai processi che, pure iniziati, non si siano ancora conclusi in primo grado. La Corte Costituzionale, nel 2009, ha evidenziato come la tutela delle parti sia già garantita dall'attuale sistema procedurale. Allora, non sarà che l'interesse che si persegue con il ddl sul processo lungo è quello di fornire a un unico imputato lo strumento per affossare il suo processo e sferrare alla giustizia l'ennesimo colpo, forse mortale? Per caso quest'unico cittadino si chiama Silvio Berlusconi e il processo in questione è, magari, quello Mills?".

Antonio Di Pietro chiama in causa direttamente Palma che "nel suo primo giorno da ministro si è reso complice di azioni a tutela della criminalità e non della giustizia". "Queste norme - sottolinea il leader Idv - permettono a Berlusconi di aggiustare i suoi processi e impediscono alla giustizia italiana di funzionare". E richiama l'attenzione anche sul fatto che attraverso il ddl viene colpita la norma varata all'indomani della strage di Capaci con la quale veniva fatta salva l'acquisizione delle sentenze definitive, "di modo che, anche nei processi di mafia, si potrà riaprire all'infinito la lista dei testimoni. Di fronte a tale scelleratezza non resta che la mobilitazione di massa, costi quel che costi".

(28 luglio 2011)

 

 

GOVERNO

Nitto Palma nuovo Guardasigilli

Bernini alle politiche comunitarie

Berlusconi sale al Colle e incontra il capo dello Stato. L'ex ministro della Giustizia Angelino Alfano si dimette e diventa segretario del Pdl a tempo pieno

Nitto Palma nuovo Guardasigilli Bernini alle politiche comunitarie

ROMA - Via libera al rimpasto di governo. Dopo le dimissioni del Guardasigilli Angelino Alfano ("fare il ministro è incompatibile con il ruolo di segretario del Pdl"), Silvio Berlusconi è salito al Quirinale proponendo il nome di Nitto Palma come ministro di Giustizia. Una nomina che ha ottenuto il via libera di Giorgio Napolitano. Stessa sorte per Anna Maria Bernini che è stata nominata ministro per le politiche comunitarie (un ministero senza portafoglio). Resta, però, la freddezza tra il Colle e il Cavaliere. Il colloquio, durato poco meno di mezz'ora, sarebbe all'insegna della massima formalità. E nessun chiarimento sarebbe arrivato da Berlusconi sul tema dello spostamento al Nord di alcuni ministeri. Un argomento su cui il Colle ha espresso "preoccupazione" inviando ieri una lettera al capo del governo. E sembra che da palazzo Chigi non arriverà nessuna risposta scritta anche se il Cavaliere avrebbe rassicurato il Quirinale di voler affrontare la questione domani in Cdm "esortando" i ministri a riflettere sul monito del presidente della Repubblica.

Le reazioni. "Mi auguro che il primo atto del ministro sia quello di fermare l'obbrobriosa legge in discussione in queste ore al Senato, il cosiddetto processo lungo ovvero l'ennesima legge ad personam a favore di Silvio Berlusconi" dichiara il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando. Per il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi con la nomina di Palma "il centrodestra continua a percorrere la solita strada. Con lui o con Alfano non cambia nulla a via Arenula. Una nomina in assoluta coerenza con chi lo ha preceduto".

Schifani. Sempre in tema di nomine e minsteri il presidente del Senato Renato Schifani si schiera con il capo dello Stato perplesso per la scelta di trasferire alcuni uffici di rappresentanza del governo al Nord. "La penso esattamente come il capo dello Stato" dice Schifani - Una cosa è la tenuta dell'esecutivo, attorno al governo che sta a Roma, altra cosa è il decentramento delle sedi di rappresentanza per avvicinare le istituzioni ai cittadini". Schifani sottolinea che "lo spostamento di un ministero in un'altra città costa" sostenendo però che si possono prendere in considerazione, nell'ottica del federalismo, "sedi periferiche al nord, al centro e al sud, perchè bisogna dare il senso di un paese unito".

Schifani interviene anche sul difficile rapporto tra politica e giustizia. Auspicando che "si trovi un punto di mediazione e e di reciproco rispetto" sia tra magistratura e politica sia tra maggioranza e opposizione". Fatto possibile "se se si parla di riforme". In ogni caso, "il rispetto tra i due poteri rende un servizio al paese e alla serenità dei cittadini indagati o imputati". E il principio "sacrosanto" da cui partire è che "tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, anche se parlamentari". Così come "i magistrati facciano il loro lavoro cercando di essere rigorosi come ha detto il capo dello stato". Detto questo, "non mi iscrivo al derby" tra le due fazioni, e "confido nella nostra Costituzione".

(27 luglio 2011)

 

 

DAL SITO INTERNET DE L'ESPRESSO

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/palma-chi-e-il-nuovo-guardasigilli/2157109

Palma, chi è il nuovo guardasigilli

di Adriano Botta

Ex giudice a Roma, divenne grande amico di Previti e tentò di salvarlo dal carcere con una leggina ad personam. A Palazzo Madama difese gli stipendi dei senatori. Ha scritto un romanzo surreale su un uomo che parla con un gatto

(27 luglio 2011)

Francesco Nitto Palma Francesco Nitto PalmaNell'estate di quattro anni fa, quando stava scontando la sua pena tra gli arresti domiciliari e i servizi sociali, Cesare Previti riceveva a casa sua pochi fedelissimi. Tra questi – insieme a Elio Vito, Iole Santelli e Guido Viceconte - spiccava l'ex giudice Francesco Nitto Palma, che era stato pm in quella procura di Roma nota come 'porto delle nebbie' e dove Previti, appunto, coltivava molte utili amicizie.

Ma quando andava a cena nell'attico di piazza Farnese, Palma aveva già da tempo dismesso la toga: entrato in Forza Italia alla sua fondazione, nel 1994 era subito diventato vicecapo di gabinetto e direttore dell'ufficio Relazioni internazionali del ministero di Grazia e giustizia con Alfredo Biondi, al tempo del tentato 'decreto salvaladri'.

La sua nomina era stata una sorta di risarcimento per Previti, a cui doveva andare quel ministero e che invece – come si ricorderà - fu spostato all'ultimo minuto alla Difesa, per intervento di Scalfaro.

Nel 2001 Nitto Palma venne 'promosso' a Montecitorio, ovviamente con Forza Italia, facendosi subito notare per un emendamento che avrebbe imposto la sospensione dei processi per tutti i parlamentari, fino a fine mandato e con effetto retroattivo. In pratica, la piena restaurazione dell'immunità parlamentare, con l'effetto di salvare dai loro processi sia Berlusconi, sia Dell'Utri sia – naturalmente – Cesare Previti.

La leggina non fu mai approvata, ma Palma rimase nel giro giusto, passando nel 2006 dalla Camera al Senato. Questa volta in Lombardia, benché lui sia romanissimo, seppure di origini siciliane.

Nel 2007, a Palazzo Madama, Palma si fece notare per la sua strenua resistenza contro i tagli dello stipendio dei senatori:: "E' un grave errore", disse, "andare incontro alla demagogia dell' antipolitica".

Caduto Prodi, nel 2008, Palma rientrò a Palazzo Madama (da capolista in Calabria, quindi blindatissimo grazie al Porcellum) e divenne sottosegretario agli Interni.

Al Senato attualmente risulta tra i più assenteisti – meno del 15 per cento di presenze – ma dal Viminale è riuscito comunque a farsi notare sia come falco berlusconiano sia per il suo attivismo istituzionale nella lotta alla criminalità.

Francesco Nitto Palma è anche autore di romanzi. Il più noto, 'Fatti onore a papà', racconta la storia di un uomo che parla a lungo con un gatto randagio sull'isola Tiberina, a Roma.

 

 

MERCATI

Tremonti: "Crisi è questione europea"

Su Milanese scherza: "Mi dimetto da inquilino"

Intervento del ministro dell'Economia: "La speculazione è l'innesco, la questione è la fiducia in una moneta unica, basata su un mercato comune, con 17 governi e 17 parlamenti". Sul fondo europeo: "Positivo lo sforzo fatto per istituzionalizzarlo". Caso Milanese: "Mi sono dimesso da inquilino"

Tremonti: "Crisi è questione europea" Su Milanese scherza: "Mi dimetto da inquilino" Giulio Tremonti

ROMA - Crisi, Europa, politica economica e inchieste: è un intervento a tutto campo quello del ministro dell'Economia Giulio Tremonti alla conferenza stampa per la presentazione del fondo strategico della Cassa depositi e prestiti, società per l'acquisizione di partecipazioni in imprese di rilevante interesse nazionale.

La crisi, l'euro e la speculazione. Per il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'attacco speculativo dei mercati "è una questione europea che in questo momento si confronta con il dollaro e tutto va visto nell'insieme. Come Europa abbiamo gestito la Grecia in modo complicato e ci abbiamo messo mesi per coinvolgere il Fondo Monetario".

In ogni caso, "il processo in atto è positivo e lo sforzo fatto nell'istituzionalizzare il Fondo europeo è una cosa giusta ed efficace" dice Tremonti, facendo riferimento al recente accordo europeo sulla Grecia, vertice in cui "è stato ripreso lo spirito del maggio 2010", di solidarietà europea, messo in crisi poi dal summit di Deauville, in autunno, ma poi "il vertice recente ha ripreso lo spirito di maggio". "Ora bisogna potenziare lo strumento e farlo funzionare".

Di certo, per Tremonti "non è solo una questione di speculazione", che "ha certo una funzione di innesco e spinta", ma "c'è una questione di fiducia su una moneta, basata certo sul mercato comune, ma su 17 governi, 17 parlamenti e 17 opinioni pubbliche. Quanto abbiamo visto nell'anno passato è la complessità di mettere insieme soggetti e aggregati diversi".

L'allarme delle parti sociali. "Ci sono due grandezze rilevanti per l'economia: il Pil, che non si fa per legge, e il bilancio dello Stato, che si fa per legge" afferma ancora il ministro dell'Economia, a cui viene chiesto anche un commento sul documento sottoscritto dalle diverse parti sociali 1, imprese banche e sindacati, per chiedere un segnale di "discontinuità" al governo. "È un documento molto importante - dice Tremonti -. Credo che questa iniziativa, la costituzione di un Fondo strategico italiano, può essere inserita in questa visione. Il documento va studiato ma questa iniziativa è parte di quel discorso. Le imprese italiane in parte hanno una dimensione strategica non sufficiente che deve essere fatta crescere. Il Fondo strategico che viene qui presentato fa parte della strategia complessiva di crescita del paese".

Il caso Milanese. Dopo i giorni del silenzio che hanno accompagnato l'autorizzazione della Commissione a procedere nei confronti del suo ex collaboratore Marco Milanese, su cui si deciderà a settembre 2, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti dedica al caso una battuta: "Mi sono dimesso da inquilino", in riferimento alla casa romana che Milanese mise a disposizione di Tremonti.

Fassina (Pd): "Tremonti fa finta di non capire". "Il ministro Tremonti fa finta di non capire che il documento delle parti sociali per la responsabilità e la discontinuità non è una nota di incoraggiamento a fare meglio. Indica chiaramente l'errore della politica dei due tempi: prima il rigore, poi lo sviluppo". Lo afferma Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Partito Democratico. "Le riforme - prosegue - andavano avviate dall'inizio della legislatura. Il governo Berlusconi-Bossi-Tremonti non ha più la credibilità per recuperare, nè con gli italiani, nè con i mercati finanziari internazionali". "Oggi - conclude Fassina - i nostri tassi di interesse sono di nuovo aumentati perché la credibilità del governo si è ulteriormente ridotta. Le dimissioni del governo Berlusconi sono condizione necessaria per rimetterci in carreggiata".

(28 luglio 2011)

 

 

 

 

 

IL CASO

Milanese, sì della Giunta ai magistrati

"Acquisire tabulati e cassette sicurezza"

Sì unanime alla richiesta dei magistrati napoletani. A maggioranza decisa la proroga al 16 settembre dei termini per il parere sull'autorizzazione all'arresto nei confronti del deputato Pdl. Contrari Pd e Idv: "Si poteva decidere entro la settimana"

Milanese, sì della Giunta ai magistrati "Acquisire tabulati e cassette sicurezza" Il deputato Marco Milanese

ROMA - La Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati ha espresso un sì unanime alla richiesta dei magistrati napoletani di acquisire i tabulati telefonici e le cassette di sicurezza di Marco Milanese 1. In questo momento il deputato del Pdl è in Giunta per essere ascoltato sulla vicenda che lo riguarda.

A maggioranza l'organismo parlamentare ha deciso la proroga fino al 16 settembre dei termini per formulare il parere per l'Aula sulla richiesta di autorizzazione all'arresto nei confronti del deputato Pdl. A favore della proroga hanno votato anche l'Udc e il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti.

Contrari invece Pd e Idv, secondo i quali c'era tutto il tempo per esprimersi sulla richiesta di arresto di Milanese entro la pausa estiva. "Ce l'avremmo fatta a lavorare per dare un parere in giunta entro questa settimana in modo da votarlo in aula entro martedì 2 agosto", ha spiegato la capogruppo dei democratici in giunta, Marilena Samperi. Sulla stessa linea l'Idv Federico Palomba: "Eravamo disposti a lavorare tutta la settimana. Prima di chiedere una proroga avremmo dovuto almeno lavorare fino all'ultimo giorno utile". Il dipietrista inoltre ha sottolineato come ieri il capogruppo del Pdl in Giunta, Maurizio Paniz, aveva detto che non avrebbero appoggiato una richiesta di proroga, invece oggi hanno detto sì. E' evidente che hannno problemi interni ma questi

problemi non interessano agli italiani".

La Giunta ha invece detto no, a maggioranza, all'acquisizione delle intercettazioni di Denis Verdini chiamato in causa nell'inchiesta del G8. Verdini, anche ieri, si era espresso a favore dell'acquisizione della documentazione telefonica che lo riguarda.

In un'intervista a Repubblica 2 Milanese ha chiesto di poter fare chiarezza in tempi rapidi: "Non sono un delinquente. Il processo lo voglio al più presto: perché è lì che risulterò innocente", dice il deputato del Pdl. Quanto alle notizie emerse sulla casa divisa con il ministro Giulio Tremonti, Milanese spiega: "Cosa c'entra parlare di soldi in nero? Il ministro era mio ospite e mi pagava una parte dell'affitto in contanti. Poichè è la verità, e non c'è niente di male, io l'ho detto".

(28 luglio 2011)

 

 

L'INCHIESTA

"A Milanese 10mila euro al mese

per pagare la casa di Tremonti"

Le rivelazioni dell'imprenditore Di Lernia nell'indagine Enav. Secondo il teste il ministro sarebbe stato ricattato per la conferma di Guaraglini a Finmeccaninca

"A Milanese 10mila euro al mese per pagare la casa di Tremonti" Marco Milanese e Giulio tremonti

di CARLO BONINI e MARIA ELENA VINCENZI

ROMA - Dal carcere, dove è precipitato con l'accusa di corruzione nell'inchiesta sugli appalti Enav e finanziamento illecito per aver acquistato lo yacht da 24 piedi di Marco Milanese, un uomo racconta a verbale una "verità de relato" capace, se riscontrata, di travolgere il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. L'uomo è Tommaso Di Lernia (nel giro, lo chiamano "er cowboy"). È un ex muratore che si è fatto imprenditore edile e che si trova al crocevia di tre vicende annodate tra loro: Finmeccanica, gli appalti Enav, i rapporti incestuosi tra l'ex consigliere politico del ministro e imprenditori corrotti. Il suo racconto svela tre circostanze. La prima: l'affitto della casa abitata dal ministro in via di Campo Marzio, era pagato non da Marco Milanese ma da un imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio avrebbe ricevuto subappalti in Enav. Lo stesso che quella casa aveva ristrutturato gratuitamente e che è oggi accusato di corruzione per gli appalti ottenuti dalla sua impresa, la "Edilars", con Sogei (società pubblica partecipata al 100 per cento dal Tesoro). La seconda: Tremonti venne ricattato da Lorenzo Cola, uomo del Presidente di Finmeccanica, perché fosse costretto a riconfermare Pierfrancesco Guarguaglini al vertice della holding e la pressione decisiva fu il "dossier" che Cola aveva sulla compravendita della barca di Milanese, sull'affitto della casa, e "sulle sue altre porcate". La terza: Di Lernia

chiese a Milanese una pressione sull'Agenzia delle Entrate perché ammorbidisse la verifica sulla sua società "Print Sistem".

"Ho deciso di parlare"

Il verbale, dunque. È l'11 luglio e alle 13 e 10, nel carcere di Regina Coeli, Di Lernia compare di fronte al gip Anna Maria Fattori per il suo interrogatorio di garanzia. Di Lernia è accusato di corruzione e frode fiscale nell'inchiesta condotta dai pm Paolo Ielo e Giancarlo Capaldo sugli appalti Enav. Nella ricostruzione dell'accusa, la sua società, la "Print sistem" è infatti lo snodo cruciale del Sistema di appalti e corruzione con cui, attraverso un gioco di sovrafatturazioni, la "Selex Sistemi integrati" (Finmeccanica) di Marina Grossi, per la quale Di Lernia lavora in subappalto, è riuscita a creare fondi neri necessari a corrompere il management dell'Ente e i suoi referenti politici. Ma l'11 luglio, Di Lernia ha un nuovo problema. Una seconda ordinanza di custodia cautelare, chiesta e ottenuta dal pm Ielo, lo accusa di aver acquistato nel 2010 lo yacht di Marco Milanese a condizioni capestro che ne svelano le vere ragioni. Convincere l'allora consigliere politico di Tremonti a pilotare la nomina di Fabrizio Testa al vertice di Technosky (società di Enav). È una nuova mazzata che convince Di Lernia a uscire dal suo silenzio. A scrivere e consegnare al magistrato che lo interroga un memoriale (che gli guadagnerà, di lì a qualche giorno, gli arresti domiciliari). "L'indagato - annota il gip - acconsente a rispondere alle domande, consultando degli appunti che vengono sottoscritti e allegati al presente verbale".

"Milanese, Proietti, la casa di Tremonti"

Di Lernia conferma di aver acquistato lo yacht di Milanese. Le ragioni per cui l'operazione si fece: risolvere un problema al consigliere del ministro, piazzare Testa in "Technosky". Ma, spiega, la sua non fu una scelta, ma l'obbedienza dovuta a un uomo cui doveva tutto: Lorenzo Cola, il "facilitatore" di Pierfrancesco Guarguaglini, che, per conto di Finmeccanica, governa appalti e subappalti in Enav. "Cola - dice Di Lernia - non mi volle dire chi era il proprietario della barca. Mi disse solo che l'ordine era arrivato dal Palazzo, intendendo Finmeccanica nella persona del Presidente, e dunque che non mi sarei potuto sottrarre. A Cola non si poteva dire di no, e quindi gli chiesi dove avrei dovuto prendere il milione e mezzo di euro per l'acquisto della barca. Lui mi rispose: "Tirali fuori dagli utili che hai dal lavoro che ti diamo"". Quando Di Lernia scopre che il venditore è Marco Milanese, il nome non gli dice nulla. "Confesso la mia stupidità. Poi, tempo dopo, di Milanese mi parlò Cola. Mi disse che era uno che "capiva poco" e "mangiava tanto". Che era "un problema per Tremonti", una sorta di inconveniente imbarazzante". Di Lernia impara a conoscere Milanese, ma, soprattutto ne afferra un segreto. "Sentii parlare di Milanese da Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav. Mi disse che era stanco delle pressioni di Milanese per Testa a "Technosky", ma mi chiese contestualmente di dare lavoro a un certo Angelo Proietti per i subappalti all'aeroporto di Palermo, un lavoro per il quale Cola aveva già deciso che l'affidamento fosse dato alla "Electron", del gruppo Finmeccanica, e al sottoscritto". Perché far lavorare questo Angelo Proietti e la sua "Edilars" nei subappalti Enav? Di Lernia non se lo spiega. Ne chiede conto a Cola. "Mi disse che di Proietti gli aveva parlato Milanese, descrivendolo con queste parole: "È il tipo che mi dà solo 10 mila euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti". Aggiunse di dire a Pugliesi di stare tranquillo perché lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e comunque aggiunse che, in un immediato futuro, Selex avrebbe dato a Proietti dei lavori a Milano".

Il ricatto a Tremonti. "Un blitz per ricordargli le porcate"

A giugno del 2010, accade dell'altro. "Mi chiamò Cola e mi spiegò di essere dispiaciuto per avermi fatto acquistare la barca. Mi disse: "Quel verme di Milanese sta sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica, invece di Guarguaglini. In più, ho saputo che ha fatto delle estorsioni a delle persone a Napoli. E Tremonti non risponde al telefono a Guarguaglini"". A Di Lernia, Cola confida qualcosa di più, che è pronto a usare anche la storia della "barca" e della casa per vincere la partita su Finmeccanica: "Cola aggiunse che questa storia non la mandava giù e dunque avrebbe organizzato un blitz dal ministro (Tremonti) per mostrargli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri. Che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Tanto è vero che poco tempo dopo, Milanese mi fece sapere per il tramite di Testa che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato. E fu Cola, poi, a dirmi che il blitz era andato a segno".

"Ammorbidire l'accertamento fiscale"

Di Lernia incontra Proietti nell'estate 2010 perché, dopo l'arresto di Cola (8 luglio), è diventato lui il suo "canale" con Milanese. Una prima volta lo incrocia in Enav, nell'ufficio di Pugliesi, che lo convoca per sollecitarlo "a chiudere l'acquisto della barca". Una seconda volta, in piazza del Parlamento, per risolvere un suo "problema". "Portai a Proietti un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate per il 2005. Gli dissi che volevo "una parola buona" con l'Agenzia, di cui temevo l'accanimento. Tre giorni dopo, Proietti mi diede appuntamento in piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva interceduto con Attilio Befera (direttore dell'Agenzia)". Ma, a dire di Di Lernia, in senso opposto. "Mi hanno fatto una multa di 18 milioni di euro. Roba carnevalesca. Milanese deve essere intervenuto al contrario, proprio per dimostrare che non esistevano connessioni".

(28 luglio 2011)

 

 

L'INTERVISTA

Milanese dalla casa di lusso allo yacht

"Ecco quali sono le mie verità"

Parla il deputato che rischia l'arresto: "Ospite non voleva dire gratis: ottomila e cinquecento euro al mese per me da solo erano troppi"

di CONCHITA SANNINO

Milanese dalla casa di lusso allo yacht "Ecco quali sono le mie verità" Milanese durante l'intervista

NAPOLI - Come un Giano bifronte, dondola sul precipizio di due inchieste che, da settimane, scuotono il Parlamento. Compare infatti sotto accusa nell’indagine sulla corruzione del pm Vincenzo Piscitelli, mentre figura come generoso testimone d’accusa nell’inchiesta sulla P4. Eppure Marco Milanese, cinquantun anni, si dice "sereno". "Non sono un delinquente. Il processo lo voglio al più presto: perché è lì che risulterò innocente". Abito blu, cravatta sobria, l’uomo che cambiava Porsche e Ferrari come calzini, passeggia a piedi nei vicoli di Napoli, a ridosso dello studio del suo avvocato Bruno Larosa. "Non ho più auto, basta".

LEGGI/"Pace" Procura-Finanza

Venti giorni dopo la richiesta di arresto a suo carico, risponde a ogni domanda. Sul pasticcio della casa divisa con il ministro Giulio Tremonti. "Cosa c’entra parlare di soldi in nero? Il ministro era mio ospite e mi pagava una parte dell’affitto in contanti. Poiché è la verità, e non c’è niente di male, io l’ho detto". Sul pranzo con il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, inguaiato dalle sue dichiarazioni. "È vero che ero indagato quando l’ho incontrato, ma io sono stato in un angolo, quasi muto, quel giorno. Solo il procuratore e il ministro parlarono. Di cosa? Autori greci e latini. Giuro". Sull’esistenza dei gruppi di potere all’interno della Guardia di Finanza. "Il corpo è sano. Poi ci sono alcuni finanzieri che coltivano relazioni e promuovono carriere, gente che va in giro dicendo "con me o contro di me"". E, ancora, sull’attività di dossieraggio contro Tremonti di cui lo stesso ministro aveva parlato al premier Berlusconi.

Dottor Milanese, il ministro Tremonti è di nuovo nella bufera. Dalla sua memoria difensiva – "il ministro mi pagava mille euro a settimana" – emerge una certezza: almeno in un'occasione, il ministro Tremonti ha mentito alla pubblica opinione. Quando ha detto: "Ero un ospite".

"Ma che c’entra? Ospite non significa necessariamente "a titolo gratuito"".

Le sembra eticamente e politicamente sano che il ministro paghi in contanti, a nero?

"Ma perché "a nero"? Se lui mi avesse fatto un assegno, mica ci avrei pagato un’imposta? In fondo, il ministro riceve lo stipendio in contanti. Non c’è niente di male, ecco perché l’ho detto".

Quale segreto nasconde questa casa?

"Nessuno, anche se ormai so che ora sono il capro espiatorio e che dobbiate costruire storie. Partiamo dal presupposto che io ormai ero separato da mia moglie e stavo a casa della mia compagna. La casa bella, importante, presa in fittto dal Pio Sodalizio, era vuota. Io ospito il ministro e lui mi restituisce una parte; io non potevo più sopportare un’enormità di 8500 euro al mese, ma volevo restare affittuario perché speravo si presentasse la possibilità di acquistare prima o poi, da inquilino, a prezzo superconveniente. Ho giocato una partita: mi va bene e mi ritrovo un affare. Mi va male, amen".

C’è però un’altra contraddizione: lei scrive che Tremonti pagherebbe 4mila euro al mese "dalla metà del 2008 al 2010". E come mai, visto che il contratto per la casa decorre formalmente dal "1 febbraio 2009", e il ministro l'ha occupata stabilmente almeno fino al 7 luglio 2011, la mattina degli arresti e dello scandalo?

"Qui ha ragione, ho sbagliato le date, un semplice lapsus. È dal 2009 al 2011".

L’accusa di corruzione si regge sull’ipotesi di uno scambio tra le nomine da lei dettate nelle società di Stato. Due compravendite - vantaggiose per lei - sotto esame. "Partiamo dalla barca. Ero al mare a Capri. Vedo questo Mochi Craft. "Mamma quant’e bella, è un’aragostiera". Una barca molto molto larga, sembra una damigiana. È di Roberto Russo, il noto imprenditore di Capri. Il quale mi dice che egli ne ha dato in permuta una uguale, e se chiamo il broker faccio un affare. Prendo ‘sta barca, ci scorrazzo un’estate. Poi però, non andava bene per fare le vacanze e ne prendo una più grande...".

Della quale pure si libera, di lì a poco. Andiamo alla sintesi: a trovarle gli acquirenti di questa seconda Mochi Craft è Fabrizio Testa, da lei nominato al vertice di Tecnosky, che la mette in contatto con la società Eurotec, guarda caso in appalti con Tecnosky.

"A parte che Testa non l’ho nominato io, ma veniva segnalato da altre aree romane. Io però gli chiesi: "Siamo sicurti che questa società che dici essere interessata alla barca non ha appalti pubblici?" Dice: no, no, tranquillo. Ma il punto è un altro: non c’è stato alcun prezzo maggiorato. È certo, gli inquirenti hanno fatto confusione con i conti e lo dimosterò".

E la villa di Cannes, a cui si interessano per la compravendita proprio Guido Marchese e Carlo Barbieri, guarda caso beneficiati dalle nomine in vari enti?

"Quella è un’altra fantasia. Ci ho solo perduto in quella partita: dovevo vendere a 1 milione e 650, alla fine vendo a 1 milione e 610mila. E ci rimetto anche la caparra".

Ma Marchese racconta di avere avuto, a titolo di garanzia in attesa che lei restituisse una caoparra, ben 250mila euro in contanti, che imbarazzano tutti. Marchese nasconde la sua parte in una scatola di Adidas.

"Quei soldi non erano miei e sono tornati ai proprietari, che li avevano per lecita provenienza. Erano una garanzia, appunto".

Può spiegare?

"Lo dirò ai magistrati".

Le cordate nella Guardia di Finanza sono state oggetto di molte sue dichiarazioni. Un intreccio perverso nel cuore del corpo.

"Intendiamoci: i pm dell’inchiesta sulla P4 mi chiamano, mi chiedono e io se so, rispondo. Ma non mi piace l’espressione "cordate". Il corpo è sano, ci sono certo gruppi di finanzieri che pensano a fare le loro lobby, le cene, gli incontri".

A proposito di lobby. Sia lei che Tremonti, ascoltati come testimoni, fate riferimento a presunte attività di dossieraggio di cui lo stesso Tremonti è costretto a parlare con il premier Berlusconi. Non pensa che il "pasticcio" della casa e i rapporti di amicizia e complicità col ministro potessero esser strumentalmente usati a tal proposito?

"Non so di cosa si parli. E' bene dire che io e Tremonti ci diamo del lei, e io lo chiamo, da sempre, Professore".

Caso Capaldo. E’ credibile che lei, ufficialmente indagato a Napoli e ufficiosamente anche a Roma, non parli di questo con il procuratore aggiunto?

"Non sapevo nulla dell’inchiesta di Roma. Di Napoli sì, dopo il servizio di Repubblica. Ma a quel tavolo solo il procuratore e il ministro parlarono. Di cosa? Autori greci e latini. Del "fantasma della povertà" nel paese. Io non parlai proprio".

L’avvocato Fischetti dice che fu lei a chiedere l’incontro.

"Fischetti mi disse che Capaldo ne aveva piacere. Pensai che voleva mostrare a Tremonti d’essere versatile, colto...".

Lei è un indagato doubleface. Nella sua memoria adombra il sospetto che la si usi "inconsciamente" per "ottenere da me informazioni". Insomma: per spremere il testimone sul fronte di Bisignani & Papa. Un’affermazione grave. La può motivare?

"È un sospetto. Ma, sia chiaro, la pressione psicologica è mia e le condotte di tutti e tre i pm sono state correttissime. Nessuno ha mai detto "Parla, perché sennò..."".

Non è anche lei ad accreditarsi come teste nell’indagine P4?

"Un momento. Io sono stato chiamato dai pm Woodcock e Curcio. E ho sempre risposto a precise domande, e su precise circostanze. Registro tuttavia che dopo la richiesta di arresto, per 2 volte sono stato convocato per la P4. Anche poche ore fa".

Un nuovo interrogatorio, e lei ha risposto per più di un’ora?

"Ho risposto, com’è mio dovere di cittadino, basta così".

Cosa prevede con il voto di oggi?

"Ai colleghi dico solo: leggete le carte, giudicate in coscienza, al di là delle appartenenze politiche".

Ma lei si assolverebbe?

"Devo andare in carcere perché mi piacevano le barche o la Ferrari? Perciò dico al Parlamento: autorizzate l’apertura delle cassette di sicurezza e l’accesso ai tabulati. Ho fiducia".

Dov’è finita "la milionata" in contanti di Paolo Viscione?

"Dice il falso! Non sono un delinquente. Un conto sono i peccati, un altro i reati".

(28 luglio 2011)

 

 

"Perché non scarcero Papa: dichiarazioni

inverosimili sull'uso di un telefono"

Le motivazioni del gip sul no al deputato. Il parlamentare, scrive il giudice Giordano, non ha saputo spiegare i motivi che lo hanno spinto ad utilizzare una scheda telefonica intestata ad una donna del tutto ignara

"Perché non scarcero Papa: dichiarazioni inverosimili sull'uso di un telefono"

Non convince la tesi sostenuta dal deputato Alfonso Papa di un complotto ordito da Luigi Bisignani ai suoi danni. E', in sintesi, quanto sostiene il gip Luigi Giordano nel provvedimento con cui respinge l'istanza di scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari nei confronti di Papa.

A proposito di dichiarazioni accusatorie fatte da diversi testimoni e dallo stesso Bisignani il gip scrive che "l'indagato si è limitato a negare l'attendibilità delle affermazioni raccolte dai pm senza indicarne convincenti ragioni o significativi motivi di astio e di rancore che possono averle determinate, se non alludere ad un intervento di Bisignani".

Il gip sostiene che non vi sono elementi per "ritenere diminuito il pericolo di inquinamento probatorio" e che non si può ritenere "che sia attenuato o scemato il pericolo di reiterazione dei reati". A tale ultimo proposito il giudice si sofferma sull'uso da parte di Papa di un telefono intestato fittiziamente a una donna ignara. "Basti solo pensare - scrive Giordano - che, in merito alla costituzione di una rete di comunicazioni dedicata e riservata, idonea a permettere la reiterazione dei reati (oltre che l'inquinamento probatorio), il parlamentare ha reso dichiarazioni inverosimili".

"Si è limitato - osserva il giudice - in sintesi a dire di non sapere che una scheda mobile deve essere intestata ad una persona, salvo poi lamentarsi sul finire dell'interrogatorio, che sarebbe stato intercettato sull'utenza registrata alla propria persona (egli dunque è ben conscio della differenza tra l'utilizzo da parte di un parlamentare del telefono intestato alla sua persona, titolare delle prerogative costituzionali, e quello di utenze intestate a terzi)".

Secondo il gip, Papa "non ha spiegato (e questo sinceramente è il profilo più delicato) perchè un parlamentare, che gode delle prerogative assicurate al Parlamento dall'art. 68 della Costituzione, abbia bisogno di impiegare telefoni intestati fittiziamente a persone ignare - correndo in tal modo il rischio - proprio quello che chiaramente si voleva evitare, di essere intercettato. Ed è proprio questa circostanza che contribuisce a rendere allo stato del tutto inidonea la misura domiciliare".

(28 luglio 2011)

 

IL CASO

Crac Mora, anche Fede è indagato

per la 'cresta' sui prestiti del premier

Il direttore del Tg4 è stato interrogato negli uffici della guardia di finanza, nei giorni scorsi,

nell'ambito dell'inchiesta sul fallimento della LM Management, la società dell'agente dei vip

Crac Mora, anche Fede è indagato per la 'cresta' sui prestiti del premier Emilio Fede e Lele Mora

 

Il direttore del Tg4, Emilio Fede, è indagato a Milano per concorso in bancarotta fraudolenta nell'ambito dell'inchiesta che ha portato all'arresto di Lele Mora per il fallimento della LM Management. Nei giorni scorsi il pm Eugenio Fusco ha inviato a Fede un invito a comparire e il giornalista è stato interrogato negli uffici milanesi della guardia di finanza.

La vicenda è quella già emersa dagli atti di indagine sul caso Ruby e si riferisce a un prestito da 2 milioni

850mila euro arrivato all'agente dei vip da parte di Giuseppe Spinelli, tesoriere di fiducia del premier Silvio Berlusconi. Gli inquirenti ipotizzano che il direttore del Tg4 abbia trattenuto per sé una parte di quella somma mentre era in corso la procedura di fallimento della LM Management, la società dei talent scout. Fede, dopo aver ricevuto un invito a comparire dai pm Fusco e Massimiliano Carducci, è stato interrogato nei giorni scorsi, mentre gli inquirenti hanno sentito oggi nel carcere di San Vittore Mora, arrestato per bancarotta fraudolenta aggravata per il crac da 8,5 milioni di euro della LM Management.

Le versioni di Fede e di Mora riguardo a quel prestito sono contrapposte. Il direttore del Tg4 avrebbe detto di avere ricevuto 400mila euro, mentre Mora avrebbe spiegato che il giornalista avrebbe preso poco meno della metà della somma. La vicenda del prestito da parte di Berlusconi, attraverso Spinelli (sia il premier sia il fiduciario sono totalmente estranei all'inchiesta) all'agente dei vip era emersa anche da alcune intercettazioni del caso Ruby, dove Mora e Fede sono imputati per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Dalle intercettazioni dell'agosto 2010 era emerso che Fede avrebbe caldeggiato il prestito parlando con Mora al telefono. E anche nel corso delle telefonate si faceva riferimento alla possibilità di trattenere una parte della somma.

Nel corso dell'inchiesta sulla bancarotta i pm hanno avviato alcune rogatorie in Svizzera a caccia di possibili fondi trasferiti all'estero dal talent scout. I magistrati avrebbero individuato una scrittura privata relativa proprio al prestito di 2,85 milioni che sarebbe stato effettuato con tre versamenti a gennaio, marzo e settembre 2010. Il fascicolo sul fallimento della LM Management era arrivato al tribunale fallimentare di Milano nel dicembre 2009, invece, e i giudici fallimentari avevano dato una proroga di un mese per ripianare la situazione finanziaria. Il sospetto è che i soldi ricevuti in prestito non siano stati affatto usati per coprire i buchi della società. Nell'inchiesta sarebbe indagata anche una terza persona: un factotum di Lele Mora.

Il legale di Emilio Fede, Gaetano Pecorella, ha fatto sapere che "l'interrogatorio è servito a dare ai magistrati tutte le notizie da loro ritenute necessarie per le indagini, nonchè a dimostrare l'estraneità di Fede alle vicende patrimoniali di Mora, con il quale, non è mai stato socio, non ha mai avuto interessi in comune, né dello stesso conosceva come gestisce le sue aziende e tantomeno se fossero in stato di grave insolvenza".

(28 luglio 2011)

 

 

CRONACA

Menarini, l'inchiesta si allarga

altra azienda truffava lo stato

La procura di Firenze accusa la filiale italiana della multinazionale Bristol Myers Squibb.

Avrebbe aiutato Alberto Aleotti a frodare il servizio sanitario e aumentare i prezzi dei farmaci

Menarini, l'inchiesta si allarga altra azienda truffava lo stato

Avrebbero gonfiato notevolmente i prezzi di vendita dei farmaci commercializzati, ottenendo un indebito rimborso di oltre un miliardo di euro dal Servizio Sanitario Nazionale. E' l'accusa rivolta dalla Procura della Repubblica di Firenze alla multinazionale Bristol Myers Squibb Italia, che avrebbe messo in atto la truffa assieme al gruppo Menarini. Nei confronti della società sono state effettuate oggi delle perquisizioni dalla Gdf.

L'ipotesi degli inquirenti è che entrambi i gruppi industriali abbiano messo in atto comportamenti finalizzati ad ottenere, attraverso una serie di artifici e raggiri, l'inserimento nel Prontuario farmaceutico nazionale di farmaci commercializzati sia da Menarini che da Bristol Myers Squibb a prezzi notevolmente gonfiati rispetto al costo effettivamente sostenuto.

Unico indagato, per il momento, risulta l'ex amministratore delegato Guido Porporati, accusato di concorso in truffa con Alberto Aleotti, patron di Menarini.

La vicenda è collegata all'inchiesta che sempre la procura di Firenze sta conducendo sul gruppo Menarini, nella quale sono indagati i vertici dell'azienda. Secondo i magistrati, il gruppo, attraverso società 'cartiere' che avevano come compito quello di aumentare il costo dei principi attivi acquistati, era riuscito ad ottenere un prezzo di vendita dei farmaci più alto rispetto al prezzo reale, con notevole aggravio di spesa per il servizio sanitario nazionale che doveva rimborsarli.

In questo contesto la Bristol Myers Squibb, fin dal 1984, avrebbe concesso al gruppo Menarini la licenza non esclusiva per il confezionamento e la vendita in Italia di farmaci preparati sulla base proprio di quei principi attivi, essendo a conoscenza dell'esistenza delle cartiere per aumentare il prezzo. Ci avrebbe guadagnato adeguando il prezzo dei suoi farmaci, prodotti con lo stesso principio attivo di quelli di Menarini, a quelli della società toscana.

Oltre alle perquisizioni nelle sedi della multinazionale, gli uomini della Guardia di Finanza hanno notificato alla Bms il decreto di fissazione dell'udienza per l'applicazione di misure cautelari, prevista per il 19 settembre.

L'ipotesi di frode su cui lavorano gli inquirenti non riguarderebbe la qualità dei farmaci bensì l'illecita sovrafatturazione dei costi sostenuti dalla Bms Italia per l'acquisto dei principi attivi (Pravastatina, Fosinopril, Captopril, Aztreonam) utilizzati per la produzione e la vendita di farmaci impiegati nella cura di malattie cardiache e di battericidi (anch'essi impiegati per il trattamento di particolari patologie cardiache), per i quali è previsto il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale.

(28 luglio 2011)

 

 

 

 

 

 

2011-07-25

IL CASO

Penati e le tangenti per l'area Falck

"Pronto a fare due passi indietro"

L'ex responsabile della segreteria di Bersani, coinvolto nell'inchiesta della Procura

di Monza, sta "meditando di trasformare in dimissioni l'autosospensione in Regione"

Penati e le tangenti per l'area Falck "Pronto a fare due passi indietro" Filippo Penati

 

Filippo Penati, ex responsabile della segreteria politica di Pierluigi Bersani, indagato nell'inchiesta sulle tangenti per le aree Falck di Sesto San Giovanni, ha scritto una lettera al segretario del Pd nella quale annuncia la sua autosospensione da tutte le cariche di partito (tra le quali quelle in direzione nazionale, regionale e nell'assemblea nazionale) e l'intenzione di trasformare l'autosospensione dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia in dimissioni.

Di Caterina: "Gli davo 20-30 milioni al mese" Coinvolti anche Grossi e Zunino Penati tradito da una e-mail Penati: "Ecco perché mi autosospendo" Parla il grande accusatore L'INCHIESTA Fatture false e società off shore Penati indagato LA SCHEDA Il più grande cantiere d'Europa L'area della Falck a Sesto

"Ribadisco la mia totale estraneità ai fatti che mi sono contestati - ha scritto in una lunga nota Penati - mentre rilevo che non cessano le ricostruzioni parziali, contraddittorie e false indotte da altre persone coinvolte nella vicenda. Sono accusato con una montagna di calunnie da due imprenditori inquisiti in altre vicende giudiziarie che cercano così di coprire i loro guai con la giustizia". "Non ho mai preso soldi da imprenditori - ha aggiunto - e non sono mai stato tramite di finanziamenti illeciti ai partiti a cui sono stato iscritto. Ora il mio primo obiettivo è quello di recuperare la mia onorabilità, di restituire serenità alla mia famiglia e non voglio che la mia vicenda e la conseguente martellante campagna mediatica creino ulteriori problemi al mio partito".

"Per questo - ha spiegato - ho comunicato oggi al segretario Pierluigi Bersani la decisione di autosospendermi da tutte le cariche che attualmente ricopro nel Partito democratico. Sono convinto che riuscirò a chiarire tutto e confido di poterlo fare nel più breve tempo possibile forte della consapevolezza di non aver commesso alcun reato".

Per quanto riguarda la carica di vicepresidente del consiglio regionale, ha precisato: "Subito dopo aver ricevuto l'avviso di garanzia mi sono autosospeso dalla vice presidenza del consiglio regionale. Ho fin da allora considerato l'autosospensione un fatto transitorio e di breve periodo confidando in un rapido chiarimento della mia posizione. Oggi di fronte all'enorme risalto è improbabile pensare ancora ad una rapida chiusura dell'intera vicenda. Il prevedibile allungarsi dei tempi mi impone quindi di fronte alla necessità di non privare i gruppi consiliari di minoranza del vicepresidente in loro rappresentanza. Pertanto è mia intenzione trasformare la mia autosospensione in dimissioni. Comunicherò la mia decisione e ne spiegherò le ragioni al gruppo Pd e agli altri gruppi di minoranza.

(25 luglio 2011)

 

 

 

 

 

2011-07-22

QUIRINALE

Giustizia, il monito di Napolitano

"Inammissibili attacchi alla magistratura"

Il Capo dello Stato interviene anche sul possibile sostituto di Alfano come Guardasigilli: "Rischio effetto domino se scelto tra i membri dal governo". Sui costi della politica mette in guardia su "possibili umori antidemocratici" e auspica "decisioni di alleggerimento e semplificazione"

Giustizia, il monito di Napolitano "Inammissibili attacchi alla magistratura" Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

ROMA- Respinge le accuse di una possibile 'invasione di campo' in occasione dell'approvazione della manovra, interviene sul dibattito in corso in tema di antipolitica e rassicura che sarà un'estate "tranquilla". Giorgio Napolitano, durante la cerimonia di consegna del 'Ventaglio' da parte dell'Associazione Stampa Parlamentare, è tornato anche sul discorso pronunciato ieri 1, rispondendo alle accuse di chi, come Antonio Di Pietro, ha definito "banali generalizzazioni" le parole del Presidente della Repubblica sullo scontro tra politica e toghe ."I magistrati, ha detto oggi il Capo dello Stato, devono essere "inappuntabili" in modo da vanificare "attacchi inammissibili alla magistratura", disinnescando così "un fuorviante conflitto" con la politica. "Più di qualche commento polemico di difensori d'ufficio della magistratura - ha assicurato-, mi interessa l'apprezzamento che è venuto da numerosi suoi autorevoli esponenti da parte della sua stessa associazione".

"Sostituto di Alfano non venga dal governo". In tema di giustizia il presidente della Repubblica è anche intervenuto in merito alla nomina del nuovo Guardasigilli, destinato a sostituire il neosegretario Angelino Alfano, spiegando che "sarebbe meglio prenderlo dal Parlamento", piuttosto che spostare qualcuno che ha già incarichi di governo. Una scelta che, secondo il Capo dello Stato, rischierebbe di creare "un effetto domino". "Ho visto una lista di dodici nomi sulla stampa", ha poi aggiunto. "Io non ho dato nessun avallo al rinvio a settembre, ho detto che sono pronto in qualsiasi momento, ma mi sembra che non siano pronti loro e abbiano altri pensieri".

"Attenti a umori antidemocratici". Parlando del dibattito sui costi della politica Napolitano ha detto che alcune posizioni riflettono "una indiscriminata agitazione che raccoglie ed esaspera comprensibili insofferenze ma anche pericolosi umori antidemocratici. Io - ha detto il Capo dello Stato - auspico da tempo decisioni di alleggerimento e semplificazione dell'architettura istituzionale oltre che tangibili correzioni sul piano del costume politico. In particolare, suggerisco ora di valutare con obiettività e con attenzione le misure che stanno per essere adottate dagli organi costituzionali".

"No a interpetazioni fanta-istituzionali". Rispondendo alle critiche di chi ha visto nei suoi auspici per la coesione nazionale una regia politica o una forma di commissariamento del Governo, Napolitano ha poi spiegato: "Non c'è nulla di serio in certe interpretazioni dietrologiche o fanta-istituzionali del mio operato", aggiungendo che ovviamente il capo dello Stato segue da vicino l'evolversi della situazione del quadro politico". Era mio dovere, ha sottolineato, porre con decisione l'esigenza di coesione "senza tenere alcun conto delle convenienze dell'una o dell'altra parte politica e senza invadere o occupare alcuno spazio o ruolo che non fosse il mio". E il segnale venuto dall'Italia "ha avuto un valore e un peso".

"Manovra, resta ancora molto da fare". Secondo Napolitano, con l'approvazione "rapidissima" in Parlamento della manovra finanziaria, l'Italia ha dato "una prova di coesione nazionale, una prova che si doveva dare per mostrare la consapevolezza degli obiettivi da perseguire". Il presidente della Repubblica ha poi aggiunto che "molto resta da fare" in Italia ed in Europa "in una logica di condivisione di rischi e di necessità di azione comune che si è affermata nel Consiglio di ieri a Bruxelles. Ci si è mossi nella direzione in cui molti, ed io stesso, avevamo auspicato che si procedesse risolutamente".

"Nuovo sforzo di coesione". Di fronte alla domanda se serva un nuovo, ulteriore, sforzo di coesione Napolitano ha risposto: "Non so chi potrebbe negarlo ma vorrei ribadire come io lo intenda. Non come rinuncia da parte di qualche forza politica o sociale alle proprie ragioni e impostazioni, nè come passaggio fortunoso o obbligato da piattaforme nettamente contrastanti ad un programma unificante. Il punto - ha detto - è riconoscere la complessità e la gravità dei problemi che si sono accumulati e che pongono a rischio il futuro del Paese e il suo ruolo in Europa; escludere competizioni perverse sul terreno della dissimulazione, della sdrammatizzazione e del populismo demagogico, aprirsi a un confronto serio. Confrontarsi in questo spirito sia sul rigore per azzerare il deficit di bilancio e abbattere lo stock di debito pubblico, sia su uno strenuo sforzo per elevare il tasso di crescita della nostra economia; più in generale, - ha concluso Napolitano - sul come perseguire obiettivi essenziali di revisione e di riforma, anche al di fuori del campo economico e finanziario, di molteplici realtà istituzionali, amministrative e sociali".

(22 luglio 2011)

 

 

 

 

INCHIESTA P4

Papa non potrà votare alla Camera

Il gip: "Prevalgono esigenze custodia"

Respinta la richiesta dei legali del deputato arrestato in relazione all'inchiesta sulla P4: non potrà uscire dal carcere per andare in Parlamento ad esercitare le funzioni di deputato

Papa non potrà votare alla Camera Il gip: "Prevalgono esigenze custodia" Alfonso Papa

NAPOLI - Il gip del Tribunale di Napoli, Luigi Giordano, ha respinto questa mattina la richiesta presentata da Alfonso Papa di poter prendere parte alle prossime votazioni in programma alla Camera, esercitando così i propri diritti di deputato. Il giudice, infatti, ha ritenuto che, in base all'articolo 68 della Costituzione, i vincoli imposti dalla misura cautelare sono prevalenti rispetto alle prerogative dei parlamentari. La richiesta era stata presentata dai difensori di Papa, Giuseppe D'Alise e Carlo Di Casola.

(22 luglio 2011)

 

 

IL PARLAMENTO DEGLI INQUISITI

Sono 84 i rappresentanti del popolo che hanno questioni aperte con la giustizia. Tra i reati ci sono quelli tipici della politica (corruzione, concussione ecc.), ma crescono quelli da legami con organizzazioni mafiose. Alcuni, invece, si portano dietro condanne legate agli anni di piombo, Il record in Sicilia

 

 

 

LA BLACK LIST di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA

Tra condanne, prescrizioni e processi

nei palazzi quanti guai giudiziari

Tra condanne, prescrizioni e processi nei palazzi quanti guai giudiziari

Il deputato del Pdl Alfonso Papa in aula a Montecitorio

Sembra di vivere nei primi anni Novanta quando, durante tangentopoli, fioccavano le richieste d'arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere. Dall'inizio del 2011 sono state nove, compresa quella del Pdl Alfonso Papa. Tra il 1992 e il 1994 furono 28. Ma l'elenco va oltre: 84 parlamentari oggi hanno pendenze con la giustizia

ROMA - Se non sono i numeri del parlamento di tangentopoli, poco ci manca. Quella che ha spedito in carcere il deputato del Pdl Alfonso Papa è stata la nona richiesta di arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere dall'inizio della legislatura. Tra il 1992 e il 1994, gli anni in cui le inchieste dei pm terremotarono la Prima Repubblica, furono 28. Se però si scorre l'elenco di deputati e senatori attualmente in carica che hanno pendenze con la giustizia, allora si scopre che i numeri di oggi non sono poi così lontani da quelli della stagione di Mani Pulite. Tra Montecitorio e Palazzo Madama siedono, in questo momento, 84 parlamentari sotto inchiesta, già con sentenze di condanna sulle spalle, in attesa di processo oppure rinviati a giudizio. E tra questi, ben 34 risultano condannati per reati che vanno dalla diffamazione fino all'associazione mafiosa o per una cattiva gestione di fondi pubblici di cui ora devono rispondere di tasca propria. Altri nove legislatori sono stati beneficiati dalla prescrizione dei reati.

La lista. E' una lunga teoria che racconta un pezzetto di storia d'Italia. Un elenco nel quale si può trovare la radicale eletta nelle liste del Pd, Rita Bernardini, condannata per aver distribuito marijuana durante una manifestazione per la liberalizzazione delle droghe leggere (pena estinta con l'indulto), ma soprattutto un nutrito drappello di rappresentanti del popolo con ben più gravi condanne di primo e secondo grado sul groppone: c'è, per esempio, il ministro delle Riforme e leader della Lega Umberto Bossi (condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito nell'ambito dell'inchiesta sulla maxi-tangente Enimont) e c'è il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri che i giudici di Palermo hanno condannato in primo grado a nove anni, e in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Del resto, è proprio il Pdl - quello che il neo segretario Angelino Alfano ha dichiarato di voler trasformare nel "partito degli onesti" - il gruppo parlamentare con il maggior numero di eletti alle prese con vicende giudiziarie. E poi? Da chi è composta la poco lusinghiera classifica delle fedine penali sporche?

Il partito degli onesti. Un anno fa chi aveva provato a mettere in colonna i numeri degli inquisiti non era riuscito a contarne più di 24: oggi i parlamentari del Pdl nei guai con la giustizia sono 49. Più che raddoppiati. Ventinove alla Camera e 20 al Senato. Il drappello lo guida ovviamente Silvio Berlusconi, con sei processi in corso. Ma oltre al leader, a ministri in carica e non, a ex presidenti di Regione e coordinatori regionali, ci sono anche i peones dell'avviso di garanzia o del rinvio a giudizio. Giulio Camber è un senatore che nel 1994 ottenne 100 milioni di lire dalla banca Kreditna dicendo che poteva comprare i favori di pubblici ufficiali e evitare il commissariamento dell'istituto: condannato a otto mesi per millantato credito. Fabrizio Di Stefano, invece, è stato eletto in Abruzzo e proprio ad aprile scorso i magistrati hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione nel processo che riguarda la realizzazione di un impianto di bioessicazione di rifiuti a Teramo. Claudio Fazzone, che siede anche lui a Palazzo Madama, ex presidente del consiglio regionale del Lazio è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio: gli contestano di aver raccomandato, via lettera, alcuni suoi amici a un manager della Asl. A Montecitorio, invece, tra i banchi Pdl c'è Giorgio Simeoni rinviato a giudizio per truffa all'Ue nell'inchiesta sui corsi di formazione fantasma nella Regione Lazio. Per tacere, infine, del deputato Giancarlo Pittelli che, oltre a essere coinvolto nell'inchiesta sugli ostacoli posti alle indagini dell'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, deve rispondere in tribunale di lesioni e minacce dopo avere aggredito un suo collega avvocato. Spiccano, poi, l'ex comandante della Guardia di Finanza Roberto Speciale condannato in appello a 18 mesi per peculato (è accusato di essersi fatto arrivare un carico di spigole nel paesino trentino in cui era in vacanza) e Luigi Grillo condannato a un anno e 8 mesi per reati bancari.

E gli altri. Dal gruppo del Pd è appena uscito Alberto Tedesco, il senatore pugliese indagato per corruzione e salvato dagli arresti domiciliari grazie al voto di Palazzo Madama, ma l'elenco dei democratici sotto inchiesta o con condanne comprende comunque quattro senatori e sette deputati. Numeri che però raccontano di reati più lievi: l'accusa di diffamazione che pende sul capo del senatore Giuseppe Lumia, querelato dal suo ex addetto stampa, per esempio. Però fra i democratici c'è anche chi deve fare i conti con contestazioni più gravi: Antonio Luongo è stato rinviato a giudizio per corruzione nell'inchiesta su affari e politica a Potenza, mentre Maria Grazia Laganà - la vedova di Fortugno - è a processo per falso e abuso d'ufficio ai danni della Asl di Locri. Nino Papania, senatore siciliano, patteggiò nel 2002 una condanna a due mesi per aver scambiato regali con assunzioni. Ma anche la Lega che in questi giorni si lacera sulla questione morale annovera quattro deputati e due senatori inquisiti. L'Udc ne ha cinque. Per carità: il calcolo delle probabilità penalizza i gruppi parlamentari più numerosi. Sorprende invece l'alta incidenza di deputati e senatori con problemi giudiziari in formazioni più piccole: i "responsabili", per esempio, su 29 esponenti alla Camera contano un condannato (Lehner, diffamazione nei confronti del pool di Mani Pulite), un rinviato a giudizio per truffa (il piemontese Maurizio Grassano che venne arresto nel 2009 per una truffa al comune di Alessandria e che oggi è sotto processo) e due sui quali pende una richiesta di processo per mafia e camorra (il ministro Romano e il deputato campano Porfidia).

22 luglio 2011

 

 

PARLAMENTO

GLI 84 SOTTO ACCUSA.

I PROCESSI di ENRICO DEL MERCATO, ANTONIO FRASCHILLA, EMANUELE LAURIA

Tangenti, mafia e "peccati di gioventù"

quei verdetti figli di un passato lontano

Tangenti, mafia e "peccati di gioventù" quei verdetti figli di un passato lontano

Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani. Durante Tangentopoli finì in manette davanti alle telecamere. È stato condannato in via definitiva a 16 mesi per false dichiarazioni ai pm

Nel background dei parlamentari italiani non c'è solo la stagione delle mazzette. Ma anche le collusioni con le organizzazioni criminali e la militanza durante la stagione delle lotte giovanili

ROMA - Vite onorevoli con il fiato degli inquirenti sul collo. E, per molti, con l'onta di una condanna già pronunciata. Chi sono? Alcuni verdetti sono figli della stagione di tangentopoli: al Senato, per esempio, nel gruppo misto siede ancora Antonio Del Pennino che ha patteggiato per la tangente Enimont. Del resto, la madre di tutte le tangenti ha lasciato in eredità condanne anche a Umberto Bossi, a Giorgio La Malfa, all'ex segretario del Psdi (oggi senatore del Pdl) Carlo Vizzini, che si è poi salvato con la prescrizione. Ma la scia di Tangentopoli è ben più lunga: Giampiero Cantoni, ex presidente della Bnl e altro senatore del Pdl, ha patteggiato nel '95 una condanna a due anni per concorso in corruzione e bancarotta fraudolenta.

Massimo Maria Berruti, ex consulente Fininvest, è stato condannato in appello a 2 anni e dieci nell'ambito del processo sui fondi neri del gruppo. Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani che ai tempi di Tangentopoli finì in manette davanti alle telecamere, è stato condannato in via definitiva a 16 mesi per false dichiarazioni ai pm. Altre vicende si sono definite di recente: Aldo Brancher, per esempio, il 3 marzo è stato condannato in appello a 2 anni per appropriazione indebita e ricettazione, nell'ambito di un'inchiesta sulla scalata Bpi-Antonveneta che l'anno scorso lo costrinse a dimettersi da ministro. Il recordman, fra i condannati, è Giuseppe Ciarrapico, ex democristiano oggi nel Pdl, che conta quattro pronunce definitive a proprio carico: è stato sanzionato per aver violato la legge che "tutela il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti" ma anche per il crac della casina Valadier. Sono le procure del Sud le più impegnate nelle indagini sui politici.

Mafia, camorra & c. C'è Marcello Dell'Utri che è stato condannato anche in appello per concorso esterno, ma l'elenco dei parlamentari sotto inchiesta per collusioni con le organizzazioni criminali è lungi dall'essersi esaurito. A Saverio Romano, leader del Pid e responsabile dell'Agricoltura, potrebbe toccare in sorte il poco onorevole record di essere il primo ministro della Repubblica a finire sotto processo per mafia. Un suo collega di schieramento, il deputato del Pdl e leader del partito in Campania, Nicola Cosentino, invece, sotto processo c'è già. È indagato per concorso esterno in associazione mafiosa anche il senatore Antonio D'Alì, tessera numero uno di Forza Italia a Trapani. Mentre la procura di Palermo ha da qualche mese messo sotto inchiesta il senatore Pdl Carlo Vizzini che, nell'indagine sul tesoro di Ciancimino, è chiamato in causa per corruzione aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.

Peccati di gioventù. Nel background dei parlamentari non c'è solo la stagione delle mazzette. Il certificato penale di alcuni di loro è rimasto sporco dagli anni delle lotte giovanili. Marcello De Angelis, oggi deputato del Pdl e in passato militante dell'organizzazione di destra Terza posizione, è stato condannato a 5 anni e mezzo per sovversione e banda armata, tre dei quali scontati in carcere. L'ex missino Domenico Nania, che oggi è vicepresidente del Senato in quota Pdl, si porta appresso una condanna per lesioni volontarie emessa nel 1969 in seguito ad alcuni scontri con giovani comunisti. Nel gruppo parlamentare della Lega alla Camera siede invece Matteo Bragantini, condannato in appello nel 2008 per "propaganda di idee razziste".

Le mani in tasca ai condannati. Poi ci sono i reati portati in eredità dai parlamentari che in passato sono stati amministratori locali. Francesco Rutelli, ad esempio, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire il Comune di Roma per circa 60 mila euro per alcune consulenze da lui assegnate quando era sindaco. Il senatore dell'Mpa Giovanni Pistorio è stato chiamato dalla magistratura contabile a rispondere di un danno erariale di 50 mila euro per la propaganda anti-aviaria fatta quando ricopriva il ruolo di assessore alla Sanità in Sicilia. Ben più salato il conto presentato all'ex presidente della Croce Rossa Maurizio Scelli: 900 mila euro per irregolarità nell'acquisizione di servizi informatici. Può costare cara, nel senso proprio del termine, anche l'attività di ministro: la magistratura contabile ha condannato al pagamento di circa 100mila euro l'ex Guardasigilli Roberto Castelli (ora sottosegretario alle infrastrutture) per il danno procurato attraverso la stipula di due contratti di consulenza alla società Global Brain. Castelli, per lo meno, è stato chiamato a dividere la spesa con due suoi ex collaboratori. Fra i quali c'è un nome ricorrente, nelle cronache di questi giorni: quello di Alfonso Papa, che del ministro leghista fu vice capo di gabinetto.

22 luglio 2011

 

 

LA REGIONE

La Sicilia dei record: uno su tre è indagato

La Sicilia dei record: uno su tre è indagato

Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea regionale siciliana

Nell'Assemblea regionale 28 deputati su 90 hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia. L'ultimo della lista è Cateno De Luca. Arrestato dai Pm per "tentata concussione". Non mancano i condannati con sentenza definitiva

PALERMO - Uno su tre è indagato, sotto processo oppure è già stato condannato per reati che vanno dal peculato alla truffa, passando per associazione mafiosa e abusi d'ufficio vari. Un record, quello dell'Assemblea regionale siciliana, che vede 28 deputati su 90 nella poco onorevole lista di persone che hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia.

L'ultimo in ordine di tempo a essere finito agli arresti domiciliari è stato il deputato autonomista di Sicilia Vera, Cateno De Luca: i pm lo hanno arrestato per "tentata concussione" nella compravendita di un terreno nel suo Comune, Fiumedinisi, del quale è anche sindaco. A precedere De Luca, il Pid Fausto Fagone, finito in carcere per concorso in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta Iblis: la stessa inchiesta che vede indagato il presidente della Regione Raffaele Lombardo e il deputato Giovanni Cristaudo.

Ma le cronache siciliane ormai settimanalmente raccontano di politici regionali coinvolti in inchieste giudiziarie: agli arresti domiciliari è finito pure Riccardo Minardo, esponente dell'Mpa accusato di truffa ai danni dello Stato e dell'Unione europea. In manette anche Gaspare Vitrano, parlamentare del Partito democratico arrestato mentre intascava una presunta tangente per il fotovoltaico. Tra gli scranni dell'Assemblea regionale non mancano poi i condannati con sentenza definitiva e quelli che per evitare lunghi processi hanno patteggiato la pena. In questo secondo elenco c'è a esempio il deputato e sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, che nel suo palmares vanta una non onorevole condanna definitiva per peculato: utilizzò l'autoblu fino in Puglia per partire in crociera con la moglie. Mentre Salvino Caputo, collega del Pdl che presiede la commissione Attività produttive, è stato condannato a due anni (pena sospesa) per abuso d'ufficio e falso ideologico in atto pubblico: secondo il Tribunale di Palermo, l'ex sindaco di Monreale nel 2004 avrebbe dispensato dal pagamento di multe automobilistiche un assessore e l'autista del vescovo.

22 luglio 2011

 

 

 

LA TABELLA

Tutti i deputati sotto processo

Sono 84 i parlamentari che hanno pendenze con la giustizia: 59 alla Camera e 31 al Senato. Tra questi, 29 hanno ricevuto una sentenza di condanna, 9 hanno beneficiato di una prescrizione e 5 sono stati condannati dalla Corte dei conti. Il Popolo delle libertà batte tutti, segue il Pd e la Lega. Nella tabella la top ten dei partiti

PARTITO

TOTALE CAMERA SENATO

PDL 49 29 20

PD 11 7 4

LEGA 6 4 2

UDC 5 4 1

RESPON

SABILI 5 4 1

API 1 0 1

IDV 1 1 0

MISTO 6 3 3

22 luglio 2011

 

 

I processi del Cavaliere

La storia dei tre casi che 'costringono' Berlusconi nelle aule di tribunale. Corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills, fondi neri per i diritti tv Mediaset, appropriazione indebita nell'affare Mediatrade. Le ipotesi

 

 

 

LA SCHEDA di EMILIO RANDACIO

Mediaset, Mills e Mediatrade

20 anni di accuse per Berlusconi

Mediaset, Mills e Mediatrade 20 anni di accuse per Berlusconi

Il legale inglese David Mills. Secondo i magristrati: "Mentì per salvare Berlusconi"

Corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills, fondi neri per i diritti tv Mediaset, appropriazione indebita nell'affare Mediatrade. Le ipotesi dei magistrati, le accuse e i reati commessi: sono tre i processi ancora aperti a carico del Cavaliere

Il caso Mills. Al premier viene contestato il reato di concorso in corruzione in atti giudiziari, per aver compensato l'avvocato inglese David Mills con 600 mila dollari, per il suo silenzio, quando venne ascoltato come testimone a Milano nei processi contro il gruppo Fininvest. La posizione di Mills è stata stralciata e la Corte di Cassazione lo ha riconosciuto colpevole dell'accusa, applicando però la prescrizione.

Mills, alla fine degli anni '80, nella veste di consulente della società di Silvio Berlusconi, è stato l'"architetto" del reparto estero del gruppo, attraverso la creazione di società off shore. Nei dibattimenti sulle tangenti alla Guardia di Finanza e sui fondi neri All Iberian, il suo contributo poteva essere decisivo per l'accusa per decidere le sorti dei due processi in cui era imputato anche il premier.

L'accusa, sostenuta dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, si basa su una serie di rogatorie all'estero, ma soprattutto sulle dichiarazioni dello stesso Mills, rese nell'estate di sette anni fa ai magistrati milanesi. "Il Signor B. (inteso come Silvio Berlusconi, ndr) - disse a verbale il legale inglese - mi volle ricompensare". E in una lettera acquisita agli atti, l'avvocato scriveva che la causale di tanta generosità era "il modo in cui avevo reso la mia testimonianza - non ho mentito ma ho superato curve pericolose - che tenne "Mr. B." fuori dai guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo". Subito dopo questo interrogatorio, Mills ritrattò, senza più presentarsi davanti ai giudici. A conferma della sua tesi, oltre ai versamenti di denaro, la procura ha poi raccolto anche le testimonianze dei suoi commercialisti inglesi ai quali il loro cliente spiegò quella che era la vera ragione di quei 600 mila dollari che si era trovato sul conto bancario. Il processo che si sta celebrando a Milano, ha dei margini operativi piuttosto ristretti. Entro l'inizio del 2012, infatti, bisognerà giungere in Cassazione, altrimenti interverrà la prescrizione.

L'inchiesta Mediatrade. A Silvio Berlusconi i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, contestano i reati di appropriazione indebita e frode fiscale. Tra gli imputati (in totale sono 12), ci sono anche il figlio del premier, Pier Silvio, Fedele Confalonieri (per loro l'accusa è solod i frode), alcuni tra manager in carica ed ex del gruppo Mediaset e l'agente cinematografico di origini egiziane, Frank Agrama.

Secondo l'accusa, gli imputati, tra cui il Cavaliere, "operando all'interno di un sistema di frode, utilizzato dalla fine degli anni '80, in forza del quale i diritti di trasmissione forniti dalle major Paramount e in misura minore altri produttori internazionali, invece che direttamente dai fornitori, venivano acquistati da Mediaset a prezzi gonfiati per il tramite di società di comodo riconducibili ad Agrama". In totale, il raggiro , si attesterebbe "nel periodo 2000-2005 complessivamente in 34 milioni di dollari". Il denaro veniva "trasferito a partire dal 1999 dalla società Mediatrade, e successivamente da Rti (Reti televisive italiane, ndr), alla società Olympus trading a titolo di pagamento dei diritti".

La frode fiscale, invece, secondo la procura sarebbe iniziata nel 2005 e sarebbe andata avanti fino al 2008, per un importo totale di tasse non pagate che si aggira sugli 8 milioni di euro. Il procedimento è in corso davanti al gup Maria Vicidomini. Serviranno diversi mesi prima di sapere se il premier verrà rinviato a giudizio o prosciolto, dopo lo stop della Consulta sul "legittimo impedimento". La prescrizione dovrebbe intervenire non prima del 2013.

Processo Mediaset. Falso in bilancio e frode fiscale. Erano le accuse che la procura di Milano muoveva, originariamente, contro Silvio Berlusconi nel processo ribattezzato Mediaset, sui presunti fondi neri creati attraverso l'acquisto dei diritti televisivi delle major americane. Da questo filone si è aperto un nuovo capitolo, quello Mediatrade, in cui al Cavaliere è contestata anche l'appropriazione indebita.

Secondo i pm milanesi, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, Mediaset avrebbe creato fondi neri fino al 2003, per sottrarre soldi al fisco e avere all'estero una disponibilità extrabilancio. Nel novembre del 2007, il Tribunale presso cui si svolge il processo, ha dichiarato prescritto il reato di falso in bilancio. Ipotesi che, secondo il canovaccio dell'accusa, era stata commesso "fino al 9 aprile del 2001".

L'indagine, partita agli inizi del 2001, ha scoperto un metodo secondo cui, attraverso la mediazione dell'agente di origini egiziane, Frank Agrama, Mediaset sovrafatturava il prezzo dei format televisivi acquistati dalle case di produzioni statunitensi, del calibro della Paramount. I pagamenti avvenivano attraverso conti esteri. Le major erano all'oscuro, però, di praticare prezzi fuori mercato a Mediaset, la differenza finiva in conti legati alle società di Agrama, che, attraverso una triangolazione bancaria, li restituiva all'estero agli imputati. Secondo il capo d'imputazione, Agrama "era il socio occulto" dei vertici Mediaset. De Pasquale e Spadaro, nel capo di imputazione, hanno riassunto le operazioni illecite con queste parole: gli indagati "si appropriavano di risorse finanziarie della società Fininvest spa, dal1995, di Mediaset attraverso plurime operazioni di trasferimento di ingenti somme di denaro, aventi come causale in tutto o in parte fittizia del pagamento di diritti televisivi". I beneficiari della sottrazione, sempre secondo l'accusa, erano "conti correnti intestati a prestanome di Silvio Berlusconi".

Il filone Mediaset si è dovuto per due volte stoppare: prima per la riforma del "Lodo Alfano" e poi per il "legittimo impedimento". Dopo le sentenze della Consulta, è ripreso il 28 febbraio scorso. La prossima udienza è fissata per il 13 giugno prossimo, quando proseguirà l'audizione dei testimoni. Su questo processo, le possibilità di evitare la prescrizione, sono ridotte. Entro la fine del 2012, infatti, dovrà arrivare definitivamente in Cassazione.

22 aprile 2011

 

L'ANALISI di LIANA MILELLA

Caccia alla prescrizione brevissima

per i tre incubi del Cavaliere

Caccia alla prescrizione brevissima per i tre incubi del Cavaliere

Il processo Mills si prescriverebbe nel febbraio 2012, Mediaset nel giugno 2014 e Mediatrade nel 2019. I legali di Berlusconi e i suoi gruppi parlamentari hanno trovato una strada per tagliare i tempi previsti dalla legge e "uccidere" i tre dibattimenti

ROMA - Tre processi, tre incubi. Antichi. Valutati negli anni solo per un aspetto. Che ovviamente li accomuna tutti e tre. Quando sono destinati a "morire". Quando finiranno prescritti. Per i tre dibattimenti storici di Berlusconi - Mills (corruzione), Mediaset (frode fiscale e appropriazione indebita), Mediatrade (idem) - sono tre le date segnate in rosso sul calendario: febbraio 2012 (Mills), giugno 2014 (Mediaset), 2019 (Mediatrade). Su queste date i giuristi del Cavaliere, ormai da anni, almanaccano per trovare la mannaia giusta.

Se per il caso Ruby la parola magica è "competenza", qui è "prescrizione". Come accorciarla, come ridurla, come anticiparla. È dall'inizio della legislatura, primavera 2008, che l'ipotesi di tagliare ancora i tempi di estinzione dell'azione penale rispunta a ogni legge sulla giustizia. La Cirielli, ultimo intervento in ordine di tempo sulla prescrizione che l'ha rimaneggiata e ridotta, risale al 2005. Anche allora per i vecchi processi del Cavaliere (Sme e lodo Mondadori). Ma adesso non basta più. Serve una prescrizione ancora più breve.

L'hanno scritta apposta calcolando i mesi, addirittura le settimane. L'hanno piazzata nell'unico contenitore legislativo che avevano a disposizione. Quel "processo breve" che, fino a un anno prima, era sembrato la panacea per chiudere d'un colpo sia il caso Mills che quello Mediaset. Un processo che, per legge, non poteva durare più di sette anni e mezzo, tre in primo grado, due in secondo, uno e mezzo in Cassazione. Una legge da applicare anche ai processi in corso. Così l'avevano approvata al Senato.

Ma nel percorso verso la Camera Napolitano s'è messo di mezzo. Ha scomposto i giochi. Ha posto un niet su una legge immediatamente operativa che, assieme ai processi di Berlusconi (forse sarebbe rimasta fuori solo Mediatrade), avrebbe "ucciso" centinaia di dibattimenti. Forte l'allarme dell'Anm al punto da scuotere nel profondo il capo dello Stato. Che al Guardasigilli Angelino Alfano ha fatto recapitare un appunto su quello che doveva essere modificato nella legge.

Qui è nata la prescrizione breve. Una nuova figura giuridica creata ad hoc dai giuristi del premier per il premier medesimo. Potranno fruirne solo gli incensurati, coloro che si trovano sotto processo, ma non hanno altre condanne precedenti. Potranno sfruttarla più di una volta, a cascata, prescritti nel primo processo, poi in un eventuale secondo, ancora in un terzo. Così all'infinito. C'è la fotografia di Berlusconi in questa norma, un solo articolo. Egli, se la legge passa, scamperà il processo Mills, da incensurato. Poi quello Mediaset, sempre da incensurato. E ancora, se riuscirà ad evitare nel frattempo una condanna per il caso Ruby, eccolo assolto anche per Mediatrade.

Il meccanismo? Semplice: oggi la prescrizione è pari al massimo della pena prevista per un reato aumentata di un quarto della pena medesima per compensare i ritardi maturati via via nel processo. Con la legge che è già stata approvata dalla Camera, con uno scontro durissimo con l'opposizione, i tempi vengono rimodulati così: sempre il massimo della pena, ma con l'aggiunta solo di un sesto. Una manciata di mesi, quanti ne bastano. La corruzione contestata nel caso Mills scadeva in dieci anni? Adesso lo farà in nove anni e quattro mesi. Sei mesi salvifici e magici che anticiperanno la "morte" del dibattimento. Idem per Mediaset, da giugno 2014 all'autunno 2013. Più difficili i calcoli per Mediatrade.

Ma in quel caso, come per Mediaset, il tempo lavora a favore di Berlusconi. Il quale si è già fatto inventare un'altra soluzione tampone per Mediaset. Un conflitto di attribuzioni, sollevato questa volta da palazzo Chigi, contro i giudici che non avevano riconosciuto come valido il legittimo impedimento rappresentato da un consiglio dei ministri tenuto di lunedì (fatto rarissimo, per non dire unico). Se dichiarato ammissibile, quel conflitto può far sospendere il processo, a patto che passi, come per il conflitto omologo per la competenza su Ruby, la norma per mettere sullo stesso piano e usare le stesse regole per fermare i dibattimenti in caso di conflitto. Per Mediatrade chissà, magari Berlusconi riuscirà a scalare il Quirinale e imporre un lodo Alfano costituzionale, processi sospesi per le alte cariche, capo dello Stato e premier in testa.

07 maggio 2011

 

IL COMMENTO

La menzogna del potere

di MASSIMO GIANNINI

La menzogna del potere

Il potere mente. Per abitudine alla manipolazione e per istinto di conservazione. Non c'è bisogno di aver letto la prima Hannah Arendt, o l'ultimo Don De Lillo, per sapere che "lo Stato deve mentire", o che il governo tecnicamente totalitario "fabbrica la verità attraverso la menzogna sistematica". Ma nessun potente mente con la frequenza e l'impudenza di Silvio Berlusconi. Non pago di aver danneggiato il Paese che governa, in un drammatico e surreale "colloquio" elemosinato a Obama a margine di un vertice tra gli Otto Grandi del pianeta, il presidente del Consiglio torna sul luogo del delitto. E, dopo aver inopinatamente e irresponsabilmente denunciato al presidente americano la "dittatura dei giudici di sinistra", lo "perfeziona", raccontando la stessa delirante bugia agli altri leader del G8.

Abbiamo già detto quale enorme discredito rappresentino, in termini di immagine internazionale, le parole scagliate contro l'Italia dall'uomo che dovrebbe rappresentarla al meglio nel mondo. Abbiamo già detto quali enormi "costi" imponga allo Stato, in termini di credibilità istituzionale, questo vilipendio della democrazia e dei suoi organismi. Ma è necessario, ancora una volta, squarciare la cortina fumogena con la quale il premier manomette i fatti, e denunciare l'ennesima menzogna sulla quale costruisce il teorema della "persecuzione giudiziaria". A Deauville, in una conferenza stampa costruita come una disperata requisitoria contro tutto e contro tutti, Berlusconi

compie l'ultima metamorfosi: da comune inquisito si trasforma in Grande Inquisitore. Accusa le "toghe rosse", insulta "Repubblica" e i giornalisti, "colpevoli" di non indignarsi di fronte allo "scandalo delle 24 accuse che mi riguardano, tutte cadute nel nulla". "Vergognatevi", tuona furente il presidente del Consiglio, calato nella tragica maschera dostoevskiana dei Fratelli Karamazov. Dovrebbe vergognarsi lui, per aver violentato ancora una volta la verità.

A sentire il Cavaliere e i suoi "bravi", i processi che lo riguardano cambiano secondo gli umori e le stagioni. L'altro ieri aveva parlato di "31 accuse". In passato si era definito "l'uomo più perseguitato dell'Occidente, con 106 processi tutti finiti con assoluzioni". La figlia Marina ha evocato "26 accuse cadute nel nulla". Paolo Bonaiuti ha rilanciato con "109 processi e nessuna condanna". In realtà, come ha ricordato più volte Giuseppe D'Avanzo su questo giornale, i processi affrontati dal premier sono 16. Quattro sono ancora in corso: processo Mills (corruzione in atti giudiziari), diritti tv Mediaset (frode fiscale), caso Mediatrade (appropriazione indebita) e scandalo Ruby (concussione e prostituzione minorile). Negli altri 12 processi, solo tre sono state le sentenze di assoluzione: in un caso con "formula piena" (Sme-Ariosto/1, per corruzione dei giudici di Roma), negli altri due con "formula dubitativa" (Fondi neri Medusa e Tangenti alla Guardia di Finanza).

Gli altri 9 processi si sono conclusi con assoluzione, ma solo grazie alle leggi ad personam, fatte approvare nel frattempo dai suoi governi. Nei processi All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2 il Cavaliere è assolto dalla legge che ha depenalizzato il falso in bilancio. Nei processi sull'iscrizione alla P2 e sui terreni di Macherio è assolto perché i reati sono estinti e le condanne cancellate dall'apposita amnistia.

Nei rimanenti 5 processi (All Iberian/1, affare Lentini, bilanci Fininvest 1988/1992, fondi neri del consolidato Fininvest e Lodo Mondadori) il premier è assolto grazie alle "attenuanti generiche", che gli consentono di beneficiare della prescrizione (da lui stesso fatta dimezzare con la legge Cirielli) e che operano sempre nei confronti dell'imputato ritenuto comunque "responsabile del reato".

Questa è dunque la verità storica, sull'imputato Berlusconi. A dispetto delle "persecuzioni" che lamenta, e delle "assoluzioni" che rivendica. Bugiarde, le une e le altre. È penoso doverlo ricordare. Ma è anche doveroso, alla vigilia di un turno elettorale che può cambiare il corso di questa disastrosa legislatura. E può spazzare via, finalmente, i danni e gli inganni compiuti dal Grande Inquisitore di Arcore.

m. gianninirepubblica. It

(28 maggio 2011)

 

 

BERLUSCONI A GIUDIZIO di PIERO COLAPRICO

Dalla notte della nipote di Mubarak

al processo per il bunga bunga

Dalla notte della nipote di Mubarak al processo per il bunga bunga

Il premier sarà di fronte ai giudici di Milano il 31 maggio. Le accuse: concussione e prostituzione minorile. Tutto è iniziato il 27 maggio a causa di Ruby, portata in Questura per un furto. Prima e dopo, le serate a luci rosse di Arcore e tante ragazze disponibili. Alcune però hanno parlato di "riti sessuali"

MILANO - E' facile non farsi frastornare dall'eccesso di informazioni sul caso di Karima El Mahroung, detta Ruby "Rubacuori", e delle sue notti da minorenne nella Villa San Martino di Arcore. Basta mettere in fila, in ordine cronologico, alcune date, a cominciare dalla notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010.

Corso Buenos Aires-Questura. Karima, nata il primo novembre del 1992, viene riconosciuta da una ballerina in corso Buenos Aires. Le ha rubato, questo il senso della denuncia, 3mila euro da un cassetto di casa, quando era sua ospite. Arriva la volante Monforte Bis e, dopo una sosta al commissariato di via Poma, Ruby finisce alla questura centrale di via Fatebenefratelli. Il sostituto dei minori, Annamaria Fiorillo, ha disposto che entri in una comunità. E' stata categorica con l'agente che ha fermato Ruby, le trascrizioni del 113 sono chiarissime. Ma, alle 23.49, Silvio Berlusconi chiama da Parigi, dov'è in missione estera, il capo di gabinetto Pietro Ostuni. Gli dice che sta mandando "la consigliera ministeriale Minetti" (carica inesistente) perché le sia "affidata" la minorenne fermata. "E' una nipote del presidente egiziano Mubarak", racconta Berlusconi. Le procedure d'identificazione, secondo l'accusa, si sveltiscono e una minorenne marocchina, fermata per furto, trasformata in "egiziana", esce dalla questura insieme con due donne: Nicole Minetti, ex cubista entrata con il Pdl in politica, e Michelle Coinceicao, brasiliana, bella, ex amante di un amico di Berlusconi, ma da tempo senza un mestiere vero. Sulla sua agenda, accanto al nome Ruby è scritto "troia".

La rissa del 5 giugno. Via Villoresi 19, zona Naviglio, ma molto poco glamour. In un piano ammezzato, due donne litigano così forte che arrivano due volanti, chiamate dai vicini. Ruby denuncia di essere stata picchiata da Michelle e finisce alla clinica pediatrica (è minorenne). Interviene ancora la magistratura minorile, che le vieta ogni contatto con Nicole Minetti e la manda in una comunità di suore. Ma Lele Mora, titolare dell'agenzia di spettacolo fallita, personaggio molto chiacchierato nonostante sia spesso sponsorizzato dalle tv berlusconiane, chiede di adottarla.

Gli interrogatori di Ruby. Una storia simile, che sembrava passare inosservata, per varie circostanze finisce alla procura milanese. Prima il procuratore aggiunto Pietro Forno, poi il sostituto Antonio Sangermano, interrogano Ruby. Quattro interrogatori (l'ultimo del 3 agosto) diventano i pilastri dell'accusa. Ma non perché Ruby sia credibile e venga creduta, attenzione. Ma perché Ruby viene trattata come "un testimone di mafia", cioè ogni sua "verità" viene riscontrata.

I tre input decisivi. Delle tante frasi di Ruby, alcune hanno valore come ipotesi di reato. La minorenne racconta le feste ad Arcore. Parla per prima del "bunga bunga" come di un "rito sessuale", descrive donne che si spogliano e ballano davanti a Berlusconi, che si toccano e lo toccano. Racconta, con trasparente invidia, delle ragazze che hanno "le case gratis", un argomento sul quale lei, scappata di casa e senza documenti, è molto sensibile. Nomina alcune di queste ragazze. Dice che lo chiamano "papi".

I riscontri. In una telefonata tra una parlamentare Pdl ed Emilio Fede, direttore del Tg 4, rispunta, ad agosto, il termine "bunga bunga". Ma saranno alcune ragazze, ospitate quasi per caso ad Arcore, a confermare l'esatto significato della festa a luci rosse che vede Berlusconi, spesso, come "unico protagonista maschile". Una, Melania Tumini, è amica di Nicole Minetti e parla di "puttanaio". Due, Ambra Battilana e Chiara Danese, selezionate da Fede, raccontano persino della statua con un fallo che circola a tavola e di ragazze che, spogliandosi, cantano "Meno male che Silvio c'è". Un'altra, portata da Lele Mora, si dice "Inorridita". Quello che sembrava incredibile agli stessi detective, diventa concreto: il sesso multiplo e promiscuo a casa del premier, dove le ragazze entrano senza controlli, e spesso si tratta di ragazze senz'arte né parte, escort, "disperate delle favelas", è giudiziariamente dato per scontato. Sicuri, per l'accusa, anche i pagamenti e gli affitti gratis, attraverso la cassa-continua rappresentata per le papi-girl dal ragionier Spinelli, antico collaboratore di Berlusconi.

Il 28 ottobre. Qualche "spiffero" trapela, ma l'inchiesta sembra blindata. Finché il 26 ottobre Il Fatto quotidiano rivela che c'è un'inchiesta che riguarda Berlusconi e i suoi rapporti con una ragazza marocchina minorenne. Il 28 ottobre Repubblica racconta i principali contenuti dell'indagine: il bunga bunga, la telefonata del premier alla questura milanese, la "balla" di aver spacciato la minorenne marocchina per la nipote del presidente egiziano Mubarak. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati chiede a Ilda Boccassini, procuratore aggiunto dell'antimafia, di entrare nella fase calda delle indagini. Cominciano gli interrogatori dei poliziotti, vengono chieste alcune verifiche tecniche al Servizio Centrale Operativo. Si scopre che Ruby ha mentito: ha detto di essere stata ad Arcore tre volte, c'è stata quattordici giorni, in molti week end di festa.

Il 14 gennaio. Scattano le perquisizioni alle numerose papi-girl che abitano a Milano, quasi tutte nella Dimora Olgettina, via Olgettina 65, e a Napoli. Quando i poliziotti bussano alla porta dell'ufficio del ragioni Spinelli, viene opposto il divieto, perché "sede di un parlamentare", cioè Berlusconi. I magistrati milanesi spedicono allora alla camera dei Deputati l'invito a comparire per Silvio Berlusconi, iscritto nel registro degli indagati il 21 dicembre. Pochi giorni dopo, viene inviato anche l'invito a comparire per Nicole Minetti.

Processo a Berlusconi il 31 maggio. Con l'accusa di essere cliente di una prostituta minorenne (Ruby) e di concussione (la telefonata alla questura), Berlusconi viene rinviato a giudizio dal gup Cristina Di Censo. Dopo un'udienza di smistamento, che ha visto un sovraffollamento di giornalisti, il prossimo 31 maggio il processo entra nel vivo. Nel frattempo, la parte di centrodestra del parlamento sta cercando di bloccare ogni iniziativa giudiziaria che vede Berlusconi imputato o indagato.

Fede, Mora, Minetti. Un altro processo penale è però alle porte. Riguarda Emilio Fede, come selezionatore di ragazze; Lele Mora come procacciatore; e Nicole Minetti come "addestratrice" di quel gruppo di papi-girl che frequentavano e frequentano a pagamento il premier che, in questo caso, è considerato (copyright dell'avvocati Niccolò Ghedini) l'"utilizzatore finale". Berlusconi sinora s'è difeso spiegando che "aiuta tante persone che hanno bisogno".

21 aprile 2011

 

 

 

L'ANALISI di LIANA MILELLA

Convenzione, competenza, conflitto

Così si cerca di bloccare il processo

Convenzione, competenza, conflitto Così si cerca di bloccare il processo

L'avvocato Niccolò Ghedini

Una norma ad hoc sul merito dei reati del caso Ruby era praticamente impossibile. Perciò i legali del premier stanno battendo complesse strade giuridiche con l'obiettivo di fermare il dibattimento

ROMA - Pure i giuristi super esperti di leggi ad personam che circondano il Cavaliere si sono resi subito conto che chiudere con una norma ad hoc il processo Ruby sarebbe un'impresa praticamente impossibile. I reati contestati, prostituzione minorile e concussione, con difficoltà si prestano anche alla più ardita delle costruzioni giuridiche. La parola magica, a quel punto, è diventata solo una: la competenza. Quella regola per cui un reato viene "trattato" dal suo giudice "naturale", quello del luogo dove esso è stato commesso. Milano, secondo i pm della procura di Milano. Monza e il tribunale dei ministri, secondo la difesa di Berlusconi, gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo. L'ordine è diventato solo uno: spostare il processo per metterlo su un binario morto. Ci hanno provato in due modi, il primo sulla prostituzione rivelatosi debole, il secondo, sulla concussione, lento.

Partiamo dal primo, il reato di prostituzione a danno di una minore, visto che Ruby, all'epoca dei rapporti con Berlusconi, non aveva ancora compiuto 18 anni. I legali del premier hanno cercato di sfruttare un contenitore, la convenzione europea di Lanzarote sui reati commessi ai danni dei minori, che da tempo attende in Parlamento di essere approvata per entrare a pieno titolo nella legislazione italiana. L'idea era semplice, ma si è arenata. Quella di trasferire la competenza ad indagare sui reati di violenza contro i minori, prostituzione in testa, dalle procure distrettuali a quelle più piccole, quelle ordinarie. Da Milano a Monza per intenderci, questa avrebbe potuto essere il cammino a ritroso del caso Ruby. Con la scusa che nelle grandi procure c'è troppo da fare e le violenze sui piccoli e sui deboli rischiano di passare in secondo piano. A quel punto, se la norma (che è ancora ferma al Senato) dovesse passare, la competenza sul reato di prostituzione minorile passerebbe dalla competenza della procura di Milano a quella di Monza. Ma l'intervento è apparso subito debole, soprattutto perché non risolve il problema dell'intero processo, dove il reato "forte" è la concussione. Quella commessa da Berlusconi quando, la notte del 26 maggio 2010, chiama il funzionario della questura di Milano, il dottor Ostuni, per vendergli la patacca di Ruby nipote dell'allora presidente egiziano Mubarak e chiederne l'immediata liberazione.

Quello è il nodo da aggredire. Reato ministeriale, ha sentenziato subito Ghedini, quindi da attribuire per competenza al tribunale dei ministri. Lì avrebbe dovuto mandarlo subito la procura di Milano, anziché tenersi l'inchiesta e chiedere addirittura il rito immediato. In questo modo, dicono gli avvocati del premier, hanno posto le premesse per mettere nel nulla l'intero processo che, a un certo punto, sarà azzerato per via di atti non più validi. Per sostenere questa tesi è stato costruito il conflitto di attribuzioni, sollevato dalla Camera davanti alla Corte costituzionale, perché un suo componente, Berlusconi per l'appunto, è stato privato dei suoi diritti di premier. Egli, secondo la sua difesa, ha fatto la telefonata in questura, l'ha fatta in quanto premier, e quindi il suo presunto reato è di esclusiva competenza del tribunale dei ministri.

La maggioranza alla Camera ha fatto muro, decisa nell'ottenere il voto a favore del conflitto, che c'è stato il 5 aprile, dopo una durissima battaglia prima nella giunta per le autorizzazioni e poi in aula. A favore Pdl, Lega, i Responsabili. Contro Pd, Idv, il Terzo polo di Fli, Udc, rutelliani. Tocca alla Consulta adesso decidere innanzitutto se il conflitto proposto è ammissibile, e poi se il premier ha ragione o se Milano può andare avanti.

Ma c'è un "ma". Al quale adesso si sta cercando di porre rimedio. Perché il conflitto di attribuzioni non ferma d'obbligo il processo (anche se gli avvocati dicono di sì), come succede per i ricorsi alla Consulta dei giudici. E qui i berluscones se ne sono inventata un'altra. Giusto una leggina, la blocca-Ruby, che obbliga i giudici a fermare per forza il processo anche di fronte ai conflitti di attribuzioni. Così il processo, in attesa della Consulta, almeno si dovrà mettere in pausa. Norma non ancora presentata, anche se è questione di giorni. Finirà al Senato, in quello che è stato definito "processo lungo". Norme per dare più potere agli avvocati e bloccare l'uso delle sentenze definitive. In più la blocca-Ruby che, dopo il passaggio alla Camera, fermerà il dibattimento.

06 maggio 2011

 

 

 

L'INCHIESTA

Fondi neri di Finmeccanica

indagato il presidente Guarguaglini

Ipotizzato il reato di frode fiscale e false fatturazioni. La procura: "Usò denaro extracontabile degli appalti Enav per pagare provvigioni a Cola". La collaborazione dell'imprenditore Tommaso Di Lernia: i soldi usati anche per pagare la politica di CARLO BONINI

Fondi neri di Finmeccanica indagato il presidente Guarguaglini Pier Francesco Guarguaglini

ROMA - Pier Francesco Guarguaglini è indagato per frode fiscale e false fatturazioni. Dopo un anno di lavoro istruttorio, cade l'ultimo diaframma e l'inchiesta della Procura di Roma sui fondi neri di Finmeccanica travolge con un'ipotesi di reato di una qualche gravità (reclusione fino a 9 anni) il suo presidente, il manager che ha sin qui posato da sopravvissuto alla tempesta giudiziaria che ha investito la holding e che, non più tardi del 4 aprile scorso, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha confermato al vertice 1 del colosso degli armamenti.

Il pm Paolo Ielo e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo accusano Guarguaglini di aver creato o comunque autorizzato fondi extracontabili attraverso una almeno delle società controllate dal Gruppo (la "Selex"), disponendone l'uso per il pagamento di "provvigioni nere" di cui non doveva restare traccia, e ne hanno dunque iscritto il nome al registro degli indagati insieme a quelli di Lorenzo Borgogni, capo delle relazioni esterne della holding, Lorenzo Cola, per anni "facilitatore" del Gruppo (e oggi agli arresti domiciliari), Marco Iannilli e Tommaso Di Lernia, gli "imprenditori" (diciamo così) utilizzati per creare e distribuire le provviste nere della "Selex", società di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie di Guarguaglini.

L'iscrizione del presidente di Finmeccanica risale ai primi mesi di quest'anno, ma soltanto ieri se ne è avuta l'evidenza, con la notifica agli indagati della proroga di indagine concessa alla Procura dal gip di Roma. Risale cioè ai giorni in cui Lorenzo Cola, l'uomo da cui, in modo grottesco, Guarguaglini prova a prendere le distanze dopo l'arresto (8 luglio 2010), decide tirarsi dietro l'ex padrino.

Nella sua lunga e all'epoca in buona parte "omissata" collaborazione con i pm, Cola racconta infatti di aver "mediato" per conto di Finmeccanica l'acquisizione, nel 2008, della statunitense "Drs Technologies Inc.", uno dei principali contractor del Pentagono (10 mila dipendenti e un fatturato annuo superiore ai 3 miliardi di dollari). Un affare che si chiude con un prezzo di acquisto di 5 miliardi e 200 milioni di dollari (3 miliardi e mezzo di euro) e per la quale Cola ottiene da Guarguaglini una provvigione che supera, ufficialmente, gli 8 milioni di euro.

Il punto - aggiunge Cola - è che solo una parte di quel denaro deve risultare in "chiaro". Il resto, dovrà essere "ritagliato" in nero. Come? È sempre Cola a spiegarlo, sostenendo che Guarguaglini lo invitò a rivalersi per quella parte di denaro che gli era ancora dovuto sui fondi neri di cui la "Selex" (di cui Cola era per altro consulente) disponeva, grazie al sistema di fatturazioni fittizie che normalmente accompagnava la concessione in subappalto alla società "Print system" di Di Lernia e Iannilli delle gare che "Selex" si aggiudicava con Enav. Un sistema che gonfiava il costo degli appalti e che naturalmente gravava per intero sulle casse pubbliche di Enav.

L'indagine ancora in corso accerterà se e quali altre direzioni abbia preso il denaro ottenuto da Cola "in nero". E' un fatto - ipotizza oggi l'accusa - che Guarguaglini fosse consapevole non solo dell'esistenza di fondi neri del Gruppo (circostanza che ha sempre pubblicamente negato, accusando "Repubblica" di condurre una "campagna strumentale" e "per conto terzi"), ma anche di come funzionassero le cose nell'acquisizione degli appalti Enav, vicenda nella quale, sin qui, è rimasta coinvolta la moglie, Marina Grossi, indagata dagli stessi pm Ielo e Capaldo per corruzione. Un'ipotesi, per altro, cui il tempo ha portato nuove evidenze in grado di sostenerla.

L'ultima, cruciale, è storia di queste ultime settimane. Tommaso Di Lernia, uno dei protagonisti chiave dell'indagine sugli appalti Enav e dunque sui fondi neri Finmeccanica, arrestato negli Usa ed estradato due mesi fa in Italia, ha cominciato a collaborare. Ha iniziato a indicare chi erano i destinatari delle "provvigioni nere" create dalla holding di piazza Monte Grappa e di cui lui, Di Lernia, era "il pagatore". Ieri, il gip, con parere favorevole della Procura, gli ha concesso gli arresti domiciliari e Natale Perri, il suo avvocato, non ha fatto mistero delle ragioni. "Il mio assistito è stato vessato dai suoi committenti (Enav e "Selex", ndr) che dovevano ingraziarsi settori della politica italiana".

(22 luglio 2011)

 

 

2011-07-21

IL CASO

Tangenti per l'area Falck

Penati: "Mi autosospendo"

Il vicepresidente pd del consiglio regionale, sotto inchiesta per la vicenda dell'area Falck

a Sesto, abbandona per il momento la sua carica al Pirellone. "Ma sono estraneo ai fatti"

Tangenti per l'area Falck Penati: "Mi autosospendo" Filippo Penati

 

Il vicepresidente del consiglio regionale lombardo Filippo Penati (Pd), indagato per una vicenda di tangenti, si è autosospeso dalla carica. Con una lettera inviata al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, al presidente del consiglio regionale, il leghista Davide Boni, e ai capigruppo, Penati ha spiegato: "Ribadendo la mia totale estraneità ai fatti, per rispetto dell'istituzione mi autosospendo da vicepresidente".

L'INCHIESTA Fatture false e società off shore LA SCHEDA Il più grande cantiere d'Europa L'area della Falck a Sesto

"A seguito del mio coinvolgimento nella vicenda giudiziaria relativa all'area Falck di Sesto San Giovanni- scrive ancora Penati nella lettera - desidero ribadire la mia totale estraneità ai fatti. In merito anche alle notizie apparse sulla stampa voglio precisare che non ho mai chiesto e ricevuto denaro da imprenditori. Voglio altresì ribadire la mia assoluta fiducia nell'operato della magistratura". "Per profondo rispetto dell'istituzione nella quale sono stato eletto e per evitare ogni imbarazzo al Consiglio mi autosospendo dall'esercizio e dalle prerogative di vicepresidente, certo che tutto verrà completamente chiarito e confido a breve".

L'annuncio dell'autospensione su Facebook

"Da subito - spiega Penati - rinuncio alle prerogative connesse alla vicepresidenza, non parteciperò più all'ufficio di presidenza e già dal prossimo consiglio siederò tra i banchi dei consiglieri di minoranza. Sono certo di interpretare anche i sentimenti di chi mi ha eletto nel voler garantire in queste circostanze il massimo rispetto delle istituzioni".

(21 luglio 2011)

 

 

 

 

 

L'INCHIESTA

Fatture false e società off shore

per prosciugare i fondi pubblici

L'inchiesta syll'area Falck di Sesto San Giovanni in cui è coinvolto anche il pd Penati

I primi sospetti arrivarono da un conto svizzero che faceva capo all'immobiliarista Zunino

di EMILIO RANDACIO

Fatture false e società off shore per prosciugare i fondi pubblici Una veduta dell'area ex Falck

Alcune aziende-cartiera. Ma soprattutto un giro di società off shore sparse per i paradisi fiscali di mezzo mondo su cui far transitare fior di quattrini. Ma c'è anche la voglia di alcuni imprenditori di non sottostare più a un "sistema", indicare nomi, cifre e responsabilità precise. Ecco spiegato come la magistratura si è convinta di aver scoperchiato il presunto "metodo Sesto". La procura di Milano lo lambisce quasi un anno fa, indagando sulle società dell'immobiliarista Luigi Zunino e sulla gestione della società Santa Giulia.

Area Falck, indagato il pd Penati LA SCHEDA Il più grande cantiere d'Europa L'area della Falck a Sesto

Un'imponente area nella zona sud-est di Milano, una volta sede della Montedison, con le ambizioni di trasformarsi in un appetibile quartiere residenziale. Un progetto firmato dall'archistar Norman Foster, rimasto incompiuto, la cui vecchia gestione è stata travolta dagli scandali (prima di essere rilevata da una nuova cordata). Prima per la mancata bonifica da parte dell'imprenditore Giuseppe Grossi. Fiumi di denaro, anche di finanziamenti pubblici, la cui destinazione non è ad oggi ancora del tutto chiara. I pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, alla fine del 2009, mettono le mani su una serie di società che emettono fatture proprio a una controllata di Zunino.

Spulciando nei bilanci della Immobiliare Cascina Rubina srl si accorgono che i conti non tornano. Zunino viene indagato per appropriazione indebita. Attraverso operazioni inesistenti, sostiene la procura, avrebbe stornato dai bilanci "due milioni e mezzo di euro", depositandoli "sul conto svizzero Lugton del quale è beneficiario lo stesso Zunino". Sottotraccia, da allora, nelle mani della procura sono finite altre società-cartiera. Capaci, cioè, di fare risultare operazioni in realtà inesistenti attraverso triangolazioni con l'estero, sottrarre denaro al fisco, fare sparire molto denaro. E proprio in questo spaccato che Pedio e Ruta si sono imbattuti, alla fine del 2010, nei conti della Caronte srl (perquisita), nella gestione del suo direttore generale, Piero Di Caterina. Sarebbero state anche le sue parole, rese a verbale fino a pochi mesi fa, a svelare il 'sistema Sesto' nei trasporti. Parole, si dice oggi, che avrebbero ricevuto altri impulsi e conferme anche dal primo proprietario dell'ex area Falck di Sesto, l'imprenditore Giuseppe Pasini (ex candidato sindaco di Forza Italia sconfitto dal candidato pd Giorgio Oldrini nel 2007).

È lui che avrebbe raccontato delle pesanti pressioni ricevute dagli esponenti del Pd lombardo per ottenere le varianti al Piano regolatore necessarie alla lottizzazione dell'area. Fiumi di inchiostro che hanno riempito verbali. Proprio sei mesi fa, i pm milanesi hanno passato tutte le carte ai colleghi monzesi. I presunti reati sono stati commessi fuori dalla loro giurisdizione. E in questo ristretto lasso di tempo, il procuratore Corrado Carnevale e il suo sostituto, Walter Mapelli, hanno cercato verifiche e riscontri. Avviato rogatorie all'estero, convocato testimoni che, dopo il verbale, si sono trasformati in indagati.

Ora il blitz. Con un decreto di perquisizione stringato, di sole due pagine, l'accusa non intende ancora scoprire le carte. Al massimo le fa timidamente intuire. Una mossa dovuta quella di ieri, legata all'imminente scadenza delle indagini (sei mesi), che solo in parte - è la precisa sensazione - danno lo spaccato di quanto è convinta di aver provato la procura di Monza.

(21 luglio 2011)

 

 

 

LA SCHEDA

Area Falck, sulle ceneri dell'acciaieria

sorgerà il più grande cantiere d'Europa

La storia dell'area di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, finita nell'inchiesta

della Procura di Monza che ha coinvolto anche il consigliere regionale pd Penati

Area Falck, sulle ceneri dell'acciaieria sorgerà il più grande cantiere d'Europa Il plastico di un progetto per l'area Falck

 

Una storia di oltre un secolo, che racchiude in sé una parabola discendente che va dagli anni d'oro delle acciaierie Falck fino all'inchiesta per tangenti aperta dalla Procura di Monza. E' quella dell'area di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, che una volta rappresentava il fiore all'occhiello dell'industria lombarda e adesso è al centro della cronaca giudiziaria. Il vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati, è indagato insieme con altre persone per concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Illeciti che sarebbero avvenuti tra il 2001 e il 2002, ovvero quando il sito immobiliare era nelle mani della famiglia Pasini.

L'area al centro dell'inchiesta

La nascita delle acciaierie. Nel 1906 sorgono le acciaierie Falck a Sesto San Giovanni. Nel 1964 gli stabilimenti raggiungono il massimo splendore al punto che danno posto di lavoro a oltre 16 miladipendenti.

La crisi siderurgica. Alla fine degli anni 'Ottanta, però, inizia una lunga stagione di crisi del mercato, causata soprattutto dalla forte concorrenza dei poli siderurgici extracomunitari. Nel 1996 tutti gli impianti Falck di Sesto vengono smantellati.

La vendita dell'area ai Pasini. Nel 2000 Giuseppe e Luca Pasini (presidente, quest'ultimo, della Pro Sesto) acquistano dalla famiglia Falck 1,3 milioni di metri quadrati di superficie per 400 miliardi di vecchie lire. L'obiettivo è trasformare il 'vecchio dinosauro' in un quartiere di uffici per quella che allora era Banca Intesa (oggi Intesa SanPaolo), con un progetto di recupero firmato Mario Botta. Poi la banca cambia idea, però, e i Pasini invertono rotta: quartiere residenziale, case, volumetrie importanti. Un progetto che tuttavia si scontra con il piano regolatore di Sesto, accendendo un braccio di ferro durato due anni. E così, alla fine, non decolla nulla.

L'era Zunino. Nel 2005 l'immobiliarista Luigi Zunino acquista l'area per 88 milioni di euro da Pasini. L'imprenditore di Nizza Monferrato, patron del gruppo Risanamento, si affida a Renzo Piano per rilanciare l'area. Travolto da una montagna di debiti per quasi 3 miliardi di euro e col rischio crack alle porte, però, deve mollare la presa e farsi da parte.

La rinascita con Bizzi. Lo scorso ottobre (2010), Risanamento, ormai di proprietà delle banche creditrici di Zunino, vende per 405 milioni di euro l'intera area alla cordata immobiliare capitanata da Davide Bizzi, denominata Sesto Immobiliare. Il progetto, ambizioso, decollerà entro fine 2012. Nel piano la creazione del più grande progetto europeo di riqualificazione urbana di ex aree industriali che punta a ridisegnare l'intero territorio di Sesto. Il cantiere comporterà nuova occupazione per circa 3.000 lavoratori per un periodo di dieci anni. Una volta completata la riqualificazione, sull'intera area dovrebbero trovare lavoro più di 3.500 addetti.

 

 

 

RITAGLI

DI CONCETTO DEL VECCHIO

21

lug

2011

Corruzione democratica

Filippo Penati

Filippo Penati

"Altro che i birbantelli di cui parla Berlusconi: la corruzione in Lombardia si sta rivelando molto pesante" (18 febbraio 2010)

"Assistiamo ad una seria sottovalutazione e a un singolare relativismo etico secondo la quale la corruzione è un fatto mondiale, quasi inevitabile. In nome del fare si finisce nella zona grigia dove la politica s’intreccia con gli affari: da lì nasce la corruzione. Ma la destra alle riforme nel segno della trasparenza preferisce le scorciatoie". (19 febbraio 2010)

"Formigoni sbaglia a dire che la Lombardia è come il resto del mondo e che i casi di corruzione sono episodi isolati" (19 febbraio 2010)

"In Italia mancano delle norme contro la corruzione e credo sia arrivato il momento che il Parlamento legiferi" (23 febbraio 2010)

"Solo negli ultimi tre mesi i casi isolatissimi di corruzione in Lombardia di cui parla Berlusconi sono stati ben tre e tutti e tre hanno visto protagonisti esponenti della destra. Non è girandosi dall’altra parte che si ristabilisce la legalità" (24 marzo 2010)

Così tuonava Filippo Penati da capo della segreteria di Bersani. Da ieri il medesimo Penati è accusato di avere intascato tangenti pari a 5,7 miliardi di lire nel 2001 per favorire alcuni imprenditori nell’urbanizzazione delle aree ex Falck a Sesto San Giovanni.

Scritto giovedì, 21 luglio 2011 alle 13:50 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

 

 

 

 

Diretta

Papa, la Camera dice sì all'arresto

Berlusconi: "Stop a escalation di manette"

Via libera dall'Aula alla richiesta della procura di Napoli con 319 voti favorevoli, 293 contrari. La votazione si è svolta in modo segreto, come chiesto da Pdl e Responsabili. Scontro in Aula fra Franceschini e Reguzzoni. "Avete scambiato il rinvio sui rifiuti per l'immunità al deputato". "Voi del Pd mettete le mani avanti". Il deputato Pdl prende la parola in aula: "Sono innocente, estraneo ad ogni accusa".

(Aggiornato alle 18:48 del 20 luglio 2011)

18:48 Quagliariello: "No all'arresto di Tedesco" 54 – Gaetano Quagliariello ha chiesto, intervenendo nell'Aula del Senato, il no agli arresti domiciliari per Alberto Tedesco. Secondo il vicecapogruppo del Pdl, che è stato molto applaudito dai colleghi del suo partito, è indispensabile votare in modo segreto. Quagliariello ha anche chiesto le dimissionI di Tedesco.

18:46 Berlusconi attonito 53 – Il premier Silvio Berlusconi è rimasto attonito quando sul tabellone è comparso il risultato della votazione. E' rimasto seduto per qualche minuto in silenzio, poi si è allontanato in fretta con un breve saluto solo alle ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo.

18:46 Papa lascia l'Aula tra gli abbracci dei colleghi 52 – Subito dopo che l'Aula della Camera ha dato il via libera alla richiesta per il suo arresto, Alfonso Papa ha lasciato l'emiciclo tra gli abbracci dei colleghi.

18:39 Silenzio e gelo in Aula dopo il voto 51 – Silenzio e gelo in Aula dopo l'annuncio dell'autorizzazione all'arresto di Papa.

18:36 Concessa autorizzazione per l'arresto di Papa, 319 voti favorevoli 50 – Concessa dalla Camera l'autorizzazione per l'arresto di Papa: 319 voti favorevoli, 298 contrari.

18:34 Cicchitto: "Confermiamo richiesta di voto segreto" 49 – "Confermiamo la richiesta di voto segreto. Il giacobinismo ha fatto tante vittime nel secolo scorso e rischia di farne altre anche in questo secolo": così il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha risposto alla richiesta di Pd e Udc di rinunciare al voto segreto sull'arresto di Aldonso Papa.

18:33 Franceschini: "Voteremo in modo palese, lo faccia anche la Lega" 48 – "I deputati del Pd renderanno comunque palese il loro voto con un accorgimento tecnico consentito dal regolamento. Cosi' da spazzare via le voci su dubbi relativi al voto dei nostri parlamentari. Inoltre, chiedo al capogruppo della Lega di Nord di votare con voto palese". Lo ha detto il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, prendendo la parola in Aula, a Montecitorio.

18:29 Appello Udc e Pd: "Rinunciamo al voto segreto" 47 – Prima l'Udc con Pier Ferdinando Casini, poi il Pd con Dario Franceschini hanno chiesto, in aula alla Camera, a Pdl e Responsabili di rinunciare al voto segreto sull'arresto di Alfonso Papa.

18:23 Berlusconi applaude Papa 46 – Alla fine dell'intervento di Alfonso Papa, nell'aula della camera, dove si vota sul suo arresto, Silvio Berlusconi applaude il suo deputato. L'intervento di papa viene applaudito anche dal pdl e dai ministri seduti ai banchi del governo. Da segnalare che Roberto Maroni è stato seduto per tutto il tempo tra i banchi della Lega.

18:21 Papa: "Dolore, ho detto ai miei figli che forse non tornerò a casa" 45 – "Io oggi, pieno di dolore, dal punto di vista umano affronto questa prova che arriva dopo diversi mesi di travaglio che non auguro a nessuno e che vivo però con un'intima serenità e una grande pace interiore": così ha detto in Aula Alfonso Papa. "Sono turbato unicamente dal pensiero dei miei figli, di dieci e dodici anni, ai quali stanotte ho dovuto spiegare come e perchè questo fine settimana potrei non tornare a casa", ha aggiunto.

18:20 Lega voterà sì a richiesta arresto Tedesco 44 – La Lega voterà sì alla richiesta di arresto per Alberto Tedesco. Lo ha annunciato in aula a palazzo Madama il senatore del Carroccio Sandro Mazzatorta.

18:19 I radicali voteranno sì sull'arresto di Papa 43 – I radicali voteranno a favore della richiesta di arresto per Alfonso Papa: Lo ha annunciato nell'Aula della Camera Rita Bernardini.

18:16 Papa: "Sono innocente" 42 – "Non ritengo di dover fare qui un appello alla difesa del Parlamento perchè io sono innocente ed estraneo nel merito a tutte le accuse che mi vengono rivolte e ritengo davanti alla mia coscienza, Dio e gli uomini, che la verità non abbia bisogno di difensori". Lo ha detto Alfonso Papa.

18:15 Papa: "Vivo il voto con serentià" 41 – Alfonso Papa, prendendo la parola Aula, dice di vivere il momento del voto con serenità.

18:12 Berlusconi: "Ottimista sul voto" 40 – "Sì". Così il premier Silvio Berlusconi , entrando in aula alla Camera risponde ai giornalisti che gli chiedono se è ottimista sull'esito sulla rihiesta di arresto nei confronti di Alfonso Papa.

18:11 Paniz (Pdl): "Non cedere al giustizialismo" 39 – "Accettando la richiesta d'arresto si cede al giustizialismo, e soprattutto si calpesta un pilastro della nostra Costituzione: la presunzione di innocenza". Lo ha detto il deputato del Pdl Maurizio Paniz, intervenendo nell'Aula della Camera nel dibattito sulla richiesta d'arresto nei confronti di Alfonso Papa avanzata dalla Procura di Napoli.

18:06 Li Gotti (Idv): "Se imputati Pdl si dimettessero, Camere vuote" 38 – "Se ogni deputato del Pdl per cui vengono chiesti gli arresti si dimettesse, si arriverebbe allo scioglimento delle camere per mancanza del numero legale". Così il senatore Idv, Luigi Li Gotti risponde al senatore Cn, Cardiello che invitava Tedesco a dimettersi. "Avremmo risolto il problema dei costi della politica, con camera e senato ridotti a 2-300 unità" conclude Li gotti, mentre dai banchi della maggioranza continuano a giungere gli inviti: "Tedesco dimettiti".

18:06 Tedesco, Idv e Udc voteranno a favore dell'arresto 37 – L'Idv e l'Udc voteranno a favore della richiesta di arresto per Alberto Tedesco. Lo hanno annunciato in aula Luigi Li Gotti per l'Italia dei Valori e Achille Serra per l'Udc.

18:04 Tedesco, Coesione nazionale voterà no all'arresto 36 – Coesione Nazionale voterà 'no' alla richiesta di arresto per Alberto Tedesco. Lo ha annunciato in aula al Senato, Franco Cardiello (Cn) che però ha chiesto a Tedesco "per quale motivo non si è dimesso. Oggi è venuto in aula a difendersi - ha osservato - ma ha ancora la possibilità di farlo".

17:59 Maran (pd): Strumentale accostare Papa a Margiotta 35 – "L'accostamento tra la vicenda di Papa con quella di Salvatore Margiotta è del tutto strumentale". Lo ha ribadito nell'Aula della Camera Alessandro Maran del Pd replicando, in dichiarazione di voto sulla richiesta di arresto per Alfonso Papa aggiungendo: "Non tutti i deputati e non tutti i partiti sono uguali".

17:52 Berlusconi: "Non voterò mai per mettere le manette a qualcuno" 34 – "Non voterò mai per mettere le manette a qualcuno, ha detto il capo del governo, sempre secondo quanto riferito da alcuni presenti. "Altrimenti - ha aggiunto il premier - di questo passo i magistrati arriveranno a minare i numeri della maggioranza e torneremmo al clima del '92".

17:35 La Lega vota a favore 33 – Lussana conferma che la "Lega Nord voterà a favore" dell'arresto di Papa. "La nostra indicazione è chiara, ma non c'è piaciuto il clima di caccia alla streghe scatenato stamattina in aula dal presidente Franceschini. Lasci stare la Lega".

17:32 Chiesto il voto segreto 32 – "Il gruppo di Popolo e Territorio ha presentato la richiesta di procedere con il voto segreto". Lo ha annunciato il capogruppo Silvano Moffa, intervenendo nell'Aula della Camera.

17:13 Bossi non è in aula 31 – Il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, non è in aula alla Camera, dove tra poco si voterà sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa.

17:10 Berlusconi entra alla Camera 30 – Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è arrivato alla Camera dove l'Aula a breve si esprimerà sull'arresto di Alfonso Papa.

16:52 Melchiorre al Pdl: "Servi della gleba" 29 – Daniela Melchiorre dà dei "servi della gleba" ai deputati del Pdl che la interrompono durante la sua dichiarazione di voto sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa.

16:34 Caso Tedesco, al via la seduta al Senato 28 – E' iniziata nell'aula del Senato la seduta che deciderà sulla richiesta di arresto di Alberto Tedesco, senatore ex Pd, avanzata dal gip di Bari nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità pugliese. A Tedesco sono imputati i reati di corruzione, concussione, turbativa d'asta e falso per il periodo in cui è stato assessore regionale alla sanità in Puglia. Il voto dell'assemblea dovrebbe arrivare intorno alle 18.30.

16:32 Pd e Idv voteranno in maniera di fatto palese 27 – 'Siamo molto soddisfatti della decisione del Pd di accogliere il nostro appello e rendere, di fatto, palese il voto. Rinnoviamo l'appello alla Lega affinchè voti come Idv e Pd, con l'indice della mano sinistra in modo visibile e riconoscibile". Lo afferma il presidente del gruppo Idv alla Camera Massimo Donadi.

16:30 Banchi del Governo semivuoti 26 – In aula è atteso il premier Silvio Berlusconi, anche se per ora i banchi del Governo sono semivuoti: vi siedono solo i ministri Stefania Prestigiacomo, Mara Carfagna, Renato Brunetta e Gianfranco Rotondi.

16:26 Berlusconi: "Escalation della magistratura 25 – "L'escalation della magistratura è passata dalle inchieste alle manette preventive...". E' l'unico passaggio, secondo quanto riferisce uno dei presenti, che Silvio Berlusconi ha dedicato al caso di Alfonso Papa durante l'incontro con i coordinatori regionali del Pdl a Palazzo Grazioli.

16:17 Orlando: "Papa chieda il voto palese" 24 – "Chieda lei stesso il voto palese. Abbia rispetto di questa altissima istituzione" che è il Parlamento. Così Leoluca Orlando di Idv, si rivolge in aula alla Camera ad Alfonso Papa.

16:14 Papa appare tranquillo 23 – Pochi minuti prima dell'avvio della seduta Papa, apparentemente tranquillo, si aggirava in transatlantico stringendo la mano e sorridendo ad alcuni colleghi di maggioranza.

16:11 L'Udc voterà per il si 22 – L'udc voterà compatta a favore dell'arresto di Alfonso Papa. E' quanto emerso da una riunione di gruppo convocata questo pomeriggio dal leader del partito, pier Ferdinando Casini e dal segretario Lorenzo Cesa.

16:07 Deputati "responsabili": pronta la richiesta del voto segreto 21 – Saranno i deputati 'responsabili' a presentare al presidente della Camera, Gianfranco Fini, la richiesta di voto segreto sull'autorizzazione all'arresto di Alfonso Papa (Pdl). Piccolo diverbio, però, sul finale. Uno dei 29 parlamentari Responsabili, Michele Pisacane, ha cancellato la sua firma: "E' stata messa da un altro - si lamenta - ma che modo è questo?"

16:05 Inizia la discussione alla Camera. Voto atteso per le 18 20 – E' iniziata alla Camera la discussione della richiesta di arresto di Alfonso Papa. La relazione è affidata a Federico Palomba dell'Idv, che ha presentato all'Aula la proposta della giunta per le autorizzazioni di concedere il via libera alla custodia cautelare. La votazione è attesa dopo le 18.

15:56 Alfano: "Non siamo per l'impunità" 19 – "Il parlamento è chiamato ad esprimersi col voto non sull'impunità, ma sulla misura cautelare prima del processo e quindi sull'arresto prima del giudizio. Noi non siamo favorevoli all'impunità, ma ad un uso più saggio della custodia cautelare". E' quanto ha detto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, incontrando i coordinatori regionali a palazzo grazioli.

15:53 I generali della GdF coinvolti nella P4 vengono trasferiti 18 – Il generale Michele Adinolfi, capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, che prossimamente diventerà generale di Corpo d'Armata, assumerà, a partire dal prossimo 15 settembre, l'incarico di Comandante Interregionale Firenze. Cambio di incarico anche per il generale Vito Bardi: da Comanndante interregionale a Napoli a ispettore per gli istituti di istruzione delle Fiamme Gialle a Roma. Entrambi i generali sono indagati nell'ambito dell'inchiesta P4 della procura di Napoli.

15:53 Bersani: "Votiamo compatti come un sol uomo" 17 – "Votiamo compatti per l'arresto, come un solo uomo". Lo ha detto Pier Luigi Bersani intervenendo all'assemblea del gruppo pd sul caso di Alfonso Papa.

15:42 Tedesco: "Voterò si per il mio arresto" 16 – "Interverrò in aula per chiedere che ci sia un voto palese per evitare strumentalizzazioni e un sì all'autorizzazione all'arresto". Così il senatore Alberto Tedesco (autosospesi dal pd e ora iscritto al misto), conversando con i giornalisti a Palazzo Madama, in merito alla richiesta di autorizzazione all'arresto della procura di Bari su cui l'assemblea del Senato si pronuncerà nel pomeriggio.

15:36 Papa: "Dimostrerò la mia innocenza" 15 – "Vivo questa giornata con grande serenità perchè sono innocente e lo dimostrerò". Alfonso Papa, il deputato del Pdl autosospesosi dal gruppo e sul quale pende la richiesta di arresto da parte del gip di Napoli, ostenta serenità a poche ore dal voto dell'aula di Montecitorio che dovrà pronunciarsi se concedere o meno l'autorizazzione alla misura cautelare

15:36 Bersani: "Lega si opponga a voto segreto" 14 – "Se è vero che non c'è uno scambio" con il Pdl sui rifiuti, la Lega "si metta di traverso al voto segreto", ha detto il segretario del Pd. "Il Pd è contro il voto segreto per l'arresto a Papa, e la Lega?", ha chiesto. Se non c'e stato uno scambio la Lega "convinca la maggioranza a ritirare il voto segreto così come l'ha convinta sul decreto rifiuti". Solo così "chiariamo tutti gli equivoci, altrimenti lo scriverò su tutti i manifesti al Nord".

15:35 Cicchitto rivendica voto segreto 13 – "Il Pdl rivendica il voto segreto, perché è giusto che su una valutazione di una persona non ci sia un gioco cinico politico, ma che ogni deputato sia messo di fronte alla sua coscienza e senza nessun condizionamento faccia i conti con se stesso e con gli altri". Lo dice il capogruppo Pdl, Fabrizio Cicchitto

13:14 La Lega urla a Bocchino: "Scemo" 12 – Dai banchi della Lega si levano voci di dissenso per l'intervento di Bocchino, e lui replica: "Non capisco perchè la Lega mi urla 'scemo' nel momento in cui, dicendo no al voto segreto, appoggio la loro posizione. A meno che se non abbiano un accordo segreto con il pdl e i responsabili sul voto segreto per salvare così la casta".

13:08 Italo Bocchino: "Voto palese" 11 – Un appello a tutti i gruppi della camera affinchè nessuno chieda in aula il voto segreto sul voto di oggi pomeriggio per l'arresto di Alfonso Papa. Intervenendo in aula, subito dopo il voto sul ritorno in commissione del decreto rifiuti, l'esponente di Fli dice: "Faccio un appello a tutti i gruppi parlamentari. Oggi pomeriggio c'è una votazione molto delicata. Credo che nei confronti degli italiani abbiamo il dovere di non avanzare nessuna richiesta di voto segreto. Gli italiani hanno il dovere di sapere come vota ogni parlamentare. E' molto grave la richiesta di voto segreto".

13:05 Lega: "Insinuazioni offensive" 10 – Marco Reguzzoni risponde a muso duro nell'aula di montecitorio a Dario Franceschini che accusa la lega di aver barattato il no ai rifiuti con il voto contrario all'arresto di Alfonso Papa. "Lei fa un'insinuazione che ci offende-dice Reguzzoni- in realtà mette le mani avanti e prepara un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto" favorevole a Papa.

12:58 Richiesta di rinvio in commissione 9 – La richiesta di rinvio in commissione "senza alcuna motivazione" del decreto rifiuti è frutto di "uno scambio" tra Lega e Pdl: via il dl in cambio del no all'arresto di Alfonso Papa (Pdl). E' l'accusa mossa alla Camera del capogruppo del Pd, Dario Franceschini.

12:52 Franceschini: "Scambio scellerato fra Lega e Pdl" 8 – Dario Franceschini ha accusato la maggioranza di avere scambiato con la Lega il no alle mozioni in tema di rifiuti con la salvezza di Alfonso Papa. Questo è "uno scambio scellerato ed è sotto gli occhi di tutti", ha accusato. "Qualcuno dovrebbe informare il ministro Prestigiacomo che la maggioranza sta votando contro i suoi pareri" sulle mozioni in materia di rifiuti "per avere il voto della lega su Papa".

12:45 Bersani: "Voteremo si alla Camera e al Senato" 7 – "Siamo assolutamente contro il voto segreto e ci opporremo in tutti modi". Quando mancano poche ore al verdetto della camera su Alfonso Papa, il segretario del pd Pier Luigi Bersani, a repubblica.It, spiega quale sarà l'atteggiamento del pd in relazione al voto di oggi. I democratici voteranno sì all'autorizzazione sia alla camera, nel caso di Papa, che al senato, dove oggi pomeriggio, in contemporanea, si vota la richiesta di autorizzazione per il senatore democratico Alberto Tedesco.

12:43 Di Pietro: "No al voto segreto" 6 – Antonio Di Pietro ha auspicato che non si voti oggi con scrutinio segreto né sul caso Alfonso Papa né su quello di Alberto Tedesco. "Mi auguro un gesto di responsabilità di Camera e Senato", ha detto il leader dell'Idv ai cronisti a Montecitorio. "Si deve votare in modo palese perchè bisogna avere il coraggio delle proprie azioni e non nascondersi e salvare la casta", ha aggiunto.

11:41 Bindi: "No al voto segreto" 5 – "Noi voteremo comunque per l'arresto dei nostri colleghi. Bisogna affermare il principio per cui tutti sono uguali davanti alla legge". Lo afferma il presidente del Pd, Rosy Bindi,

11:14 Di Pietro: "Peggio di Tangentopoli" 4 – Antonio Di Pietro vede molte analogie tra il periodo che precedette lo scoppio di Tangentopoli, vissuto da pubblico ministero, e queste settimane con il continuo succedersi di nuove inchieste. Ma per il leader dell'Idv, le conseguenze potrebbero essere ben più pesanti. "Oggi però rischiamo non solo le monetine di Craxi, ma una rivolta sociale".

11:12 Oggi il voto su Tedesco 3 – Oggi al Senato si voterà sulla richiesta di arresto di Alberto Tedesco, eletto nelle liste del pd, sospeso dal partito, indagato per corruzione nello scandalo sanità che ha investito la regione Puglia.

11:10 Papa, alle 16 il voto dell'Aula 2 – E' fissato per oggi alle 16 il voto dell'aula della camera sulla richiesta di arresto nei confronti di Alfonso Papa del Pdl, indagato nell'inchiesta sulla p4 con l'accusa di estorsione, concussione e altri reati comuni.

11:07 Milanese, slitta l'esame della giunta 1 – Slitta alla settimana prossima l'inizio davanti alla giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera dell'esame della richiesta di arresto di Marco Milanese. Il relatore Fabio Gava, del Pdl, ha chiesto tempo per approfondire il fascicolo, comprese le richieste di utilizzo dei tabulati delle utenze telefoniche del deputato e di apertura di alcune cassette di sicurezza. Polemica l'opposizione che avrebbe voluto almeno fossero votate le due richieste 'accessorie', anche alla luce della posizione favorevole espressa dallo stesso Milanese.

(20 luglio 2011)

 

 

 

 

 

 

 

L’INDAGINE

Rifiuti, tangenti e assunzioni inutili

arrestato ex ad di Enerambiente

In manette Giovanni Faggiano ex amministratore delegato dell'azienda e un capocantiere. I reati contestati ai due sono di corruzione ed estorsione. L’indagine, condotta da Digos e fiamme gialle era partita lo scorso settembre dopo la vandalizzazione di 52 automezzi

Rifiuti, tangenti e assunzioni inutili arrestato ex ad di Enerambiente

Assunzioni inutili e illegali nel settore dei rifiuti e tangenti che venivano versate anche a funzionari dell'Asia, la società del Comune di Napoli che si occupa della raccolta dei rifiuti: i nuovi sviluppi dell' inchiesta avviata lo scorso anno dopo la devastazione degli automezzi della società Enerambiente hanno portato oggi ad altri due arresti, quelli di Giovanni Faggiano e Corrado Cigliano; quest'ultimo era già stato arrestato in aprile assieme al fratello Dario, consigliere provinciale del Pdl, e al padre Antonio.

SACCHETTI E MASCHERINE IN VETRINA

Nuovi illeciti sono stati dunque scoperti da Digos e Guardia di Finanza, coordinati da un pool di pm: Danilo De Simone, Paolo Sirleo, Ida Teresi, Maria Sepe, Giuseppe Noviello e Luigi Santulli.

In particolare, è emerso che Enerambiente, cui Asia aveva appaltato la raccolta dei rifiuti in alcuni quartieri della città, si serviva a sua volta di due cooperative (San Marco e Davideco) la cui opera non era però necessaria. Secondo l' accusa gli indagati, dopo avere stipulato accordi contrattuali con le cooperative, diretti a immettere nel servizio appaltato personale che sforava il limite fissato in 450 unità, minacciarono la fine dell'accordo se non avessero ricevuto somme di denaro per dirigenti, amministratori e collaboratori di Enerambiente nonchè per pagare a loro volta tangenti a funzionari di Asia.

Faggiano e Cigliano, secondo i pm, hanno poi imposto l'assunzione di personale da loro segnalato mediante apposite liste formate sulla base di indicazioni preferenziali provenienti da dirigenti e amministratori di Enerambiente, sponsor politici e rappresentanti sindacali. La cooperativa San Marco, inoltre, fu costretta ad assumere fittiziamente un'amica di Corrado Cigliano, Kaori Nogami, e a pagarle uno stipendio di 1.300 euro al mese in assenza di qualunque prestazione lavorativa

(20 luglio 2011)

 

 

 

IL CASO

Monza, il pd Penati indagato

per concussione e corruzione

Il nome del vicepresidente del consiglio regionale lombardo nell'inchiesta della Procura

per l'area Falck di Sesto San Giovanni. Fra gli indagati c'è l'assessore comunale Di Leva

Monza, il pd Penati indagato per concussione e corruzione Filippo Penati

 

Indagato per corruzione e concussione Filippo Penati, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia per il Partito democratico e già presidente della Provincia di Milano. L’inchiesta è della Procura della Repubblica di Monza e riguarda l'area Falck di Sesto San Giovanni, dove Penati è stato sindaco durante il periodo finito nel mirino dei magistrati. Nell'inchiesta sono coinvolte una quindicina di persone: fra loro c'è anche Pasqualino Di Leva, assessore al Comune di Sesto San Giovanni con delega ai rapporti con le aziende, enti o società partecipate, per i progetti relativi alle risorse finanziarie e all'edilizia privata.

L'area della Falck a Sesto Un business da 405 milioni di euro

Le accuse. I reati contestati sono concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Secondo l'ipotesi accusatoria sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio (Pgt).

L'inchiesta. L'indagine, nata dal caso Santa Giulia, mira ad accertare eventuali illeciti commessi nella gestione dell'area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano. L'accusa parla di quattro miliardi di lire di tangenti pagate tra il 2001 e il 2002. In queste ore i militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza stanno eseguendo una serie di perquisizioni disposte dal sostituto procuratore Walter Mapelli negli uffici del consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni.

La scheda di Penati. Cinquantotto anni, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Penati fa parte del coordinamento e della direzione nazionale del Pd. Nella campagna per il congresso del 2009 è stato coordinatore nazionale della mozione Bersani e in seguito è stato responsabile della segreteria politica dello stesso Pier Luigi Bersani. La sua carriera politica è iniziata nel 1993 come assessore del Pds a Sesto San Giovanni, la cosiddetta 'Stalingrado d'Italia'. Nel 1994 è stato eletto sindaco, carica mantenuta fino al 2001, quando è stato nominato segretario della federazione metropolitana milanese dei Ds. Nel 2004 si è candidato alla presidenza della Provincia di Milano e ha battuto a sorpresa, al secondo turno, il presidente uscente Ombretta Colli. Nel 2009 è stato però sconfitto di misura dallo sfidante Guido Podestà al ballottaggio per la riconferma a Palazzo Isimbardi. Nel 2010, candidato dal centrosinistra alla carica di presidente della Regione Lombardia, è stato sconfitto da Roberto Formigoni, in carica dal 1995 e al quarto mandato.

Le reazioni. "Apprendo dalle agenzie la notizia di un'indagine che riguarderebbe Penati", è il primo commento del portavoce pdl Daniele Capezzone. "In attesa di saperne di più, va però subito ribadito un punto di carattere generale, politicamente e ancor più culturalmente irrinunciabile: la presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". Per il segretario provinciale e deputato leghista Marco Rondini, invece, "da ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni". E il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invita la magistratura a "fare il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento".

Il nuovo progetto. L'ex area Falck, ora di proprietà della Sesto Immobiliare, il veicolo che fa capo alla cordata guidata da Davide Bizzi, rinnova il consiglio d'amministrazione e nomina come presidente Piero Gnudi, mentre Mario Resca è il nuovo vice presidente. Lo annuncia una nota della società in cui viene confermato Bizzi amministratore delegato. Le decisioni sono state adottate dall'assemblea dei soci e dal cda proprio nel giorno in cui è emerso che la Procura di Monza ha aperto l'inchiesta. Gli illeciti sarebbero avvenuti tra il 2000 e il 2002, però, ovvero prima del passaggio della proprietà dalle mani di Risanamento a Sesto Immobiliare, avvenuto nell'ottobre del 2010.

(20 luglio 2011)

 

 

IL CASO

Monza, il pd Penati indagato

per concussione e corruzione

Il nome del vicepresidente del consiglio regionale lombardo nell'inchiesta della Procura

per l'area Falck di Sesto San Giovanni. Fra gli indagati c'è l'assessore comunale Di Leva

Monza, il pd Penati indagato per concussione e corruzione Filippo Penati

 

Indagato per corruzione e concussione Filippo Penati, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia per il Partito democratico e già presidente della Provincia di Milano. L’inchiesta è della Procura della Repubblica di Monza e riguarda l'area Falck di Sesto San Giovanni, dove Penati è stato sindaco durante il periodo finito nel mirino dei magistrati. Nell'inchiesta sono coinvolte una quindicina di persone: fra loro c'è anche Pasqualino Di Leva, assessore al Comune di Sesto San Giovanni con delega ai rapporti con le aziende, enti o società partecipate, per i progetti relativi alle risorse finanziarie e all'edilizia privata.

L'area della Falck a Sesto Un business da 405 milioni di euro

Le accuse. I reati contestati sono concussione, corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Secondo l'ipotesi accusatoria sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio (Pgt).

L'inchiesta. L'indagine, nata dal caso Santa Giulia, mira ad accertare eventuali illeciti commessi nella gestione dell'area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano. L'accusa parla di quattro miliardi di lire di tangenti pagate tra il 2001 e il 2002. In queste ore i militari del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza stanno eseguendo una serie di perquisizioni disposte dal sostituto procuratore Walter Mapelli negli uffici del consiglio regionale della Lombardia e in società e abitazioni di Milano e Sesto San Giovanni.

La scheda di Penati. Cinquantotto anni, vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia, Penati fa parte del coordinamento e della direzione nazionale del Pd. Nella campagna per il congresso del 2009 è stato coordinatore nazionale della mozione Bersani e in seguito è stato responsabile della segreteria politica dello stesso Pier Luigi Bersani. La sua carriera politica è iniziata nel 1993 come assessore del Pds a Sesto San Giovanni, la cosiddetta 'Stalingrado d'Italia'. Nel 1994 è stato eletto sindaco, carica mantenuta fino al 2001, quando è stato nominato segretario della federazione metropolitana milanese dei Ds. Nel 2004 si è candidato alla presidenza della Provincia di Milano e ha battuto a sorpresa, al secondo turno, il presidente uscente Ombretta Colli. Nel 2009 è stato però sconfitto di misura dallo sfidante Guido Podestà al ballottaggio per la riconferma a Palazzo Isimbardi. Nel 2010, candidato dal centrosinistra alla carica di presidente della Regione Lombardia, è stato sconfitto da Roberto Formigoni, in carica dal 1995 e al quarto mandato.

Le reazioni. "Apprendo dalle agenzie la notizia di un'indagine che riguarderebbe Penati", è il primo commento del portavoce pdl Daniele Capezzone. "In attesa di saperne di più, va però subito ribadito un punto di carattere generale, politicamente e ancor più culturalmente irrinunciabile: la presunzione di innocenza deve valere per tutti, amici o avversari che siano". Per il segretario provinciale e deputato leghista Marco Rondini, invece, "da ora in poi il Partito democratico non potrà più parlare di questione morale, soprattutto a Sesto San Giovanni". E il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invita la magistratura a "fare il suo mestiere per accertare questa vicenda. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento".

Il nuovo progetto. L'ex area Falck, ora di proprietà della Sesto Immobiliare, il veicolo che fa capo alla cordata guidata da Davide Bizzi, rinnova il consiglio d'amministrazione e nomina come presidente Piero Gnudi, mentre Mario Resca è il nuovo vice presidente. Lo annuncia una nota della società in cui viene confermato Bizzi amministratore delegato. Le decisioni sono state adottate dall'assemblea dei soci e dal cda proprio nel giorno in cui è emerso che la Procura di Monza ha aperto l'inchiesta. Gli illeciti sarebbero avvenuti tra il 2000 e il 2002, però, ovvero prima del passaggio della proprietà dalle mani di Risanamento a Sesto Immobiliare, avvenuto nell'ottobre del 2010.

(20 luglio 2011)

 

 

IL RETROSCENA

Paura nel Pdl: "Ci tireranno le monetine"

il Pd dice no a scambi Papa-Tedesco

Oggi il voto per l'arresto di Alfonso Papa alla Camera e di Alberto Tedesco al Senato. Il centrosinistra reclama l'arresto per entrambi i deputati. Alfano: "Siamo il partito degli onesti non delle manette". A Palazzo Chigi sono sicuri di poter arrivare a quota 340 con i voti di alcuni del Pd e Udc di LIANA MILELLA

Paura nel Pdl: "Ci tireranno le monetine" il Pd dice no a scambi Papa-Tedesco Alfonso Papa in aula

ROMA - C'è una paura, in Parlamento, che stringe destra e sinistra. Di salvare prima, in un solo pomeriggio, giusto quello di oggi, Papa alla Camera e Tedesco al Senato. E di ritrovarsi poi, uscendo dai palazzi, con la gente che lancia le monetine in stile Craxi all'uscita del Raphael nel '93.

Un fatto è certo. Per un caso, le due storie - l'ex toga di Napoli Alfonso Papa e l'ex assessore alla Sanità pugliese Alberto Tedesco, imputati entrambi di corruzione (e non solo) - arrivano allo showdown assieme. Per la prima il Pdl insiste nella difesa a oltranza. Parla ai suoi il segretario del partito, e tuttora Guardasigilli, Angelino Alfano, e mette in chiaro che "il partito degli onesti non sarà mai il partito delle manette". Quindi niente arresto per Papa che del ministero da lui retto per tre anni è stato alto dirigente.

Per difenderlo al meglio, e per non fare la figura del topo che fugge nel tombino, ecco che il capogruppo Fabrizio Cicchitto, a sera, dice che sì, anche il Pdl potrebbe chiedere il voto segreto. Pazienza se la Lega non lo vuole. Man nel segreto, stimano nel centrodestra, Papa potrebbe arrivare ad avere 340 voti contro l'arresto. Tutto il Pdl, i Responsabili, almeno metà della Lega, una buona fetta dell'Udc, frange significative del Pd, più schegge varie. Se finisse così sarebbe un en plein.

Dall'altra parte c'è Tedesco. Aspettava da cinque mesi la sua richiesta d'arresto dei magistrati di Bari per lo scandalo della sanità. Dormiva. S'è risvegliata all'improvviso. Il Pd di Bersani e della Finocchiaro l'ha resuscitata e s'è smarcato di netto. Rispetto alle voci melmose del Pdl che mestavano nel ricatto ("Se ci fate arrestare Papa, noi vi fottiamo Tedesco").

Eccolo il risultato: ieri, nella conferenza dei capigruppo a palazzo Madama, la presidente democratica Anna Finocchiaro chiede che su Tedesco si voti subito. Oggi. Di più. Annuncia che "il Pd proporrà che sia concesso l'arresto". Pier Luigi Bersani ci mette il timbro più alto, quello del vertice del partito: "Noi ci opporremo alla Camera e al Senato al voto segreto e siamo favorevoli all'arresto tanto per Papa quanto per Tedesco".

Le sorprese non finiscono qui. Perché il Pd vuole stoppare pure il chiacchiericcio sui dalemiani, cui fa capo Tedesco, pronti a salvare sia lo stesso Tedesco che Papa. Il colpo di teatro sta nel fatto che Tedesco medesimo parlerà in aula e chiederà che si voti per il suo arresto.

La bomba esplode qualche minuto dopo a Montecitorio. Quando lo raccontano a Papa, che passeggia in cortile, impallidisce sotto l'abbronzatura. Non commenta. Il suo destino, ora, è legato a quello di Tedesco. Se l'ex assessore dice sì agli arresti domiciliari, lui pure parlerà. Tre, quattro minuti, alla fine degli interventi. A braccio. Ma all'opposto per respingere l'arresto e ribadire la sua innocenza, perché, carte alla mano, i pm di Napoli lo hanno intercettato illegalmente da deputato. Lui ha "le carte" per dimostrare che non ha preso soldi, che li ha restituiti, e se i pm lo avessero interrogato gliele avrebbe date. Il presidente della giunta Pierluigi Castagnetti, ricorda che esiste "l'istituto delle dimissioni...". Lui non ci pensa proprio. Maurizio Paniz legge il suo intervento a Manlio Contento; "Non dovete arrestarlo perché...".

C'è chi lavora in modo convinto per lui. Alle 17 il sempre Pdl Mario Pepe annuncia che "ha le 30 firme per ottenere il voto segreto". Si fa avanti il Responsabile Domenico Scilipoti con un "ma potrei chiederlo io". "Il voto segreto è giusto, anche se il Pdl non lo chiederà" garantisce il vice capogruppo del Pdl Massimo Corsaro. La strategia, alle 21 e 30, quando il gruppo Pdl si scioglie, è in alto mare. "Che lo chiedano 10 deputati per gruppo, così ci dividiamo le responsabilità" dice uno. "Tanto lo fanno i Responsabili" un altro. "Meglio farlo noi" un altro ancora.

Si deciderà all'ultimo. L'opposizione si prepara ai suoi "buuhhh... buuhhh...". "Il voto segreto serve per coprire le incertezze della Lega" dice il Pd Enrico Franceschini. Antonio Di Pietro chiede "un'assunzione di responsabilità contro la complicità politica e morale". Che per certo non ci sarà.

(20 luglio 2011)

 

 

 

L'OPINIONE

Gli stipendi da dimezzare

di MARIO PIRANI

Gli stipendi da dimezzare Silvio Berlusconi

SE, COME nell'immediato dopoguerra, tornasse a funzionare un Tribunale per i profitti di regime, applicato stavolta alle dilapidazioni dei costi della politica, al primo posto fra gli imputati figurerebbe Berlusconi.

È stata smentita da tempo, infatti, la voce popolare che essendo ricco di suo non si sarebbe profittato dei beni pubblici. Voce del resto falsa in nuce perché non esiste ricco che si proponga limiti all'insù all'impinguarsi dei propri beni. Il nostro lo ha ampiamente provato con le leggi ad aziendam, come la sterilizzazione del falso in bilancio, coi processi per impadronirsi della Mondadori comprando i giudici, con l'appoggio dato ad ogni parlamentare accusato di corruzione, da Cosentino a Papa.

Ma sottostante ai singoli fatti, vi è un contesto di favoreggiamento generalizzato, individuabile nel tradimento dell'impegno liberale che innalzò al momento della sua scesa in campo e ribadì ad ogni elezione. Sarebbero dovute seguire a pioggia privatizzazioni e liberalizzazioni che sgravassero migliaia di enti pubblici, parapubblici, municipalizzate dalla presa dello Stato e di apparati pletorici di nomina partitica. È accaduto il contrario.

Purtroppo la sinistra, pur battendosi senza sosta contro Berlusconi sui singoli fatti, si è lasciata invischiare e infettare dalla tentazione pubblicistica social-affaristica. Ora ne vive la contraddizione. "Il mio partito - ha detto Walter Veltroni - dovrebbe mettersi alla testa della riforma dei costi della politica, non subirla". Non poteva, però, dare una risposta esauriente del perché il Pd, al dunque, come è accaduto quando si è astenuto con somma e imperdonabile dabbenaggine sulla abolizione delle Province, si comporti in genere come un devoto timoroso di uscire dal solco della ortodossia partitica.

Una ortodossia che ha sempre imposto il dogma dell'intangibilità dei propri privilegi, pretendendo che vengano identificati coi valori della democrazia. Fuori da quel solco scatta l'anatema contro populismo e demagogia. Di qui la tendenza alla responsabilità condivisa, a cercare tutti assieme, destra e sinistra, pasticciate e caute modifiche.

Ma torniamo alla domanda sul perché il principale partito di sinistra abbia finito per far propria una così sgradevole connivenza, senza tenere, per contro, ben salda una forte e continua battaglia riformista, la cui carenza suscita una tale rabbia e delusione che a questo punto ha sfondato su Facebook con 150.000 contatti in un giorno contro i benefici castali degli inquilini del paese dei balocchi, sito a Montecitorio. Il fenomeno regressivo subito dal Pd, impone comunque non desolate battute ma una risposta impietosa, nell'ipotesi che sia ancora possibile finirla con la stanchezza organica che spegne ogni sua capacità reattiva sul terreno dei costi della politica.

Alla radice vi è la perdita di ogni memoria di sé, di un partito che, malgrado il veleno dello stalinismo, era portatore di una morale pubblica che lo distingueva dagli altri per l'austerità di una militanza individualmente non compromessa neppure dall'"oro di Mosca" e dalle sovvenzioni delle coop, necessari per l'azione ma non certo per rimpinguare stipendi dei funzionari politici, parametrati orgogliosamente sul salario di un operaio metalmeccanico mentre i parlamentari versavano a Botteghe Oscure una quota massiccia dei loro emolumenti, i sindaci ricevevano indennità risibili, nulla spettava per consiglieri comunali ed altri incarichi elettivi.

Certo, tutto questo comportava il risvolto negativo di sentirsi parte di una specie di "anti-Stato etico", che spinse Berlinguer alla esaltazione isolazionista del "partito diverso", ma anche permise ad Occhetto di decidere l'uscita dei propri rappresentanti dai comitati di gestione della Usl per non lasciarsi coinvolgere dalla mala gestione sanitaria. Analogo il discorso per gli eredi di La Pira e Dossetti.

Tutto ciò appartiene al passato. Il Pci è scomparso, la sua eredità è andata dilapidata non solo nel tanto che doveva giustamente essere rigettato ma anche in quelle qualità cancellate dalla memoria ufficiale ma non dal ricordo, magari per storia riportata, di tanta parte dell'elettorato di sinistra che si sente doppiamente tradito, per ieri e per oggi. Quanto al Pd non ha saputo darsi un volto né trovare un'anima davvero riformista che lo ispirasse.

Di qui una mancata percezione della realtà, una incapacità di conoscere e di capire passioni, sentimenti e pensieri, non pretendiamo della società italiana nel suo assieme, ma neppure di quella parte che ancora lo vota e che anche se non lo considera più una forza propulsiva lo conserva nelle sue attese come un patrimonio in gran parte inutilizzato ma ancora spendibile.

A condizione che i suoi depositari si rendano conto che non possono più avallare sacrifici dolorosissimi imposti a quanti lavorano nella sanità, nella scuola, nella funzione pubblica, nelle fabbriche, ai giovani privati di futuro se questa richiesta è presentata da signori che incassano tra stipendi, vitalizi, benefici di vario ordine sui 20.000 euro al mese. Che differenza umana e capacità professionale c'è tra un professore che non supera i 1700 euro mensili e un deputato, un consigliere regionale, uno delle centinaia di migliaia di consulenti, presidenti, vice presidenti e quant'altro la fantasia amministrativa abbia suggerito?

Una domanda che potrebbe scadere nella demagogia se questi sacrifici - e gli altri che seguiranno - non facessero parte di un piano di salvezza nazionale e di rientro da un debito mostruoso che obbliga al concorso di tutti. Nessuno si può rifiutare perché la Patria è in pericolo, ma questa realtà obbliga tutti a fare la loro parte, non con gesti simbolici che suonano come pubbliche offese ma con atti dirompenti che ridiano un paragone di decenza ai rappresentanti del popolo.

Si tratta di proporre e affermare misure drastiche, prima delle quali deve essere il dimezzamento netto di tutti gli stipendi ed emolumenti legati alle funzioni di rappresentanza. Eguale decisione deve essere estesa a tutti gli incarichi politici di ogni ente pubblico e parapubblico. Cessazione, inoltre, di ogni benefits, collegato alla rappresentanza, se non per la alte cariche dello Stato e degli enti locali: ad esempio auto blu al ministro ma non al sottosegretario. E così via.

Queste proposte e altre che potrebbero seguire non avrebbero alcuna possibilità neppure di un primo ascolto se fossero affidate alle defatiganti quanto improduttive procedure parlamentari, tanto più con conclusioni trasversali. No, solo un rivoluzionario sussulto di una sinistra baciata dal risveglio e da una volontà di salvezza potrebbe produrre lo scatto indispensabile. Anche l'arma deve assumere una valenza estrema e combattiva e consistere in una proclamazione unilaterale impegnativa: in caso di mancato accordo il Pd, a partire da Senato e Camera e scendendo per li rami, procederà da subito alla applicazione dei tagli decisi per i propri rappresentanti.

I proventi mensili, fino a quando non coinvolgeranno gli altri partiti (nel qual caso servirebbero a sanare il deficit pubblico), saranno destinati a una Fondazione del Popolo di Sinistra, presieduta da uno scelto consesso di persone, sagge e specchiate, che li spartiranno secondo criteri di solidarietà sociale da stabilire. La polemica verso i refrattari dovrebbe assumere toni giacobini, senza tema di incorrere nel peccato di populismo.

Reputo che simili proponimenti - così alieni al mio abituale modo di pensare - stupiranno più di un lettore. Essi derivano da una visione altamente drammatica di un possibile futuro, non esclusa una deriva di estrema destra in Italia e in altre nazioni europee, colpite da una crisi economica difficilmente governabile. Non dimentichiamo che la catastrofe degli anni Trenta, importata dagli Usa, esplose in Europa per l'effetto domino del fallimento di una banca austriaca, cui neppure l'intervento delle Banche centrali di Inghilterra e di Francia bastò a mettere argine. Regimi autoritari si stabilizzarono in quasi tutto il Continente.

Sono però altresì convinto che la Storia alla lunga non insegni nulla ai posteri, tanto più a una classe sociale (come chiamarla "classe politica"?) formata da un milione e più di persone che vivono e dominano grazie a una gestione della partitocrazia fine a se stessa, priva di ogni altra professionalità, decisa a non rinunciare a ricchezza e simboli del potere. Una impresa che solo il recupero possente di una forza propulsiva può tentare.

Sarà in grado la sinistra di esprimerla, gravata com'è da un inquinamento da contiguità che ne ha infiacchito risorse e fantasia? Malgrado i molti dubbi una speranza c'è. Essa scaturisce dall'insperato sussulto di ripresa comprovato dalle elezioni amministrative, dai referendum e persino dalla marea di mail di questi ultimi giorni. Il segno che più conta è che questa esplosione diffusa avviene inglobando il Pd ma superandone, ad un tempo, i limiti, le paure, le anchilosi e le divisioni paralizzanti quasi il popolo di sinistra, colpito ma non domo, stia esercitando una Opa benefica e s'impadronisca degli strumenti della politica, depurandoli anche dall'estremismo dei gruppi minori. La situazione è in equilibrio, se il Pd ne coglie l'onda, può trascinare popolo e movimenti, alleanze nuove e formazioni risorte in un moto di salvezza dell'Italia. Non è detto, però, che questo avvenga.

(20 luglio 2011)

 

 

RAI-AGCOM

Berlusconi indagato

per le pressioni contro Santoro

L'ipotesi di acusa è quella di abuso d'ufficio. Insieme al premier iscritti nel registro anche l'ex commissario dell'Agcom, Giancarlo Innocenzi e l'ex Dg della Rai, Mauro Masi

Berlusconi indagato per le pressioni contro Santoro

ROMA - Il premier Silvio Berlusconi è indagato dalla Procura di Roma per abuso di ufficio in relazione alle presunte pressioni esercitate nel 2009 per sospendere la trasmissione 'Annozero' di Michele Santoro.

Con il presidente del Consiglio sono iscritti, anche loro per abuso di ufficio, l'ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi e l'ex direttore generale della Rai, Mauro Masi. L'atto istruttorio deciso dal procuratore Giovanni Ferrara giunge dopo che il tribunale dei ministri ha restituito a piazzale Clodio il fascicolo di indagine, nato a Trani, dichiarandosi incompetente a giudicare il caso. Per i giudici, in sostanze, le 18 telefonate a Innocenzi e Masi al centro dell'inchiesta sono state effettuate da Berlusconi non nella sua veste di presidente del Consiglio.

L'iscrizione nel registro degli indagati arriva dopo la decisione del Tribunale dei Ministri di restituire il fascicolo alla Procura di Roma.

Gli inquirenti capitolini hanno preso atto della decisione (non vincolante) del tribunale del ministri: secondo il collegio speciale per reati ministeriali nella condotta di Berlusconi non è prefigurabile la concussione ai danni dell'ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi, né le minacce ai danni dell'Autorità Garante delle Comunicazioni per far chiudere Annozero, come ipotizzato a Trani. Su queste due fattispecie il tribunale ha archiviato la posizione del premier.

Per il tribunale dei Ministri è, invece, configurabile l'ipotesi di abuso d'ufficio per tutti e tre i protagonisti della vicenda. A questo punto i pm romani dovranno decidere se concludere l'attività istruttoria con il deposito degli atti, attività che prelude la richiesta di rinvio a giudizio, o formalizzare al gip una richiesta di archiviazione.

Le reazioni. Niccolò Ghedini, parlamentare Pdl e avvocato del premier ricorda che "il Tribunale dei Ministri ha già archiviato tutte le accuse originariamente mosse proprio al Presidente Berlusconi". Dicendosi sicuro che anche la Procura seguirà la stessa strada. Per il segretario dell'Usigrai Carlo Verna, si apre adesso "una sorta di possibile processo al sistema del conflitto di interessi, che sta strangolando la Rai e la democrazia. Laddove possibile l'Usigrai chiederà la costituzione di parte civile. Ma mentre la giustizia farà il suo corso, occorreranno comportamenti limpidi dei vertici aziendali ai quali fin d'ora facciamo sapere che l'Usigrai non sottoscriverà la transazione con cui si accompagna Michele Santoro alla porta".

La vicenda. Diciotto telefonate per 'bloccare' Annozero. La bufera delle intercettazioni del caso Rai-Agcom, scoppiato a marzo 2010 con la pubblicazione dei primi stralci, e il braccio di ferro con Michele Santoro è stato uno dei capitoli più spinosi della gestione dell'ex dg Rai Mauro Masi a Viale Mazzini. Ma ha sollevato polemiche anche sull'indipendenza dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, fino alle dimissioni del commissario Giancarlo Innocenzi, arrivate il 24 giugno dello scorso anno.

"Questa volta nessun editto bulgaro ci fermerà", tuonava Michele Santoro il 18 marzo sul divano rosso di Serena Dandini a Parla con me. Si era nel pieno del caos intercettazioni e solo due giorni prima il conduttore di Annozero aveva parlato per due ore davanti ai pubblici ministeri di Trani delle presunte pressioni per fermare il suo programma. Il 26 marzo, in un clima da stadio al Paladozza di Bologna, nel corso di Raiperunanotte Santoro avrebbe 'messo in scena' con le voci di attori i colloqui di Berlusconi, Innocenzi e Masi facendo 'prendere corpo' al disegno di chiudere il programma di Rai2.

Intanto il vertice dell'azienda non stava a guardare: il 24 marzo Viale Mazzini annunciò l'intenzione di chiedere alla procura di Trani gli atti dell'inchiesta Rai-Agcom, ma anche di non avviare nessun audit su Masi che, forte del sostegno della maggioranza, ribadì la volontà di "andare avanti": "Per me contano gli atti e i fatti aziendali. Mi sono sempre comportato nel pieno rispetto delle regole. Ho mandato in onda tutte le trasmissioni cercando soltanto di garantire la loro conformità alle normative vigenti".

Il 18 maggio il colpo di scena, con l'annuncio dell'accordo consensuale tra Santoro e l'azienda al quale mancava solo la firma. Una firma che non sarebbe arrivata mai. A fine luglio il Cda stabilì che dal 23 settembre Annozero sarebbe stato ancora in palinsesto. Si preparava una nuova stagione di battaglie e polemiche: nell'anteprima della prima puntata, Santoro pronunciò il celebre 'vaffa...nbicchiere'". Tre settimane dopo, la decisione del dg di sospendere il giornalista. Nella puntata successiva, la contromossa del conduttore: il ricorso al collegio arbitrale per ottenere l'immediata sospensione della sanzione. Lo scontro avrebbe toccato il culmine nel botta e risposta in diretta nella puntata del 27 gennaio scorso, quando Masi chiamò Annozero per 'dissociarsi' in diretta dalla puntata sul caso Ruby e il conduttore gli rispose a brutto muso.

L'ultima frecciata il 28 aprile scorso, quando Santoro ha annunciato al pubblico l'addio di Masi alla Rai facendo "un forte, fortissimo, ancora più forte in bocca a lupo" alla Consap, di cui l'ex dg Rai è diventato amministratore delegato.

A giugno, poi, sarebbe arrivato il divorzio tra lo stesso giornalista e la tv pubblica.

(19 luglio 2011)

 

 

IL CASO

Le casse vuote del San Raffaele

il fallimento non è più un tabù

La Procura di Milano è pronta ad avviare la procedura. Flick: "Dateci più tempo"

Per arrivare a fine agosto c'è bisogno di immettere nelle casse 30 milioni di euro

di ETTORE LIVINI

Le casse vuote del San Raffaele il fallimento non è più un tabù

Maledetta fu l'uva senza semi brasiliana. Hai voglia a curare malati, gestire i laboratori di ricerca medica tra i più avanzati d'Italia. A volte, don Luigi Verzè lo sa benissimo, il diavolo sta nei dettagli. E bastano un paio di misteriosi e originali investimenti all'estero (assieme alla zavorra di un miliardo di debiti) per mettere in ginocchio anche una realtà-modello come il San Raffaele.

Cal progetto il suicidio Suicida il braccio destro di don Verzè Un buco da 900 milioni Il cupolone

Il bilancio 2010 della Fondazione Monte Tabor parla chiaro: il core business della salute tira ancora, anche se meno di una volta, e ha garantito lo scorso anno 8 milioni di utile operativo. La vera palla al piede - oltre agli oneri finanziari - sono le oscure diversificazioni del sacerdote veronese oltre frontiera: in primis la voragine del Pernambuco, migliaia di ettari di vigne e mangheti nel cuore del Brasile, controllati (chissà perché) dalla Fondazione e costati in poco più di dodici mesi all'impero del manager di Dio almeno 10 milioni di perdite. Più dei soldi messi in cassaforte grazie al lavoro dei suoi 700 medici, peraltro già bruciati da altri 10,9 milioni persi dalla Assion Aircraft & Yachting, la controllata neozelandese proprietaria del Challenger Ci 604, il jet privato di don Verzè.

Il buco nero sudamericano è spuntato un po' a sorpresa a maggio dello scorso anno. Quando il sacerdote veronese ha riunito i suoi fedelissimi in via Olgettina per annunciare una variazione nell'organigramma del gruppo: la nascita della Vds Holding, società di diritto italiano destinata a inglobare i cinque grandi latifondi del Pernambuco controllati assieme alla famiglia veneziana dei Garziera. Una mossa necessaria per ottenere un finanziamento da 2,3 milioni dal ministero dello Sviluppo economico del governo Berlusconi (all'epoca di Claudio Scajola). Il San Raffaele ha ereditato così dalla sera alla mattina il 10% dell'uva senza semi da export brasiliana, 74 mila reais di mango e qualche tonnellata di concimi organici. Assieme, però, a più di 5 milioni di perdite nel 2010, altri 2,3 milioni a inizio 2011 (dati Deloitte) da sommare a una svalutazione da 1,1 milioni e a 3,5 milioni di crediti a rischio.

Peccato. Perché anche in Brasile, come in Italia, don Verzè è stato un misto di genio e sregolatezza. Se in Pernambuco si è aperta la voragine dell'uva senza semi, infatti, il patrimonio della sua Fondazione è stato invece puntellato nel 2010 dall'ospedale San Raffaele di Bahia, rivalutato per 57 milioni grazie a una perizia che l'ha valutato ben 94 milioni.

Su questo balletto un po' opaco di cifre (tra cui la spada di Damocle del maxi-indebitamento) ha aperto un dossier la Procura di Milano che tra l'altro, dopo l'apertura del fascicolo per il tragico suicidio di Mario Cal, può ora anche chiedere il fallimento del gruppo. I cavalieri bianchi disposti al salvataggio, del resto, sembrano per il momento un po' zoppi. Le banche sono pronte a garantire 150 milioni di liquidità ma in cambio di una procedura di concordato preventivo.

Il nuovo cda espressione della Santa sede sembra restio a seguire questa strada. Resta però il problema di trovare i mezzi freschi necessari per garantire l'operatività. Servono 20-30 milioni per arrivare a fine agosto e quasi 400, dicono gli advisor, per mettere in sicurezza l'intera galassia e tranquillizzare i creditori che hanno già fatto partire diversi decreti ingiuntivi. Giovanni Maria Flick, membro del cda designato dal Vaticano sarà oggi o domani in Procura a chiedere più tempo ai pm per consentire al nuovo vertice (in cui entrerà probabilmente Enrico Bondi) di mettere a punto un piano definitivo di salvataggio.

(20 luglio 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-15

CAMERA

Sì della Giunta all'arresto di Papa

Berlusconi: "No a processi in Aula"

L'organismo ha approvato la proposta presentata dal relatore dell'Idv con l'accordo delle opposizioni, dopo che la maggioranza aveva ritirato la sua. Bossi aveva annunciato il voto favorevole dei suoi, poi le cose sono andate diversamente. Bossi: "In galera, su Milanese vediamo". Reguzzoni: "In aula voteremo sì". Il Pdl contro il presidente Castagnetti: "Violato il regolamento". Fini: "Ineccepibile". Confermati domiciliari per Bisignani

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La mano di Bisignani sul caso Ruby "Ho lavorato per la fidanzata di Silvio"

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A Milano un nuovo dossier

Inchiesta P4, Milanese si dimette era il consigliere politico di Tremonti

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Marco Milanese si dimette

"Ci stanno portando nel baratro dobbiamo agganciare Montezemolo"

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"Ci stanno portando nel baratro"

Intercettazioni, il Pdl all'attacco Fini: "Il decreto bavaglio non si può fare"

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ROMA - Sì all'arresto del deputato Pdl Alfredo Papa. Dopo un duro scontro la Giunta per le autorizzazioni concede il via libera chiesto dalla procura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta P4. E approva, con i soli 10 voti dell'opposizione, la proposta presentata dal relatore dell'Idv, dopo il ritiro di quella della maggioranza.

La Lega si astiene, mentre il Pdl abbandona i lavori prima dello scrutinio ("la messa ai voti della proposta Idv è un'indicibile ferita procedurale, oggi è stata scritta una pagina nera della democrazia parlamentare"). Ma il Cavaliere non ci sta: "'Noi non facciamo processi in aula, sosteniamo il non arresto. La magistratura andra' avanti ma chi è parlamentare deve mantenere il suo incarico". E szempre a proposito del rapporto tra politica e giustizia rilancia: "Dopo tutte queste cose dobbiamo a maggior ragione fare la riforma della giustizia".

Carroccio non decisivo. A cose fatte si apre una polemica sul Carroccio. Una posizione non decisiva della della Lega, perché davanti all'abbandono dei deputati Pdl il numero legale (6 deputati) sarebbe stato comunque garantito dalle opposizioni. Pertanto, si spiega nell'opposizione, anche se i deputati della Lega fossero usciti dall'Aula della Giunta insieme al Pdl, al Misto e ai Responsabili (ora 'Popolo e territorio), la votazione sul 'si' all'arresto di Alfonso Papa sarebbe stata comunque valida. I componenti della Giunta, infatti, sono 21 e l'articolo 46 dice testualmente che "per le deliberazioni delle Commissioni in sede diversa da quella legislativa è sufficiente la presenza di un quarto dei loro componenti".

Bossi. In mattinata era stato Umberto Bossi, davanti alle telecamere di Repubblica.it, che aveva annunciato il sì del Carroccio all'arresto.

IL VIDEO 1

Poi, in Giunta, la scelta di astenersi. A quanto si apprende, Lucio Follegot e Luca Rodolfo Paolini, hanno incontrato Bossi, prima della riunione della giunta e la loro astensione, si rileva in ambienti della Lega, è in linea con l'indicazione del sì all'arresto indicata dal Senatur anche se si è espressa con l'astensione per non dare il proprio voto positivo ad una proposta dell'opposizione. "Ci siamo astenuti per motivi procedurali" afferma Paolini. Quando si dovrà votare in aula, "ritengo che la Lega seguirà l'indicazione di Bossi". E il capogruppo del Carroccio Reguzzoni conferma: "In Aula daremo indicazioni per il voto favorevole all'arresto".

Il leader del Carroccio è tornato in serata a parlare della vicenda Papa e del caso Milanese, su cui la giunta dovrebbe votare mercoledì, ed è stato lapidario: "Papa andrà in galera, su Milanese poi ci pensiamo".

Lo scontro in Giunta. Nel frattempo si scatenava la battaglia in Giunta. Il Pdl, infatti, puntava al non voto. Non a caso il relatore Francesco Paolo Sisto (Pdl), aveva ritirato temporaneamente" la sua proposta contro l'autorizzazione all'arresto, facendo mancare l'oggetto stessa della votazione, motivando con la necessità di esaminare le 15mila pagine di nuova documentazione consegnate mercoledì da Papa. L'obiettivo era dunque quello di bypassare la giunta e approdare direttamente all'aula e al più rassicurante voto segreto.

Ma le cose sono andate diversamente. L'opposizione ha fatto quadrato e ha presentato una proposta, favorevole all'arresto, targata Idv. Castagnetti l'ha messa ai voti. I dieci del Pdl non hanno partecipato per protesta contro "la violazione del regolamento". La Lega, invece, si è astenuta. Così come Elio Belcastro (Popolo e territorio, ex Responsabili). Castagnetti, che ha votato, spiega: "Non c'è nulla da impugnare in quanto ho rispettato il regolamento che attribuisce a me la responsabilità di arrivare ad una decisione e la Giunta è tenuta a fare una proposta per l'Assemblea a cui poi spetterà la decisione finale. Non potevo accettare che la Giunta non fosse in grado di esprimersi". Al fianco di Castagnetti si schiera Gianfranco Fini: "Il suo comportamento è stato ineccepibile".

"Il Carroccio ha avuto paura". "C'è una totale mancanza di responsabilità e coraggio da parte della maggioranza una vera e propria codardia: la maggioranza non ci ha messo la faccia. Il Pdl ha lasciato i lavori e la Lega si è astenuta" afferma Donatella Ferranti del Pd. "Oggi abbiamo scoperto che la lega non è guidata da Bossi, che era favorevole all'arresto, ma va al traino di Papa" incalza Federico Palomba dell'Idv. Ma il Carroccio non ci sta: "Siamo stati determinanti, il resto sono chiacchiere interessate di chi vuole confondere le idee ai cittadini". Secco Antonio Di Pietro: " C'è una nuova tangentopoli che richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria. Noi chiediamo quindi al parlamento di affidare ai magistrati quei deputati accusati di reati gravissimi".

La reazione di Papa. 'In questo momento sono semplicemente impegnato in una battaglia per l'accertamento della verità che, sono sicuro, verrà a galla - dice Papa dopo il voto - In aula mi appello alla coscienza dei parlamentari e preciso che il carcere non mi fa paura se dovrà servire a veder trionfare la verità e la mia innocenza, di cui sono certo". Poi due colloqui: uno con Berlusconi e uno con il leghista Roberto Maroni. E proprio il premier avrebbe detto di votare no alla richiesta d'arresto preventivo.

L'iter. Adesso tocca all' aula che ha all'ordine del giorno il voto sulla questione mercoledì prossimo, 20 luglio. In assemblea potrebbe essere richiesto il voto segreto per approvare o respingere la proposta decisa dalla Giunta.

Tribunale del Riesame conferma domiciliari per Bisignani. Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal gip nei confronti dell'uomo d'affari Luigi Bisignani, nell'ambito dell'inchiesta P4. La decisione è giunta dopo molte ore di camera di consiglio. "La decisione del Riesame e quella della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dimostrano ancora una volta che la Procura di Napoli non alza polveroni, ma mette insieme fatti", ha dichiarato il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore. Il procuratore fa anche un riferimento ad Alfonso Papa, ex pm e attuale deputato del Pdl, per il quale è stato chiesto l'arresto. "È interessante mettere in risalto - afferma - che i reati per cui i giudici hanno confermato le misure cautelari sono addebitati anche a Papa a titolo di concorso".

Per il capo dei pm napoletani "quella della P4 è una tragedia italiana e personale, ma l'ipotesi accusatoria ha trovato conferma e la decisione dei giudici dimostra che le critiche che ci sono state mosse erano del tutto infondate".

(15 luglio 2011)

 

 

 

POLITICA E GIUSTIZIA

Romano, Il Pd rompe gli indugi

Presentata mozione di sfiducia

Primi firmatari Bersani e Franceschini: per il ministro dell'Agricoltura è stato chiesto il processo per concorso in associazione mafiosa. Nel pomeriggio l'ex responsabile incontra il premier e conferma: non mi dimetto

Romano, Il Pd rompe gli indugi Presentata mozione di sfiducia Saverio Romano

ROMA - Il Partito democratico ha depositato, alla Camera, la mozione di sfiducia nei confronti del ministro per le Politiche agricole Saverio Romano.

La mozione, presentata stamane ha come primi firmatari il capogruppo Dario Franceschini e il segretario del partito Pierluigi Bersani. Nel testo della mozione si ricorda che "in data 13 luglio 2011 la Procura di Palermo, ottemperando all'ordine di imputazione coatta del competente Giudice per le indagini preliminari, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio del ministro Francesco Saverio Romano, imputato, quindi, formalmente di concorso in associazione mafiosa".

Considerato che "il Ministro ha manifestato la volontà di non dimettersi volontariamente, come sarebbe auspicabile per la credibilità dell'azione di governo", "visto l'articolo 94 della Costituzione; visto l'articolo 115 del regolamento della Camera dei deputati; la Camera esprime la propria sfiducia al Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Francesco Saverio Romano".

L'incontro con il premier: "Non mi dimetto". Romano nel pomeriggio ha incontrato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Al termine, parlando ai cronisti, il ministro ha confermato che non ci sarà da parte sua alcun passo indietro: "Niente dimissioni - ha detto-, l'opposizione strumentalizza la mia vicenda perché sono quello che ha sventato la caduta del governo".

(15 luglio 2011)

 

 

RICICLAGGIO

Ex senatore Di Girolamo patteggia 5 anni

Dovrà restituire 4 milioni di euro

Coinvolto nell'inchiesta Fastweb e Telecom Italia Sparkle, l'ex parlamentare Pdl è accusato di associazione per delinquere finalizzata all'evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale e di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso in relazione alla sua candidatura nella circoscrizione Europa

Ex senatore Di Girolamo patteggia 5 anni Dovrà restituire 4 milioni di euro L'ex senatore del Pdl, Nicola Paolo Di Girolamo

ROMA - L'ex parlamentare del Pdl, Paolo Di Girolamo, 51 anni, è stato condannato, con patteggiamento, a cinque anni di reclusione e alla restituzione di oltre 4 milioni di euro, tra liquidi, beni immobili e quote di società e auto di lusso. L'ex senatore, coinvolto nell'inchiesta Fastweb e Telecom Italia Sparkle, è accusato di associazione per delinquere finalizzata all'evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale e di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso in relazione alla sua candidatura nella circoscrizione Europa alle politiche del 2008. La sentenza è stata emessa oggi dal gup Massimo Battistini. Di Girolamo si trova agli arresti domiciliari.

Oltre a Di Girolamo il tribunale capitolino ha condannato, sempre con patteggiamento a cinque anni, anche l'imprenditore Fabio Arigoni, che dovrà restituire quasi cinque milioni di euro. Quest'ultimo, che si trova ai domiciliari, era stato per un periodo latitante a Panama ed era finito sotto inchiesta per aver trasferito o movimentato ingenti somme di denaro di provenienza delittuosa in virtù del suo ruolo di amministratore unico della Telefox srl e della Telefox International srl. Sia Di Girolamo che Arigoni sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni.

Il gup, infine, ha comminato una condanna a 4 anni e 8 mesi a Franco Pugliese, ritenuto esponente della cosca calabrese degli Arena di Isola Capo Rizzato. Il giudice lo ha scagionato dall'accusa di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso mentre lo ha ritenuto responsabile

dei reati di intestazione fittizia di beni (nel caso specifico si trattava di uno yacht) e di quello di minaccia per impedire l'esercizio del diritto di voto, sempre con l'aggravante del metodo mafioso.

Secondo il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Giovanni Bombardieri e Francesca Passaniti, titolari dell'inchiesta, Pugliese si sarebbe attivato affinchè venissero reperiti presso gli immigrati calabresi in Germania, e in particolare, nel distretto di Stoccarda e Francoforte, schede elettorali in bianco su cui veniva inserito il nominativo di Di Girolamo.

(15 luglio 2011)

 

 

 

2011-07-14

IL CASO

P4, pm Milano apre inchiesta

nuovo rinvio sull'arresto di Papa

Il fascicolo d'inchiesta della procura milanese riguarda la rivelazione di segreto d'ufficio a Mediolanum. Colpo di scena in Giunta per le autorizzazioni. Sisto: "Indispensabile cautela". Castagnetti assicura: "Domani il voto". La Lega preoccupa il Pdl: è orientata a non votare contro l'arresto di Papa

P4, pm Milano apre inchiesta nuovo rinvio sull'arresto di Papa Alfonso Papa

ROMA - Il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, ha aperto un fascicolo d'inchiesta per rivelazione di segreto d'ufficio a carico di ignoti su una presunta soffiata arrivata ai responsabili di Mediolanum in merito a una verifica fiscale. Secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe stato il capo di Stato Maggiore della Gdf Michele Adinolfi un possibile responsabile della fuga di notizie relativa a un'inchiesta della Procura di Milano. Della 'soffiata' ne avrebbero parlato Marco Milanese, l'ex braccio destro di Giulio Tremonti, e un altro generale della Guardia di finanza, nel corso degli interrogatori davanti ai pm napoletani.

Colpo di scena anche in Giunta per le autorizzazioni della Camera: il relatore Francesco Paolo Sisto ha ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa. La Giunta si è aggiornata per domani alle 12 quando, fa sapere il presidente Castagnetti, si voterà comunque sul caso del parlamentare coinvolto nell'inchiesta P4: "La proposta può venire anche dell'opposizione". Di Pietro: "La presenta Idv". Anche la Lega Nord è orientata a non votare per l'arresto, ha spiegato il capogruppo del Carroccio alla Camera, Marco Reguzzoni. Sulla richiesta di arresto la posizione leghista preoccupa il Pdl, la cui strategia, si spiega tra i berlusconiani, sarebbe quella di andare direttamente in Aula senza che la Giunta abbia espresso un suo voto definitivo.

Per il capogruppo del Carroccio alla Camera,

Marco Reguzzoni la richiesta di arresto va valutata tenendo conto delle accuse e delle specificità caso per caso: "In merito alla vicenda del deputato Papa, i componenti della Giunta della Lega Nord ieri hanno ritenuto di manifestare, in assenza degli ulteriori approfondimenti richiesti, la loro totale indisponibilità a votare contro l'arresto, motivo per cui è nata la richiesta del relatore in Giunta di rinvio. Ogni altra ricostruzione è frutto di pura fantasia", ha precisato Marco Reguzzoni aggiungendo che "non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega".

"In relazione alle fantasiose ricostruzioni giornalistiche riguardo la posizione della Lega Nord, sulla richiesta di arresto nei confronti del deputato Papa e sulle altre richieste di autorizzazione in corso di esame, si precisa - ha proseguito l'esponente leghista - che non esistono divisioni di pensiero all'interno del Gruppo della Lega. Ribadisco invece che voteremo a favore di ogni richiesta inerente l'acquisizione di materiale, tabulati telefonici e quant'altro possa agevolare nell'accertamento della verità. Per quanto riguarda le sole richieste di arresto è opportuno - ha concluso nella nota il capogruppo leghista - che si valuti tenendo conto delle accuse e delle specificità caso per caso".

Ma il pd non ci sta. "Capiamo l'imbarazzo del capogruppo Reguzzoni, ma i fatti che riguardano il deputato Papa sono molto chiari e la Giunta ha avuto a disposizione tutti gli atti necessari per farsi una opinione sulla vicenda. Chiedere ulteriori approfondimenti è quindi del tutto pretestuoso anche perché questi continui rinvii stanno ostacolando il regolare corso della giustizia visto che la domanda di custodia cautelare è motivata dal rischio di inquinamento delle prove", ha detto in una nota la capogruppo del Pd nella Giunta per le autorizzazioni della Camera, Marilena Samperi.

Dopo aver ritirato la sua proposta di votare contro la richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal Gip di Napoli contro Alfonso Papa, il relatore Francesco Paolo Sisto ha spiegato che non si tratta di un "ripensamento sulla scelta di non consentire il suo arresto, ma di un doveroso rispetto delle garanzie di difesa". "Papa - ha aggiunto il relatore - ha prodotto in Giunta tutti gli atti utilizzati dalla Procura di Napoli, ben 14.932 pagine. E' cautela indispensabile - ha sottolineato Sisto - conoscere tutto ciò che può servire" per tutelare la libertà personale.

In precedenza, i deputati Pdl avevano chiesto di rinviare l'esame del voto sulla richiesta di autorizzazione all'arresto trasmessa dal gip di Napoli contro Alfonso Papa (Pdl). Ieri in Giunta maggioranza e opposizione avevano raggiunto l'accordo di votare questa mattina. Ma ieri Papa aveva depositato dei nuovi documenti per leggere i quali ora il relatore aveva chiesto più tempo.

Il tempo per decidere scadrà, in ogni caso, domani. Come ha detto il presidente della Giunta, Pierluigi Castagnetti: "Domani in Giunta si voterà comunque perché verrà messa ai voti una proposta. Chi la presenterà? Potrà farlo chiunque, anche l'opposizione". L'esame della vicenda è stato fissato in Aula per il prossimo 20 luglio.

E dall'opposizione, tempestivo annuncio di Di Pietro: "Ne stiamo per depositare noi una, che chiederemo di mettere ai voti domani in Giunta" per "bypassare" l'atteggiamento "furbesco e pilatesco" del Pdl e della Lega, aggiunge il leader di Idv. "Ovviamente diremo 'si' all'arresto di Papa. E ci diciamo sin da ora disponibili a fare noi da relatore al posto di Francesco Paolo Sisto". Anche il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino ha confermato "il nostro sì all'arresto di Papa". Riferendosi alla posizione dell'altro deputato del Pdl, Marco Milanese, Bocchino ritiene che sia opportuno "consentire alla Procura di Napoli di capire cosa c'è nelle cassette di sicurezza e verificare dai tabulati la presenza di eventuali 'talpe' all'interno della Guardia di Finanza. Spetterà alla Giunta per le autorizzazioni fare le proposte più opportune".

(14 luglio 2011)

 

Mafia, la richiesta della Procura

"Processate il ministro Romano"

Scrivono i Pm: "Nella sua veste di esponente politico di spicco avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa"

di ALESSANDRA ZINITI

Mafia, la richiesta della Procura "Processate il ministro Romano" Saverio Romano

Dopo la decisione del gip di respingere la proposta di archiviazione e chiedere l'imputazione coatta, la Procura di Palermo ha impiegato soli quattro giorni per depositare la richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa per il ministro dell'Agricoltura Saverio Romano. Passaggio dovuto in attesa della fissazione dell'udienza preliminare nel corso della quale un gip diverso da quello che ha disposto l'imputazione coatta dovrà decidere se gli elementi in mano all'accusa sono tali da giustificare un processo.

"Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale - scrivono i magistrati nella richiesta di rinvio a giudizio - Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche al fine dell'acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella".

D'altronde le motivazioni utilizzate dal gip Giuliano Castiglia non erano certo di poco conto. Alla Procura che, per la seconda volta in otto anni, aveva finito con il chiedere l'archiviazione della posizione di Romano, il gip aveva replicato con un secco no ritenendo che Romano "per almeno due decenni ha mantenuto una condotta di consapevole apertura e disponibilità nei riguardi di esponenti anche di assoluto rilievo di Cosa nostra".

Secondo il vaglio del gip, dalle carte proposte dalla Procura emerge "un quadro preoccupante di evidente contiguità con le famiglie mafiose". Di più: le condotte del ministro " non appaiono arrestarsi alla soglia della contiguità dell'indagato al sistema mafioso ma rappresentano una perdurante consapevole e interessata apertura verso componenti di primaria importanza dell'organizzazione mafiosa che si è ripetutamente tradotta e concretizzata in specifici, consapevoli e volontari contributi rilevanti per la vita di Cosa nostra".

Tra i fatti specifici ai quali il gip dà rilevanza l'appoggio che, così come l'ex governatore Cuffaro in carcere dopo la condanna a 7 anni, anche Romano avrebbe dato alle candidature alle Regionali del 2001 di uomini sponsorizzati dai capi di Cosa nostra, da Mimmo Miceli a Giuseppe Acanto, la visita all'allora boss poi diventato pentito Angelo Siino per chiedere sostegno elettorale, e soprattutto i suoi rapporti con la famiglia mafiosa di Villabate, testimoniati anche dal pentito Francesco Campanella. E infatti, nella richiesta oggi depositata, il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e il sostituto Nino Di Matteo affermano che il ministro "avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi".

LA REPLICA DEL MINISTRO - "Non intendo commentare un atto al quale la procura di Palermo è stata obbligata dopo 8 anni di indagini e due richieste di archiviazione. Continuo a non comprendere come non ci si scandalizzi di un corto circuito istituzionale e giudiziario che riguarda chi da un lato ha condotto le indagini e chi dall'altro le ha severamente sanzionate". Così il Ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, risponde in merito alle vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto. Il ministro non ci sta. "Non posso fare una denuncia e subirne le conseguenza a capo chino".

(13 luglio 2011)

 

 

Il ministro Romano: "Resto a testa alta"

attacco a Fini: "Uno che favorisce i parenti"

"Mi hanno voluto punire per il voto del 14 dicembre". Sul presidente della Camera: "È un solone che si erge a difensore della morale anche se ha favorito i propri familiari"

 

Il ministro Saverio Romano, che la Procura di Palermo ha chiesto di rinviare a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, non si dimette. Anzi: resta "a testa alta" nel governo Berlusconi, visto che si considera soltanto "vittima di una ritorsione politica" causata dal voto che a dicembre ha salvato il governo: "Se il 14 dicembre - ha spiegato Romano in una conferenza stampa alla Camera -, insieme ad altri, non avessi salvato il governo e la maggioranza, dubito che ci sarebbe stata questa iniziativa della magistratura".

In più il ministro dell'Agricoltura intende "tutelare in ogni sede giudiziaria e politica" il proprio "buon nome e onorabilità", denunciando "ad alta voce la strumentalità non dell'atteggiamento delle opposizioni, che hanno tutto il diritto, se lo ritengono, di chiedere le mie dimissioni", ma dell' "intervento a gamba tesa, in una vicenda squisitamente politica, del presidente della Camera Gianfranco Fini", il quale aveva in precedenza denunciato l'inopportunità della permanenza di Romano al governo. "Perché ad oggi - ha affermato Romano - di inopportuno c'è solo l'intervento della stessa persona che a dicembre, spogliandosi della terzietà che impone il rivestire la terza carica dello Stato, ha raccolto le firme per far cadere il governo". Romano definisce Fini un "solone" che si erge "a difensore della morale" e che invece ha "favorito i propri familiari attraverso vendite improprie".

(13 luglio 2011)

 

 

 

2011-07-11

L'INCHIESTA

P4, tutti i segreti di Milanese

in cinque cassette di sicurezza

Per aprire quei depositi servirà l'autorizzazione da parte della Camera dei deputati. L'ex finanziere "mediatore" per gli affari della Sogei. Sotto osservazione anche l'affitto di altri immobili del Pio sodalizio dei Piceni

di CONCHITA SANNINO

P4, tutti i segreti di Milanese in cinque cassette di sicurezza Marco Milanese

NAPOLI - Un fil rouge, di "stretta rappresentanza" e forse di reciproca convenienza, correva direttamente tra Marco Milanese e la società del Ministero delle Finanze, Sogei, coinvolta nella vicenda della "casa del ministro", e già al centro di sospetti crescenti. È il link che mancava a una partita di giro che non promette nulla di buono. E rischia di svelare - ancora una volta dopo la Anemone story - una vicenda di appalti trattati come favori personali, di commesse e lavori pubblici trasformati in merce di scambio privato. Così come il mistero di quelle cassette di sicurezza appena sigillate a Roma. Non una, ma cinque cassette, tutte appartenenti al deputato Pdl Milanese, sono finite da poche ore sotto sequestro del pm Vincenzo Piscitelli della Procura. Materiale impenetrabile fino a quando la Camera non rilascerà il suo sì, specifico, alla richiesta di autorizzazione per la perquisizione. Che cosa custodivano? Carte, appunti o anche la prova della presunta corruzione?

Gli ultimi segreti dell'inchiesta che travolge Milanese - fin dal 2001 fedelissimo braccio destro del ministro Giulio Tremonti, poi suo consigliere politico, nonché deputato per il quale pende alla Camera la richiesta di arresto trasmessa dal Gip con le accuse di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto - sono (o erano) forse nascosti in quel caveau della Banca del Credito Artigiano a Roma, a due passi dalla sede del Ministero di via XX Settembre.

Ma poiché quei contenitori sono equiparati ad

una pertinenza di attività parlamentare, solo un'autorizzazione dedicata da parte dell'aula di Montecitorio, che si pronuncerà con un voto distinto rispetto all'eventuale esecuzione dell'ordinanza di custodia, potrà consentirne l'apertura alla giustizia. Sempre che qualcuno non ne abbia fatto già sparire il contenuto. Sarà una coincidenza, ma il perito Luigi Mancini, incaricato dal pm, ha già accertato che alcuni ripetuti accessi di Milanese a quelle cassette sono avvenuti a metà dicembre scorso: ovvero subito dopo l'arresto di Paolo Viscione, che già nelle intercettazioni a suo carico, ben note a Milanese, lanciava messaggi.

"Se mi stanno ascoltando è meglio, lo dico io che pezzo di m... è questo. Io voglio uscire da questa storia perché quando vengo ricattato dalla politica, da questo Milanese che si fotte i soldi, io non voglio averci più a che fare". Viscione, imprenditore-faccendiere sotto accusa per una mega truffa da 30 milioni, una volta in carcere, si sarebbe trasformato nella gola profonda della "holding Milanese", l'uomo che racconta di aver riversato sul consigliere del ministro "una milionata di euro cash" nel corso di quattro anni, oltre a lussuose auto, gioielli, orologi d'oro, viaggi. Dopo le sue parole, c'è chi s'affretta a far sparire gioiellini?

Non è l'unica novità che allarga l'orizzonte dell'inchiesta. Emerge ora quel filo rosso che collega direttamente le ombre che avvolgono la gestione della società pubblica Sogei a Milanese. Una connessione importante è ora nelle mani del pm. L'ha fornita un teste, Angelo Lorenzoni, Segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni. Che racconta: "La Sogei ha preso in fitto alcuni importanti locali di nostra proprietà. Due immobili in via del Parione, primo e terzo piano, e poi un salone affrescato, per riunioni o eventi, in via San Salvatore a Lauro". Contratto: 8.500 euro al mese. Ebbene, chi condusse le trattative per conto di Sogei? "Marco Milanese, era lui il loro volto", dice Lorenzoni. Stesso concetto confermato da un'altra importante teste, la dottoressa Fabrizia La Pecorella, alto funzionario di via XX Settembre: "Sì, Milanese era l'uomo di raccordo tra Sogei e il Ministero". Quel filo, faticosamente riavvolto, racconta dunque: c'è Sogei, la società di Information and Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze che elargisce appalti ad affidamento diretto in gran numero (anche) all'impresa Edil Ars.

Quest'ultima, guarda caso, esegue lavori onerosi di ristrutturazione nell'appartamento che sta più a cuore a Milanese: la residenza cinquecentesca al piano nobile di via Campo Marzio abitata (fino a quattro giorni fa) dal ministro Tremonti, ma pagata (sempre 8.500 euro al mese) da Milanese. Quel cantiere di consolidamento e ristrutturazione è costato, testimonianze alla mano, oltre 200mila euro, che però non risultano mai pagati alla Edil Ars: né dal Milanese - come da accordi presi con il proprietario - tantomeno dal ministro, ignaro ospite. È denaro che è stato restituito sotto forma di appalti? Quei lavori nella casa eccellente sono stati saldati con denaro pubblico? Un'ipotesi che gli inquirenti non possono escludere.

(11 luglio 2011)

 

 

 

 

2011-07-10

LODO MONDADORI

Berlusconi rinuncia a parlare

Vuole evitare reazioni "a caldo"

La conferma dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti: "Le sue parole potrebbero avere ripercussioni anche a livello economico". Bersani: "Per i mercati è corruzione". Idv: "Rispettare le sentenze"

Berlusconi rinuncia a parlare Vuole evitare reazioni "a caldo"

MIRABELLO - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non farà la telefonata di saluto alla Festa di Mirabello, così come era stato previsto. La conferma arriva dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, che sta partecipando, proprio a Mirabello, ad una tavola rotonda sul futuro del partito.

"Non telefona - spiega Bonaiuti - perchè non vuole scatenare reazioni". "Oggi non parla - aggiunge - per la stessa ragione per cui non ha parlato ieri". Aprire un dibattito politico ora, prosegue Bonaiuti, potrebbe avere ripercussioni anche a livello economico.

Bersani: "I mercati vedono corruzione". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, in missione in Israelem, replica alla spiegazione con cui Paolo Bonaiuti, ha motivato il mancato intervento del premier alla festa del Pdl: "I mercati italiani e internazionali valuteranno questa vicenda come va valutata. Tutto è avvenuto a seguito di un caso di corruzione individuale, conclamata e punita. Questo vedrà il mondo, non i complotti e non è certo una cosa che fa bene al Paese".

Idv: "Basta leggi ad personam". In una nota il portavoce dell'Italia dei Valori Leoluca Orlando, scrive che l'Idv "Vigilerà affinchè in Parlamento non sia presentata l'ennesima norma ad personam, come minacciano di fare i pretoriani di Berlusconi: 27 milioni di italiani hanno già detto un secco no alle leggi fatte solo

nell'interesse del premier e non dei cittadini". Prosegue Orlando: "Berlusconi si dimetta e non la butti in politica. Le sentenze e i giudici vanno rispettati e non attaccati in modo eversivo da chi non ha rispettato la legge. Per anni il presidente del Consiglio ha approfittato di una sentenza comprata, guadagnando illecitamente del denaro sottratto ad un altro gruppo imprenditoriale".

(10 luglio 2011)

 

 

LA STORIA

"Berlusconi è il corruttore"

Illegalità per creare un impero

Le motivazioni della sentenza del processo Mondadori: decisioni cambiate a suo favore. Il premier ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna la più grande casa editrice del Paese

di GIUSEPPE D'AVANZO

"Berlusconi è il corruttore" Illegalità per creare un impero Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti in una foto degli anni 80

Se non si ricorda come sono andate le cose venti anni fa, ci si può lasciare confondere dal frastuono sollevato dai commessi ubbidienti dell'Egoarca. Dunque. Due privati cittadini, capi d'impresa, si trovano in conflitto per la proprietà della Mondadori. Accade che gli eredi del fondatore (Arnoldo Mondadori) pattuiscano con Carlo De Benedetti (editore di questo giornale) la cessione della loro quota entro un termine, 30 gennaio 1991. Tra i soci c'è anche Silvio Berlusconi. Mai schietto, lavora nell'ombra. Traffica. Intriga. Ottiene che gli eredi passino nel suo campo. Nasce una lite. La decidono tre arbitri a favore di De Benedetti.

Berlusconi impugna il lodo dinanzi alla Corte d'appello di Roma. E' qui si consuma il coup de théatre, il crimine, il robo. All'indomani della camera di consiglio, il giudice relatore Vittorio Metta deposita centosessantasette pagine d'una sentenza che dà partita vinta a Berlusconi. Era stata già scritta e non l'ha scritta il giudice e non è stata scritta nemmeno nello studio privato o nell'ufficio del giudice in tribunale. Preesisteva, scritta altrove. Il giudice ha venduto la sentenza per quattrocento milioni di lire - il giudizio è definitivo, è res iudicata (Corte d'appello di Milano, 23 febbraio 2007, respinto il ricorso dalla Cassazione il 13 luglio 2007) .

Il corruttore è Silvio Berlusconi. Ascoltate, perché questo è un brano della storia che solitamente viene trascurato. L'Egoarca porta a casa la ghirba per un lapsus del

legislatore. Il parlamento vuole inasprire la pena della corruzione quando il corrotto vende favori processuali. Ma i redattori della legge dimenticano, compilandola, il "privato corruttore". Così per Berlusconi - è il "privato" che corrompe il giudice - non vale la nuova legge più severa (corruzione in atti giudiziari), ma la norma preesistente più blanda (corruzione semplice). Questa, con le attenuanti generiche, decide della prescrizione del delitto. Un colpo fortunato sovrapposto a un "aiutino" togato. Nel 2001, l'Egoarca è a capo del governo. Per il suo alto incarico gli vanno riconosciute - sostengono i giudici (e poi, irriconoscente, il Cavaliere si lamenta delle toghe) - le attenuanti generiche e quindi la prescrizione e non come sarebbe stato più coerente, proprio in ragione delle pubbliche responsabilità, le aggravanti e quindi la condanna insieme agli uomini (gli avvocati Previti, Acampora e Pacifico) che, nel suo interesse, truccarono il gioco.

Allora, per chi vuole ricordare, le cose stanno così: Berlusconi ha voluto, organizzato, finanziato la corruzione di Vittorio Metta che gli consegna - come il bottino di una rapina - la più grande casa editrice del Paese, ma non può essere punito.

Con buona pace di Marina Berlusconi e dei suoi argomenti ("un esproprio") e arroganza ("neppure un euro è dovuto da parte nostra"), dov'è la politica in questa storia? C'è soltanto la contesa di mercato tra due imprenditori. Uno dei due, Berlusconi, si muove come un pirata della Tortuga. Non gli va bene. Lascia troppe tracce in giro. Lo beccano. La sentenza della Corte d'appello civile è molto chiara in due punti decisivi.

1. Berlusconi è il corruttore. Scrivono i giudici: "Ai soli fini civilistici del giudizio, Silvio Berlusconi è corresponsabile della vicenda corruttiva".

2. Con la corruzione del giudice, Berlusconi non ha soltanto sottratto a De Benedetti la chance di prevalere nella causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso (come ha sostenuto la sentenza di primo grado), ma gli ha impedito di vincere perché De Benedetti senza la corruzione giudiziaria avrebbe di certo conquistato un verdetto favorevole alle sue ragioni.

Oggi a distanza di venti anni, che non sono pochi soprattutto per chi ha patito l'inganno, Berlusconi - evitato il castigo penale - paga il prezzo della rapina, risarcendone il danno. Tutto qui?

Andiamoci piano. E' un "tutto qui" che ci racconta molte cose di Berlusconi e qualcuna sul berlusconismo.

Si sa, il Cavaliere si lamenta: "Mi trattano come se fossi Al Capone". Lo disse accompagnando la sentenza di primo grado, in questo processo civile. La sentenza di appello ci consente di comprendere meglio che cosa l'Egoarca condivida con Al Capone: il rifiuto delle regole, il disprezzo della legge, l'avidità. Lo abbiamo già scritto in qualche altra occasione. Come Al Capone testimonia simbolicamente la crisi di legalità negli Stati Uniti degli Anni Venti, Berlusconi rappresenta - ne è il simbolo - l'Italia corrotta degli Anni Ottanta e Novanta, la crisi strutturale della sfera pubblica che ancora oggi, nonostante Tangentopoli, comprime il futuro del Paese. E' infatti irrealistico immaginare Berlusconi fuori dal corso di quegli eventi: capitali oscuri, costanti prassi corruttive, liaisons piduistiche, un'ininterrotta presenza nel sottosuolo pubblico dove non esiste un angolo pulito. Berlusconi è quella storia e senza amnistie, senza un incessante e rinnovato abuso di potere, senza riforme del codice e della procedura preparate dai suoi governi, egli sarebbe considerato oggi un "delinquente abituale".

Accostiamo, per capire meglio, la sentenza di ieri della Corte d'appello civile di Milano con gli esiti processuali di un altro processo per corruzione. Questa volta non di un giudice, ma di un testimone, David Mills.

Lo si ricorderà. David Mills, per conto e nell'interesse di Berlusconi e con il suo coinvolgimento "diretto e personale", crea e gestisce "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest", dove transitano quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma tra i quali (appunto) Vittorio Metta; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. In due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), David Mills mente in aula per tener lontano il Cavaliere dai guai, da quella galassia societaria di cui l'avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza che lo ha condannato.

Sono sufficienti questi due approdi processuali (Mondadori e Mills) per guardare dentro la "scatola degli attrezzi" di Silvio Berlusconi e lasciare senza mistero la sua avventura imprenditoriale. Da quelle ricostruzioni, che non hanno mai incontrato un'alternativa accettabile, ragionevole, credibile nelle parole o nei documenti del Cavaliere, si può comprendere come è nato il Biscione e di quali deformità pubbliche e fragilità private ha goduto per diventare un impero. Se solo la memoria non avesse delle sincopi, spesso determinate dal controllo pieno dell'informazione, che cosa ne sarebbe allora del "corpo mistico" dell'ideologia berlusconiana, della sua agiografia epica? Chi potrebbe credere alla favola del genio, dell'uomo che si fatto da sé con un "fare" instancabile, ottimistico e sempre vincente, ispirato all'amore e lontano dal risentimento?

La verità è che finalmente, dopo un ventennio, comincia a far capolino e - quel che più conta - a diventare consapevolezza anche tra chi gli ha creduto come, al fondo della fortuna del premier, ci sia il delitto e quindi la violenza. Scorriamo i reati che gli sono stati contestati nei dodici processi che ha subito finora. Salta fuori il resoconto degli "attrezzi" del Mago: evasione fiscale; falso in bilancio; manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio; corruzione della politica (che gli confeziona leggi ad hoc); della polizia tributaria (che non vede i suoi conti taroccati); dei giudici (che decidono dei suoi processi); dei testimoni (che lo salvano dalle condanne). Senza il controllo dei "dispositivi della risonanza" - ripeto - sarebbe chiaro da molto tempo come la chiave del successo di Berlusconi la si debba cercare nel malaffare, nell'illegalità, nel pozzo nero della corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo.

Oggi come ieri per far dimenticare la sua storia, per nascondere il passato, salvare il suo futuro, tenere in vita la mitologia dell'homo faber, Berlusconi non inventerà fantasmagoremi. L'Egoarca muove sempre gli stessi passi, ripete sempre le stesse mosse. Come per un riflesso automatico, si esibirà nell'esercizio che gli riesce meglio: posare da vittima "politica", bersaglio di un complotto politico-giudiziario. Confondendo come sempre privato e pubblico, con qualche metamorfismo mediatico - ha degli ordigni e sa usarli - trasformerà la sua personale e privatissima catastrofe di imprenditore, abituato all'imbroglio e al crimine, in affaire politico che decide del destino della Nazione. Ha cominciato la figlia Marina, accompagnata dalla volgarità ingaglioffita e aggressiva dei corifei. Domani - comoda la prognosi - sarà il Cavaliere a menare la danza in prima fila. Con un mantra prevedibile e in attesa di escogitare un qualche sopruso vincente, dirà: "Contro di me tentano un attacco patrimoniale".

Vedremo così allo scoperto il più autentico statuto del berlusconismo: l'affermazione di un potere statale esercitato direttamente da un tycoon che sfrutta apertamente, e senza scrupoli, la funzione pubblica come un modo per proteggere i suoi interessi economici. Ieri, ne abbiamo già avuto un saggio nella tempesta declamatoria dell'intero gruppo dirigente del "partito della libertà" dove si è distinto Maurizio Lupi, che nella settimana che si apre sarà addirittura ministro di Giustizia. Le sue parole sono quasi il paradigma della devastazione della legalità che il berlusconismo ha codificato. L'uomo spesso posa a riformista dialogante, ma nell'ora decisiva mostra il suo volto più reale. Dice: "In qualsiasi Paese una sentenza che intima al leader di maggioranza di risarcire il vero leader dell'opposizione (De Benedetti ha la tessera n. 1 del Pd) avrebbe suscitato unanime condanna". Davvero in qualsiasi Paese, con l'eccezione di un'Italia gobba afflitta da malattie organiche, un imbroglione avrebbe potuto nascondere agli elettori le sue tecniche fino a diventare capo del governo? In quale altro Paese, scoperto l'imbroglio, il neoministro di Giustizia quasi come atto programmatico ne invoca l'impunità pretendendo la severa punizione dell'eretico che, truffato, ha chiesto il rispetto dei suoi diritti? In quale altro Paese un delitto commesso da un privato può essere cancellato in nome della sua funzione pubblica? Nelle poche parole del neoministro si può rintracciare il compendio delle "qualità" del ceto politico berlusconiano, i suoi strumenti, il suo metro: ignoranza, immoralismo cinico, illegalismo istituzionale, chiassosi stereotipi, menzogna sistematica e la totale eclissi dei due archetipi del sentimento morale: la vergogna e la colpa. Con tutta evidenza, siamo soltanto all'inizio del triste spettacolo che andrà in scena nelle prossime settimane perché - è chiaro - Berlusconi può abbozzare sulla manovra fiscale che riguarda gli altri, ma qui parliamo di lui, della sua "roba". E' per la "roba" che si è fatto politico e con la politica che vorrà salvare la sua "roba". Costi quel che costi.

(10 luglio 2011)

 

 

Un regno che affonda

in un mare di scandali

di EUGENIO SCALFARI LA FINE d'un regno ha sempre un andamento drammatico e talvolta addirittura tragico. Pensate a Macbeth e a Lear ma anche a Hitler e a Mussolini, dove la realtà sembra imitare i vertici della letteratura.

Talvolta però alla cupezza del dramma si accompagna la sconcia comicità della farsa; sconcia perché inconsapevole e quindi cupa e drammatica anch'essa. Vengono in mente alcuni comprimari del fine regno berlusconiano: Brunetta, Gasparri, La Russa, Quagliariello, Sacconi, Ghedini, Prestigiacomo, Gelmini, Alfano e il suo partito degli onesti. Con Calderoli siamo al culmine della comicità inconsapevole, a cominciare da come si veste e da come cammina: non è un pavone che esibisce la sua splendida ruota e neppure un tacchino con i suoi bargigli, ma ha piuttosto l'andare del gallinaccio, il più sgraziato dei pennuti.

Bossi no, non è comico ma profondamente drammatico: un leader lucido e sensibilissimo a cogliere gli umori della sua gente, cui la malattia aveva addirittura conferito un di più, quella parlata inceppata, quei gesti di una volgarità voluta, quella faccia segnata ma non rassegnata: così era stato fino a un anno fa, ma poi il vento è cambiato anche nella Lega e il Senatur ha cominciato ad annaspare. Ora sembra un timoniere senza bussola e senza stelle che procede alla cieca in una fitta foschia mentre infuria lo scontro per la successione.

Il dramma di Berlusconi è ancora più complesso ed enigmatica la sua comicità. A volte è anche per lui

inconsapevole e quindi oscena come nel caso della nipote di Mubarak. Ma poi usa consapevolmente quella stessa comicità, la trasforma in barzelletta con la quale strappare al suo pubblico una risata e un applauso con la duplice intenzione di dimostrare la sua autoironia e la sua calma nella tempesta. A volte però la barzelletta non piace, non provoca la risata liberatoria ma un assordante silenzio e in lui sempre più spesso emerge la sindrome della solitudine, del tradimento, della congiura.

Leggendo l'altro ieri la sua intervista a "Repubblica" tutti questi passaggi sono chiarissimi: c'è la stanchezza d'un leader che preannuncia il suo futuro di padre nobile, il disprezzo verso i nemici esterni, l'ira verso i traditori interni, la volontà di mantenere il potere attraverso i figliocci da lui delegati. Infine il colpo di teatro d'affidare il lascito testamentario ad un giornale da lui attaccato, vilipeso, ingiuriato.

E Tremonti? Qual è la parte di Tremonti in questo fine regno sempre più incombente?

Ha appena varato una manovra finanziaria che avrebbe dovuto mettere al sicuro i conti pubblici e il debito sovrano, ma proprio nei giorni del varo i mercati sono stati scossi da una speculazione che ha il nostro debito, le nostre banche, i nostri titoli, come bersagli primari. Invece di rafforzare la stabilità del governo e della maggioranza la manovra ha aumentato le crepe diventando a sua volta un fattore di instabilità.

Potrà in queste condizioni il ministro dell'Economia restare al suo posto? Potrà reggere al dibattito parlamentare che si annuncia estremamente difficile?

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La storia - lo sappiamo - non si fa con i se, ma i se a volte ci aiutano a capir meglio i fatti che sono realmente avvenuti. Dove saremmo oggi se il 14 dicembre del 2010 Berlusconi non avesse avuto la fiducia?

Il governo sarebbe caduto, il Presidente della Repubblica avrebbe aperto le consultazioni e molto probabilmente avrebbe nominato un nuovo governo, un nuovo presidente del Consiglio, un nuovo ministro del Tesoro. I nomi non mancavano ed erano tutti di primissimo piano, da Mario Monti a Mario Draghi. I mercati sarebbero stati ampiamente rassicurati da quei nomi e dalla loro politica.

Purtroppo non andò così. Oggi i mercati stanno attaccando i titoli pubblici emessi dallo Stato e i titoli delle banche; il rendimento dei buoni del Tesoro decennali è salito al 5 e mezzo per cento, lo "spread" rispetto al Bund tedesco a 2,48.

Nel frattempo ieri mattina la Corte civile d'appello di Milano ha condannato la Fininvest, nel processo di secondo grado sul Lodo Mondadori, a pagare alla Cir di Carlo De Benedetti 560 milioni di euro. Si tratta d'una sentenza che fa giustizia in sede civile d'uno dei più gravi reati che il nostro codice penale contempla: la corruzione di magistrati. Quel reato fu accertato con sentenza definitiva ma Berlusconi ne fu tenuto fuori perché per lui erano decorsi i termini della prescrizione.

Restava tuttavia il diritto della parte lesa al risarcimento del danno e a questo ha provveduto la sentenza di ieri. Essa certifica che l'impero editoriale del presidente del Consiglio è fondato su un gravissimo reato penale. Noi l'abbiamo sempre saputo e sempre detto e questo è per noi il valore politico e morale della sentenza di ieri.

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Ribadito che la reazione negativa dei mercati è motivata principalmente dall'implosione della maggioranza di centrodestra, occorre tuttavia esaminare la manovra nella sua impostazione politica e tecnica, ambedue estremamente manchevoli.

Il ministro dell'Economia aveva inizialmente spacchettato i tempi dell'operazione: per l'esercizio in corso un intervento di un miliardo e mezzo, di semplice manutenzione. Nel 2012 cinque miliardi e mezzo e tanto bastava secondo il calendario concordato con l'Ue. Il grosso nei due esercizi successivi, 20 miliardi in ciascuno di essi per azzerare il deficit nel 2013 e per realizzare il pareggio del bilancio nel 2014. In totale 47 miliardi, ai quali bisognava aggiungerne circa 32 utilizzati nel 2009-2010 per mettere i conti pubblici in sicurezza.

Sembrò che queste operazioni fossero sufficienti e che il loro risultato finale segnasse il pieno successo di Tremonti e per riflesso del governo di cui egli è il perno economico. Mancavano in questo quadro di rigore finanziario, interventi destinati alla crescita del prodotto interno lordo, ma il superministro non mostrava di preoccuparsene. La crescita sarebbe venuta al momento opportuno. Protestavano le imprese, protestavano i sindacati, protestavano le organizzazioni dei commercianti e dei consumatori e protestavano anche Berlusconi e Bossi, ma Tremonti restava fermo e sicuro con l'appoggio dell'Europa e - così sembrava - anche dei mercati.

Ma poi le cose sono radicalmente cambiate e una realtà del tutto diversa è venuta a galla. Fermo restando lo spacchettamento temporale, si è venuti a sapere che Tremonti aveva effettuato un altro tipo di spacchettamento: la manovra vera e propria non era di 47 miliardi ma soltanto di 40; di questi, 25 erano contenuti nel decreto firmato quattro giorni fa da Napolitano (dopo che era stata ritirata la vergognosa norma mirata a bloccare la sentenza sul Lodo Mondadori). Altri 15 miliardi sarebbero stati invece reperiti con la legge delega per la riforma fiscale, che dovrà anch'essa esser votata dal Parlamento nelle prossime settimane o nei prossimi mesi.

È proprio la riduzione della manovra che ha indotto Giorgio Napolitano nel momento in cui firmava il decreto a indicare la necessità di ulteriori interventi da prendere al più presto possibile. Senza ancora entrare nel merito, la criticità che ha allarmato i mercati si deve soprattutto a quei 15 miliardi affidati alla legge delega. Dovrà essere approvata dal Parlamento e dovrà poi confrontarsi, nel momento di emettere i decreti delegati, non solo con l'apposita commissione bicamerale ma soprattutto con la conferenza Stato-Regioni. E poiché la parte più rilevante dei 15 miliardi da reperire è prevista proprio a carico delle Regioni e degli Enti locali, è facile prevedere che il negoziato sarà lungo e molto complesso.

La reperibilità e la tempistica restano dunque i punti interrogativi che difficilmente saranno risolti nel prossimo esercizio.

Quanto al merito, la manovra da 25 miliardi e la riforma fiscale per reperirne altri 15 poggiano, come ha più volte osservato Bersani, su prelievi a carico del sociale: il taglio dei contributi agli Enti locali, le maggiori imposte territoriali, il peggioramento dei servizi, il potere d'acquisto delle famiglie, la mancata rivalutazione delle pensioni, i giovani disoccupati, l'età pensionistica delle donne.

Se si dovesse definire con due parole il significato politico di questa imponente operazione, di cui uno degli interventi principali è l'imposta sui titoli depositati nelle banche, si dovrebbe definirla una manovra di classe. Forse questo piacerà al Pdl e per alcuni aspetti anche alla Lega, ma certo non piacerà alle opposizioni e soprattutto a quelle fasce sociali che si sono manifestate nelle recenti elezioni amministrative e nel voto referendario.

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L'ultimo capitolo che marca il fine regno berlusconiano è la marea degli scandali che coinvolge due eminenti deputati del Pdl, Alfonso Papa e Marco Milanese, un ministro di recente nomina, quel Saverio Romano sul quale il Presidente della Repubblica nell'atto di firmare il decreto di nomina voluto da Berlusconi indicò un possibile impedimento giudiziario che in quel momento era soltanto potenziale ma che ora è diventato di stringente attualità perché a suo carico è stato formalizzato dal Tribunale di Palermo un mandato di cattura per associazione mafiosa.

Papa, Milanese, Romano sono i tre terminali sui quali stanno lavorando le Procure di Napoli, Palermo e Roma e che riguardano appalti, nomine in alcune imprese di natura pubblica, dazioni di danaro, gioielli, automobili di altissimo pregio, immobili, informazioni riservate ed usate per ricatti e vere e proprie estorsioni.

Il centro di alcuni di questi scandali e di questi reati è la Guardia di finanza e il suo Comando generale. Il ministro dell'Economia, ascoltato di recente come testimone dalla Procura di Napoli, ha addirittura ammesso che esistono due cordate nella Guardia di finanza che operano per favorire due diversi candidati alla nomina di comandante generale.

Tremonti del resto è coinvolto in pieno dallo scandalo Milanese; un uomo che è al suo fianco dal 2005 e che è stato colto con le mani nel sacco per decine di reati, ricatti, uso di informazioni riservate. Di tutto ciò il ministro garantisce di non essere mai stato al corrente. Delle due l'una: o il ministro non dice il vero oppure la sua dabbenaggine nella scelta dei collaboratori rasenta un livello tale da minare la sua credibilità.

In questa situazione sarebbe estremamente urgente che il Partito democratico producesse una seria proposta alternativa di politica economica, di politica istituzionale e di legge elettorale. Bersani si era impegnato a farlo subito dopo le elezioni del maggio scorso, ma quella promessa non è stata mantenuta, si è restati nel vago di dichiarazioni che non descrivono una politica nella sua completezza e concretezza.

Il Pd rischia di perdere un'occasione storica per ridare un ruolo al centrosinistra e al riformismo. Viene da dire - insieme alle donne italiane di nuovo mobilitate - se non adesso, quando?

(10 luglio 2011)

 

L'INCHIESTA

Una "cresta" su Lettieri e Ponzellini

così sfumò il colpo grosso di Milanese

Al centro dell'indagine sull'ex collaboratore di Tremonti, in cambio del denaro c'è proprio il nodo delle nomine. Coinvolti il patron di Impregilo e Banca Popolare di Milano e l'imprenditore candidato Pdl a sindaco di Napoli, sconffito da De Magistris

di CONCHITA SANNINO

Una "cresta" su Lettieri e Ponzellini così sfumò il colpo grosso di Milanese Marco Milanese

NAPOLI - Un "doppio potere", che gli derivava dalla vicinanza con il ministro e dai legami con la Finanza, "usato per il suo vorticoso giro" di presunta corruzione, affari illeciti, attività di lobby. Una condotta "seriale". E un altro colpo grosso, Milanese "l'ingordo", l'aveva quasi centrato. Stando alle carte dell'inchiesta del pubblico ministero Vincenzo Piscitelli a carico del potente braccio destro del ministro Giulio Tremonti, il deputato Pdl Marco Milanese aveva infatti coinvolto in una cospicua operazione finanziaria anche Massimo Ponzellini, il patron di Impregilo e di Banca Popolare di Milano. Per quella mediazione, racconta il grande accusatore Paolo Viscione, imprenditore già agli arresti da dicembre, Milanese doveva fare una cresta "del dieci per cento".

Ritratto del plenipotenziario del ministro del Tesoro. Come dimostrano anche documenti e carte sequestrate nei computer e nei cassetti dei vertici di Finmeccanica. Sono appunti che addirittura producono graficamente le spartizioni politiche per le nomine nelle aziende di Stato, confermando ciò che interessa agli inquirenti: è Milanese a dettare quei nomi per conto del Tesoro. Lo racconta dettagliatamente Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica. Lo conferma anche Mauro Moretti, amministratore delle Ferrovie dello Stato. Che dice: "Sì, è sempre stato Milanese il nostro interlocutore per il Tesoro. Anche se alla fine decido io".

Il business

con Ponzellini. Il faccendiere Paolo Viscione racconta al pm Piscitelli, nel corso di due interrogatori, che Milanese "doveva prendere un'ulteriore tangente del 10 per cento" su una mega operazione finanziaria, in cui comparivano Ponzellini e anche Gianni Lettieri, l'ex numero uno dell'Unione degli Industriali di Napoli poi sceso in campo come candidato sindaco pdl di Napoli (voluto da Gianni Letta, e sconfitto dalla valanga de Magistris). Una trattativa portata avanti per almeno sei mesi, poi tramontata per l'insorgere delle nuove grane giudiziarie. "C'era un mercato interessato alla mia compagnia Eig. Infatti Marco Milanese mi fa incontrare Massimo Ponzellini (...) - sottolinea Viscione - che era interessato perché doveva fare la Bank Insurance, e doveva fare l'accordo. Per chi trattava? Ovviamente per conto della Banca Popolare di Milano. Che era interessata a finanziare l'operazione attraverso delle riutility-Inc" che si doveva fare con (...)". Ponzellini, interrogato dal pm il 12 gennaio, conferma: "Nel settembre ottobre 2009, fui raggiunto da una telefonata da Milanese, che mi segnalava un imprenditore, Viscione, per valutare un'operazione di possibile interesse della banca. Fissai l'appuntamento nel mio ufficio di piazzale Flaminio, ma poi, preso da altri impegni, non potei riceverli, e quindi raggiunsi Viscione nei suoi uffici di via Petra dove conobbi appunto Viscione. Lui era interessato a cedere a terzi la compagnia assicurativa milanese che a suo giudizio valeva intorno ai 40/50 milioni di euro e chiedeva una valutazione da parte della banca. Vi sono poi - aggiunge Ponzellini - altri due incontri a Roma e a Milano (in uno dei quali ha partecipato anche Bruno Lago che conoscevo dai tempi della Bei) oltre a quello tenuto dal mio collaboratore Cannalire, per valutare la documentazione che intanto gli avevamo chiesto (...). Abbiamo saputo che un soggetto interessato poteva essere Lettieri". Viscione aggiunge al pm: "Mentre Ponzellini faceva tutta questa teoria, e Milanese doveva avere il 10 per cento per questa operazione, io cerco di trovare il compratore a cui però mancano i soldi". Il pm chiede: Lettieri è il compratore a cui mancano i soldi? Viscione replica: "Sì, cioè lui diceva di averli, però io sapevo che non ce li aveva, per cui ho detto: ora te li procuro io, sempre attraverso il solito...". La racconta diversamente Lettieri: "Ho preso in considerazione la possibilità di acquistare con la società Meridie, la Eig (di Viscione). Il primo incontro con Viscione avvenne nel gennaio del 2010, c'era anche Marco Milanese, che avevo conosciuto da presidente di Confindustria. Ricordo che c'era una disponibilità della Banca Popolare di Milano ma io volevo capire la bontà dell'operazione. Poi mi disimpegnai".

Le nomine nelle controllate di Finmeccanica e Ferrovie. Al centro dell'inchiesta, culminata anche negli arresti di manager Guigo Marchesi e Carlo Barbieri (tra l'altro, sindaco di Voghera, ndr) - i cui nomi vengono suggeriti proprio da Milanese nelle società di secondo livello controllate dal Ministero, in cambio di denaro e compravendite taroccate - c'è proprio il nodo delle nomine. Il pm sequestra materiale importante sulla spartizione ritualmente in corso tra partiti per le nomine nelle aziende di primo e secondo livello. Nella perquisizione al numero due di Finmeccanica, Borgogni, c'è un appunto significativo scritto a penna: "Giorgetti, Milanese, Romani (Guerrera), Fortunato (Mef), Galli, Squillace, La Russa". Anche la Lega fornisce. ovviamente, i suoi uomini. Borgogni, interrogato, spiega al pm. "Sì, Milanese è seduto anche al tavolo di compensazione, a Palazzo Chigi", dove si trova l'equilibrio tra le tante richieste che arrivano dai partiti. Ecco anche la conferma di Mauro Moretti, l'ad di Ferrovie: "Marco Milanese è stato normalmente il nostro interlocutore per le nomine nei Cda dice Moretti - La scelta di Barbieri? Si tratta certo di un esterno, ma non ricordo se fu fatta da lui, si trattava comunque di una nomina senza troppa importanza (15mila euro lordi l'anno)".

Contatti con Alemanno e ministro dei Beni Culturali. Non solo gioielli e auto di lusso, Viscione regala a Milanese, e parla con il pm, anche di quadri di lusso. E racconta: "Esiste una lobby all'interno del mondo dell'arte contemporanea. Fanno le quotazioni non solo i critici, ma anche i galleristi, che hanno degli interessi specifici perché tengono il loro magazzino". Viscione stava cercando, attraverso questo meccanismo, di lanciare un pittore albanese, Alfred Mirasci. Erano stati avviati contatti, racconta Viscione, "con il sindaco di Roma e il ministro dei Beni culturali. Io ho 400 opere di questo artista, l'operazione costava 80mila euro e il coso albanese si doveva preoccupare con il sindaco di Roma e il ministro dei Beni culturali di trovare il luogo... Era stato individuato il museo di arte contemporanea più importante di Roma.

(10 luglio 2011)

 

 

2011-07-09

LA SENTENZA LODO MONDADORI FININVEST-CIR 2011-07-09.

IL CASO

Lodo Mondadori, Fininvest condannata

dovrà pagare 560 milioni alla Cir

I giudici della Corte d'Appello di Milano impongono alla holding del Biscione il risarcimento a favore della holding di Carlo De Benedetti. La sentenza è immediatamente esecutiva. I giudici: "Berlusconi correo di corruzione". La Cir: "Sentenza conferma che ci fu corruzione ed è estranea all'attualità politica"

di EMILIO RANDACIO

Lodo Mondadori, Fininvest condannata dovrà pagare 560 milioni alla Cir Carlo De Benedetti

MILANO - La Fininvest dovrà pagare. I giudici della Corte d'Appello di Milano hanno condannato la holding del Biscione a risarcire Cir per la vicenda del Lodo Mondadori per 540 milioni circa di euro alla data della sentenza di primo grado dell'ottobre 2009, più gli interessi e le spese decorsi da quel giorno. La cifra quindi arriverebbe intorno ai 560 milioni di euro 1. Un quarto in meno dei 750 milioni stabiliti in primo grado. La sentenza è immediatamente esecutiva. Furiosa la reazione di Marina Berlusconi 2, mentre la Cir, in una nota, afferma che la sentenza "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell'interesse di Fininvest". Definendo il contenzioso giudiziario su Mondadori "riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all'attualità politica".

SCHEDA: Le tappe della vicenda 3

IL TESTO DELLA SENTENZA (pdf) 4

AUDIO Il commento di Massimo Giannini 5

La causa è la conseguenza, in sede civile, di un processo penale finito nel 2007 con le condanne definitive, per corruzione in atti giudiziari, del giudice Vittorio Metta e degli avvocati Cesare Previti 6, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. La Cassazione confermò che la sentenza del 1991 della Corte d'Appello di Roma, sfavorevole a De Benedetti nello scontro con Berlusconi per assicurarsi il controllo della casa editrice, fu "comprata" corrompendo il giudice Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti dai conti esteri Fininvest. Il premier venne prosciolto per prescrizione in modo irrevocabile nel novembre 2001.

La sentenza."Per questi motivi la corte accoglie, per quanto di ragione, sia l'appello principale che quello incidentale e per l'effetto in parziale riforma della sentenza del 2009, determina in euro 540 milioni 141 mila 059,32 centesimi l'importo dovuto dalla convenuta alla data del 3 ottobre 2010 quale risarcimento di danno immediato e diretto, e pertanto condanna Fininvest a pagare in favore di Cir s.p.a. tale somma oltre agli interessi legali da detta data al saldo; dichiara compensate per un quarto tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio; condanna l'appellante Fininvest a riforndere in favore della Cir i residui tre quarti delle spese processuali dei due gradi, come in motivazione partitamente liquidate, per il primo grado in complessivi euro 3 milioni 296 mila, e per il presente grado in complessivi euro 3 milioni 940 mila oltre, per entrambi i gradi di giudizio, al rimborso per le spese generali del 12,5% su diritti e onorari come per legge; pone definitivamente a carico di ciascuna parte per la metà i già liquidati costi della consulenza tecnica d'ufficio; conferma nel resto la sentenza impugnata". Per il giudici, inoltre, il premier è "correo" nel reato di corruzione.

La nota della Cir. "Si è riconosciuto il diritto di Cir a un congruo risarcimento per il danno sofferto - si legge nella nota diffusa dagli avvocati del gruppo Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini - tale danno, enorme già in origine, si è poi notevolmente incrementato per rivalutazione e interessi in considerazione del lungo tempo trascorso dai fatti. Con particolare soddisfazione si registra il passaggio della sentenza dove si riconosce che, corrompendo il giudice metta, Fininvest tolse a Cir non la semplice chance di vincere nel 1991 la causa sul controllo del gruppo Mondadori-Espresso, ma la privò senz'altro di una vittoria che senza la corruzione giudiziaria sarebbe stata certa".

Il procedimento civile. Avviato nell'aprile 2004, con la richiesta complessiva di un miliardo di risarcimento da parte di Cir, il procedimento civile il 3 ottobre 2009 ha visto la sentenza di primo grado: il giudice Raimondo Mesiano 7aveva stabilito che la holding di De Benedetti "ha diritto" al risarcimento da parte di Fininvest "del danno patrimoniale da perdita di 'chance'" per "un giudizio imparziale'. Risarcimento 8 quantificato in 749.995.611,93 euro a cui si aggiungono gli interessi legali, le spese del giudizio e, tra l'altro, due milioni di euro per gli onorari. Pochi giorni dopo il ricorso in appello, a dicembre, era arrivato un accordo tra Finivest e Cir: la prima aveva presentato una fideiussione da 806 milioni 9 rinunciando all'istanza di sospensione, mentre la seconda si era impegnata a non chiedere l'esecuzione del maxirisarcimento fino alla sentenza d'appello.

Il pool di esperti. In vista del verdetto di secondo grado, lo scorso anno, i magistrati avevano nominato un pool di esperti per stabilire "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio fra le parti siano intervenuti tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991, con riguardo agli andamenti economici delle stesse e di evoluzione dei mercati dei settori di riferimento".

Le conclusioni dei consulenti. A settembre 2010 le conclusioni dei consulenti: avevano stabilito che il danno subìto dalla holding della famiglia De Benedetti esisteva anche se, a loro avviso, era minore rispetto alla quantificazione del tribunale. Di recente Berlusconi aveva definito una sua eventuale condanna "una rapina a mano armata" 10. Mentre è di pochi giorni fa la polemica sulla cosidetta norma salva Fininvest 11 inserita e poi tolta dalla Finanziaria dopo dure polemiche. Ed oggi è saltata la visita del premier a Lampedusa 12.

Che cosa accadrà. A questo punto Cir può, da subito, eseguire il contenuto della sentenza d'Appello. La holding di De Benedetti si potrà rivolgere alle banche, di cui Intesa-Sanpaolo è capofila, per riscuotere la quota della fideiussione da 806 milioni. Fideiussione bancaria valida per 16 mesi, e rinnovabile, posta alla base dell'accordo del dicembre 2009 tra le sue società. Ci potrebbe essere anche, in via del tutto ipotetica, un accordo tra le parti per congelare l'esecutività della sentenza in attesa della conferma definitiva della Cassazione.

(09 luglio 2011)

 

LODO MONDADORI

Nei conti Fininvest un paracadute d'oro

A fine 2009 nel portafoglio di via Paleocapa c'erano 701 milioni di euro. Quanto resta dei 2 miliardi incassati nel 2005 con il collocamento in Borsa del 16,6% di Mediaset. Un tesoretto che ha consentito alla cassaforte del premier di non accantonare fondi a bilancio in vista di una sentenza negativa sul lodo di Segrate. Ma il colpo resta pesante

di ETTORE LIVINI

Nei conti Fininvest un paracadute d'oro La sede della Fininvest a Cologno Monzese

FININVEST non dovrà penare troppo per trovare i 560 milioni necessari a risarcire la Cir (editore de La Repubblica) dopo la sentenza sul Lodo Mondadori. Non servirà andare in banca a far mutui. Basterà rompere il salvadanaio di famiglia. Nelle casse della holding del presidente del Consiglio, infatti, ci dovrebbe essere liquidità più che sufficiente a saldare il conto. Il dato a fine 2010 non è stato comunicato dal Biscione, ma a fine 2009 nel portafoglio di via Paleocapa c'erano contanti per 701 milioni di euro. Quanto resta dei 2 miliardi incassati nel 2005 con il collocamento a Piazza Affari del 16,6% di Mediaset a valle degli investimenti degli ultimi anni. Un tesoretto che non dovrebbe essersi intaccato più di tanto negli ultimi dodici mesi. E proprio la disponibilità di questo paracadute d'oro ha consentito alla cassaforte del premier di non accantonare fondi a bilancio in vista di una sentenza negativa sul lodo di Segrate.

Il colpo finanziario resta comunque pesante. Anche perché in casa Berlusconi, in questo 2011 non proprio brillantissimo, piove sul bagnato. La tegola Mondadori è infatti solo l'ultimo atto di un anno finanziariamente tutto in salita. Il titolo Mediaset ha perso da gennaio il 30% circa bruciando quasi 800 milioni di valore dalla quota in portafoglio alla Fininvest. Endemol, la società di produzione de Il Grande Fratello partecipata da Telecinco, naviga in acque agitate, schiacciata da 2 miliardi di debiti. E l'unica vera soddisfazione degli ultimi mesi è arrivata per assurdo dalla pecora (rosso) nera - finanziariamente parlando - di famiglia: quel Milan che dopo aver perso per anni a bocca di barile (Berlusconi ha staccato nel tempo assegni per 500 milioni per il club) è riuscito almeno a regalare al Cavaliere lo scudetto.

Tanti guai, insomma, ma nessuna crisi. Il bilancio 2010 della Fininvest è andato in archivio malgrado tutto con un utile di 160 milioni. Anche se i soci di Arcore, il premier e i cinque figli, hanno deciso alla luce del periodo di vacche magre di non staccare quest'anno nessun dividendo. Fieno in cascina comunque ce n'è visto che dal 2005 avevano incassato cedole per un miliardo.

(09 luglio 2011)

 

 

GOVERNO

Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva"

Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio"

La cosiddetta "salva Fininvest" era "sacrosanta e equilibrata", afferma il premier. "Anche per Tremonti, che non l'ha sottoposta al voto in Cdm perché credeva fossero tutti d'accordo". "Potremmo ripresentarla dopo la sentenza su Fininvest: non sarebbe più considerata ad personam"

Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio"

Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato"

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L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia

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Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori

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Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir

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ROMA - Fininvest si salva anche senza la norma rimossa dalla manovra, che Tremonti 1considerava "sacrosanta". Così Silvio Berlusconi, intervenuto a Montecitorio alla conferenza stampa di presentazione del libro di Domenico Scilipoti. Secca replica di Umberto Bossi: della norma sul lodo Mondadori "non sapeva nessuno, nemmeno Tremonti".

La cosiddetta "salva Fininvest", il "comma 23" inserito e poi rimosso 2 dal decreto sulla manovra, "non l'ho scritta io - tiene a precisare il premier -, mi sono astenuto da tutto. Della cosa si è discusso in Cdm. Il ministro Tremonti, che la considerava sacrosanta, non ha ritenuto di portarla al voto del Consiglio dei ministri. Era sicuro che tutti i membri del governo sarebbero stati d'accordo. Per esempio, Calderoli che mi ha detto che avrebbe voluto aiutarmi a scriverla meglio. Non c'è nessun giallo. Io e la Fininvest non abbiamo bisogno di nessuna norma per salvarci".

Berlusconi, inoltre, non considera affatto chiusa la partita. "Non c'è nulla - ha affermato - che ci impedisce di ripresentare" quella norma, "si può pensare di inserirla durante il percorso parlamentare". Osserva ancora il premier: "Su Fininvest ci sarà una sentenza prossimamente, a quel punto non si potrebbe più considerarla una norma ad personam".

Poi Berlusconi torna ad attaccare, duramente, l'opposizione. "Non si rassegna, e non riesce a giocare una partita all'interno delle regole democratiche, ma è pronta a usare ogni mezzo per ostacolare il governo, dalle manovre parlamentari alla strumentalizzazioni dei risultati dei referendum e delle elezioni amministrative".

"L'opposizione - ha aggiunto Berlusconi - strumentalizza la manovra, i referendum e le elezioni amministrative. Non esiste in nessun altro paese europeo che se si perdono le elezioni di medio termine si chiede di andare a votare. Non è accaduto alla Merkel e nemmeno a Zapatero nonostante la debacle".

Ma "la crescita non dipende da noi, non dipende dal Governo - si difende Berlusconi -. E' un'illusione statalista della sinistra. A far crescere l'economia sono le imprese e chi nelle imprese lavora, è lo spirito di sacrificio con cui i cittadini sono disposti alla revisione di un welfare obsoleto, che per garantire tutti non garantisce più nessuno". Berlusconi aggiunge che per la crescita bisogna anche fare in modo che il sistema della giustizia sia più veloce e la burocrazia più snella: "Tutte queste cose in parte dipendono anche da noi, e infatti stiamo lavorando con impegno, ma resto convinto del vecchio slogan 'meno stato più società".

Per questo, Berlusconi ha ribadito, "noi siamo al governo e resteremo fino alla fine della legislatura. Non consegneremo l'Italia a Bersani e Di Pietro nonostante i giornali, il fango e i fantomatici salotti dei poteri forti". "Penso che nessuno più di me sia stato oggetto di tanta violenza denigratoria - è l'accusa che il presidente del Consiglio muove all'opposizione -. Per noi l'avversario è un avversario e basta, lo contraddiciamo ma lo rispettiamo. Per loro un avversario è da distruggere e ridicolizzare con qualsiasi mezzo. E' un nemico persino da odiare. Quello sofferto da Mimmo (Scilipoti, ndr) è stato impressionante. Chi ha coraggio merito stima. Scilipoti è stato aggredito e offeso persino negli affetti più cari".

Bossi: "Salva Fininvest, nessuno sapeva". Tremonti sapeva della norma sul lodo Mondadori? "Non lo sapeva nessuno. Nemmeno Tremonti". Così il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, ha risposto ai giornalisti lasciando Montecitorio. Sull'ipotesi che la norma salva Fininvest venga ripresentata in Parlamento, il Senatur ha detto: "Non so niente".

Il presidente del Consiglio in conferenza stampa ha affrontato altri temi dell'attualità politica, economica e giudiziaria. Ecco le sue risposte.

Manovra. "Completeremo la legislatura facendo le riforme necessarie per ridurre i costi della politica. Sono riforme che si possono fare senza allentare il controllo dei conti". Quanto alla manovra, il presidente del Consiglio ha ribadito che "il governo è assolutamente aperto a cambiamenti della manovra, purché non si tocchino i saldi".

"Libia, costretto all'intervento da Napolitano". "Ero e sono contrario" all'intervento bellico in Libia, ha spiegato ancora Berlusconi, "ma ho dovuto accettarlo non solo per la decisione dell'Onu, ma anche per un intervento preciso del capo dello Stato e per il voto di due commissioni alla Camera e al Senato. Sono stato costretto ad accettare". Comunque, ha detto il premier, l'intervento in Libia "non è attribuibile alla volontà degli americani. Credo che l'input più forte sia venuto da un governo europeo. Sono andato a Parigi, mi sarei affiancato alla signora Merkel...". Come finirà? "La conclusione nessuno la conosce - risponde Berlusconi -. Nell'ultimo Consiglio europeo Sarkozy e Cameron hanno detto che la guerra finirà quando a Tripoli ci sarà una rivolta dei ribelli contro Gheddafi".

Tasse: "Troppe incitano all'evasione". "La pressione fiscale è eccessiva, e questo comporta una giustificazione morale di chi evade" ha detto Berlusconi. Essendo il primo contribuente in

Italia, credo di non poter essere accusato di far le lodi di chi evade". Chi paga, ha spiegato il premier, ha la consapevolezza di pagare in cambio di servizi. Ma se fra queste due cose "non c'è proporzione si instaura nel cittadino una forma di giustificazione nel tentare di pagare meno imposte". Se invece, ha aggiunto, il cittadino "ha un giusto sentimento dei servizi" ci sono molti meno evasori. L'attenzione del governo è dunque "verso una pressione giusta che dovrebbe ridurre l'evasione".

P4 e Papa: "Sono garantista, aspetto". "Credo non ci sia ancora nulla, non conosco il caso concreto, aspetto di sentire cosa dirà la Giunta. Io sono naturalmente un garantista". Così, a margine della presentazione del libro di Domenico Scilipoti, il premier Silvio Berlusconi risponde ai cronisti che gli domandano un parere sull'inchiesta P4 e la posizione del deputato Pdl Alfonso Papa.

(07 luglio 2011)

 

 

LA SCHEDA

Accordi, retromarce, processi

le tappe del Lodo Mondadori

Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate"

Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi

Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio"

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Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva" Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio"

Berlusconi ritira la norma pro Fininvest Bersani: "Il premier ci ha provato"

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L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi il 'padrone' del paese corrompe la democrazia

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Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir

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Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir

ROMA - Lo scontro giudiziario fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, il Cavaliere, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef, società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosiddetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta, si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire.

Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di Segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconobbe infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari".

Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano 1 (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5 2) emette la sentenza di primo grado: Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello.

Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fidejussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento: a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori.

Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%.

Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio". Salvo poi dirsi tranquillo e ammettere in via informale, che lui ha i soldi per pagare "l'eventuale multa". O forse una legge a portata di mano, magari nascosta nella manovra finanziaria. 3 Il tentativo viene fatto, ma dura solo 24 ore: nella correzione dei conti pubblici varata dal governo viene inserita una norma che di fatto avrebbe salvato la Fininvest da un'eventuale sentenza di condanna. Tra polemiche politiche 4, accuse e smentite sulla paternità del codicillo, è lo stesso Berlusconi ad annunciare il ritiro del comma 5 dal testo.

E si arriva alla sentenza di secondo grado 6 che conferma la condanna riducendo a 560 milioni di euro il risarcimento che Fininvest deve alla Cir.

(04 luglio 2011)

 

 

LA SCHEDA

Tutti i processi di Berlusconi

Il Cavaliere è stato imputato in sedici casi. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills, fondi neri per i diritti tv Mediaset, appropriazione indebita nell'affare Mediatrade, e il Caso Ruby. Poi c'è l'istigazione alla corruzione di un paio di senatori per cui però la procura di Roma ha chiesto l'archiviazione

Tutti i processi di Berlusconi

P2, Falsa testimonianza

L'accusa: falsa testimonianza

La sentenza: condannato per aver giurato il falso davanti al Tribunale di Verona a proposito della sua iscrizione alla P2. L'amnistia del 1989 però copriva il reato, che è estinto.

Tangenti alla Guardia di Finanza

L'accusa: tangenti a ufficiali della Guardia di finanza per ammorbidire i controlli fiscali su quattro delle sue società.

La sentenza: in primo grado è condannato a 2 anni e 9 mesi per le quattro le tangenti contestate, senza attenuanti generiche. In appello, la Corte concede le attenuanti generiche, in questo modo la prescrizione scatta per tre tangenti. Per una invece viene concessa l'assoluzione con formula dubitativa del comma 2 dell'art. 530 del Codice di procedura penale che comprende la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione assolve Berlusconi per non aver commesso il fatto, seppur richiamando l'insufficienza di prove.

All Iberian 1

L'accusa: finanziamento illecito estero su estero, tramite il conto All Iberian, a Bettino Craxi.

La sentenza: la condanna arriva in primo grado e corrisponde a 2 anni e 4 mesi. In appello, scatta la prescrizione. La Cassazione la conferma.

All Iberian 2

L'accusa: falso in bilancio.

La sentenza: l'inchiesta giudiziaria si chiude il 26 settembre 2005 con l'assoluzione di Silvio Berlusconi. La sentenza recita: "Assolto perché il fatto non costituisce più reato". Il secondo Governo Berlusconi infatti approva la la riforma del diritto societario che depenalizza il reato di falso in bilancio.

Medusa cinematografica

L'accusa: falso in bilancio e frode fiscale per le operazioni legate all'acquisto della casa cinematografica Medusa dalla società Finivest (Reteitalia).

La sentenza: in primo grado viene condannato a un anno e quattro mesi. In appello viene assolto con formula dubitativa del comma 2 dell'art. 530 del Codice di procedura penale che comprende la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione conferma tutto.

Terreni di Macherio

L'accusa: apporpriazione indebita, frode fiscale e falso in bilancio, sostenendo che attraverso l'operazione di acquisto dei terreni di Macherio, le società del gruppo Fininvest avrebbero accantonato quasi cinque miliardi da utilizzare per pagamenti non proprio cristallini, tanto da non poter apparire nei bilanci ufficiali delle società del gruppo.

La sentenza: in primo grado è stato assolto dai reati di appropriazione indebita e di frode fiscale, mentre per le due imputazioni di falso in bilancio contestate è scattata la prescrizione. Nell'ottobre del '99 viene confermata l'assoluzione per il reato di frode fiscale e per uno dei due falsi in bilancio. Il secondo in invece è coperto dall'amnistia.

Processo Lentini

L'accusa: falso in bilancio. Secondo l'accusa, l'acquisto del giocatore del Torino, Gianluigi Lentini, avvenne in parte alla luce del sole e per il resto con un pagamento fuori bilancio di 10 miliardi delle vecchie lire.

La sentenza: il processo si conclude definitivamente con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del reato.

Bilanci Fininvest 1988-92

L'accusa: falso in bilancio e appropriazione indebita

La sentenza: archiviazione per prescrizione dei reati di falso in bilancio e appropriazione indebita nell’acquisto di diritti televisivi da parte di alcune società off-shore del gruppo Fininvest, a causa delle attenuanti generiche.

Consolidato Fininvest

L'accusa: fondi neri. Il gruppo Fininvest si sarebbe servito tra il 1989 e il 1996 di una "tesoreria occulta", in grado di movimentare i 750 milioni di euro (1500 miliardi di vecchie lire) attraverso 60 conti bancari e decine società estere.

La sentenza: i fatti entrano in prescrizione, il governo aveva dimezzato i tempi di prescrizione con una legge ad hoc.

Lodo Mondadori

L'accusa: corruzione in atti giudiziari. L'avvocato di Silvio Berlusconi, Cesare Previti, viene accusato di aver comprato il giudice Metta in modo da ottenere una decisione a suo favore nel giudizio di impugnazione per nullità del Lodo Mondadori, dal cui esito dipendeva la proprietà della casa editrice.

La sentenza: in primo grado viene condannato Cesare Previti. Grazie alla concessione delle attenuanti generiche il reato è stato dichiarato prescritto dalla Corte d'Appello di Milano e dalla Corte di Cassazione

Processo Sme/Ariosto 1

L'accusa: corruzione dei giudici di Roma nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La vicenda giudiziaria risale al 1985, quando una cordata di industriali formata tra gli altri da Silvio Berlusconi, Michele Ferrero e Pietro Barilla, scese in campo su sollecitazione dell'allora premier Bettino Craxi per contrastare la vendita della Sme (il colosso pubblico del settore alimentare), già firmata dal presidente dell'Iri Romano Prodi, a favore della Cir di Carlo De Benedetti.

La sentenza: assoluzione con formula piena

Processo Sme/Ariosto 2

L'accusa: falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier risalivano alla fine degli anni Ottanta.

La sentenza: viene assolto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Il secondo Governo Berlusconi infatti approva la la riforma del diritto societario che depenalizza il reato di falso in bilancio.

Mediaset (processo aperto)

L'accusa: falso in bilancio e frode fiscale.

La situazione: l'indagine, partita agli inizi del 2001, ha scoperto un metodo secondo cui, attraverso la mediazione dell'agente di origini egiziane, Frank Agrama, Mediaset sovrafatturava il prezzo dei format televisivi acquistati dalle case di produzioni statunitensi. I pagamenti avvenivano attraverso conti esteri. il processo si è fermato due volte per legittimo impedimento. È destinato alla prescrizione.

Caso Mills (processo aperto)

L'accusa: corruzione in atti giudiziari per aver compensato l'avvocato inglese David Mills con 600 mila dollari. La falsa testimonianza del legale inglese per essere favorito nel processo All Iberian e in quello sulle presunte tangenti alla Guardia di Finanza.

La situazione: il processo in cui è imputato Berlusconi è uno stralcio di quello principale, ed è tutt'ora in corso. Ma ha subito numerosi stop per il legittimo impedimento, la prescrizione scatta nel 2012. David Mills invece è stato condannato a 4 anni e 6 mesi. La condanna però viene annullata: il reato pur essendo stato commesso è prescritto.

Mediatrade (processo aperto)

L'accusa: appropriazione indebita e frode fiscale.

La situazione: il procedimento è in corso davanti al gup Maria Vicidomini. Serviranno diversi mesi prima di sapere se il premier verrà rinviato a giudizio o prosciolto, dopo lo stop della Consulta sul "legittimo impedimento".

Ruby (processo aperto)

Le accuse: concussione e prostituzione minorile.

La situazione: Berlusconi viene rinviato a giudizio dal gup Cristina Di Censo. La prima udienza di smistamento c'è stata il 6 aprile. La prossima sarà il 31 maggio.

(27 maggio 2011)

 

 

Lodo Mondadori

Fininvest, la holding del Cavaliere

Conti, partecipazioni e struttura di controllo della Finanziaria della famiglia Berlusconi

Fininvest, la holding del Cavaliere

MILANO - Fininvest è la holding che raggruppa le proprietà della famiglia Berlusconi, ha un patrimonio di 2,5 miliardi e ha registrato utili nel 2010 per 87,1 milioni decidendo però di non versare alcun dividendo ai soci. Solo l'anno prima aveva distribuito cedole per 200 milioni di euro e così la decisione è stata collegata dagli osservatori all'imminente decisione sul Lodo Mondadori: anche dieci giorni fa, approvando i dati di bilancio, la finanziaria aveva però ribadito la convinzione che non ci fosse proprio alcun danno da risarcire, decidendo di non accantonare alcuna cifra per la vicenda.

L'intero gruppo che fa capo a Fininvest conta su ricavi per ben 5,8 miliardi e utili per 160,1 milioni. A fine anno aveva un indebitamento netto di 1,3 miliardi. La holding controlla il 39% di Mediaset, il 50% di Mondadori, il 36% di Mediolanum, oltre al Milan (100%) e al Teatro Manzoni (100%). Fa capo alla finanziaria anche la quota del 2% di Mediobanca, il 'salotto buono' della finanza milanese: l'1% è conferito al patto di sindacato, e per la famiglia partecipa il presidente Fininvest Marina Berlusconi, consigliere anche dell'istituto di Piazzetta Cuccia. Fininvest ha poi una quasi il 24% di Molmed, lo spin off quotato del San Raffaele attivo nella ricerca oncologica, e il 2,06% di Aedes.

La famiglia Berlusconi controlla Fininvest tramite otto finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Inizialmente queste 'scatole' erano ben 22, ridotte a otto dopo l'ultimo riassetto del 2004. Il controllo fa sempre capo a Berlusconi con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). I figli del primo matrimonio Marina (è anche presidente Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta).

Nell'estate del 2005 anche i figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi, hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno attualmente il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima). Tra le vicende famigliari, resta intanto ancora aperta la causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario, e con essa ogni eventuale impatto sul patrimonio di famiglia.

Nella vicenda del Lodo Mondadori, Fininvest ha ottenuto di congelare il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti, almeno fino all'esito del processo d'appello, presentando nel dicembre 2009 una fideiussione per 806 milioni di euro garantita da Intesa Sanpaolo e controgarantita da Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio. Tecnicamente la fideiussione scadeva in aprile ma nel frattempo è stata rinnovata in attesa della sentenza. Nel bilancio 2009 Fininvest spiegava di non aver presentato alcuna garanzia o pegno per la fideiussione, "anche in considerazione del valore del patrimonio netto contabile della capogruppo, del valore economico dello stesso ed infine del merito di credito conosciuto".

(09 luglio 2011)

 

LODO MONDADORI

L'ira di Marina Berlusconi

"Neppure un euro è dovuto"

Toni durissimi dal presidente Fininvest nel commento alla sentenza della Corte d'Appello di Milano. "Un verdetto che sgomenta. Un'aggressione nei confronti di mio padre. Il risarcimento è addirittura il doppio della nostra partecipazione in Mondadori. Una sonfitta per la giustizia"

L'ira di Marina Berlusconi "Neppure un euro è dovuto" Marina Berlusconi, presidente Fininvest

MILANO - "E' una sentenza che sgomenta e lascia senza parole. E che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Così, in una nota, il presidente della Fininvest Marina Berlusconi commenta il verdetto con cui la Corte d'Appello di Milano 1, giudicando sul Lodo Mondadori, ha confermato il risarcimento che l'azienda del premier dovrà versare alla Cir, seppur ridotto da 750 a 560 milioni di euro.

"E' una somma addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori - aggiunge Marina Berlusconi - La Fininvest, che ha sempre operato nella più assoluta correttezza, viene colpita in modo inaudito, strumentale e totalmente ingiusto. E il parzialissimo ridimensionamento della sanzione rispetto al giudizio di primo grado nulla naturalmente toglie alla incredibile gravità del verdetto. Neppure un euro è dovuto da parte nostra, siamo di fronte a un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti né nelle regole del diritto".

La sentenza, secondo le parole del presidente Fininvest, "suona come un'amara sconfitta per la giustizia, per quanti continuano a credere che esista, che debba esistere, una giustizia imparziale e giusta. E' indiscutibile che questo attacco abbia come principali protagonisti una parte della magistratura, e della magistratura milanese in particolare, e il gruppo editoriale che fa capo a Carlo De Benedetti". "E adesso - si legge in una nota - con un verdetto che nega l'evidenza emesso dalla magistratura milanese, la Fininvest viene condannata a versare una somma spropositata proprio al gruppo De Benedetti. Una somma addirittura doppia rispetto al valore della nostra partecipazione in Mondadori".

Viste le premesse, non finisce qui. Marina Berlusconi annuncia ricorso in Cassazione. "Anche di fronte a un quadro così paradossale e inquietante - sottolinea nella nota - non ci lasciamo intimorire. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione. Siamo certi di essere assolutamente nel giusto, dobbiamo credere che le nostre ragioni verranno alla fine riconosciute. Verità e giustizia non potranno continuare a essere calpestate e piegate a logiche inaccettabili e indegne di un Paese civile".

Sulla stessa lunghezza d'onda Niccolò Ghedini: "La Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza. La Corte d'Appello di Milano - dichiara il parlamentare del Pdl e legale di Silvio Berlusconi - ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per sé erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest. E' la riprova che a Milano è impossibile celebrare un processo che veda la applicazione delle regole del diritto quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza, tale prova sarà ancora più evidente".

Più cauto il richiamo di Maurizio Paniz, deputato Pdl e componente della commissione Giustizia alla Camera: "Quando si decide su ammontari così significativi ci vuole molta prudenza. Ho rispetto per la magistratura e per il delicato lavoro che svolge ma compito dei giudici è anche quello di fare in modo che una decisione non solo non sia, ma neppure appaia politica. L'entità delle cifre induce a non poca preoccupazione: Mediaset è un patrimonio dell'Italia intera e di migliaia e migliaia di azionisti che non devono vedere il loro sforzo condizionato da rischiosità politiche".

Il segretario del Popolo delle Libertà Angelino Alfano assicura che "il Pdl è al fianco del presidente Silvio Berlusconi con determinazione e con affetto e sottolinea che si tratta di una decisione che, per essere definitiva, dovrà certamente avere il vaglio di altri giudici". "Siamo certi - aggiunge il ministro della Giustizia - che questo episodio non toglierà al premier la serenità necessaria per governare, come ha sempre fatto, nell'interesse esclusivo dell'Italia e degli italiani".

Fabrizio Cicchitto parla di sentenza "mai più annunciata di questa" che "rientra nell'attacco concentrico in atto da tempo, fin dal 1994, contro Berlusconi perché ha osato scendere in campo sconvolgendo l'operazione" preparata per una "piena presa del potere del partito post comunista, di alcuni grandi gruppi finanziari-editoriali tra cui in prima fila la Cir, di alcune procure e della Cgil". "Senza Berlusconi - aggiunge il capogruppo del Pdl alla Camera - senza il Pdl, senza il centrodestra la democrazia italiana corre rischi gravissimi". Stessi concetti esprime Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato: "E' una sentenza dal sapore politico e di ritorsione nei confronti di Berlusconi".

Taglia corto Ignazio La Russa: "D'accordo con Ghedini, la Cassazione farà giustizia" dice il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl. Per Altero Matteoli, la sentenza "certifica che l'attacco giudiziario" contro Berlusconi "si è spostato dalla sfera politica a quella patrimoniale ed economica". "Una buona ragione in più - commenta il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti - perché il premier guidi anche nei prossimi anni il governo". Il coordinatore Pdl Denis Verdini invita a consultare Il Sole 24 Ore e a fare "la valorizzazione della Mondadori: è di gran lunga inferiore ai 500 milioni. E' possibile che un risarcimento sia superiore al valore di un'azienda? Se questa non è persecuzione".

Dalle opposizioni giunge il monito di Antonio Di Pietro: "Le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. Se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale - spiega il leader di Idv - significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. E' inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi". L'ex pm annuncia poi che presenterà una denuncia per la norma "salva-Fininvest" inserita nella manovra economica e poi ritirata 2 e che su questo aspetto ha richiesto un question time per mercoledì alla Camera con il ministro per i Rapporti con il Parlamento.

Il Partito democratico considera le dichiarazioni di Marina Berlusconi vicine all'eversione. "Preoccupano molto le dichiarazioni della famiglia Berlusconi, che sfiorano l'eversione e si pongono pericolosamente fuori dalla legalità" afferma Ettore Rosato, esponente dell'ufficio di presidenza del gruppo del Pd alla Camera. E Rosy Bindi: "Da questa sentenza abbiamo capito chiaramente che quella norma messa in Finanziaria non era per tutti gli italiani, ma era per un italiano. Ed è molto più grave di quanto lo siano state le stesse norme ad personam nel settore penale, perché dimostra che si sta chiudendo un ventennio, quello che è iniziato con il decreto Craxi che salvava una rete televisiva di Berlusconi, e che qualcuno ha tentato di rinovellare con questo tentativo di bloccare la sentenza".

Per Carmelo Briguglio, vicepresidente vicario dei deputati di Fli, la sentenza "non è un fatto politico, ma dimostra che il nostro è ancora uno Stato di diritto e che il governo con la norma salva-Fininvest aveva un obiettivo preciso: evitare gli effetti di questa sentenza".

Giuseppe Giulietti, deputato del gruppo misto e portavoce di Articolo 21, commenta: "Marina Berlusconi si è detta sconcertata per aver "scippato a colpi di mazzette" la Mondadori a De Benedetti. Purtroppo per loro, i giudici dell'appello non sono stati disponibili a farsi inserire nella sentenza un 'emendamento ammazza multa', né a farsi intimidire dalle tante minacce di queste ore".

(09 luglio 2011)

 

 

 

L'INCHIESTA

"Yacht in cambio di nomine e appalti"

su Milanese arriva una nuova tegola

Dopo la richiesta di arresto a Napoli, una nuova inchiesta sul deputato a Roma. Due imprenditori arrestati per finanziamento illecito di CARLO BONINI

"Yacht in cambio di nomine e appalti" su Milanese arriva una nuova tegola Il Dolphin 46 al centro dell'inchiesta di Roma

Appalti Enav, indagato Milanese Due imprenditori arrestati

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Milanese rivela ai pm "Finanza divisa in due cordate una risponde a Berlusconi"

Tremonti: "Mia unica abitazione a Pavia A Roma da stasera cambierò sistemazione"

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"Milanese, nomine in cambio di soldi Stretti contatti con i vertici della Gdf"

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"La casa romana di Tremonti è a carico di Milanese"

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ROMA - Prima Napoli 1. Ora Roma 2. In meno di ventiquattro ore, su Marco Milanese si chiude il secondo braccio della tenaglia giudiziaria che lo ha stritolato. Il gip di Roma, Anna Maria Fattori, su richiesta del pm Paolo Ielo, contesta all'ex consigliere politico di Tremonti un nuovo reato: finanziamento illecito dei partiti.

Lo stesso per il quale ordina la cattura degli "imprenditori" Tommaso Di Lernia e Massimo De Cesare (il primo era già detenuto nell'inchiesta sugli appalti Enav, il secondo è da ieri sera ai domiciliari) e di cui sono accusati a piede libero Fabrizio Testa, ex manager pubblico (è stato nel cda di Enav e quindi presidente della controllata "Technosky") e Lorenzo Cola, "consigliere globale di Finmeccanica", protesi del suo presidente Pier Francesco Guarguaglini, già detenuto lo scorso anno nella vicenda dei fondi neri "Digint".

E' una storia - come documentano le 33 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare - esemplare del sistema degli appalti e delle nomine nelle società a partecipazione pubblica. Nella quale "la prova è raggiunta, perché piena", su cui Milanese ha ritenuto di non dover rispondere, un mese fa, alle domande del pm e per la quale, dunque, la Procura si prepara a disporre il giudizio a citazione diretta (Milanese verrà processato in autunno da un giudice monocratico).

Ed è una storia che gira intorno ad un magnifico yacht, un "Dolphin 64" di 20 metri della Mochi Craft, che Milanese possiede ma non è in grado di pagare. Del quale, come gli accade con le fuoriserie che cambia con la frequenza delle scarpe (Bentley, Ferrari, Aston Martin), decide dunque di liberarsi, accollandone però il costo ad altri e per giunta facendoci sopra una bella "cresta" da 224 mila euro.

Anche perché, ha gioco facile nel farlo, visto che, come uno sciame d'api sul miele, gli corre in soccorso una variopinta comitiva di giro, che della sua benevolenza e del suo potere di interferenza sulle società a partecipazione pubblica ha bisogno come l'aria. Un manager che orbita nella destra sociale di Alemanno e questua una nomina in una società controllata da Enav (Testa); due "imprenditori" rotti al giochino delle sovrafatturazioni, delle provviste nere e inseriti stabilmente nel Sistema degli appalti Enav (Di Lernia e il suo factotutm De Cesare), un'eminenza grigia di "Finmeccanica" che chiamano "il generale" (Cola).

Lo yacht, dunque. Milanese lo acquista di seconda mano nel giugno 2009, accollandosi dal vecchio proprietario un leasing di 1 milione e 97 mila euro. E' un giocattolo che, solo di rata mensile, costa dunque 20 mila euro. E che l'ex ufficiale della Finanza, che in carriera ha collezionato encomi come figurine, non ha, o non ha intenzione di spendere. Per la barca, infatti, dalle tasche dello "scapocchione fortunato" (così lo chiama Paolo Viscione, imprenditore cui munge nel tempo "una milionata" di euro in regalie e contanti) escono solo 1.200 euro, il costo della pratica di cessione del leasing. Non paga le rate, infatti. Accumula interessi di mora. E finisce con il bordeggiare sul "Dolphin" una sola estate. Finché, a dicembre 2009, segnala a Viscione di "trovarsi in imbarazzo". Insomma, dice ai pm, l'imprenditore, "mi voleva rifilare la barca". E' troppo anche per lui.

Viscione trova il modo di mollare "il pacco" ad altri. Gianni Sidoti, suo socio, ha infatti per le mani un tipo che può "risolvere il problema" e "trovare un compratore" che tolga Milanese "dall'imbarazzo". Si chiama Fabrizio Testa, conosce Sidoti perché vivono nello stesso quartiere residenziale tra Roma e il mare (Casalpalocco) ed ha un problema. E' stato fatto fuori dal cda di Enav ("dove - racconta al pm - ero stato nominato in quota Destra sociale") per i suoi dissidi con il presidente Guido Pugliesi. Ha cercato la "sponsorizzazione" di Gianni Alemanno, sindaco di Roma, per un nuovo incarico, ma non è bastata.

Si offre dunque lui per mediare la vendita, perché, spiega ancora al pm, "favorendo Milanese, cercavo una protezione politica di un deputato che si interessava alle nomine in Enav". Testa, grazie al sapiente consiglio di Cola, trova rapidamente i compratori. Di Lernia e la sua protesi De Cesare, due "imprenditori", chiamiamoli così (Di Lernia campa di fondi neri e già finanzia "L'Officina delle libertà" di Aldo Brancher, deputato Pdl condannato in appello a due anni per ricettazione nella vicenda Antonveneta), che di uno yacht non sanno che farsene. Ma che di Milanese e di un manager di Enav, sanno sì che farsene, visto che la Di Lernia vive dei subappalti di Selex, principale beneficiaria di appalti dell'Ente a trattativa diretta.

Il "Dolphin" viene quindi acquistato a cifre da capestro. Il valore non supera i 700 mila euro, ma Milanese lo piazza a 1 milione e mezzo. Una cifra in cui c'è il valore residuo del leasing, caricato dagli interessi di mora (1 milione 318 mila e 500 euro) per le rate scadute (220 mila euro) che Milanese non ha mai pagato e che pure Di Lernia, al momento del contratto, gli ha anticipato in contanti.

Milanese è finalmente "libero dell'imbarazzo". Testa viene nominato presidente di Technosky (controllata Enav), da cui sarà allontanato nell'estate 2010 dopo un audit interno. Di Lernia può continuare a campare dei subappalti Selex. Per la legge, "è finanziamento illecito a un parlamentare". Da sei mesi a 4 anni di reclusione.

(09 luglio 2011)

 

di CONCITA SANNINO

E Tremonti disse a Berlusconi

"Con me non userete il metodo Boffo"

E Tremonti disse a Berlusconi "Con me non userete il metodo Boffo"

Giulio Tremonti

Il 17 giugno, il ministro dell'Economia è stato sentito dai magistrati Curcio e Woodcock come "persona informata dei fatti" nell'ambito dell'inchiesta Bisignani-P4. E ha raccontato di uno scontro tra lui e il premier risalente ai primi dello stesso mese. Scontro di merito, ma anche di metodo. Una cena a Napoli col generale Adinolfi e Paolo Berlusconi: qualcuno parlò della casa pagata da Milanese per attaccare Giulio?

ROMA - Non diventerò oggetto di un attacco mediatico alla Boffo. É un avviso clamoroso e molto chiaro quello che, in sintesi, il ministro Giulio Tremonti consegna al premier Silvio Berlusconi, durante un'accesa discussione avvenuta ai primi di giugno scorso. È lo stesso ministro del Tesoro a riferirlo ai magistrati di Napoli, che lo interrogano come teste lo scorso 17 giugno nell'ambito dell'inchiesta P4 che ormai coinvolge il generale della Finanza Michele Adinolfi, ritenuto molto vicino a Berlusconi.

LE CARTE DELL'INTERROGATORIO

I pubblici ministeri fanno ascoltare al ministro anche una conversazione, intercettata sull'utenza del generale Adinolfi, tra lo stesso capo di Stato Maggiore e il premier. Le dichiarazioni di Tremonti, suscitate anche da quell'ascolto, sono state appena depositate in Parlamento, nell'ambito degli atti relativi alla richiesta d'arresto avanzata dal gip di Napoli per Marco Milanese, deputato Pdl e storico braccio destro dello stesso Tremonti, accusato di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio.

Tremonti, ascoltato dunque dai pm John Woodcock e Francesco Curcio, dopo essersi soffermato sull'insidiosa inclinazione degli "alti ufficiali a coltivare relazioni esterne al Corpo nella prospettiva di diventare comandanti generali, relazioni esterne che io non trovo opportune", si concentra poi su un suo vivace e recente scambio di vedute con il premier. "Nel corso della discussione io e il presidente del Consiglio manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio, ad un certo punto sono emerse posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro da parte del presidente del Consiglio. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto, se non ricordo male, manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella "Boffo". Ciò trovava riscontro in voci di parlamento che mi sono permesso di segnalare al Presidente del Consiglio".

Perché Tremonti allude al caso Boffo? E di quali circostanziate voci ha fatto cenno al presidente Berlusconi? Qualcuno sta usando eventualmente la notizia di quella prestigiosa casa che il deputato e fedelissimo del ministro, Marco Milanese, sta pagando in via Campo di Marzo e in cui vive lo stesso ministro?

Tremonti, ancora sollecitato dalle domande dei pm, passa poi ordinare i ricordi in merito ad una cena che sarebbe avvenuta a Napoli, proprio tra il generale Adinolfi, altri esponenti della Finanza, e, "molto probabilmente anche Paolo Berlusconi e Galliani". Continua dunque Tremonti: "In quel contesto (la discussione che ebbe con il premier, ndr), facendo seguito a quanto riferitomi da Milanese su di una cena a Napoli a cui avrebbero partecipato oltre al generale Adinolfi anche persone vicine al presidente del Consiglio, rappresentai al presidente Berlusconi - in modo devo ammettere caratterialmente reattivo - tra l'altro la situazione di conflittualità in cui si trovavano alcune figure di vertice della Gdf. Ricordo che a Berlusconi feci il nome di Adinolfi, più esattamente ricordandomi di una cena a Napoli, gli dissi "Chiedi conferma ad Adinolfi". Si trattò di uno sfogo non avendo io elementi per valutare il comportamento di Adinolfi sotto il profilo deontologico".

Continua ancora il ministro Tremonti: "Mi chiedete se alla cena citata fossero presenti Paolo Berlusconi e Galliani e vi rispondo che probabilmente Milanese mi fece questi nomi ma non ne sono sicuro. Con specifico riferimento alla conversazione che ho ascoltato - continua ancora Tremonti - posso dirvi che la stessa non mi sorprende poiché avevo già voci del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi, attesa la comune passione per il Milan".

Un interesse che, tuttavia, non spiega altri interessi convergenti. Il finale è più morbido: "La mia impressione è che dal tono della telefonata, che ho ascoltato, le parole del presidente del Consiglio mi sembrano spinte dal desiderio di un chiarimento in buona fede nei miei confronti". "Ritengo - aggiunge il titolare dell'Economia a proposito della telefonata che ha appena ascoltato - che Berlusconi abbia fatto un erroneo collegamento fra diverse frasi da me pronunciate".

08 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-04

LA MANOVRA

 

 

LODO MONDADORI

Un comma pro-Berlusconi

per bloccare risarcimento a Cir

Prevista la sospensione delle maxicondanne in sede civile. Il Pd: "Una vergogna, lacrime e sangue per il paese, e protezione ai più ricchi". Idv e Verdi: "Ecco quali sono le vere priorità di questo governo". Palamara (Anm): "Incostituzionale". Un giudice di Cassazione: "Danni irreparabili"

Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir Carlo De Benedetti

ROMA - L'ultimo comma dell'articolo 37: nelle pieghe della manovra un'altra norma ad personam per il presidente del Consiglio e le sue aziende. Viene infatti deciso lo stop in appello all'esecuzione delle condanne civili che superino i dieci milioni di euro e stop in Cassazione per quelle che vanno oltre i 20 milioni, in cambio di una idonea cauzione. Due modifiche al codice di procedura civile che potrebbero influire anche sull'attesa sentenza d'appello del tribunale civile per il Lodo Mondadori, prevista per la fine di questa settimana. Fininvest in primo grado era stata condannata a risarcire con 750 milioni di euro la Cir di Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Editoriale L'Espresso.

La bozza aggiunge infatti un comma all'articolo 283 del codice di procedura civile che parla dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello e che prevede che il giudice dell'appello, "su istanza di parte quando sussistono gravi e fondati motivi sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione". Il comma aggiuntivo che sarebbe spuntato nella manovra economica recita: "La sospensione prevista dal comma che precede è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione".

LE TAPPE DEL PROCESSO MONDADORI 1

IL TESTO PROVVISORIO DELLA FINANZIARIA 2

Pierluigi Bersani parla di insulto al Parlamento. La capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, attacca. "Sono senza vergogna, è scandaloso che in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il paese sia contenuta una norma di classe, che consente ai più ricchi dilatare il regolare corso della giustizia e che, guarda caso, molto probabilmente farà tirare un sospiro di sollievo alle aziende del presidente Berlusconi". "Altro che partito degli onesti, anche in momenti così difficili il premier non dimentica gli interessi delle proprie imprese", ha spiegato. E aggiunge la capogruppo pd in Senato, Anna Finocchiaro: "Siamo di nuovo di fronte al conflitto di interessi e a un provvedimento da furbetti".

Il parlamentare del Pd Antonio Misiani chiede che la Consob faccia accertamenti sul titolo Fininvest, in ripresa dalla scorsa settimana. 3

Interviene anche Antonio Di Pietro: "Anche le azioni criminali - afferma in una nota il leader dell'idv - hanno un limite per essere credibili, oltre il quale diventano ridicole". Secondo Di Pietro "se nel testo definitivo della manovra ci fosse una norma criminogena, volta ad assicurare a Berlusconi l'annullamento del pagamento dovuto al gruppo De Benedetti, sarebbe la dimostrazione che il governo ha perso il senso del limite e il senno. Come si può approfittare così delle istituzioni? Un giudice accorto - conclude - dovrebbe disapplicare questa disposizione perché palesemente immorale e incostituzionale".

Il leader dei Verdi Angelo Bonelli parla di una manovra "ad personam". "E' davvero incredibile quello che sta succedendo in queste ore. Ecco quali sono le vere priorità di un governo che ha tagliato la spesa sociale, ha imposto i ticket sanitari, ha fatto tagli senza precedenti al trasporto pubblico e ha affrontato le rinnovabili: fermare il risarcimento per il lodo Mondadori".

"La norma inserita in finanziaria per sospendere il pagamento del risarcimento di Mediaset a Cir in relazione al caso Mondadori è un grave atto del governo, sia perchè contiene un esplicito favore al premier sia perchè non ci sono i requisiti di necessità e urgenza previsti dalla Costituzione" dichiara Italo Bocchino, vice presidente di Futuro e libertà per l'Italia.

Luca Palamara (Anm). "Se confermata" la norma sul lodo Mondadori "sarebbe una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iiniqua disparità di trattemento e che sarebbe, quindi, incostituzionale".

Un giudice di Cassazione: "Danni irreparabili". "Una norma di favore per i grandi debitori destinata a produrre guasti irreparabili, anche perché mette in discussione la stessa credibilità del processo civile, che trova il suo fondamento nel fatto che le sue pronunce di appello sono immediatamente esecutive". Giuseppe Maria Berruti, giudice della Prima sezione civile della Corte di Cassazione, è fortemente critico con l'Ansa sulle nuove disposizioni del codice di procedura civile che vengono introdotte con la manovra finanziaria. Ma sull'intervento che obbliga il giudice a sospendere l'esecutività delle condanne nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di una cauzione e in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione,il suo giudizio è drastico:"E' una norma di favore per i grandi debitori, come le amministrazioni che non pagano i grandi appalti , le imprese altamente insolventi verso miriadi di consumatori e così via. In sostanza chi in teoria ha fatto più danno si vede mettere a disposizione straordinarie possibilità dilatorie". Sinora la sospensione "era sottoposta a condizioni stringenti che il giudice doveva esaminare per evitare guai peggiori, come l'insolvenza del debitore". Ora invece con queste nuove disposizioni congelare i mega risarcimenti diventa una strada obbligata per il giudice di appello: "E' una facilitazione per i grandi debitori, per i quali si rinvia tutto alla fine del giudizio di Cassazione, cioè alla definitività della sentenza".

E non è tutto: così "si allenta una fondamentale condizione di credibilità del processo civile che è rappresentata dall'esecutività della sentenza di merito" e tutto questo accade mentre "tutto il mondo va verso un'abbreviazione dei processi e una valorizzazione addirittura delle sentenze di primo grado e mentre si sostiene che i grandi investitori esteri non vengono in Italia perchè hanno timore di non recuperare i loro crediti". Ma soprattutto per questa via "si sottopone la Corte di Cassazione a pressioni enormi perchè vada oltre il giudizio di legittimità e sconfini nel merito".

(04 luglio 2011)

 

 

 

 

LA VICENDA

Accordi, retromarce, processi

le tappe del Lodo Mondadori

Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate"

ROMA - La vicenda giudiziaria dello scontro fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, Berlusconi, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosidetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. A De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire.

Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto

soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconosce infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari".

Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5) emette la sentenza di primo grado secondo cui Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello.

Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fideiussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento poiché, a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori.

Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%.

Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio".

(04 luglio 2011)

 

 

 

LA VICENDA

Accordi, retromarce, processi

le tappe del Lodo Mondadori

Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate"

Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi

ROMA - La vicenda giudiziaria dello scontro fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, Berlusconi, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef, società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosidetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta, si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire.

Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di Segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto

soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconobbe infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari".

Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano 1 (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5 2) emette la sentenza di primo grado: Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello.

Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fidejussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento: a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori.

Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%.

Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio".

(04 luglio 2011)

 

 

LA SENTENZA

Crac Cirio, condanne in primo grado

9 anni a Cragnotti, 4 a Geronzi

Emesso il giudizio della prima sezione penale del tribunale di Roma. Pene anche per il cognato e i figli dell'ex patron della Lazio. Di Pietro: "E' il minimo". Tredicimila persone danneggiate dal dissesto della società. Assolti Fiorani e la moglie di Cragnotti

Crac Cirio, condanne in primo grado 9 anni a Cragnotti, 4 a Geronzi

ROMA - Sergio Cragnotti è stato condannato a 9 anni di reclusione per il crac da 1.125 milioni di euro del gruppo agroalimentare Cirio. Quattro anni invece per l'ex presidente delle Generali, Cesare Geronzi. Assolti Giampiero Fiorani, ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, e la moglie di Cragnotti, Flora Pizzichemi, per "non aver commesso il fatto". Questa la sentenza di condanna emessa dai giudici della prima sezione penale del tribunale di Roma, presieduta da Giuseppe Mezzofiore, a conclusione del processo. Le richieste dell'accusa erano di 15 anni per Cragnotti e 8 per Geronzi.

I giudici hanno riconosciuto la colpevolezza anche del genero dell'ex patron della Lazio, Filippo Fucile, per il quale è stata stabilita una pena di 4 anni e 6 mesi. Per i figli di Cragnotti, altre condanne: 4 anni per Andrea, 3 per Elisabetta e Massimo.

La sentenza è stata emessa dopo una lunghissima camera di consiglio. Nessuno degli imputati era presente in aula. Trentacinque gli accusati, a seconda delle posizioni, di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva e truffa.

Il tribunale ha deciso l'entità dei risarcimenti alle parti civili: 200 milioni di euro per danni a titolo di provvisionale, che dovranno essere versati dal responsabile civile Unicredit e da tutti gli imputati condannati all'amministrazione straordinaria Cirio. La banca e gli stessi condannati dovranno

risarcire anche le spese legali sostenute dalle stesse parti in questo processo.

L'inchiesta, cominciata nel 2003, si concluse alla metà di maggio del 2005 e ha coinvolto inizialmente 45 persone. Il dissesto ha danneggiato 13mila persone che avevano sottoscritto bond e titoli di credito della Cirio, dichiarata in default nel novembre del 2002 e quindi finita in amministrazione straordinaria nell'ottobre 2003. L'accusa per Cragnotti era di bancarotta fraudolenta e truffa. Ma nell'inchiesta sono finiti, a mano a mano e a vario titolo, anche alcuni grandi nomi, da Cesare Geronzi, a Rainer Masera, presidente del San Paolo Imi, a Livio Ferruzzi, deceduto nei giorni scorsi.

Nel novembre del 2008 il processo ha rischiato lo stop a causa dell'inserimento di un emendamento cosiddetto "salva-manager" nel decreto Alitalia, successivamente ritirato. L'approvazione avrebbe significato lo stop al procedimento su tutti i grandi reati finanziari che non comprendessero un vero e proprio fallimento delle aziende coinvolte.

"E' il minimo,hanno fatto morire anche di fame un mare di gente", ha commentato il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. Aggiungendo che "il sano risultato di chi delinque e va in galera è il modo migliore per fare capire che chi delinque la deve smettere". (04 luglio 2011)

 

 

"Eternit, una tragedia immane"

Guariniello chiede vent'anni

Alla cinquantesima udienza del processo Eternit, il pm ha fatto richieste pesantissime per i vertici dell'azienda: "Non avevo mai visto un dramma come questo, che ha colpito popolazioni di lavoratori e cittadini e che continua a seminare morti. E continuerà a seminarli chissà fino a quando"

di SARAH MARTINENGHI

Vent'anni di carcere per il barone belga Louis de Cartier e per Stephan Schmidheiny. Li ha chiesti il procuratore Raffaele Guariniello, alle ultime battute del clamoroso processo che ha portato in tribunale i vertici dell'Eternit, che sarebbero responsabili di oltre tremila vittime, tra operai e familiari, nei quattro stabilimenti italiani di Cavagnolo, Casale Monferrato, Rubiera di Reggio Emilia e Bagnoli, nel Napoletano.A uccidere era la micidiale polvere bianca di fibra di amianto che continua a mietere vittime. "Chiedo vent'anni per questa immane e sconvolgente tragedia - ha detto Guariniello - Non avevo mai visto un dramma come questo, che ha colpito popolazioni di lavoratori e cittadini e che continua a seminare morti. E continuerà a seminarli chissà fino a quando. Una tragedia che si è consumata sotto un'unica regia in Italia e in altri paesi del mondo, senza che mai nessun tribunale abbia chiamato a risponderne i reponsabili per l'enorme danno cagionato". Il pm ha richiesto inoltre tre pene ulteriori: interdizione dai pubblici uffici, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per anni 3 e interdizione dalla direzione di impresa per anni 10.

(04 luglio 2011)

 

 

 

 

2011-05-01

IL CASO

Superstite di piazza Fontana

sarà risarcito dopo 42 anni

L'uomo all'epoca era un cassiere della Banca Nazionale dell'Agricoltura dove avvenne la strage

da allora soffre di disturbi derivanti dal trauma. Riceverà 500mila euro dall'Interno e dall'Inps

Superstite di piazza Fontana sarà risarcito dopo 42 anni La Banca Nazionale dell'Agricoltura dopo l'esplosione del 12 dicembre 1969

Le 16.37 del 12 dicembre 1969 resteranno per sempre impresse nella sua memoria. Roberto Antonucci Prina si trovava al lavoro come cassiere, alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana, quando esplose la bomba che uccise 17 persone. Una strage ancora senza colpevoli, mistero mai risolto degli anni bui dell'Italia. A fare un po' di giustizia ci ha provato il tribunale del lavoro di Imperia, che 42 anni dopo l'attentato, ha riconosciuto all'ex cassiere oggi settantunenne un risarcimento di oltre 500 mila euro.

Il giudice Enrica Drago ha infatti accolto il ricorso dell'uomo, guarito dalle ferite fisiche della bomba ma non dal trauma, e ha condannato al pagamento il ministero dell'Interno e l'Inps. Circa un miliardo delle vecchie lire per un'attesa di oltre 40 anni. Una vita, in sostanza, trascorsa nella speranza di vedere riconosciuti i propri diritti. "Le vittime degli attentati si sentono abbandonate", è il 'primo commento dell'uomo, che ha deciso di trascorrere la vecchiaia nel ponente ligure, lontano da quella piazza, ma mai da quella tragedia che lo ha segnato per sempre. "Quel 12 dicembre - ricorda - la mia vita è cambiata per sempre. Soffro di disturbi post trauma e di stress cronico".

Malattie certificate dalle numerose perizie mediche presentate al tribunale nel corso degli anni. Una battaglia nella battaglia, a colpi di carte bollate, che si è conclusa soltanto ora. Difeso dagli avvocati Emilio Varaldo e Vincenzo Marino, all'uomo sono stati riconosciuti i benefici sanciti dalla legge per le vittime delle stragi. Potrà farsi curare a spese dello Stato, e riceverà, oltre al risarcimento, un vitalizio mensile. "Per quanto mi riguarda non posso che ritenermi soddisfatto di questa sentenza - commenta - mi chiedo però quante altre persone come me debbano ancora soffrire".

Un interrogativo che preoccupa anche anche l'associazione vittime del terrorismo. "Speriamo di non dover portare avanti altre battaglie come questa - è il commento alla sentenza - perché non riconoscere i diritti alle vittime degli attentati, anche quelle che non hanno subito conseguenze fisiche ma che comunque portano i segni di quegli anni, è una grave sconfitta per la democrazia".

(30 aprile 2011)

 

 

 

 

2011-04-26

PROCESSO MEDIASET

Avvocato Stato: "I poteri del premier

sono stati lesi dai giudici di Milano"

Il ricorso di 20 pagine con cui l'esecutivo ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale: "Il tribunale si è arrogato un inammissibile potere di sindacato delle ragioni politiche". E si cita la crisi libica come dimostrazione di quanto l'attività di governo sia "difficilmente preventivabile"

Avvocato Stato: "I poteri del premier sono stati lesi dai giudici di Milano"

ROMA - Nel processo Mediaset 1, in cui Silvio Berlusconi è imputato per frode fiscale, il tribunale di Milano si è "arrogato un inammissibile potere di sindacato delle ragioni politiche sottese al rinvio di una riunione del Consiglio dei ministri" al primo marzo del 2010. Rifiutando di considerare quel Cdm come legittimo impedimento del premier a presentarsi in udienza, i giudici di Milano hanno quindi leso le "esclusive attribuzioni costituzionali" del presidente del Consiglio e del governo. E' quanto scrive l'avvocatura dello Stato nel ricorso di 20 pagine con cui l'esecutivo ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

Il ricorso, a firma degli avvocati dello Stato Michele Dipace e Maurizio Borgo, chiede alla Consulta di annullare la decisione 2 con cui i giudici della prima sezione del Tribunale di Milano hanno rigettato la richiesta di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del premier.

Questi i fatti: il Cdm era stato fatto slittare dal 24 febbraio al primo marzo 2010. Per i giudici di Milano, però, quella riunione non si configurava come legittimo impedimento. Da questo il ricorso dell'Avvocatura depositato a Palazzo della Consulta, in cui il governo fa più volte riferimento al "canone di leale collaborazione" fissato dalla

Corte Costituzionale nel 2001 con la sentenza 225 sul caso Previti 3 e, più di recente, con la sentenza 23

dello scorso gennaio con cui i giudici dell'Alta Corte hanno bocciato in più punti la legge-ponte sul legittimo impedimento.

"Il Tribunale di Milano - scrive l'avvocatura dello Stato - ha sostanzialmente disconosciuto la rilevanza, quale legittimo impedimento, dell'attribuzione del presidente di presiedere la riunione del Cdm, arrivando a richiedere addirittura la prova della necessità di fissare la data del Consiglio dei ministri in coincidenza con il giorno di udienza, ledendo, in tal modo, le esclusive attribuzioni costituzionali" del premier.

L'Avvocatura generale dello Stato chiede cosa sarebbe accaduto se il governo avesse prodotto in Tribunale le motivazioni della necessità di quel Cdm: "Le ragioni sarebbero state ritenute sufficienti a provare la sussistenza di un legittimo impedimento? Oppure ci sarebbe stato un confronto dibattimentale sulle ragioni che avevano reso necessario lo spostamento e la fissazione della riunione del Consiglio dei ministri?".

Nel ricorso si cita anche la crisi libica come dimostrazione di quanto l'attività di governo sia "difficilmente preventivabile": "A differenza dei lavori del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, il cui calendario viene stabilito con largo anticipo e raramente subisce modifiche, l'attività del governo - scrivono gli avvocati dello Stato - è più soggetta a variazioni, atteso che la stessa deve tenere conto di svariate evenienze. Basti pensare ai momenti drammatici che stiamo vivendo in queste settimane (guerra civile in Libia e immigrazione di portata straordinaria in Italia) che tengono costantemente impegnato il governo ed in particolare il presidente del Consiglio in una continua attività, sia all'estero che in Italia, del tutto imprevista e dai risvolti imprevedibili".

(26 aprile 2011)

 

 

2011-04-18

IL CASO

Giustizia, il monito di Napolitano

"Siamo al limite dell'esasperazione"

La giornata del 9 maggio dedicata dal presidente della Repubblica ai magistrati vittime del terrorismo."Il manifesti affissi a Milano che paragonano i giudici alle Br sono, secondo il capo dello Stato "un'ignobile provocazione". "Nello scontro politico c'è il pericolo di degenerazioni". Fini: "Interpreta il sentimento di tutti gli italiani". L'Anm: "Un grazie a nome di tutta la magistratura"

Giustizia, il monito di Napolitano "Siamo al limite dell'esasperazione"

ROMA - Dopo un fine settimana segnato dagli attacchi di Silvio Berlusconi alla magistratura 1, e nel giorno in cui tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati per la vicenda dei poster che assimilano i pm alle Brigate rosse 2 - e fra questi c'è un candidato del Pdl nelle liste pro Moratti - si fa sentire la voce del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che interviene con una lettera indirizzata al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti. "Siamo al limite dell'esasperazione", osserva il capo dello Stato, che definisce come una "ignobile provocazione" quella dei manifesti affissi a Milano e avverte: "Nello scontro politico c'è il pericolo di degenerazioni". E più tardi lo stesso Vietti: "Tutti riflettano su queste parole".

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA

3

Napolitano, nella lettera a Vietti, annuncia anche che il 9 maggio, giorno della memoria delle vittime del terrorismo, sarà dedicato ai tanti magistrati caduti sotto i colpi dei brigatisti rossi e neri. E per questo ha chiesto al vicepresidente

del Csm di invitare al Quirinale i familiari dei giudici uccisi nell'esercizio del loro dovere.

La giornata del 9 maggio dedicata ai magistrati uccisi è anche, per Napolitano, "una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta 'Associazione dalla parte della democrazia', per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto - aggiunge il capo dello Stato - rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non".

Nella lettera al vicepresidente del Csm, il presidente della Repubblica interviene sul clima che si è instaurato nel paese intorno alla giustizia: "Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sulla giustizia, si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni". Napolitano ricorda quindi "il costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".

E subito sono arrivate le prime reazioni alla lettera del capo dello Stato. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini ha sottolineato come Il Presidente della Repubblica "abbia interpretato ancora una volta il sentimento di tutti gli italiani".

"Napolitano - detto il presidente del Pd, Rosi Bindi - dimostra ancora una volta di esercitare il proprio ruolo di garanzia a difesa della dignità delle Istituzioni democratiche con grande equilibrio e fermezza. La decisione di dedicare il giorno della memoria delle vittime del terrorismo ai tanti valorosi magistrati uccisi dalle BR è un saggio e tempestivo richiamo al rispetto della verità, un monito affinché il ricordo del loro impegno e del loro sacrificio non venga deturpato da volgari e pericolose mistificazioni."

"A nome dell'intera magistratura italiana esprimo apprezzamento e ringraziamento per le parole del Presidente della Repubblica che per noi costituisce un punto di riferimento insostituibile nella sua funzione di garante degli equilibri costituzionali". Lo dichiara il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara. "L'Anm - aggiunge Palamara - seguendo un percorso rigorosamente istituzionale, difenderà l'autonomia e l'indipendenza della magistratura evitando ogni contrapposizione".

(18 aprile 2011)

 

SCHEDA

La lettera del Capo dello Stato a Vietti

ROMA - Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, la seguente lettera, resa nota dall'Ufficio Stampa del Quirinale: "Il prossimo 9 maggio si celebrerà al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Quest'anno, il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche. Le sarò perciò grato se - a mio nome - vorrà invitare alla cerimonia i famigliari dei magistrati uccisi e, assieme, i presidenti e i procuratori generali delle Corti di Appello di Genova, Milano, Salerno e Roma, vertici distrettuali degli uffici presso i quali prestavano la loro opera Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione".

"La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel

manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull' amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".

(18 aprile 2011)

 

 

IL CASO

Manifesti anti-pm, indagati in tre

Napolitano: "Offesa alla memoria"

L'esponente del centrodestra, Lassini che correrà per Letizia Moratti alle comunali di Milano,

si era autoaccusato in un'intervista al 'Giornale'. Indagano i pm Spataro, Pradella e Pomarici

Manifesti anti-pm, indagati in tre Napolitano: "Offesa alla memoria"

Roberto Lassini, presidente dell' associazione 'Dalla parte della democrazia' e candidato alle comunali di Milano per il Pdl, è indagato con altre due persone per vilipendio dell'ordine giudiziario dalla Procura milanese in relazione ai manifesti con la scritta 'Via le Br dalle Procure'. L'intervista di Lassini di ieri al Giornale è stata acquisita agli atti delle indagini. Sulla vicenda interviene anche il Quirinale. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, condanna senza appello la scritte: "Quel manifesto rappresenta innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non", scrive in una lettera al vicepresidente del Csm, il Consiglio superiore della Magistratura, Michele Vietti.

I manifesti contro i magistrati E il Pd li cancella

L'inchiesta è coordinata dai pubblici ministeri Armando Spataro, Grazia Pradella e Ferdinando Pomarici. Fra le persone sentite dalla Digos c'è Riccardo Falcone, uno dei titolari dell'agenzia di comunicazione politica Bergomi&Falcone, nei cui depositi la polizia ha trovato le matrici da cui sono stati ricavati i poster. "Lassini ci ha ordinato 200 maxi manifesti a tema 'Silvio resisti' lo scorso febbraio, che ha pagato 5mila euro - ricorda Falcone - poi ha ordinato questa fornitura. Non abbiamo mai avuto a che fare con altre persone della associazione". Perché l'associazione, sembra evidente, è lui. Al centro degli accertamenti dei pm c'è anche un altro manifesto comparso nei giorni scorsi a Milano che riportava la scritta 'Toghe rosse. Ingiustizia per tutti'.

Lassini in tribunale per Berlusconi La protesta a Palazzo Marino

Lassini è candidato alle comunali per il Pdl a sostegno della candidatura di Letizia Moratti e ha detto che non ha alcuna intenzione di rinunciare. "Pensiamo che un suo passo indietro sarebbe opportuno per noi, per il partito e per Milano intera", ha invece fatto sapere il coordinatore regionale del Pdl, Mario Mantovani, peraltro legato a Lassini da un'amicizia di vecchia data.

(18 aprile 2011)

 

 

 

2011-04-17

IL CASO

"Ingiusti non vogliono essere giudicati"

Giustizia e immigrati nell'omelia di Tettamanzi

L'arcivescovo nel discorso della Domenica delle palme non risparmia riferimenti all'attualità: "Viviamo in giorni strani"

"Ingiusti non vogliono essere giudicati" Giustizia e immigrati nell'omelia di Tettamanzi

MILANO - "Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni?". Se lo chiede l'arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, nel corso dell'omelia pronunciata oggi nel Duomo in occasione della domenica delle Palme.

Quelli che stiamo vivendo oggi, secondo l'arcivescovo sono "giorni strani. I più dotti potrebbero dirli giorni paradossali". Nella sua omelia l'arcivescovo spiega che le motivazioni di ciò "sono moltissime e differenti" e, facendo riferimento all'attualità, Tettamanzi ha parlato di giustizia, ma anche di guerra e immigrazione: "Perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come 'guerra' le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? - ha detto il presule - Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?".

Tettamanzi dopo la lettura del Vangelo secondo Giovanni che presenta un Gesù come re "umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace", ha analizzato "la nostra situazione storica". "Come sono oggi i giorni che viviamo? Potremmo definirli 'giorni strani' - spiega Tettamanzi - I più dotti potrebbero definirli 'giorni paradossali'".

L'arcivescovo, interrogandosi ancora sulla attualità, ha spiegato: "Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti. È un criterio caratterizzato da dominio superbo, subdolo, violento, oppure è un criterio contraddistinto da attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene?" "Siamo allora chiamati a interrogarci sull'unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti - ha aggiunto l'Arcivescovo di Milano - la vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sè, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita".

(17 aprile 2011)

 

 

BERLUSCONI

Il premier: "Patto Fini-Pm,

ma non mi faranno fuori"

"Il berlusconismo non è al tramonto. La sinistra eversiva tenterà la spallata alle amministrative, ma non ci riuscirà. La nostra vittoria rafforzerà il governo. La Corte costituzionale non è più organo di garanzia. Le cellule rosse dei Pm non trionferanno. Riformeremo la giustizia per cancellare queste toghe rosse": Anm: "Grave calunnia"

Il premier: "Patto Fini-Pm, ma non mi faranno fuori"

MILANO - "Il Berlusconismo non è al tramonto": lo ha affermato il presidente del Consiglio, capolista a Milano per il Pdl in appoggio a Letizia Moratti, durante la convention al Teatro Nuovo per presentare la candidatura del sindaco del capoluogo lombardo alle prossime amministrative. "Il berlusconismo non è al tramonto, a Milano supereremo i 53 mila voti delle ultime elezioni. Noi abbiamo introdotto una nuova moralità in politica che è quella di mantenere gli impegni assunti con gli elettori", ha aggiunto.

"Sono milanese". "Milano è l'unica metropoli che ha fatto il contrario rispetto alle altre: non ha aumentato le tasse".

La famiglia. "Continuo ad amare la famiglia così tanto che - contrariamente a quel che dice Bersani - me ne sono fatte due". le sue due famiglie gli hanno "dato grandi soddisfazioni: ho cinque figli uno più bravo dell'altro e anche cinque nipoti. Ne mancano sei e poi posso rinnovare la squadra del Milan".

Mondadori. "Ho evitato che la tessera numero 1 del Pd, Carlo De Benedetti, si impadronisse della Mondadori". E ha anche parlato del Corriere della Sera. Berlusconi ha detto di avere sentito Angelo Rizzoli è di essere stato autorizzato da lui ad utilizzare il suo "caso personale per dimostrare quello che succede".

"Rizzoli era proprietario del Corriere, un giornale moderato, e la sinistra voleva

farlo proprio". Così sono arrivate le accuse "per Angelo che ha avuto un anno di carcere ed è espropriato dei propri beni". Così il Corriere "è stato consegnato agli amici della sinistra". "Dopo 26 anni - ha concluso Berlusconi - è stato assolto da tutte le accuse ed è incensurato. Questa è una storia milanese, paradigmatica di quello che succede".

La magistratura. Non è mancato, subito, l'attacco durissimo alla magistratura: "In questa città, i giudici hanno fatto fuori 5 partiti democratici". E poi ha lanciato un vero e proprio "avviso" alle procure: "Non mi farete fuori. Ho maggioranza in Parlamento e andremo avanti. I giudici lo sappiano: la riforma della Giustizia ci sarà anche se dovessero mettermi fuori combattimento". Berlusconi ha confermato anche oggi che la riforma della giustizia "non solo è indispensabile ma urgente". Il premier ha sottolineato il "pactum sceleris" che, secondo lui, c'è tra Fini e i giudici "eversivi". "Un giudice mi ha raccontato tutto: Fini aveva stretto un 'pactum sceleris' con i giudici. 'Voi mi proteggete e perseguite Berlusconi e finché sarò presidente della Camera non ci sarà nessuna riforma che vi dispiaccia. Finito Berlusconi faremo le riforme che vi piacciono". E successivamente ha attaccato, ancora, la Corte Costituzionale: "Non è più un organo di garanzia, è in mano alla sinistra ed è diventato un organo politico". "La Corte Costituzionale ha abrogato il Lodo Schifani, il Lodo Alfano e poi il legittimo impedimento. In questo modo il presidente del Consiglio è stato dato in pasto ai pm di sinistra".

L'immunità parlamentare. "L'abrogazione dell'immunità parlamentare è stato un errore gravissimo", ha aggiunto. "Forse è stato l'errore più grave delle precedenti maggioranze".

Riforma della giustizia. "Faremo la riforma della giustizia - ha sottolineato Berlusconi - per cancellare le cellule rosse tra i Pm. Questa riforma è ora possibile grazie all'uscita di Fini dalla maggioranza". "Tutti i miei processi si basano su fatti inconsistenti". Lapsus del presidente del Consiglio, ricordando che per 30 anni da imprenditore non è stato accusato di nulla "e poi - ha aggiunto - sono diventato peggio di Al Capone". Berlusconi ha parlato delle oltre 2.100 udienze che lo hanno riguardato "a cui qualche volta - ha spiegato - ho partecipato. E dove c'erano sempre i miei giudici pagati ovviamente da me". Percepito il lieve imbarazzo del pubblico si è corretto dicendo "i miei avvocati. Adesso diranno - ha aggiunto - che c'è stato un lapsus freudiano di Berlusconi".

Silvio Berlusconi è tornato a caldeggiare le leggi che permettono al presidente del Consiglio di difendersi dal punto di vista legale una volta che ha finito di "occuparsi a tempo pieno degli interessi del Paese". Ha criticato il fatto che queste leggi siano state bocciate da "questa Corte costituzionale". "Il presidente - ha detto fra gli applausi - è stato dato in pasto ai pm della sinistra, soprattutto a quelli della Procura di Milano". "Una decina di volte su 26 - ha aggiunto - sono stato assolto con formula pienissima, le altre archiviato perchè per fortuna la maggioranza dei giudici compie con onestà il proprio dovere".

Intercettazioni. E di nuovo sulle intercettazioni: "A Milano non ci sono più i negozi di una volta, non c'è più quello dove si compravano le meringhe per la mamma, ora c'è un negozio della Tim ma io non ci vado perchè al presidente del Consiglio è vietato avere il telefonino perchè sono controllato da tutte le procure d'Italia. Sono tornato a scrivere le lettere d'amore". "Le intercettazioni sono immonde, non da stato libero. I cittadini sono controllati, anche per questo va fatta la riforma".

La spallata della sinistra. Quelle di Milano e in generale le amministrative, questa volta - ha detto il premier - sono politiche, bisogna che ci sia una grande affermazione al primo turno per rafforzare il governo nazionale. La sinistra proverà a fare una nuova spallata, ma non ci riusciranno come non ci sono riusciti il 14 dicembre e nelle altre occasioni. "La sinistra ha tentato, tenta e tenterà una nuova eversione cercando di dare una spallata al governo eletto dagli italiani come hanno tentato di fare con la diaspore di Fini cercando di farci perdere la maggioranza contro il voto degli italiani. Ci hanno provato il 14 dicembre, gli è andata male, ma per fortuna alcuni deputati che venivano dalla società civili dopo aver conosciuto i sistemi comunisti hanno deciso di dare alla terza gamba della maggioranza dandoci una nuova maggioranza più esile nei numeri ma più coesa".

Riforme costituzionali. Silvio Berlusconi rilancia le riforme della giustizia, dell'architettura istituzionale e tributaria. Ha usato l'ironia Silvio Berlusconi nel suo intervento per ripetere che serve la riforma costituzionale perchè adesso il potere è diviso fra Camere, Consulta e Presidente della Repubblica. "Quando dicono che sono l'uomo più potente d'Italia - ha spiegato il presidente del Consiglio - dicono una bugia, a meno che non si riferiscono ad altre potenze...tutto ciò che vi passa per la mente corrisponde al vero".

Le contestazioni. Contestazioni da un lato, acclamazioni dall'altro. L'uscita del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dal Teatro Nuovo di Milano è stata accompagnata e accolta da urla e slogan di colore opposto. Contrapposizioni tra sostenitori e detrattori del premier. Cartelli con scritto "Libero fischio in libero Stato", "Tutti a casa" sono stati sottolineati dall'evocazione di "Libertà" e dal grido "vergogna", mentre altri acclamavano "Silvio, Silvio".

Le reazioni. "Quando Berlusconi dice che l'Anm avrebbe firmato accordo con Fini dice una bugia, una grave calunnia. Inviterei il presidente del Consiglio a fare nomi e a farci vedere il documento documento di cui parla". Lo ha detto il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini nel corso della trasmissione "In mezz'ora", che ha parlato di un "metodo di avvelenare le acque". Cascini ha definito uno "scempio istituzionale" il fatto che si facciano leggi "per determinare effetti su singoli processi". "L'anomalia più grave è il fatto che si assista a questo spettacolo, uno scempio delle istituzioni senza che si reagisca", ha detto Cascini. "Si sente l'opposizione protestare, ma non si vede da chi ha responsabilità istituzionali all'interno del centrodestra la sensibilità di dire oltre questo limite non si puo' andare", ha spiegato. "Penso al ministro della Giustizia, degli Interni, degli Esteri, sono ministri che hanno anche cariche istituzionali importanti perchè hanno la responsabilità del funzionamento degli uffici giudiziari, dei corpi di polizia. Chi ha queste responsabilità non dice nulla sulle espressioni del presidente del Consiglio e ciò è particolarmente grave e preoccupante, e ci dice del degrado delle istituzioni", ha concluso.

(17 aprile 2011)

 

 

IL COMMENTO

Il golpe puritano di Pisanu e Veltroni

di EUGENIO SCALFARI Le notizie della settimana sono queste:

1. Berlusconi ha dichiarato alla stampa estera che alla fine della legislatura nel maggio del 2013 non si candiderà più come capo del governo ma resterà leader del suo partito.

2. Ventiquattro Paesi dell'Unione europea su ventisette hanno respinto la richiesta italiana di accogliere gli immigrati sbarcati sulle nostre coste. A fianco dell'Italia sono rimaste Malta e la Grecia.

3. Il piano economico e finanziario preparato da Tremonti per il prossimo biennio prevede una crescita del Pil dall'1 all'1,6 per cento. La disoccupazione e la pressione fiscale resteranno ferme sulle posizioni attuali. Il debito pubblico si è nel frattempo attestato al 120 per cento e non diminuirà fino al 2014.

4. La guerra contro i giudici deve proseguire a ritmo serrato: dopo la prescrizione breve sarà la volta della legge sulle intercettazioni e comincerà l'iter parlamentare della riforma generale della giustizia.

Come si vede, il panorama politico è al tempo stesso agitato e immobile.

Diciamo che è il tremito d'un organismo paralizzato e dura così da due anni.

La prospettiva, almeno per quanto riguarda l'economia e l'immigrazione, è che si andrà avanti così per altri due anni.

Il governatore della Banca d'Italia avverte che in queste condizioni ci vorranno cinque anni per uscire dalla crisi attuale.

Per poterne uscire nel 2013 sarebbe necessaria una crescita del Pil del 2 per cento in ciascuno dei due anni: obiettivo

possibile ma soltanto con una politica economica diversa da quella attuale.

Chi viaggia all'estero e incontra persone di altri Paesi con le quali ha rapporti di amicizia o di affari, riferisce la domanda che gli viene fatta in ogni occasione: perché Berlusconi è ancora al governo e riscuote ancora la maggioranza relativa dei consensi? Il viaggiatore non sa rispondere.

La stessa domanda ce la poniamo da tempo anche noi, sebbene essa si sia notevolmente ridotta negli ultimi mesi.

Ridotta, ma ancora consistente nel Paese e in Parlamento.

Come si spiega?

La risposta è contenuta in due diverse narrazioni di quanto accade in Italia, inconciliabili tra loro. Il Paese è dunque irrimediabilmente spaccato in due parti che non comunicano?

In realtà il Paese è diviso in tre parti e la terza è composta da chi ha perduto ogni interesse ad occuparsi di questo problema. La situazione è dunque terribilmente seria: stasi economica, isolamento in Europa, Paese diviso in tre parti quantitativamente equivalenti. Una palude, con i miasmi e i malanni d'ogni palude. Di qui una seconda domanda: come uscirne?

* * *

Pisanu e Veltroni hanno indicato un modo: un nuovo governo sostenuto da tutti coloro che in Parlamento e nel Paese vedono i rischi di questo agitatissimo immobilismo e decidono di uscirne unendo le forze per riscrivere insieme le regole provocando una "discontinuità" rispetto a quanto finora è accaduto.

La parola "discontinuità" significa politicamente una rottura con la situazione attuale. Che l'abbia pronunciata Veltroni non è una notizia ma che l'abbia scritta e firmata Pisanu, senatore del Pdl e presidente della Commissione antimafia, questa sì, è una notizia. Nel lessico dei seguaci dell'"Amor nostro" probabilmente sarà definita un "golpe" o almeno un para-golpe o un proto-golpe. Non Badoglio, ma Pisanu.

Che cosa ne pensano i poteri forti? Che cosa ne pensa la Chiesa? Ci vuole una premessa, per quanto ovvia, in questi tempi di vistosa confusione lessicale: la discontinuità non può aver luogo senza che emerga una maggioranza parlamentare diversa da quella attuale. E un'altra premessa: qualora quella nuova maggioranza emergesse, spetterebbe al presidente della Repubblica decidere se dar luogo ad un nuovo governo senza por fine alla legislatura oppure consultare il corpo elettorale.

Nel 1994, quando la Lega decise di ritirarsi dal governo passando all'opposizione dopo appena cinque mesi di esperimento, la legislatura continuò fino al '96.

L'ossessione del ribaltone ancora non c'era per la semplice ragione che costituzionalmente il cambiamento di alleanza da parte di un gruppo parlamentare è pienamente legittimo e rientra nella normale dialettica democratica. Del resto in questa legislatura di ribaltoni ne sono già avvenuti parecchi: Fini è stato cacciato dal Pdl ed ha formato un partito che si è dissociato dalla politica del governo; alcuni parlamentari che l'avevano seguito hanno poi cambiato opinione tornando nel partito d'origine; altri parlamentari eletti con partiti di opposizione hanno varcato la soglia e sono passati con la maggioranza.

Nessuno ha invocato la fine della legislatura per questo motivo.

* * *

Esaurite le premesse procediamo con l'analisi delle forze in campo. Gli imprenditori, i rappresentanti dei lavoratori, la gerarchia cattolica, i movimenti ecclesiali, l'opinione laica, gli interessi e i sentimenti del Nord, gli interessi e i sentimenti del Centro-Sud.

La Confindustria reclama da tempo una politica orientata verso la crescita della domanda, dell'occupazione, degli investimenti e dei consumi. Tanto più urgente in una fase di crescente inflazione globale, di aumento del tasso di interesse e di un tasso di cambio dell'euro che penalizza fortemente le esportazioni.

Negli ultimi tempi questa posizione della Confindustria si è radicalizzata, con l'adesione pressoché unanime delle imprese grandi, medie e piccole. Queste ultime finora avevano considerato con favore e speranza le promesse berlusconiane, ma negli ultimi tempi le speranze sono appassite e il favore è venuto meno.

Analoghi mutamenti sono avvenuti nell'ampio settore delle costruzioni (Ance) e nelle organizzazioni dei commercianti e degli artigiani. Gli interessi di queste categorie sono penalizzati dalla politica del rigore senza crescita. Ciò non vuole necessariamente significare che le intenzioni di voto di queste categorie siano cambiate; la paura dei "comunisti" e degli immigrati gioca in favore della continuità politica e non della discontinuità. Ma quando è leso l'interesse, la tenuta ideologica diventa friabile e può favorire il mutamento delle intenzioni di voto soprattutto in favore dell'astensionismo.

Per quanto riguarda le forze del lavoro, il ragionamento è analogo salvo l'assenza di elementi ideologici. Sono molti i lavoratori e i pensionati che passarono da sinistra a destra nelle scorse occasioni elettorali, sedotti dalle promesse e dalle capacità seduttive di quella vera e propria macchina di voti che è il Grande Comunicatore. Ma il problema dei "comunisti" per loro non si pone e quello della sicurezza anti-immigrazione ha un peso assai minore rispetto ad altri ceti. Il problema dei lavoratori è il lavoro. Se manca o si devalorizza gli effetti prima o poi si vedono e infatti cominciano a vedersi.

Il Sud è terra incognita per un motivo evidente: è la parte del Paese socialmente meno strutturata. La classe dirigente locale è sempre stata "ballerina", il lavoro difetta, l'iniziativa imprenditoriale è scarsa, il credito di difficile accesso, le infrastrutture sono miserevoli e i trasporti ancora peggio.

Dove manca il radicamento degli interessi suppliscono radicamenti alternativi: la clientela, le organizzazioni malavitose. Aumenta l'emotività e contemporaneamente l'indifferenza politica. Il combinato di questi elementi rende appunto incognita la risposta politica meridionale anche se l'opinione pubblica strutturata (quel poco che esiste) è particolarmente reattiva allo sradicamento sociale e quindi molto sensibile all'etica pubblica. Può sembrare un paradosso ma è proprio nell'ambiente sociale più degradato che il desiderio di un'etica pubblica più rigorosa ed un salto di qualità nell'efficienza e nell'innovazione si manifestano con maggiore intensità.

Questa apparente contraddizione va guardata con particolare cura dalle forze politiche che puntano sulla discontinuità.

* * *

Il Nord invece non è terra incognita. Gli interessi sono ben radicati ed anche l'ideologia. Il nordismo è ormai un modo di pensare e di sentire che accomuna le genti della grande pianura dove scorre il Po, la stella cometa che ha la sua testa tra Varese Milano e Bergamo e la coda luminosa che s'irradia fino a Udine e Treviso da un lato e Mantova Ferrara e Rimini dall'altro, fino alle propaggini della costa adriatica marchigiana. Ci sono differenze e rivalità in questa ampia superficie che produce il sessanta per cento del reddito nazionale e ospita il quaranta per cento della popolazione, ma coincidono le priorità: libera impresa, regole al minimo livello, investimenti pubblici e infrastrutture come prima scelta dello Stato, Comuni e Regioni fiscalmente e istituzionalmente autonome, ricchezza reinvestita sul territorio, immigrazione condizionata all'offerta di lavoro.

La Lega costituisce il cemento e fornisce l'ideologia, ma non è esportabile, perciò la sua compromissione con il governo nazionale non è popolare. La condizione ideale del leghismo è il federalismo inteso come confederazione.

Il nordismo confederato rappresenta una metà degli abitanti di quei territori e molto meno della metà dei giovani. I giovani sono sempre più cosmopoliti e sempre meno attratti dalle patrie, grandi o piccole che siano.

Non amano la ghettizzazione né le tradizioni. Vogliono successo, ricchezza, competizione e cultura. Sono propulsivi e dinamici. Il mito di Pontida non è cosa loro, Bossi e Calderoli non sono i loro punti di riferimento. Forse il Berlusconi giovane sì, quello di oggi non più o sempre meno.

Se si aggiunge che la Chiesa è entrata nell'ordine di idee che la palude attuale non sia giovevole né ai suoi valori né ai suoi interessi, il quadro complessivo sembrerebbe favorevole ad un'evoluzione che privilegi la discontinuità rispetto al presente e pericolante assetto. Ma a questa salutare evoluzione fa ostacolo una difficoltà non da poco ed è una natura molto diffusa nella nostra gente. Francesco De Sanctis ne parla a lungo in un suo saggio e definisce quella natura come l'uomo del Guicciardini perché fu appunto lo storico fiorentino che meglio di tutti ne fece il racconto. Lo fece nelle "Historiae fiorentinae" e nei "Ricordi". Ma valeva ancora, quel racconto, tre secoli dopo, quando ne parlava De Sanctis nelle sue lezioni all'Università di Napoli. Purtroppo vale ancora oggi.

"Mancava la forza morale; supplì l'intrigo, l'astuzia, la simulazione, la doppiezza. Ciascuno pensava al proprio particulare sì che nella tempesta comune naufragarono tutti. La consuetudine nostra non comportava che s'implicassi nella lotta tra i principi, ma attendesse a schierarsi, ricompagnandosi con chi vinceva secondo le occasioni e le necessità. Noi abbiamo bisogno di intrattenerci con ognuno dè potenti e mai fare offesa ad alcun principe grande".

E il De Sanctis così conclude questa lunga citazione guicciardiniana: "Non c'è spettacolo più miserevole di tanta impotenza e fiacchezza in tanta saviezza. La razza italiana non è ancora sanata da questo marchio che ne impedisce la storia. L'uomo del Guicciardini lo incontri ancora ad ogni passo; ci impedisce la via se non avremo la forza di ucciderlo nella nostra coscienza".

È un obiettivo da puritani? Oppure la condizione necessaria per far vivere una società moderna dove libertà e giustizia siano equilibrate e consentano di affermarsi al merito onestamente guadagnato?

(17 aprile 2011)

 

 

 

 

 

2011-04-15

LA SENTENZA

Tar: "illegittimi" i tagli al personale

Battaglia sulle graduatorie dei precari

Il Tribunale amministrativo del Lazio boccia le circolari della Gelmini che hanno "eliminato" 67 mila cattedre in due anni: al momento nessuno può prevedere le conseguenze. L'Avvocatura dello Stato: impossibile impedire lo spostamento di provincia senza una legge ad hoc

di SALVO INTRAVAIA

Tar: "illegittimi" i tagli al personale Battaglia sulle graduatorie dei precari Il ministro Gelmini

I tagli agli organici del personale scolastico sono illegittimi: lo ha stabilito una sentenza del Tar del Lazio. Intanto, la partita dell'aggiornamento delle graduatorie dei precari potrebbe trasformarsi in una battaglia politica dagli esiti imprevedibili. Quella del Tar Lazio di ieri, per il ministero dell'Istruzione, è l'ennesima bocciatura da parte della giustizia amministrativa, dopo quelle relative alle graduatorie ad esaurimento, alle classi sovraffollate e quella sulle riduzioni di orario per gli istituti tecnici e professionali, solo per citare le ultime in ordine di tempo. Questa volta, a ricorrere contro i provvedimenti del ministero sono stati un Comune (quello di Fiesole), la Flc Cgil e diversi genitori.

Secondo i giudici, sono due i motivi che hanno determinato l'annullamento delle circolari ministeriali sul taglio di 67 mila cattedre negli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011. Il primo, riguarda lo strumento utilizzato da viale Trastevere per alleggerire gli organici del personale docente: una semplice circolare ministeriale che si appoggiava su una bozza di decreto interministeriale. Per sforbiciare 42 mila posti l'anno scorso e 25 mila quest'anno "l'amministrazione ha diramato la circolare", la numero 38/09, "allegando un mero 'schema' di decreto interministeriale, non ancora formalmente in vigore", scrivono i giudici.

Il secondo motivo attiene alla procedura seguita. "In particolare - si legge nel dispositivo - lo schema di decreto, non solo sarebbe da ritenersi atto privo di attuale efficacia

giuridica, ma sarebbe altresì approvato senza il 'previo parere delle Commissioni parlamentari competenti' invece espressamente prescritto dalla norma". Insomma, ancora una volta, come più volte lamentato dalle opposizioni, sarebbe stato esautorato il Parlamento. Al momento nessuno è in grado di prevedere gli effetti del provvedimento del Tar.

Una cosa è certa, per effetto del taglio di 87 mila cattedre in tre anni, migliaia di supplenti hanno perso posto e stipendio e milioni di bambini e studenti italiani hanno perso decine di ore di lezione in classe. Per non parlare delle migliaia di docenti di ruolo costretti a fare le valigie, magari dopo anni di servizio nella stessa scuola, perché con la riforma Gelmini la loro materia è stata falcidiata. Ricominciando, in qualità di docente "sovranumerario", a fare il pendolare e, non più giovanissimo, a percorrere decine di chilometri per recarsi a scuola.

In queste ore si fanno sempre più insistenti le voci di un prossimo decreto sull'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento dei precari con la possibilità per gli stessi di cambiare provincia. Dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittime le graduatorie "di coda" inventate dalla Gelmini, arriva il parere dell'Avvocatura dello Stato richiesto da viale Trastevere, secondo il quale non è possibile impedire lo spostamento di provincia senza una norma di legge ad hoc.

A questo proposito, il ministero starebbe per emanare, quindi, un decreto di aggiornamento delle graduatorie con il quale consentirà l'inserimento "a pettine" - cioè con il proprio punteggio - ma in una sola provincia. Una notizia che è attesissima da migliaia di precari meridionali, pronti a fare le valigie alla volta delle regioni del Nord, dove le cattedre a disposizione sono tantissime e le probabilità di lavorare aumentano in modo esponenziale.

Ma, da tempo, l'ipotesi non piace alla Lega, che col senatore Mario Pittoni si è fatto promotore di una proposta di legge che prevede liste regionali suddivise in due sezioni: A e B. Questa volta, però, il ministero è tra l'incudine e il martello: qualche giorno fa 61 deputati, quasi tutti meridionali, hanno chiesto al ministro Gelmini di portare la questione in Parlamento. Un chiaro avvertimento al governo: con i tempi che corrono un provvedimento di legge pro-Lega potrebbe riservare brutte sorprese.

(15 aprile 2011)

 

TOGHE

DI LIANA MILELLA

14

apr

2011

Salva Silvio già in pericolo

Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano

Pare proprio che stia andando di nuovo in scena il film del processo breve. Quello che, nella versione hard del Senato, metteva un’inesorabile tagliola sui processi per reati fino a dieci anni facendoli "morire" per sempre alla scadenza del sesto anno. Nel 2010la maggioranza presentò quel ddl e subito protestarono Anm e Csm. Dissero, dati alla mano, che sarebbero saltati tra il 10 e il 40 per cento dei 3,2 milioni di processi penali pendenti. Centinaia, dunque. Si alzò su il Guardasigilli Angelino Alfano e ridimensionò il dato: a scomparire sarebbe stato solo l’1%. Ma Napolitano si allarmò lo stesso e consigliò prudenza al governo. Nel passaggio tra il Senato e la Camera ad affondare è stato il processo breve che, da lama del boia, è diventato solo un’indicazione di massima, un suggerimento, senza effetti demolitori. Ovviamente inutile, a quel punto, per chiudere i dibattimenti del Cavaliere.

Lo stesso film sta per essere girato per la prescrizione breve. Che ha sostituito il processo come legge salva Silvio. Hanno fatto votare alla Camera un testo che regala agli incensurati (chissà mai per quale ragione) uno sconto sulla prescrizione. Esso, a misura di Berlusconi e del processo Mills, colpisce anche altri processi in tutto il Paese. Settemila per il ministro, 15mila per Csm e Anm. Tutti i reati inseriti, tranne quelli gravi e gravissimi. Quindi anche la strage di Viareggio o il terremoto dell’Aquila, o le violenze sessuali, o i casi di corruzione, di truffa, di bancarotta. Dicono in aula gli uomini del Pdl: comunque quei reati si sarebbero prescritti, qualche mese in meno non fa la differenza. E invece la fa, e anche la fa molto, perché basta un giorno in meno per far saltare un processo (e lo dimostra il caso Mills). E poi conta il principio. Perché fare comunque un regalo, anche di pochi mesi, a chi può aver determinato il disastro ferroviario?

Napolitano, a Praga, dice solo due parole, "valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell’approvazione definitiva in Parlamento". E’ la conferma di quanto si è andato scrivendo in questi giorni, c’è un riflettore del Colle acceso su questa legge. Deciderà il presidente quando, come, se agire. I dubbi sono lì, squadernati nella legge: essa determina una morìa di processi, lo ha confermato lo stesso Alfano; essa crea disparità di trattamento all’interno dello stesso processo; essa grazia alcuni e, magari per pochi giorni, esclude altri; essa produce una differenza difficilmente spiegabile tra incensurati e recidivi; essa pone un termine, quello del processo di primo grado compreso, facilmente contestabile.

Napolitano risponde a una domanda. Ipotizza un percorso. Del resto, anche gli interlocutori di questo blog dimostrano, con i loro numerosi interventi, che c’è una diffusa richiesta di una sua autorevole parola. Si allarma Berlusconi che vuole subito spedire Alfano sul Colle per fare chiarezza sulla legge, per spiegare che, dal suo punto di vista, essa non grazia nessuno. Tranne lui stesso, visto che se andrà in porto, a giugno il processo Mills si chiuderà.

Ma proprio l’allarme di Berlusconi e quel futuro viaggio di Alfano al Quirinale "scoprono" il lato debole della maggioranza e la sua consapevolezza che la legge contiene delle anomalie che potrebbero non passare inosservate sotto il riflettori del Colle. Proprio come per il processo breve.

Scritto giovedì, 14 aprile 2011 alle 16:07 15 aprile 2011

LA STRATEGIA DEL GOVERNO

Il premier suona la carica:

adesso le intercettazioni

L'aveva già fatto trapelare a poche ore dal voto sulla prescrizione breve: "È solo la prima tappa...". Ieri Silvio Berlusconi ha confermato che la "guerra" continua. "Ora è chiaro a tutti che abbiamo una maggioranza... bene, usiamola!", dice con toni gladiatori ai capigruppo di Pdl, Lega e responsabili convocati a Palazzo Grazioli per un pranzo di lavoro. I fronti da cui ripartire "subito" sono tre: il rilancio del ddl intercettazioni, che Maurizio Paniz dà per approvato già entro l’estate e non nella forma "annacquata" cui si era giunti dopo le mediazioni con i finiani, la riforma costituzionale della giustizia (incardinata l’altroieri a Montecitorio) e la riforma della Carta nella parte che riguarda i poteri dello Stato, il cui iter sarà forse affidato a palazzo Madama.

Al tavolo ci sono anche i coordinatori azzurri La Russa e Verdini, il legale del premier Ghedini, il vicepresidente della Camera Lupi. E, soprattutto, il Luciano Sardelli di Iniziativa Responsabile, che all’uscita sarà il più prolifico di indiscrezioni. Una delle quali è molto interessata: "La settimana prossima il premier farà il rimpasto, chiuderà la pratica". Da tempo si parla di tre viceministri e una decina di sottosegretari da inserire in squadra. Ma tra azzurri e leghisti regna la prudenza: la sensazione è che il premier cercherà di tenere a freno la questione fino alle amministrative, perché, dicono in Transatlantico, "gli scontenti si pesano". Ovvero: chi resta senza poltrona potrebbe rivalersi sottraendo voti nelle città-chiave in cui si vota a maggio. L’altra soffiata passata da Sardelli ai cronisti è quella per cui sarebbe imminente il passaggio di sei deputati (due già lo hanno annunciato, sono i libdem Melchiorre e Tanoni) nelle fila della maggioranza, di cui uno proveniente da Fli. Sarebbero i sei dell’opposizione che mercoledì, nell’unica votazione segreta sul processo breve, hanno sostenuto l’esecutivo.

La tornata elettorale ruba buona parte del pranzo. Non a caso una delle decisioni prese è quella di organizzare due manifestazioni a ridosso del voto, una a Milano e una a Napoli, entrambe date a rischio dai sondaggi. In tutti e due i casi il premier sarà la star, e la macchina del partito si è già attivata. Poco prima del pranzo di lavoro Berlusconi aveva inoltre ricevuto il presidente calabrese Giuseppe Scopelliti, con il quale ha fatto il quadro delle candidature in regione. Un summit che ha confermato l’investitura di Dorina Bianchi (Udc) come candidato a sindaco di Crotone.

La priorità del premier, però, è cavalcare l’onda del voto sulla prescrizione breve. Si dice convinto che su intercettazioni (ieri anche l’ex Idv Scilipoti ha presentato un suo testo, molto restrittivo) e riforma costituzionale della giustizia (quella con doppio Csm e separazione delle carriere) possano convergere altri pezzi delle opposizioni. "Quando parlo di tutelare la privacy ovunque ricevo standing ovation...", confida il Cavaliere. Senza dimenticare che ci sono altre cavalli in scuderia, in particolare la responsabilità civile dei giudici alla Camera e l’"allunga-processi" al Senato (la norma che renderebbe ammissibili tutti i testi chiesti dalla difesa e inutilizzabili come prova le sentenze passate in giudicato in altri procedimenti).

Ma per chiudere il cerchio, dice il premier, serve la "riforma dell’assetto istituzionale". Ieri ha dato mandato di aprire il nuovo fronte: "Riequilibrio" (a favore dell’esecutivo) dei poteri tra governo, Parlamento, Colle e Consulta, bicameralismo imperfetto, riduzione dei parlamentari. Una "rivoluzione" che sembra scalzare tre le priorità la riforma fiscale, impantanata, dicono i suoi, dalla carenza di risorse.

Marco Iasevoli

 

2011-04-14

PROCESSO BREVE

Berlusconi: "Con il Colle chiarirò

ora avanti con le intercettazioni"

Napolitano valuterà "gli effetti" del processo breve a ridosso dell'approvazione definitiva. Avvenire: "I problemi non sono le urgenze del premier di risolvere i propri guai con taluni magistrati di Milano". L'Anm: "Questa legge uccide i processi"

Berlusconi: "Con il Colle chiarirò ora avanti con le intercettazioni"

ROMA - Giorgio Napolitano, verificherà gli effetti della prescrizione breve prima ancora della sua approvazione finale da parte del Parlamento. A chi gli chiede cosa pensi delle molte preoccupazioni espresse dal Csm e dalle famiglie delle vittime di Viareggio sul fatto che la legge possa fare saltare molti processi, il Capo dello Stato - a margine dell'inaugurazione della ristrutturata stazione centrale di Praga - replica così: "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento". Ma Silvio Berlusconi non ha intenzione di fare passi indietro e si dice certo che il Capo dello Stato si convincerà che la legge non va contro la Costituzione.

LA SCHEDA

1

Il governo: "Avanti con le riforme". Sarà il guardasigilli, Angelino Alfano, a spiegare a Napolitano, i contenuti del provvedimento sul processo breve, chiarendo le "false notizie" sull'incidenza della prescrizione breve su alcune stragi, come quella di Viareggio. Eccola la linea uscita dal vertice di maggioranza con Berlusconi. La stessa riunione nella quale il premier ha spronato i suoi parlamentari ad "andare avanti con il ddl sulle intercettazioni e la riforma della giustizia"

La condanna di Avvenire. "Non chiamamolo

processo breve 2". Dopo opposizioni parlamentari e non, magistratura associata, avvocatura, familiari delle vittime delle stragi ora anche la Cei, con un editoriale in prima pagina su "Avvenire" boccia senza appello la legge del governo approvata dalla Camera e ora all'esame del Senato. Mentre la Padania, il quotodiano della Lega, fa sparire il processo breve dalla prima pagina. Ignorando la notizia dell'approvazione da parte della Camera. Ieri sera, d'altronde, il leader leghista non si era speso più di tanto nel rispondere ad un cittadino che, fuori da Montecitorio, gli chiedeva se il Carroccio avesse votato "con piacere" il processo breve: "L'abbiamo votato" si era limitato a dire. "Al di là delle partignerie - è scritto senza mezzi termine nell'articolo del quotidiano Cei - i nodi della giustizia non saranno sciolti". Perché come tali "non vanno intese le urgenze del presidente del consiglio di risolvere i propri guai con taluni magistrati di Milano". E anche don Luigi Ciotti di Libera spara a zero. "Il processo breve è un passo ulteriore verso il sequestro della giustizia, uno scandalo della democrazia, un ulteriore passo verso la plutocrazia".

Scontro Cicchitto-Bindi. Il capogruppo del Pdl a Montecitorio Fabrizio Cicchitto ha inviato una lettera al presidente Gianfranco Fini chiedendogli un "intervento pubblico in aula" nei confronti della vicepresidente Rosy Bindi per i fatti avvenuti in Aula 3 ieri durante e dopo il voto finale sul testo sulla prescrizione breve.

Bersani. "Ieri c'è stato un muro contro il muro del buon senso, delle esigenze del Paese. Noi non siamo per niente affezionati a passare i giorni e le notti a discutere dei processi di Berlusconi, vogliamo parlare dei problemi enormi del paese e per questo proviamo una grande amarezza". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani valuta l'approvazione del processo breve. "C'è una grande amarezza - sostiene Bersani - Anche se noi abbiamo combattuto per rendere chiaro che a loro non interessano i problemi dell'Italia". E, dopo quella alla Camera, il Pd si appresta alla battaglia al Senato. "Non glielo faremo calendarizzare. Ricorreremo a tutti gli strumenti a nostra disposizione" annuncia la presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro.

Paniz contro Palamara. "E' una reazione ingiustificata e mi spiace sia arrivata da un magistrato, perche' ho talmente tanta stima nei confronti dei magistrati, che vorrei rimanessero fedeli all'impegno di applicare la legge e non di intervenire nel loro processo formativo, per lo più con dichiarazioni di questo genere che sono fortemente destabilizzanti". Maurizio Paniz, relatore della proposta di legge sulla prescrizione breve, commenta così le parole del presidente dell'Anm, Luca Palamara, che ha definito una "sconfitta dello Stato" l'approvazione del provvedimento. Ma oggi l'Anm rincara la dose. Parlando di "un'amnistia permanente per numerosi gravi reati, come la corruzione, l'evasione fiscale, la truffa, la truffa ai danni dello Stato, l'appropriazione indebita, l'omicidio e le lesioni colpose, quelli in materia di ambiente e di infortuni sul lavoro. Questa legge uccide i processi".

Il Cavaliere: "Alfano non è il mio successore". "Mai detto che Alfano è il mio successore". Berlusconi, nel corso del vertice con i capigruppo, avrebbe frenato sull'ipotesi di un passaggio di consegne, nel 2013, tra il Cavaliere e il Guardasigilli. "Io ho detto che è una persona capace, ma siamo un partito democratico e deciderà il partito stesso il mio successore" avrebbe sottolineato il premier". Sul fronte del governo Berlusconi ha garantito che, la prossima settimana, avverrà la seconda tranche del rimpasto di governo, fortemente caldeggiato dai Responsabili.

(14 aprile 2011)

 

 

LEGGI AD PERSONAM

Avvenire boccia il processo breve

"Problemi giustizia non sono quelli del premier"

Il quotidiano della Cei: ""Al di là delle partignerie i nodi della giustizia non saranno sciolti. Perché come tali non vanno intese le urgenze del Presidente del consiglio di risolvere i propri guai con taluni da magistrati di Milano"

Avvenire boccia il processo breve "Problemi giustizia non sono quelli del premier"

ROMA - "Non chiamamolo processo breve 1". Dopo opposizioni parlamentari e non, magistratura associata, avvocatura, familiari delle vittime delle stragi ora anche la Cei, con un editoriale in prima pagina su "Avvenire" boccia senza appello la legge del governo approvata dalla Camera e ora all'esame del Senato.

"Al di là delle partignerie - è scritto senza mezzi termine nell'articolo del quotidiano Cei - i nodi della giustizia non saranno sciolti". Perché come tali "non vanno intese le urgenze del Presidente del consiglio di risolvere i propri guai con taluni da magistrati di milano".

A giudizio dell'editoriale, si possono anche considerare "vere entrambe" tanto le tesi a favore della nuova legge espresse dalla maggioranza e dal governo in queste giornate di esame da parte di una camera caratterizzato da "deputati in tumulto" quanto quelle contrarie espresse dalle opposizioni parlamentari e non.

Ma "tuttavia sarebbe meglio chiedersi - è qusto il giudizio conclusivo - a che cosa non servirà questa legge definita solo per convenzione sul 'processo breve'. Perchè la risposta, purtroppo, è che non servirà affatto ad accorciare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi già presentati in passato, si limiterà alla fotografia e

non alla cura del male. Perchè di volta in volta si potrà soltanto prendere atto del fallimento di uno stato che non garantisce in tempi ragionevoli ai processi di arrivare a sentenza".

Bersani. "Ieri c'è stato un muro contro il muro del buon senso, delle esigenze del Paese. Noi non siamo per niente affezionati a passare i giorni e le notti a discutere dei processi di Berlusconi, vogliamo parlare dei problemi enormi del paese e per questo proviamo una grande amarezza". Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani valuta l'approvazione del processo breve. "C'è una grande amarezza - sostiene Bersani - Anche se noi abbiamo combattuto per rendere chiaro che a loro non interessano i problemi dell'Italia".

(14 aprile 2011)

 

 

LA LEGGE

Dalla Camera sì al processo breve

Maggioranza ferma a 314 voti

Ministri e sottosegretari bloccati a Montecitorio tutta la giornata. Alla fine il provvedimento viene approvato ed ora passa al Senato. Berlusconi soddisfatto: "Siamo compatti". Bersani: "Il governo ha compiuto un passo verso l'abisso". L'Anm: "Faremo sentire la nostra voce". L'Unione delle camere penali: "Norme illogiche e sbagliate"

Dalla Camera sì al processo breve Maggioranza ferma a 314 voti La protesta dei deputati dell'Idv

ROMA - "314 sì, 296 no, la Camera approva". Con la formula di rito il presidente di Montecitorio Gianfranco Fini chiude la maratona in Aula sul processo breve 1. Una giornata senza gravi incidenti e con l'opposizione che avendo esaurito il tempo a disposizione poco ha potuto fare nella sua battaglia per far cadere la maggioranza in qualche votazione. L'ultima "trappola" è stata la richiesta di voto segreto su un un emendamento presentato da Di Pietro ma la maggioranza ha retto (anzi ha conquistato sei voti dello schieramento avversario) anche, e soprattutto, grazie alla presenza compatta e assidua dei ministri e dei sottosegretari. E allora, mentre all'esterno della Camera i familiari delle vittime delle tante tragedie 2 che hanno funestato il Paese facevano sentire le loro voci, alle opposizioni non è rimasto altro che scegliere di far emergere il proprio dissenso in altri modi: i deputati del Pd hanno votato tenendo in mano una copia della Costituzione, la stessa dalla quale ieri avevano letto uno per uno gli articoli, mentre quelli dell'Idv hanno innalzato dei cartelli con, fra l'altro, le scritte "Rogo Thyssen, nessuna giustizia"; "Crac Parmalat, nessuna giustizia"; "Santa Rita, nessuna giustizia" riferendosi ai processi che, dopo l'applicazione

della legge, avranno una prescrizione breve prevista dall'articolo tre della legge che ora passa al Senato.

LE IMMAGINI 3

LA SCHEDA 4

(I TEMPI DI PRESCRIZIONE)

Ovvia la soddisfazione del presidente del Consiglio: se la legge passa in Senato, si vedrà prescritto il processo Mills. "Finalmente una legge che ci mette al passo con l'Europa" è stato il commento di Berlusconi ai deputati che lo hanno chiamato dopo il voto. Il Cavaliere, in verità, dopo la preoccupazioni è sembrato sollevato dalla tenuta della maggioranza bloccata a 314 voti ma che nel suo ottimismo il presidente del Consiglio continua a vedere proiettata verso quota 330. "Noi siamo compatti, loro no", il commento soddisfatto del Cavaliere. "Una macchina da guerra", ha chiosato il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. Al quale ha fatto subito coro Umberto Bossi contestato al grido di "venduto" venduto" fuori dal Palazzo. "I numeri ci sono - ha detto il Senatur - il governo va avanti. Non sono 330 ma sempre meglio di niente". Quanto alle accuse di aver fatto un'amnistia, il leader leghista è sbrigativo: "Sono tutti trucchetti, giochi di prestigio della sinistra. Hanno fatto una battaglia alla morte, non sapevano più cosa dire e hanno tirato fuori la storia dell'amnistia...". Però a chi gli chiedeva se la Lega aveva votato con piacere questa legge il ministro ha risposto: "Abbiamo votato...".

Dall'opposizione invece parole di fuoco. "Oggi il governo nella coscienza degli italiani ha compiuto un passo verso l'abisso", ha detto Pier Luigi Bersani, soddisfatto però per la battaglia condotta. "Ora - ha aggiunto - sta a noi far comprendere la vergogna di questo provvedimento, l'assoluto disprezzo del governo verso i problemi veri del paese mentre ha messo il massimo impegno sul processo di Berlusconi. Per me questo rimarrà un marchio indelebile della Legislatura". Anche il finiano Italo Bocchino va all'attacco: "E' stato triste vedere la Camera dei deputati bloccata alla presenza di tutti i membri del governo al solo fine di far prescrivere il processo Mills prima della più che probabile condanna di Berlusconi in primo grado". E Antonio Di Pietro sarcastico: "Ai tempi miei c'erano due tipi di imputati: chi andava ad Hammamet per sfuggire ai giudici e chi veniva in procura. Berlusconi ha inventato il terzo tipo, quello che va in Parlamento e si fa le leggi per non farsi processare".

E anche i magistrati e avvocati fanno sentire il loro dissenso. "Valuteremo eventuali forme di

protesta, ma soprattutto faremo sentire la nostra voce illustrando le ricadute che queste norme avranno sul sistema", ha detto il presidente dell'Anm Luca Palamara. Mentre l'Unione delle camere penali in una nota parla di una normativa "illogica ed erronea prima ancora che evidentemente ispirata da ragioni che non tutelano il bene comune".

(13 aprile 2011)

 

 

2011-04-13

LA LEGGE

Dalla Camera sì al processo breve

Maggioranza ferma a 314 voti

Ministri e sottosegretari bloccati a Montecitorio tutta la giornata. Alla fine il provvedimento viene approvato ed ora passa al Senato. Berlusconi soddisfatto: "Siamo compatti". Bersani: "Il governo ha compiuto un passo verso l'abisso". L'Anm: "Faremo sentire la nostra voce". L'Unione delle camere penali: "Norme illogiche e sbagliate"

Dalla Camera sì al processo breve Maggioranza ferma a 314 voti La protesta dei deputati dell'Idv

ROMA - "314 sì, 296 no, la Camera approva". Con la formula di rito il presidente di Montecitorio Gianfranco Fini chiude la maratona in Aula sul processo breve 1. Una giornata senza gravi incidenti e con l'opposizione che avendo esaurito il tempo a disposizione poco ha potuto fare nella sua battaglia per far cadere la maggioranza in qualche votazione. L'ultima "trappola" è stata la richiesta di voto segreto su un un emendamento presentato da Di Pietro ma la maggioranza ha retto (anzi ha conquistato sei voti dello schieramento avversario) anche, e soprattutto, grazie alla presenza compatta e assidua dei ministri e dei sottosegretari. E allora, mentre all'esterno della Camera i familiari delle vittime delle tante tragedie 2 che hanno funestato il Paese facevano sentire le loro voci, alle opposizioni non è rimasto altro che scegliere di far emergere il proprio dissenso in altri modi: i deputati del Pd hanno votato tenendo in mano una copia della Costituzione, la stessa dalla quale ieri avevano letto uno per uno gli articoli, mentre quelli dell'Idv hanno innalzato dei cartelli con, fra l'altro, le scritte "Rogo Thyssen, nessuna giustizia"; "Crac Parmalat, nessuna giustizia"; "Santa Rita, nessuna giustizia" riferendosi ai processi che, dopo l'applicazione

della legge, avranno una prescrizione breve prevista dall'articolo tre della legge che ora passa al Senato.

LE IMMAGINI 3

LA SCHEDA 4

Ovvia la soddisfazione del presidente del Consiglio: se la legge passa in Senato, si vedrà prescritto il processo Mills. "Finalmente una legge che ci mette al passo con l'Europa" è stato il commento di Berlusconi ai deputati che lo hanno chiamato dopo il voto. Il Cavaliere, in verità, dopo la preoccupazioni è sembrato sollevato dalla tenuta della maggioranza bloccata a 314 voti ma che nel suo ottimismo il presidente del Consiglio continua a vedere proiettata verso quota 330. "Noi siamo compatti, loro no", il commento soddisfatto del Cavaliere. "Una macchina da guerra", ha chiosato il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. Al quale ha fatto subito coro Umberto Bossi contestato al grido di "venduto" venduto" fuori dal Palazzo. "I numeri ci sono - ha detto il Senatur - il governo va avanti. Non sono 330 ma sempre meglio di niente". Quanto alle accuse di aver fatto un'amnistia, il leader leghista è sbrigativo: "Sono tutti trucchetti, giochi di prestigio della sinistra. Hanno fatto una battaglia alla morte, non sapevano più cosa dire e hanno tirato fuori la storia dell'amnistia...". Però a chi gli chiedeva se la Lega aveva votato con piacere questa legge il ministro ha risposto: "Abbiamo votato...".

Dall'opposizione invece parole di fuoco. "Oggi il governo nella coscienza degli italiani ha compiuto un passo verso l'abisso", ha detto Pier Luigi Bersani, soddisfatto però per la battaglia condotta. "Ora - ha aggiunto - sta a noi far comprendere la vergogna di questo provvedimento, l'assoluto disprezzo del governo verso i problemi veri del paese mentre ha messo il massimo impegno sul processo di Berlusconi. Per me questo rimarrà un marchio indelebile della Legislatura". Anche il finiano Italo Bocchino va all'attacco: "E' stato triste vedere la Camera dei deputati bloccata alla presenza di tutti i membri del governo al solo fine di far prescrivere il processo Mills prima della più che probabile condanna di Berlusconi in primo grado". E Antonio Di Pietro sarcastico: "Ai tempi miei c'erano due tipi di imputati: chi andava ad Hammamet per sfuggire ai giudici e chi veniva in procura. Berlusconi ha inventato il terzo tipo, quello che va in Parlamento e si fa le leggi per non farsi processare".

E anche i magistrati e avvocati fanno sentire il loro dissenso. "Valuteremo eventuali forme di

protesta, ma soprattutto faremo sentire la nostra voce illustrando le ricadute che queste norme avranno sul sistema", ha detto il presidente dell'Anm Luca Palamara. Mentre l'Unione delle camere penali in una nota parla di una normativa "illogica ed erronea prima ancora che evidentemente ispirata da ragioni che non tutelano il bene comune".

(13 aprile 2011)

 

LA PROTESTA

"Il nostro dolore non va in prescrizione"

La rabbia dei familiari delle vittime

Numerose associazioni e comitati che hanno manifestato in piazza Montecitorio. Slogan, striscioni, appelli. E tanti cartelli con i volti delle vittime de L'Aquila, della tragedia di Viareggio, della Moby Prince. Poi la richiesta: "Continuate la protesta con noi" di CARMINE SAVIANO

"Il nostro dolore non va in prescrizione" La rabbia dei familiari delle vittime

ROMA - Emanuela, Claudio, Luca. Stefania e Lorenzo, Nadia. Mouhamed, Davide, Andrea. Quando, durante il sit-in in piazza Montecitorio, i familiari delle vittime iniziano a leggere i nomi dei loro cari, non si muove più nulla. Quasi non si respira più. Tutti raccolti, tutti rapiti da quell'elenco di nomi che va avanti per più di 15 minuti. Vite interrotte dal terremoto de L'Aquila, dall'incidente ferroviario di Viareggio, dal rogo della Moby Prince. Vittime che a causa delle norme su processo e prescrizione breve, rischiano di restare senza giustizia. I cartelli, gli slogan, sono tanti. Il senso, sempre lo stesso: "Pur di approvare il salvacondotto giudiziario per Silvio Berlusconi, si passa sopra il dolore e la legittima richiesta di giustizia di molti".

LE IMMAGINI 1

IL VIDEO 2

Libertà e Giustizia, Articolo 21, il Popolo Viola. E con loro esponenti del Pd, dell'Italia dei Valori, di Sinistra e Libertà. E poi della Federazione della Sinistra, di Futuro e Libertà. Insieme ai comitati delle vittime dei familiari delle tragedie passate e recenti della storia d'Italia. Per un pomeriggio che ha portato in strada, a pochi passi dalla

Camera dei Deputati, l'indignazione per l'ultima legge ad personam per salvare il premier dai processi che lo riguardano. "Il nostro dolore non va in prescrizione. Che paese è questo? Un paese i cui rappresentati sono in grado di approvare queste norme, non è un paese democratico". E ancora: "Vogliamo sbattere in faccia a questa gente la nostra rabbia. Dove sono i cattolici del Popolo delle Libertà? Dov'è la loro morale, la loro etica pubblica".

Domande che passano di bocca in bocca. E che danno vita a un coro di dissenso che punta il dito contro la maggioranza parlamentare. C'è chi indossa cartelli con i volti dei familiari che ha perso. Chi intona l'Inno di Mameli, Bella Ciao, Và pensiero. Accolti dagli applausi, intervengono tanti esponenti dell'opposizione, dentro e fuori il Parlamento. Antonio Di Pietro racconta quello che è successo in aula poche ore prima. "Abbiamo presentato un emendamento per salvare i processi che riguardano i vostri familiari. Niente. Non l'hanno neanche preso in considerazione". L'indignazione sale. Tanti non hanno neanche più la forza di commentare. "Non è possibile, non ce la facciamo più. Ci hanno riempito di bugie, hanno promesso che fare giustizia era una delle loro priorità. E invece sacrificano tutto sull'altare del sultano". Parole dure, condivise.

Tanti parlamentari dell'opposizione arrivano per salutare i comitati e le associazioni. Per manifestare loro vicinanza e comprensione. Giuseppe Giulietti, Giovanni Bachelet, Antonio Boccuzzo. Le discussioni sono tante. E uno Speaker's Corner improvvisato accoglie decine di interventi. "Il governo ci sta facendo a pezzi. Ci calpesta. Ogni giorno ci portano via un pezzo di dignità, un po' di vita". In tanti invitano a continuare la mobilitazione, renderla permanente. I militanti del Popolo Viola sono in prima fila. "Siamo qui da una settimana. Non molliamo, resteremo qui finché sarà necessario". E non mancano i fuori programma. Come quando dal portone della Camera esce Daniela Santanché. Accolta da un coro di "vergogna" e "dimettiti". Stessa accoglienza per ogni parlamentare di Pdl e Lega intercettato dai manifestanti.

Poco prima delle 18, la decisione di non spostarsi. Di restare all'esterno della Camera e di non arrivare al Pantheon, come era stato preventivato. "Vogliamo essere visibili. Devono sapere che siamo qui fuori, con il nostro dolore, mentre loro approvano l'ennesima legge che fa gli interessi del loro capo". Poi la notizia dell'approvazione dell'articolo 3 del disegno di legge, la norma che accorcia i tempi di prescrizione per gli incensurati, la "salva premier". La piazza esplode: "Ci hanno scippato, hanno deciso che il nostro dolore non avrà mai giustizia". Poi il messaggio dei comitati ai rappresentanti delle associazioni: "Continuate la protesta con noi. Non lasciateci soli come ha fatto il governo". La risposta è unanime: "Resteremo qui, a oltranza".

(13 aprile 2011)

 

 

Diretta

Processo breve, la Camera approva

Passa l'articolo salva premier

Processo breve, la Camera approva Passa l'articolo salva premier

Il ddl passa con 314 voti favorevoli e 296 contrari. Il testo torna adesso al Senato. Il voto dopo due giorni ad altissima tensione, con il Pd a fare ostruzionismo a tutto campo. Approvato il taglio della prescrizione per gli incensurati. Giachetti attacca Fini: "Da quando Pdl e Lega l'hanno criticata lei è il peggior presidente possibile". Poi Bersani lo smentisce: "Ha esagerato". La Malfa chiede di cambiare ordine del giorno e rinviare la discussione ma la proposta è stata bocciata con 18 voti di scarto. No anche alla proposta di evitare la prescrizione per gli accusati dei crolli dell'Aquila. Berlusconi alla stampa estera: "Libererò il Paese dai giudici"

(Aggiornato alle 21:53 del 13 aprile 2011)

21:53 Santanché: importantissimo separare incensurati da recidivi 94 – "Vorrei parlare di principi. Questa è una norma importantissima, che esiste in tutti i Paesi civili perché finalmente separa gli incensurati dai recidivi": è quanto afferma Daniela Santanché, Sottosegretario all'attuazione del programma di Governo, ospite stasera di Exit, su La7, commentando la legge sul processo breve, approvata oggi alla Camera

21:52 Stime toghe: a rischio 15mila processi 93 – Stime ufficiali non ce ne sono, né da parte del Csm e nemmeno dall'Associazione nazionale magistrati. Ma tra le toghe si ritiene "attendibile" l'ipotesi che sarebbero all'incirca 15mila i processi destinati all'estinzione per effetto della prescrizione breve. A finire sotto la mannaia delle nuove norme sarebbero innanzitutto i reati contro la pubblica amministrazione, a cominciare dalla corruzione, come ha sottolineato il Csm nel suo parere al provvedimento. Ma anche quelli di evasione fiscale, come ha evidenziato oggi il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini

21:50 Granata: dopo vergogna mai nelle grandi città con il Pdl 92 – "Dopo la vergogna di stasera, mai nelle grandi città con il Pdl". Lo afferma il deputato di Fli Fabio Granata commentando il via libera della Camera al testo sulla prescrizione breve. "Siamo ormai in emergenza democratica"

21:45 Paniz: condannati dovrebbero stare fuori Parlamento 91 – "Io penso che le persone condannate non debbano entrare in Parlamento". Lo ha detto il deputato del Pdl Maurizio Paniz rispondendo ai manifestanti che in piazza Montecitorio lo interpellavano sul caso di Cesare Previti. Paniz uscito da Montecitorio si è fermato in piazza a parlare ai manifestanti riuniti in sit-in contro il processo breve, nonostante i fischi e le contestazioni. Quindi è salito sul palco da loro allestito e ha risposto ad alcune domane spiegando che "la norma non avrà effetti sui processi di Viareggio e L'Aquila"

21:42 Palamara: sconfitta per lo Stato 90 – "E' una sconfitta per lo Stato". Così il presidente dell'Anm Luca Palamara commenta ancora il voto con cui la Camera ha licenziato la prescrizione breve. "Così si affossa definitivamente il processo. Si rinuncia ad accertare l'eventuale responsabilità o innocenza di un imputato e contestualmente si nega la giustizia alle vittime di un reato"

21:41 Ferrero: governo difende i delinquenti, in generale 89 – "L'approvazione della norma salva Berlusconi sulla prescrizione breve significa una cosa sola: il governo oltre agli evasori fiscali difende i delinquenti in generale". Lo afferma Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista

21:23 Ferranti: schiaffo alla legalità pur di salvare premier 88 – "E' uno schiaffo alla legalità: pur di salvare Berlusconi si elargiscono premi processuali anche per reati molto gravi. E' un incentivo a ricercare scorciatoie processuali per farla franca in spregio delle regole e dei diritti delle parti lese. Peraltro si crea una giustizia di classe dove chi ha i mezzi per tirare alla lunga il processo resterà impunito". Così la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti

21:21 Palamara: toghe si faranno sentire, Alfano fuori realtà 87 – "Ci saranno forme di protesta" da parte della magistratura associata contro la prescrizione abbreviata approvata dalla Camera. Lo ha preannunciato il presidente dell'Anm Luca Palamara, sottolineando che le toghe "faranno sentire la propria voce" sul processo breve. "Continueremo a fare - ha aggiunto a margine del Festival del giornalismo a Perugia - quello che abbiamo fatto in tutti questi anni. Nei quali, purtroppo, ci siamo occupati di leggi annunciate o promulgate non nell'interesse di tutti ma solo per risolvere situazioni contingenti". Quanto all'intervento del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che ha minimizzato l'impatto della nuova legge, Palamara lo ha definito "fuori della realtà perché non tiene conto di quella dei tribunali italiani"

21:14 Brambilla: ci sono i numeri per fare le riforme 86 – "Anche oggi la maggioranza ha dimostrato coesione e compattezza. Ci sono i numeri per andare avanti e per realizzare le riforme", è il commento del ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, dopo il voto alla Camera sul processo breve

21:12 Terminato il sit-in davanti Montecitorio 85 – Si è sciolto il sit-in organizzato dal Popolo Viola a piazza Montecitorio per protestare contro il processo breve. I manifestanti hanno da poco abbandonato la piazza dandosi appuntamento "davanti al Senato quando la norma verrà discussa lì"

21:10 Anm: prescrizione breve non passerà vaglio costituzionalità 84 – Il taglio della prescrizione per gli incensurati, inserito nella proposta di legge sul processo breve approvata stasera alla Camera, "difficilmente potrà reggere al vaglio di costituzionalità". Lo ha affermato il segretario dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini, ospite di 'Otto e mezzo' su la7. Cascini ha ricordato il "vincolo internazionale" cui l'Italia è legata avendo sottoscritto la convenzione Onu contro la corruzione, con la quale "lo Stato italiano si impegna a garantire la persecuzione di tali reati". Il secondo problema è che "l'esigenza di circoscrivere l'applicazione ottenendo gli effetti sul singolo processo porta con sé un fatto grave, la violazione del principio di eguaglianza". Il fatto di limitare gli effetti della prescrizione breve escludendo i procedimenti già andati a sentenza di primo grado riproduce una norma inserita nella legge Cirielli "già dichiarata incostituzionale".

21:07 Verdini: Pdl macchina da guerra 83 – "Il Pdl ha dimostrato di essere una macchina da guerra". E' quanto dichiara il coordinatore del partito Denis Verdini. "In questi due giorni durissimi - aggiunge - la maggioranza ha sempre tenuto, è stata dimostrata la coesione del Pdl e di tutta la maggioranza". Il coordinatore ha poi negato che ci siano divisioni nel partito e ha per certi versi 'minimizzato' il moltiplicarsi delle cene. "Anche io stasera ho una cena, è quella organizzata da Cicchitto per ringraziare del grande lavoro fatto in questi giorni"

21:02 Sit-in: Razzi traditore, quanto ti hanno dato? 82 – "Razzi voltagabbana, Razzi traditore. Quanto ti hanno dato?". Queste le parole, rivolte al deputato Antonio Razzi, gridate al megafono dal sit-in contro il processo breve in corso a piazza Montecitorio. Razzi è passato di recente dall'Italia dei Valori a 'Noi, Sud' e infine è confluito nel gruppo dei 'Responsabili'

20:59 Popolo viola annuncia: sit-in permanente al Senato 81 – Il Popolo viola annuncia il sit-in permanente al Senato, quando il testo della legge sulla prescrizione breve sarà in discussione a Palazzo Madama

20:58 Gasparri: Berlusconi, giusto difendersi forzando leggi 80 – "Berlusconi farebbe male se non si tutelasse davanti a giudizi faziosi, prevenuti e condotti forzando le norme dello stato vigente. Io se fossi in lui lo utilizzerei perché colpito da un modo fazioso e illegale di esercitare le azioni giudiziarie nei suoi confronti. Il problema qui è non fare lotta politica abusando della funzione di magistrato" . Lo ha detto il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri stasera alla Zanzara di Radio 24 dopo il si della Camera al processo breve.

20:52 Bindi: Cicchitto piduista, l'ho detto e lo rivendico 79 – La seduta sul processo breve ha un'appendice che coinvolge ancora una volta Rosy Bindi. La vicepresidente della Camera viene accusata dal Pdl di aver gridato 'P2, P2' durante l'intervento di Cicchitto. Nel rispondere al Pdl prima legge la biografia di Cicchitto da wikipedia. Quindi replica alle critiche: "Ho ritenuto giusto gridare la verità perché credo che in questa aula nessuno può permettersi di strumentalizzare le parole di Aldo Moro. Quelle parole ('non ci faremo processare nelle piazz') furono pronunciate qui e furono pronunciate da una persona che aveva la dignità per farlo. Il martirio di Aldo Moro è la prova della sua dignità. Nessuno se ne può appropriare in maniera strumentale e indegna e tanto meno se nel 1980 era iscritto alla P2"

20:49 Bersani: splendida battaglia, sempre così 78 – "Noi abbiamo fatto una splendida battaglia che ha avuto un risultato indiscutibile". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, dopo il voto della Camera sul processo breve. "Una legge che doveva passare in silenzio - ha spiegato Bersani - nel giorno della visita di Berlusconi a Lampedusa, è stata messa sotto gli occhi degli italiani per una settimana, usando gli strumenti che il regolamento ci consente. Faremo sempre così"

20:47 Granata: oggi demolita Giustizia, unire opposizioni 77 – Il deputato di Fli Fabio Granata commenta così l'approvazione alla Camera del processo breve: "Hanno demolito il sistema della Giustizia italiana. Dobbiamo unire le opposizioni"

20:46 Penalisti bocciano prescrizione breve 76 – "Una normativa illogica ed erronea prima ancora che evidentemente ispirata da ragioni che non tutelano il bene comune". L'Unione delle Camere Penali ha bocciato seccamente la prescrizione breve appena approvata dalla Camera. "L'ipotesi di accorciamento dei tempi di prescrizione dei reati per gli imputati incensurati - si legge in una nota dei penalisti - si iscrive nella stessa logica che a suo tempo portò alla emanazione della così detta legge ex Cirielli, un prodotto legislativo talmente scadente da essere rinnegato dal suo stesso primo proponente"

20:44 Montecitorio: manifestanti listano bandiere a lutto 75 – I manifestanti all'esterno della Camera hanno listato le loro bandiere a lutto. "Oggi muore un pezzo di democrazia" si legge sui cartelli. E parte il coro: "Fate schifo, fate schifo"

20:42 Bossi: scarcerazioni, giochi prestigio della Sinistra 74 – "Sono tutti giochi di prestigio della Sinistra che ha fatto questa battaglia alla morte". Lo ha detto il leader della Lega, Umberto Bossi, rispondendo alla domanda dei cronisti dopo il voto in Aula a proposito del timore di scarcerazioni a seguito del processo breve

20:41 Bossi contestato fuori Montecitorio 73 – "Bossi venduto, Bossi venduto". Con questo coro la folla, radunata davanti a Montecitorio per protestare contro il provvedimento per il processo breve, ha accolto il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, all'uscita dopo il voto in Aula

20:39 Gelmini: si rassegnino, avanti fino a 2013 72 – "Anche oggi è stato dimostrato con i fatti che esistono due rappresentazioni della realtà. Una, falsa, nella quale il governo sarebbe debole, preso dalle lotte intestine e senza numeri parlamentari. L'altra, quella vera, nella quale vi è una larga maggioranza parlamentare, che è coesa e in grado di proseguire senza timori sulla strada delle riforme". Lo ha sottolineato, in una nota, il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, dopo l'ok della Camera al ddl che introduce la prescrizione abbreviata per gli incensurati. "Si rassegnino: il governo Berlusconi durerà fino al 2013, così come vuole la maggioranza degli italiani"

20:39 Bossi: 314, abbiamo buoni numeri 71 – "I numeri ci sono, sono numeri buoni". Lo dice Umberto Bossi, lasciando l'aula di Montecitorio dopo l'approvazione del processo breve

20:38 Bersani: governo, passo verso l'abisso 70 – ''Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso. Ora sta a noi far comprendere la vergogna di questo provvedimento che dimostra l'assoluto disprezzo verso i problemi veri del Paese". Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani commenta il via libera alla Camera sul processo breve

20:35 Bocchino: maggioranza salva premier ma non riforma Paese 69 – "Con l'approvazione della prescrizione breve, il governo ha dimostrato di avere i numeri in Parlamento solo per distruggere e non per costruire e riformare il Paese. Il problema non è avere i numeri, ma decidere che cosa farne e possibilmente utilizzarli per l'Italia". Lo dichiara il vicepresidente di Futuro e Libertà, Italo Bocchino, che aggiunge: "E' stato triste vedere la Camera dei deputati bloccata alla presenza di tutti i membri del governo al solo fine di far prescrivere il processo Mills prima della più che probabile condanna di Berlusconi in primo grado"

20:29 Perina al sit-in: con ddl introdotta Giustizia di classe 68 – Flavia Perina, ex direttore del Secolo d'Italia e parlamentare di Futuro e Libertà, ha fatto visita al sit-in all'esterno di Montecitorio per portare la solidarietà di Fli alle famiglie delle vittime del terremoto dell'Aquila e della strage ferroviaria di Viareggio. "Questo è un provvedimento - ha detto ai manifestanti la Perina - che introduce una giustizia di classe"

20:23 Processo breve, Camera approva: 314 voti favorevoli, 296 contrari 67 – La Camera ha approvato il ddl sulla prescrizione breve con 314 voti favorevoli e 296 contrari. Presenti 610 deputati. Il testo torna al Senato

20:19 Concluse le dichiarazioni, inizia il voto alla Camera 66 –

20:18 Cicchitto: il vero scandalo è persecuzione premier 65 – "Ormai qualunque provvedimento riguardante la giustizia può sfiorare Berlusconi dal momento che dal 1994 è sottoposto a un inusitato bombardamento giudiziario. Il vero scandalo è la persecuzione ad personam di cui è vittima Berlusconi". Lo ha detto il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, durante le dichiarazioni di voto alla Camera sul ddl sul processo breve. "Nella vicenda 'Mani Pulite' tutti erano coinvolti, ma la Dc è stata distrutta, la sinistra no. C'è da parte di alcune procure un uso improprio della giustizia", ha concluso Cicchitto.

20:16 Coro "P2" a Cicchitto da banchi Pd 64 – "P2, P2". Così i deputati del Partito Democratico hanno contestato il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, nel corso delle dichiarazioni di voto sul processo breve. Sul finire dell'intervento di Cicchitto, quando il capogruppo Pdl ha avvertito "non ci faremo processare nelle piazze", un coro di "P2" è partito dai banchi dei democratici

20:10 Fassino: amnistia mascherata, vergogna 63 – Il 'processo breve' è una "amnistia mascherata" pensata solo per "evitare che il presidente del Consiglio sia sottoposto a giudizio". Lo ha detto Piero Fassino alla Camera, pronunciando la dichiarazione di voto a nome del Pd sul provvedimento voluto dal governo. "Tutto questo perché? - ha detto Fassino - per una semplice ragione che hanno capito tutti gli italiani: occorre evitare che il presidente del Consiglio sia sottoposto a giudizio. E' l'unica ratio di questo provvedimento. Vergogna voi, non a noi (dice replicando ai deputati del centrodestra, ndr). E ci arrivate dopo che avete tentato in ogni modo di fare altre leggi ad personam". Questo per fassino è "un provvedimento che scassa la certezza del diritto", una legge voluta da un "governo screditato nel Paese, sempre di più"

20:04 Lussana (Lega): unica amnistia fatta da Sinistra 62 – "L'unica vera amnistia l'ha fatta il governo di sinistra". Carolina Lussana replica così, durante le dichiarazioni di voto sul processo breve alla Camera, alle accuse delle opposizione sulla norma che accorcerà la prescrizione. "Avete raccontato falsità, fatto sciacallaggio persino sulle vittime del disastro ferroviario di Viareggio e su quelle dell'Aquila". Una norma, quella "contro la durata indeterminata dei processi", che per l'esponente leghista "è richiesta dall'Europa" ed eviterà le sanzioni che Bruxelles commina all'Italia per l'eccessiva lunghezza dei procedimenti. Ma all'opposizione Lussana contesta di aver "rifiutato il confronto sulla giustizia, come in ogni occasione", di sfruttare l'argomentazione dei procedimenti a carico di Berlusconi "per bloccare ogni riforma".

19:54 Finocchiaro: "Processo breve in Senato solo dopo altri provvedimenti" 61 – "Non accetteremo che il processo breve in Senato venga discusso e votato prima che vengano discussi e votati i provvedimenti sulla corruzione e sulla sicurezza pubblica". Lo ha detto Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd a Repubblica Tv.

19:48 Casini: "La legge non reggerà" 60 – "Il processo breve è rimasto fermo per un anno, ma quando si è capito che poteva servire, si è paralizzato il Parlamento per quattro settimane. Questa legge non reggerà le verifiche successive sul piano costituzionale che dovrà affrontare". Lo ha detto il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, durante le dichiarazioni di voto.

19:39 Casini, "Eletti all'opposizione con poltrone dal governo: giudicheranno gli italiani" 59 – "Il giudizio morale e politico su chi, essendo eletto all'opposizione, finisce per spartirsi qualche poltrona di governo, lo daranno gli italiani, non lo dobbiamo dare noi". Così Pier Ferdinando Casini, leader Udc, inizia la sua dichiarazione di voto sul processo breve.

19:31 Della Vedova: "Lavorate per assolvere i colpevoli" 58 – "Avete un unico obiettivo, garantire la prescrizione di qualche processo. Lavorate per assolvere i colpevoli". Lo ha detto il capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà, Benedetto Della Vedova, durante le dichiarazioni di voto alla Camera.

19:27 Anche Api e La Malfa voteranno no 57 – Voteranno no al ddl sul processo breve anche Giorgio La Malfa e i parlamentari di Api

19:23 Palamara: "I magistrati faranno sentire la loro voce" 56 – Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, ha dichiarato che l'organismo valuterà "eventuali forme di protesta" in caso di approvazione delle norme sul cosiddetto processo breve, ma soprattutto farà sentire la sua voce".

19:21 Della Vedova: "Fli ha votato compatto emendamento Idv" 55 – "I deputati di Futuro e Libertà hanno votato compattamente a favore dell'emendamento dell'idv sottoposto a voto segreto. Siamo un partito aperto, aperto anche alla discussione interna, ma fatto di persone leali che esprimono pubblicamente il loro dissenso, senza ricorrere alla protezione dell'ipocrisia o del segreto. Ogni altra considerazione è superflua". Così Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli alla camera.

19:17 Di Pietro: "Berlusconi come il Marchese del Grillo" 54 – "Vi apprestate a deliberare un'altra sconcezza, dopo quella secondo cui Ruby 'rubacuori' è la nipote di Mubarak". Lo ha detto il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, durante le dichiarazioni di voto alla Camera sul ddl sul processo breve. Che ha aggiunto: " "Berlusconi è come il marchese del Grillo che dice 'io sono io e voi...La verità è una e una sola: Berlusconi Fa politica per motivi giudiziari. Ai tempi miei c'erano due tipi di imputati uno che veniva in procura e un altro che si dava latitante e scappava ad Hammamet. Berlusconi ha inventato il terzo tipo di imputato: tra San Vittore e Montecitorio lui ha pensato che si sta meglio a Montecitorio che a San Vittore".

19:13 Pd al voto con la Costituzione in mano 53 – Dopo la staffetta costituzionale di ieri, il Pd torna a invocare il rispetto della carta. Lo farà al momento del voto sul processo breve alzando in aula la costituzione. Ad ognuno dei deputati del gruppo alla Camera è stata consegnata una copia della carta dalla copertina tricolore.

19:00 Processo breve, al via le dichiarazioni di voto 52 – Sono iniziate, nell'aula di Montecitorio, con diretta tv, le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari in merito al ddl sul processo breve. Il voto finale è previsto per le ore 20.30.

18:47 Minoranze linguistiche: "Voteremo no" 51 – Le minoranze linguistiche voteranno no al disegno di legge contenente le norme sulla prescrizione e il processo breve. Lo ha annunciato in Aula Karl Zeller della Svp.

18:34 Franceschini: "Voto segreto? Sui miei metto la mano sul fuoco" 50 – 'Sui miei deputati metto non una mano sul fuoco, ma tutte e due. Così Dario Franceschini, capogruppo del Pd, commenta l'aumento dei voti della maggioranza fino a 316 durante uno scrutinio segreto sul processo breve. "Sono in sei - ha detto Franceschini - ad aver votato con la maggioranza. Sui deputati del Pd non ho dubbi. Chi sia stato lo si capisce, ma io non sono sleale da attribuire ad altri questo voto".

18:26 Urla in piazza Montecitorio: "Vergogna, mafiosi" 49 – 'Vergogna, mafiosi. Questo il boato che si è levato da piazza Montecitorio dove è in corso il sit in organizzato dal popolo viola contro il processo breve. I cori dei manifestanti sono iniziati quando è giunta in piazza la notizia dell'approvazione del taglio della prescrizione per gli incensurati

18:25 Processo breve cambia nome, ora è "ddl prescrizione" 48 – Non più disegno di legge sul processo breve ma ddl in tema di prescrizione. Il testo paniz, nell'aula della camera, cambia ufficialmente nome passando da "misure per la tutela del cittadino contro durata indeterminata dei processi" a "disposizioni in materia di spese di giustizia, danno erariale, prescrizione e durata del processo".

18:11 Terminato esame processo breve, ora voto sugli ordini del giorno 47 – L'Aula della Camera ha concluso l'esame degli articoli del disegno di legge sul cosiddetto processo breve. Ora è previsto il voto sugli ordini del giorno, quindi alle 19 avranno inizio le dichiarazioni di voto sul provvedimento, prima del voto finale, previsto tra le 20 e le 20,30.

17:59 Familiari vittime: "Giustizia negata" 46 – "Lo Stato non ha protetto i nostri figli e ora ci nega anche la giustizia, ci nega anche la possibilità di sapere perchè sono morti". A parlare è Sergio Bianchi, papà di uno dei tanti giovani morti durante il terremoto dell'Aquila, che oggi sta partecipando al sit-in contro il processo breve organizzato dal popolo viola in piazza Montecitorio.

17:58 Il sit in resta a Montecitorio 45 – Il sit-in di protesta per il processo breve non si trasferisce al Pantheon ma rimane davanti a Montecitorio in attesa del voto serale sul provvedimento.

17:25 Cicchitto: "Opposizione ridicolizzata" 44 – L'esito del voto a scrutinio segreto su un emendamento dell'idv al ddl sul processo breve, "ridicolizza l'opposizione" visto che è stato bocciato con 316 voti, ossia sei in più rispetto alla quota toccata dalla maggioranza con lo scrutinio palese. Lo ha detto il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto

16:48 Via libera al taglio della prescrizione per gli incensurati 43 – Via libera dell'Aula della Camera all'articolo 3 del testo sulla prescrizione breve. L'articolo, considerato il "cuore" del provvedimento in quanto accorcia i tempi della prescrizione per gli incensurati, è passato con 306 sì e 288 no. Rispetto alle votazioni a scrutinio palese, dove la maggioranza non ha mai superato quota 310, quindi, al centrodestra sono arrivati almeno sei voti in più.

16:33 Berlusconi attacca l'ostruzionismo dell'opposizione 42 – Il Consiglio dei ministri si è tenuto nell'intervallo dei lavori dell'Aula di Montecitorio a causa "dell'ostruzionismo delle opposizioni". Così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

16:29 Massiccia presenza del governo 41 – In Aula è massiccia la presenza della maggioranza e del governo mentre diversi banchi vuoti si registrano tra le file dell'opposizione, tanto che nelle prime votazioni lo scarto è oscillato tra i 30 e i 20 voti.

16:12 Insultata la Santanchè 40 – Venduta, vergogna, fai il bunga bunga". E poi insulti pesanti con l'offerta di dieci euro corredata dalla frase "prenditi pure queste". Daniela Santanchè è stata oggetto di aggressioni verbali davanti Montecitorio dove il Popolo Viola sta manifestando contro il processo breve.

16:12 Sit in a Montecitorio 39 – "Vergogna, vergogna" questi i cori che si levano dal sit-in organizzato a Montecitorio dal Popolo Viola contro "l'amnistia mascherata del processo breve". In piazza si sono radunate alcune centinaia di persone che intonano anche l'inno di Mameli.

16:09 Via all'esame degli emendamenti 38 – E' ripreso l'esame degli emendamenti al terzo articolo del testo sul processo breve.

15:32 Pd: "Saremo in piazza a sostegno associazioni vittime" 37 – "Oggi pomeriggio dalle 15.45 fino alla ripresa dei lavori di un Parlamento in ostaggio delle necessità di Berlusconi, saremo in Piazza Montecitorio per manifestare insieme alle associazioni delle vittime che con il processo breve vedranno calpestato la loro legittima aspirazione a ricevere giustizia nel nostro paese". Lo dicono il responsabile Sicurezza del Pd Emanuele Fiano e Jean Leonard Touadì componente del Pd in commissione Giustizia in una dichiarazione congiunta.

15:18 Berlusconi tranquillo in vista del voto: "Siamo a quota 330" 36 – Silvio Berlusconi è ottimista sul voto di questa sera sul processo breve. Lo stesso premier - lo riferisce chi ha avuto modo di parlargli direttamente tra ieri sera e questa mattina - si è definito "tranquillo sul voto a Montecitorio". Per il Cavaliere, dunque, "la maggioranza terrà. Siamo a quota 330".

15:17 Bersani: "Doppia vergogna, si fanno solo leggi così" 35 – Pier Luigi Bersani è tornato a criticare duramente il disegno di legge sul processo breve. "E' una doppia vergogna che si facciano leggi così, e solo leggi così, perchè non si riesce a parlare d'altro", ha detto il segretario del Pd durante una conferenza stampa alla Camera. "Noi siamo con la gente dell'Aquila per la ricostruzione e vicini alle famiglie delle vittime della strage di Viareggio", ha aggiunto, "e vogliamo finalmente pensare all'Italia".

15:15 Granata: "Pdl e Lega non parlino più di legalità" 34 – "Il vergognoso appiattimento da parte dei parlamentari provenienti da An sul processo breve, senza un sussulto di dignità neanche su emendamenti finalizzati a superare problemi relativi ai procedimenti di corruzione o di salvaguardia ai familiari delle vittime del terremoto de L'Aquila, rappresenta la certificazione oggettiva che la grande tradizione legalitaria della destra italiana è rappresentata ormai solo da Futuro e Libertà". Lo dice Fabio Granata, deputato Fli.

15:06 Twitter aquilani: "Camera piena di marchettari" 33 – In occasione della protesta dei terremotati aquilani davanti a Montecitorio contro il processo breve che manderà assolti i responsabili dei crolli, l'indignazione viaggia anche su Twitter con gli aggiornamenti dal sit in. Si scopre così, ad esempio, che Antonietta Centofanti, presidente di uno dei comitati dei parenti delle vittime, ha gridato al parlamentare del Pdl Paniz: "Qui dentro ci sono solo dei marchettari che servono il padrone".

14:39 Via al Cdm contingentato 32 – È cominciato alle 14.35 il consiglio dei ministri Una riunione dai tempi 'contingentati' perché si svolge nella pausa delle votazioni sul processo breve a montecitorio.

14:38 Berlusconi: "Ricandidarmi? Dipende dai sondaggi" 31 – Dipenderà dai sondaggi. Silvio Berlusconi ha risposto così ai cronisti della stampa estera che ieri sera, durante la cena con alcuni corrispondenti stranieri, gli chiedeva se avesse intenzione di presentarsi nuovamente come candidato premier alle elezioni nel 2013.

14:09 Idv: "Sacrificati processi per salvare Berlusconi" 30 – Italia dei valori annuncia che "la battaglia per impedire il sacrificio di miglialia di processi importanti solo per salvare una sola persona non finisce" con il voto della Camera di stasera sul processo breve.

14:08 La resa di Franceschini: "Abbiamo fatto il massimo" 29 – "Questo provvedimento doveva essere approvato in un giorno e mezzo tre settimane fa e l'impegno delle opposizioni ha tenuto aperto di fronte al Paese il più possibile questa vergogna. Abbiamo la coscienza di aver fatto ogni cosa come avremmo dovuto fare per impedirne l'approvazione". Lo ha affermato il capogruppo del Pd alla Camera Dario Franceschini, al termine della Conferenza dei capigruppo, a proposito del disegno di legge sul cosidddetto processo breve.

14:03 Certezza su voto finale dovuta a esaurimento tempo opposizione 28 – La certezza sulla possibilità di votare il provvedimento sul processo breve entro le 20.30 nasce dalla constatazione che le opposizioni hanno terminato i tempi di intervento a loro disposizione.

14:01 Bersani scarica Giachetti: "Su Fini ha esagerato" 27 – "Giachetti ha esagerato un po' e comunque il suo non era un giudizio globale sulla presidenza, ma su un passaggio particolare della conduzione d'aula". Così il segretario Pd, Pierluigi Bersani, smorza la polemica nata da un attacco del deputato Pd Roberto Giachetti al presidente della Camera Gianfranco Fini.

13:57 Capigruppo stabiliscono voto finale entro le 20.30 26 – Entro le 20.30 l'Aula della Camera voterà il disegno di legge sul processo breve. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Alle 19 inizieranno le dichiarazioni di voto con diretta televisiva, che dovrebbero terminare entro le 20,30. Il calendario finale è stato fissato con l'intesa delle opposizioni che hanno ormai terminato i tempi a loro disposizione per intervenire. Dalle 16 dunque partiranno a raffica i voti sugli 84 emendamenti restanti e i 223 ordini del giorno.

13:53 Sospesa seduta Montecitorio, si riprende alle 16 25 – Sono sospesi i lavori alla Camera sul ddl sul processo breve. Riprenderanno alle 16, dopo il Question Time. In mattinata, dopo l'ostruzionismo dell'opposizione sul processo verbale, è stata messa ai voti una serie di emendamenti.

13:49 Berlusconi: "Libererò il Paese dai giudici" 24 – Se voi non capite che in Italia c'è una guerra con la magistratura significa che non avete capito nulla di questo Paese... Silvio Berlusconi, incontrando ieri sera alcuni corrispondenti stranieri, è tornato ad attaccare i giudici: hanno in mano il Paese, la mia missione è quella di liberare l'Italia dai giudici, ha ripetuto più volte il Cavaliere. Il presidente del Consiglio ha usato di nuovo, riferiscono le stesse fonti, le parole cancro e metastasi per descrivere il potere di alcuni Pm.

13:37 Vittime delle stragi a sit in davanti Montecitorio con popolo viola 23 – "Perché, per salvare un uomo solo lasciate impuniti assassini, stragisti e violentatori?". E' questo uno dei messaggi che il 'popolo viola' porterà davanti a Montecitorio nel sit-in organizzato a partire dalle 15 "insieme a tutti i parenti delle vittime dei processi i cui reati verranno prescritti grazie alla norma sulla prescrizione breve: i crolli per il terremoto dell`Aquila, la strage di Viareggio, i parenti dei morti per l`amianto, i consumatori ingannati dai crack parmalat e cirio, le vittime di violenza sessuale, le vittime di violenza sui minori e tanti altri", scrive il blogger gianfranco Mascia.

13:27 Menia: "Pronta ricompensa per voto Responsabili" 22 – "Subito dopo il passaggio del processo breve scatteranno sei-sette nomine al governo per i Responsabili". Lo denuncia il coordinatore nazionale di Futuro e Libertà, Roberto Menia. "I Responsabili - afferma Menia - acquisirebbero tra Camera e Senato sei o sette posti di governo, il che è sproporzionato alla loro dimensione". Secondo Menia, ai Responsabili sarebbe arrivata una garanzia sulle nomine, che verrebbero attuate appena incassato il voto sul processo breve. "Sarebbe chiaramente la lettura risibile - ha notato il finiano - del pagamento dell'intera operazione".

13:15 Maggioranza boccia emendamento sull'Aquila 21 – Il Pd chiede ai parlamentari della maggioranza di sostenere l'emendamento al processo breve che stralcia dal provvedimento i reati legati a stragi come quella dell'Aquila. "C'è l'occasione evitando di votare contro questo emendamento o non partecipando al voto di stralciare almeno i reati commessi da chi ha causto la morte di cittadini innocenti a L'Aquila. Fatelo per i cittadini dell'Aquila", ha detto il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, in aula. L'emendamento è stato sottoscritto anche da Idv e Fli. Ma l'invito non è stato seguito dalla maggioranza che ha boocciato l'emendamento.

13:04 Di Pietro: "Alfano riferisca in aula su effetti processo breve" 20 – "Chiediamo formalmente al ministro Alfano di impegnarsi quanto prima a riferire in Parlamento sugli effetti che questa legge produce nel sistema giustizia". Lo ha affermato in Aula il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro.

13:03 Bossi ottimista: "Passa tutto, ci sono i numeri" 19 – Il leader della Lega Umberto Bossi è "fiducioso" sull'esito della discussione alla Camera sul processo breve. "Passa, passa tutto - dice Bossi - e il governo ha i numeri".

13:01 Convocata Capigruppo per ipotesi voto notturno 18 – Nuova conferenza dei capigruppo della Camera sul processo breve. L'appuntamento è per le 13,30, quando la seduta dell'aula sarà sospesa. Tra le ipotesi vi è lo slittamento notturno per il voto finale sul provvedimento.

12:11 Reguzzoni (Lega): "Opposizione fa disinformazione" 17 – Sul ddl che introduce il processo breve, in discussione alla Camera, "l'opposizione sta facendo disinformazione". A dirlo è il capogruppo della Lega a Montecitorio, Marco Reguzzoni, che sottolinea il fatto che queste norme "renderanno i processi italiani più celeri". Ora infatti sono "troppo lunghi" e, dice Reguzzoni, "è la comunità internazionale a chiederci tempi più rapidi".

12:07 Sereni: "Pd darà battaglia anche al Senato" 16 – "Abbiamo annullato tutti gli impegni, tutte le iniziative sul territorio, siamo qui in Parlamento pronti a rimanere tutto il tempo necessario per impedire, se possibile, che la norma sulla prescrizione breve sia approvata alla Camera. In ogni caso, continueremo la nostra battaglia in Senato". Lo afferma Marina Sereni, vicepresidente dell'Assemblea nazionale del Pd, ospite stamane degli studi di Radio Città Futura.

12:02 Vendola: "Si vuole sancire principio ineguaglianza" 15 – "Oggi in Parlamento si vuole portare a compimento un delitto che è quello di sancire il principio di ineguaglianza, ovvero chi è ricco e potente non deve essere sottoposto al controllo di legalità". Lo ha dichiarato Nichi Vendola. "Il Parlamento - ha aggiunto - è impegnato nella costruzione di una gigantesca prepotenza: sottrarre il presidente Berlusconi al dibattimento che riguarda il caso Mills e siamo di fronte al rischio di mandare in fumo processi importanti che vedono tutta l'Italia in attesa di conoscere la verità. Invece oggi, di fronte al Parlamento, centinaia di parenti di vittime di tante stragi guarderanno il luogo delle Istituzioni e della democrazia e i loro occhi saranno un giudice implacabile verso una classe dirigente corrotta che chiede per sè impunità".

11:59 Dopo schermaglie, si entra nel vivo 14 – Dopo quasi due ore di ostruzionismo e schermaglie regolamentari, sono cominciate in aula alla Camera le votazioni su emendamenti e articoli sul processo breve.

11:48 Aula boccia proposta inversione odg con 18 voti di scarto 13 – L'aula della Camera ha bocciato la richiesta di Giorgio La Malfa di rinviare l'esame del processo breve per una inversione dell'ordine del giorno. La maggioranza ha avuto 18 voti di vantaggio.

11:46 Fini: "No a più tempo, ma opposizioni saranno tutelate" 12 – L'opposizione non avrà più tempo per i suoi interventi sul processo breve. Lo ha annunciato in aula il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha affermato che "applicando rigorosamente le norme regolamentari e alla luce della pronuncia della Giunta del Regolamento" non è possibile concedere un ampliamento dei tempi per le opposizioni nonostante la loro richiesta. Fini ha citato i precedenti ed ha comunque garantito al vicecapogruppo Pd Michele Ventura che la preoccupazione di avere tempo per dichiarare il dissenso dal gruppo a titolo personale "verrà tutelata dalla presidenza". Ma ha anche richiamato i deputati di opposizione: "per esprimere il dissenso dal gruppo a titolo personale, serve il conseguente voto dissenziente dal gruppo", altrimenti si tratta di pur legittimo ostruzionismo.

11:33 Bagnasco: "Su temi giustizia serve maggiore serenità" 11 – E' necessario "un clima di maggiore serenità, altrimenti non si arriva da nessuna parte". Lo ha detto il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, interpellato a margine di un convegno sul processo breve, sul duro confronto in atto alla Camera. Bagnasco non ha voluto entrare nel merito e, alla domanda se le misure in discussione pongano le basi per una reale riforma della giustizia, ha risposto che "queste sono questioni tecniche".

11:27 Giachetti: "Stima immutata per Fini" 10 – "Il mio intervento di oggi era riferito ad una situazione parlamentare nella quale ha assunto delle scelte che non condivido ma che rispetto, e ho voluto soltanto metterle in fila per dimostrare come quello che viene detto ogni giorno dalla maggioranza, cioè che lui è squilibrato a favore dell'opposizione, è un film ed una menzogna. Se Fini si è infatti assunto delle responsabilità in queste due o tre settimane sono tutte responsabilità nelle quali il piatto della bilancia pende dalla parte della maggioranza e non dell'opposizione. E' chiaro che in giorni di stress e di nervosismo ho pronunciato un discorso duro ma che non mette minimamente in discussione la stima ed il rispetto che nutro per il presidente della Camera". Così il deputato del Pd Roberto Giachetti ridimensiona la portata del suo scontro con FIni di questa mattina.

11:24 Ripreso esame su testo dopo processo verbale 9 – Dopo la sfilza di interventi dei deputati del Pd sul processo verbale, l'Aula della Camera ha ripreso l'esame del testo sulla prescrizione breve. Ieri sera si è tenuta una seduta notturna, e oggi appare probabile che per il voto finale si vada a tarda sera, considerato che l'opposizione non intende allentare il proprio ostruzionismo.

10:42 Conclusi interventi su processo verbale 8 – Sono terminati alla Camera gli interventi dell'opposizione sul processo verbale della seduta di ieri. "Il processo verbale si intende approvato", ha annunciato il presidente dell'Assemblea di Montecitorio, Gianfranco Fini, spiegando poi che 58 deputati sono in missione e passando al proseguimento dell'esame del ddl sul processo breve.

10:29 Maran: "Venti anni sprecati per salvare Berlusconi" 7 – "Quasi vent'anni trascorsi per tentare di risolvere esclusivamente i problemi di Berlusconi e ancora ieri, oggi e domani, sono all'ordine del giorno del Parlamento la prescrizione breve, il processo lungo, le intercettazioni... Altro che riforme liberali, altro che rivoltare L'Italia come un calzino, altro che riforma epocale della giustizia o scossa all'economia... ". Lo ha ricordato Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd, intervenendo a Omnibus su La7.

10:22 Da Pd e Idv interventi a raffica su processo verbale 6 – L'ostruzionismo dell'opposizione sul ddl sul processo breve alla Camera è iniziato con gli interventi in serie dei deputati del Pd e dell'Idv sul processo verbale della seduta di ieri. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha assegnato per questi interventi 15 secondi a testa.

10:14 Il Pd contro Fini: "Dopo critiche peggior presidente possibile" 5 – In avvio di seduta polemica del Pd contro il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il deputato Roberto Giachetti ha attaccato il leader del Fli per le sue recenti decisioni sull'andamento dei lavori. "Da quando la Lega e il Pdl l'hanno criticata, lei si è comportato come il peggiore presidente" ha detto Giachetti che ha invece difeso l'operato di Rosy Bindi. Immediata la difesa di Fini da parte del leader Udc Pierferdinando Casini: "Sono allibito di fronte all'intervento di Giachetti. Lei presiede impeccabilmente, mentre ciascuno la vuole tirare dalla propria parte. Il suo intervento, Giachetti, è completamente fuori luogo perchè dimostra una concezione del parlamento per cui il presidente si difende solo se fa ciò che ci fa comodo, mentre il presidente deve essere terzo".

10:12 Dalla Capigruppo no ad ampliamento tempi opposizione 4 – L'opposizione non avrà un ampliamento dei tempi di intervento in aula sul processo breve. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo che si è riunita stamattina alla Camera, dopo la seduta notturna di ieri che ha visto la maggioranza criticare l'operato del presidente di turno Rosy Bindi per aver concesso 15 secondi di tempo per interventi a titolo personale ai deputati della minoranza.

10:10 Idv: "Andremo avanti con l'ostruzionismo" 3 – "Oggi andremo avanti con l'ostruzionismo, che in questo caso non è di semplice testimonianza, ma è concreto e finalizzato a obiettivi. Più tardi arriva questa legge meno effetti produce e meno potrà essere utilizzata per i processi del presidente del Consiglio". Lo ha detto Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd, intervenendo a "La Telefonata", su Canale 5, in merito al ddl sul processo breve, che oggi dovrebbe concludere il suo iter alla Camera.

10:09 Nella notte polemiche contro Rosy Bindi 2 – Polemiche nel corso delal seduta notturna per la decisione della vicepresidente Rosy Bindi di concedere 15 secondi ciascuno a titolo personale ai deputati di opposizione, malgrado i tempi si fossero esauriti.

10:08 Previsto in serata il voto finale 1 – E' previsto stasera alle 20 il voto finale sulla prescrizione breve. Ieri giornata convulsa alla Camera, con l'ostruzionismo dell'opposizione, e i deputati del Pd che leggevano articoli della Costituzione. I lavori dell'Aula sono proseguiti fino alle 23.30.

(13 aprile 2011)

 

SCHEDA

Processo e prescrizione breve

ecco le norme e le conseguenze

La legge voluta dalla maggioranza fissa "termini di fase" per ciascun grado del giudizio e accorcia i tempi per l'azzeramento dei reati. Per opposizione e magistratura si tratta di "una sostanziale amnistia"

Processo e prescrizione breve ecco le norme e le conseguenze Il plenum del Csm

ROMA - Quantità e qualità. La norma sul processo breve nelle valutazioni tanto dell'opposizione quanto della magistratura ha la duplice, gravissima, colpa di gettare un colpo di spugna non solo su un'enorme quantità di processi, ma anche di andare a colpire oltre ai procedimenti a carico del premier, anche quelli per reati particolarmente gravi e socialmente rilevanti. Tra questi ultimi l'inchiesta sui crolli seguiti al terremoto dell'Aquila, quello per la strage di Viareggio con 32 vittime e 38 indagati tra cui l'ad di Fs, Mauro Moretti, quello per il Crac Parmalat, con 100mila risparmiatori truffati e 22 persone imputate per bancarotta e associazione a delinquere, oltre a una serie di banche indagate e imputate, il processo per il Crac Cirio, il processo Eternit di Torino (dove ci sono quasi 3.000 parti offese) e quello per lo scandalo rifiuti a Napoli.

Quanto ai grandi numeri, proiezioni realizzate tanto dal Consiglio superiore della magistratura quanto dall'Associazione nazionale magistrati denunciano che la luova legge fortemente voluta da Pdl e Lega sarà nella sostanza un'amnistia mascherata con oltre 15.000 reati azzerati da un giorno all'altro e l'azzeramento di migliaia e migliaia.

Si tratta dell'effetto dell'elemento portante del nuovo testo 1approvato lo scorso gennaio dal Senato. Anche se viene comunemente chiamato ancora "processo breve", in realtà il cuore del provvedimento

è la norma sulla prescrizione che, se approvata, estinguerà anche il processo Mills che vede imputato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

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Queste, in sintesi, le novità introdotte dal ddl: via la norma transitoria.

Il testo uscito dalla commissione Giustizia della Camera ha modificato profondamente quello arrivato da Palazzo Madama innanzitutto cancellando la contestatissima norma transitoria che applicava il limite massimo per ogni fase del processo anche ai processi in corso, relativi a reati puniti con pena inferiore a 10 anni di reclusione e commessi fino al 2 maggio 2006.

Termine massimo per ogni fase del processo ma senza estinzione.

La commissione presieduta dalla finiana Giulia Bongiorno inoltre ha confermato i "termini di fase" per ciascun grado del giudizio, diversamente articolati in funzione della gravità del reato: per i reati puniti con pena inferiore a dieci anni: tre anni per il primo grado; due anni per l'appello; un anno e sei mesi in fase di Cassazione; un anno per ogni ulteriore grado del processo nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione. Per i reati puniti con pena superiore: rispettivamente, quattro anni, due anni e un anno e sei mesi e un anno. Per reati di particolare allarme sociale, tra i quali quelli di mafia e terrorismo: cinque anni, tre anni, due anni e un anno e sei mesi. Tuttavia, il testo approdato in Aula non prevede l'estinzione del processo nel caso di 'sforamento' dei termini previsti dal provvedimento, bensì una comunicazione da parte del capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che procede al ministro della Giustizia e al procuratore generale presso la corte di Cassazione.

Prescrizione breve.

Nel corso dell'esame in commissione è stato approvato un articolo aggiuntivo del relatore Maurizio Paniz (Pdl) che modifica l'articolo 161 del codice penale in materia di effetti dell'interruzione della prescrizione del reato. Quando la prescrizione viene interrotta, in seguito agli atti previsti dall'articolo 160 del codice penale, il termine di prescrizione già decorso viene meno e comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell'interruzione. Nel testo targato Pdl si pongono limiti al prolungamento del tempo necessario a prescrivere per gli incensurati: nell'articolo 161 del codice penale vigente un reato è prescritto una volta trascorsi gli anni del massimo della pena prevista da quel reato più un quarto (della pena stessa); con il nuovo articolo 161 si passa da un quarto ad un sesto. Fanno eccezione i reati di grave allarme sociale di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater (mafia, terrorismo e altri delitti ad essi assimilati), del codice di procedura penale.

Reati contabili. Nei giudizi davanti alla corte dei conti il processo si estingue se, dall'atto di citazione, sono trascorsi più di 3 anni senza che sia stato emesso il provvedimento che definisce il giudizio di primo grado. Un termine che scende a 2 anni in caso di appello.

(13 aprile 2011)

 

 

RUBYGATE

"Notti da incubo ad Arcore

Ecco la verità sul bunga bunga"

Altre due ragazze raccontano ai pm i dettagli sulle serate nella villa di Berlusconi. Ci andarono il 22 agosto 2010, il giorno dopo essere state "provinate" da Emilio Fede. Le barzellette sconce del premier, i giochini a sfondo erotico, i balli delle giovani seminude, la lap dance della Minetti. Tutto alla presenza della presunta "fidanzata" del premier

di PIERO COLAPRICO, GIUSEPPE D'AVANZO, EMILIO RANDACIO

"Notti da incubo ad Arcore Ecco la verità sul bunga bunga" Chiara Danese

Altre due ragazze raccontano l'autentica "eleganza" delle notti di Arcore. A questo punto ci sono cinque giovanissime donne - testimoni dirette - che smentiscono la narrazione minimalista e fantasiosa di Silvio Berlusconi, il premier a giudizio per concussione e prostituzione minorile. Sono tutte e cinque estranee al giro della Dimora Olgettina, al mondo dello spettacolo e alla "scuderia" di Lele Mora. Le ultime due, in ordine di tempo, sono giovanissime. Si chiamano Ambra Battilana e Chiara Danese. Sono invitate a Villa San Martino il 22 agosto del 2010. Quel giorno, Ambra, che è nata il 15 maggio 1992, ha diciotto anni, tre mesi e sette giorni. Chiara, nata il 30 giugno 1992, ha diciott'anni, un mese e ventidue giorni. Quando le incontra, Silvio Berlusconi le chiamerà "le mie bambine". Il 4 aprile scorso Ambra e Chiara, con i loro avvocati, hanno presentato alla procura della Repubblica di Milano una "memoria" su quanto è avvenuto quella notte. Hanno confermato i loro ricordi in un interrogatorio, lunedì. Bisogna subito raccontare perché - solo ora e dopo otto mesi - Ambra e Chiara decidano di uscire allo scoperto, consapevoli "di essere finite - sono le loro parole - in fatti più grandi di noi". Ascoltiamole. Chiara: "Io non avevo alcuna intenzione di parlare. Mi sono sentita costretta dal clamore che ha assunto il caso e soprattutto dal fatto che nel mio paese, che è Gravellona, in provincia di Verbania, sono ingiustamente considerata una escort. È una denigrazione

sulla bocca di tutti, sono continuamente infastidita da telefonate anonime".

"È una situazione che mi fa soffrire molto e ho deciso di ribellarmi a un'immagine di me che non mi corrisponde". A scandalo scoppiato, racconta ai pubblici ministeri, Chiara prova a chiedere un consiglio a Emilio Fede: è stato lui a invitare le due giovanissime amiche a Villa San Martino.

Chiara: "All'inizio Fede mostra di non ricordare chi fossi, quando glielo ricordo mi dice in modo sarcastico, anzi in malo modo, se volevo dei "soldini". Mi chiede se volessi insinuare che lui mi aveva toccato, io rispondo che voglio soltanto parlargli di persona, non entro nel merito. Gli dico: "Voglio dei consigli, come devo fronteggiare questa situazione?". Fede è seccato, promette di richiamarmi ma non lo farà... Un altro motivo che mi ha spinto a prendere questa decisione è la posizione che ha assunto pubblicamente il presidente del Consiglio Berlusconi. In più occasioni ha definito "cene eleganti" le sue. Beh, per quanto mi risulta avevano tutt'altra natura. Per di più ha difeso proprio quelle ragazze che, quella notte, avevano avuto gli atteggiamenti più sconvenienti, mentre non ha ritenuto di spendere una parola a favore mio e di Ambra".

Ambra: "Oggi se digito il mio nome e cognome su Google, sono associata al bunga bunga e al processo in corso, anche se, con Chiara, sono stata una sola volta ad Arcore e pensando di partecipare a una normale cena e per di più a casa del presidente del Consiglio. Ora invece vengo associata a "trentadue prostitute" pur essendomi comportata in modo del tutto corretto. Il mio agente mi ha consigliato l'avvocato Patrizia Bugnano, ho saputo solo successivamente che è anche un deputato dell'Italia dei Valori. È uno stimato professionista e per di più è donna".

Chiara: "Apprendo solo in questo interrogatorio che l'avvocato di Ambra è deputato. A dir la verità, non so esattamente che cosa significa essere deputati e non so che cosa sia l'Idv. Non c'è stata alcuna interferenza, la memoria è frutto di ciò che abbiamo visto e vissuto io e Ambra", precisano le due ragazze, rispondendo ai pubblici ministeri Pietro Forno e Antonio Sangermano.

Ora i fatti. Sono le 23 del 22 agosto 2010. Ambra e Chiara hanno appena finito le selezioni di Miss Piemonte (Ambra è prima, Chiara è terza). Emilio Fede, che il giorno prima le ha "provinate" come meteorine, le invita nella residenza del Cavaliere. Si possono trascurare i dettagli dell'ingresso a Villa San Martino e dell'attesa del ritorno dallo stadio di San Siro del premier e del direttore del Tg 4. Il racconto può cominciare da quando Berlusconi entra in scena.

Ambra: "... Entriamo in casa e ci troviamo di fronte il presidente Silvio Berlusconi. Tiene in mano due vassoietti. Sopra ci sono degli anelli. Lui dice che sono di Tiffany, ma io mi accorgo che è semplice bigiotteria. Berlusconi li offre in dono. In quel momento arrivano tantissime ragazze. Noto Roberta Bonasia. Tutte cominciano a prendere i doni dai vassoietti, le ragazze hanno un atteggiamento molto confidenziale con il presidente. Sono elettrizzate. Il presidente si presenta a me e a Chiara e si mostra contento di vederci. Ci dice che siamo belle. Ci ricopre di complimenti. Chiede qualcosa della nostra vita personale. È evidente l'attrazione che Berlusconi ha per me e Chiara. È così evidente che Emilio Fede gli dice, infastidito: "Tu mangia nel piatto tuo che io mangio nel piatto mio". Ci è chiaro che per Fede io ero destinata a Berlusconi, Chiara a lui".

Chiara: "La serata prosegue con la cena. Ci sediamo tutti a tavola, siamo più o meno quindici. Con Fede e Berlusconi, me e Ambra, ricordo Roberta Bonasia; Maristhell Polanco che avevo visto in televisione a "Colorado cafè"; le due gemelline napoletane (Eleonora e Imma De Vivo), che avevo visto all'Isola dei Famosi; una ragazza che si presenta con il nome di Lisa, di origine cubana, subito mostra un'attenzione omosessuale nei miei confronti; una signora bionda alta e riccia, che durante la serata canta; una signora prosperosa; una ragazza mora abbastanza alta, quella che ho poi riconosciuto essere Nicole Minetti; due ragazze nere, piuttosto volgari e abbigliate in modo indecente, quando le ho viste ho subito pensato che fossero due prostitute; un signore piuttosto alto che non ci fu presentato; un altro ragazzo che suonava una pianola e un'altra signora non giovanissima, di circa 50 anni. Ambra poi mi disse che Lisa le confidò subito di essere lesbica".

Ambra: "Marysthell mi dice che se Berlusconi mi avesse notato, mi avrebbe fatto fare una bella carriera... Emilio Fede mi spiega che le due gemelline napoletane per partecipare alla cena avrebbero ricevuto una ricompensa di tremila euro ciascuna".

Chiara: "Durante la cena Emilio Fede è seduto tra me e Ambra, di fronte a Fede c'è Berlusconi, seduto tra Roberta Bonasia e Lisa. Emilio Fede per tutto il tempo tocca le gambe a me e ad Ambra. Ero a disagio, in imbarazzo, scambiavo sguardi d'intesa con Ambra".

Ambra: "Berlusconi guarda insistentemente me e Chiara. Ci dedica canzoni che interpreta lui stesso, in francese e in italiano. Ci chiama "bimbe" e suscita il visibile risentimento di Roberta Bonasia, che gli si butta continuamente addosso baciandolo. Quella sera il presidente non mangia niente e racconta molte barzellette particolarmente sconce, così sconce che io mangio di malavoglia, tanto era irritante il contenuto. Ma tutti ridevano a crepapelle e, a un certo punto, parte la canzoncina "E meno male che Silvio c'è" e tutte le ragazze cominciano a ballare e cantare intorno al tavolo. Io e Chiara ci guardiamo imbarazzate, come per dirci: "Ma dove siamo finite?". E dire che il peggio deve ancora arrivare perché dopo quindici minuti che siamo seduti a tavola, alcune delle ragazze scoprono i seni, li offrono al bacio di Berlusconi. Toccano il presidente nelle parti intime. Si fanno toccare. Anche Roberta Bonasia tocca ripetutamente nelle parti intime Berlusconi. Mentre accade questo, le ragazze cantano ancora "meno male che Silvio c'è", chiamano il presidente "papi" e Berlusconi chiama tutte noi "le mie bambine, le mie bimbe"".

Chiara: "Dopo l'ennesima barzelletta oscena, Berlusconi fa portare una statuetta. É uno specie di guscio. Dal guscio esce un omino con un pene grosso. La statuetta ha dimensioni di una bottiglietta d'acqua da mezzo litro. Il pene è visibilmente sproporzionato. Berlusconi fa girare la statuetta tra le ragazze. E chiede loro di baciarne il pene. Le ragazze cominciano a far girare la statuetta. Ne baciano il pene e simulano un rapporto orale. O se lo avvicinano ai seni scoperti. Tutti ridono. Io e Ambra non ci prestiamo al gioco indecente. Ci sorprende che anche la Bonasia, che il presidente ha presentato a tutti come la sua fidanzata, si presti. È in quel momento che la serata prende una direzione molto diversa da come l'ho immaginata. Le ragazze, visibilmente allegre, cominciano ad avvicinarsi al presidente, si fanno baciare i seni, lo toccano. È una specie di girotondo, le ragazze si dimenano, lo toccano di nuovo, lo stesso fanno con Emilio Fede. A un certo punto il presidente, visibilmente contento, chiede: "Siete pronte per il bunga bunga?". Le ragazze in coro urlano: "Siii". Io e Ambra non sappiamo che cosa sia questo bunga bunga, anche se dopo la statuina lo intuiamo. Sono agitata, mi sento male...".

Ambra: "Chiara chiede a Emilio Fede se può avere una camomilla perché si sente male. Siamo scioccate, Fede cerca di rassicurarci. Ci invita a rimanere tranquille, mentre Berlusconi ci invita a fare un giretto nella villa. Ci mostra una sala con delle statuette di mucche colorate, mi pare in ceramica, e nella stessa sala ci sono palloncini e cartelloni inneggianti a Berlusconi, del tipo "Viva Silvio". Poi ci porta a vedere una saletta del tipo discoteca, con al centro un palo da lap-dance. Mentre camminiamo, Berlusconi, che sta dietro di noi, ci tocca i glutei, ci palpeggia il sedere. Né io né Chiara lo abbiamo invitato a desistere, anche se ci siamo irrigidite, facendogli capire che non eravamo d'accordo con quanto stava facendo. Al piano superiore Berlusconi ci mostra una spa con piscina e palestra e ci dice che, la prossima volta, avrebbe organizzato una festa in piscina, per stare più in intimità con noi e conoscerci meglio".

Chiara: "Nella piccola discoteca con il palo al centro e i divanetti tutto intorno, e nell'angolo un dj, le ragazze iniziano a ballare in modo piuttosto volgare. Si tirano su la gonna. Mostrano il sedere. Alcune sono vestite da infermiere, come le gemelline di Napoli e la Bonasia, che tiene in mano anche un frustino. I vestitini da infermiera sono molto corti, da crocerossina, con i bordi rossi, il cappellino, i seni molto scoperti e con la biancheria intima in mostra. Anche le ragazze non travestite da infermiera tirano su i vestiti, mettono in mostra fondoschiena e seni. Ballando si avvicinano a Berlusconi, lo toccano e si fanno toccare, è il gioco che il presidente definisce bunga bunga".

Ambra: "Ricordo che anche Marysthell mostra i glutei, Emilio Fede mi dice che ha vinto una qualche gara di bellezza per il suo fondoschiena. Anche le due gemelle napoletane mostrano il seno nudo. A un certo punto Nicole Minetti si esibisce in uno spettacolo di lap-dance. Indossa uno di quei vestiti che si tolgono a strappo. Rimane completamente nuda ballando al palo, senza reggiseno e mutandine. Dopo essersi denudata, si avvicina a Berlusconi e ballando in maniera provocante avvicina il sedere al viso del presidente. Girandosi gli avvicina i seni alla bocca, il presidente le bacia i seni. Le ragazze tentano di coinvolgerci in questa danza, istigate da Fede e Berlusconi. Sento dietro di me frasi del tipo: "Ma che sono venute a fare quelle due?". Tutte le ragazze ci stanno intorno, ci toccano, ci prendono, tentano di toglierci i vestiti, ci toccano un po' dappertutto".

Chiara: "Fede e Berlusconi incitano le ragazze a coinvolgerci nel gioco, dicono: "Dai, spogliatele... dai, spogliatele... spogliatevi... ballate...". A quel punto siamo letteralmente terrorizzate. Vogliamo soltanto andarcene, ma non sappiamo come fare. È evidente a tutti il nostro disagio. Ci facciamo coraggio, andiamo da Fede e gli diciamo: "Vogliamo assolutamente andare via". Accanto al direttore c'è il presidente Berlusconi. Sente chiaramente la richiesta di Ambra. Emilio Fede risponde: "Se volete andare via, va bene. Ma non pensate di poter fare le meteorine o miss Italia"".

Ambra: "Berlusconi, seduto accanto a Fede, annuisce senza però dire una parola. Tanto che ne ricavo l'impressione che sia perfettamente d'accordo con Fede. A quel punto usciamo dalla villa insieme con Fede, che ci accompagna con la macchina guidata dal suo autista a piazzale Loreto. Fede, che si era mostrato molto seccato nei nostri confronti, quasi anticipando la nostra protesta, ci dice in macchina, alla presenza dell'autista, che avevamo fatto benissimo a comportarci così. Che avevamo superato una prova. Che non eravamo come le altre ragazze, tutte puttane. Che eravamo le "favorite" del presidente e avremmo fatto una bella carriera. Io e Chiara rimaniamo sbigottite".

(13 aprile 2011)

 

 

 

LA PROTESTA

"Il nostro dolore non va in prescrizione"

La rabbia dei familiari delle vittime

Numerose associazioni e comitati che hanno manifestato in piazza Montecitorio. Slogan, striscioni, appelli. E tanti cartelli con i volti delle vittime de L'Aquila, della tragedia di Viareggio, della Moby Prince. Poi la richiesta: "Continuate la protesta con noi" di CARMINE SAVIANO

"Il nostro dolore non va in prescrizione" La rabbia dei familiari delle vittime

ROMA - Emanuela, Claudio, Luca. Stefania e Lorenzo, Nadia. Mouhamed, Davide, Andrea. Quando, durante il sit-in in piazza Montecitorio, i familiari delle vittime iniziano a leggere i nomi dei loro cari, non si muove più nulla. Quasi non si respira più. Tutti raccolti, tutti rapiti da quell'elenco di nomi che va avanti per più di 15 minuti. Vite interrotte dal terremoto de L'Aquila, dall'incidente ferroviario di Viareggio, dal rogo della Moby Prince. Vittime che a causa delle norme su processo e prescrizione breve, rischiano di restare senza giustizia. I cartelli, gli slogan, sono tanti. Il senso, sempre lo stesso: "Pur di approvare il salvacondotto giudiziario per Silvio Berlusconi, si passa sopra il dolore e la legittima richiesta di giustizia di molti".

LE IMMAGINI 1

IL VIDEO 2

Libertà e Giustizia, Articolo 21, il Popolo Viola. E con loro esponenti del Pd, dell'Italia dei Valori, di Sinistra e Libertà. E poi della Federazione della Sinistra, di Futuro e Libertà. Insieme ai comitati delle vittime dei familiari delle tragedie passate e recenti della storia d'Italia. Per un pomeriggio che ha portato in strada, a pochi passi dalla

Camera dei Deputati, l'indignazione per l'ultima legge ad personam per salvare il premier dai processi che lo riguardano. "Il nostro dolore non va in prescrizione. Che paese è questo? Un paese i cui rappresentati sono in grado di approvare queste norme, non è un paese democratico". E ancora: "Vogliamo sbattere in faccia a questa gente la nostra rabbia. Dove sono i cattolici del Popolo delle Libertà? Dov'è la loro morale, la loro etica pubblica".

Domande che passano di bocca in bocca. E che danno vita a un coro di dissenso che punta il dito contro la maggioranza parlamentare. C'è chi indossa cartelli con i volti dei familiari che ha perso. Chi intona l'Inno di Mameli, Bella Ciao, Và pensiero. Accolti dagli applausi, intervengono tanti esponenti dell'opposizione, dentro e fuori il Parlamento. Antonio Di Pietro racconta quello che è successo in aula poche ore prima. "Abbiamo presentato un emendamento per salvare i processi che riguardano i vostri familiari. Niente. Non l'hanno neanche preso in considerazione". L'indignazione sale. Tanti non hanno neanche più la forza di commentare. "Non è possibile, non ce la facciamo più. Ci hanno riempito di bugie, hanno promesso che fare giustizia era una delle loro priorità. E invece sacrificano tutto sull'altare del sultano". Parole dure, condivise.

Tanti parlamentari dell'opposizione arrivano per salutare i comitati e le associazioni. Per manifestare loro vicinanza e comprensione. Giuseppe Giulietti, Giovanni Bachelet, Antonio Boccuzzo. Le discussioni sono tante. E uno Speaker's Corner improvvisato accoglie decine di interventi. "Il governo ci sta facendo a pezzi. Ci calpesta. Ogni giorno ci portano via un pezzo di dignità, un po' di vita". In tanti invitano a continuare la mobilitazione, renderla permanente. I militanti del Popolo Viola sono in prima fila. "Siamo qui da una settimana. Non molliamo, resteremo qui finché sarà necessario". E non mancano i fuori programma. Come quando dal portone della Camera esce Daniela Santanché. Accolta da un coro di "vergogna" e "dimettiti". Stessa accoglienza per ogni parlamentare di Pdl e Lega intercettato dai manifestanti.

Poco prima delle 18, la decisione di non spostarsi. Di restare all'esterno della Camera e di non arrivare al Pantheon, come era stato preventivato. "Vogliamo essere visibili. Devono sapere che siamo qui fuori, con il nostro dolore, mentre loro approvano l'ennesima legge che fa gli interessi del loro capo". Poi la notizia dell'approvazione dell'articolo 3 del disegno di legge, la norma che accorcia i tempi di prescrizione per gli incensurati, la "salva premier". La piazza esplode: "Ci hanno scippato, hanno deciso che il nostro dolore non avrà mai giustizia". Poi il messaggio dei comitati ai rappresentanti delle associazioni: "Continuate la protesta con noi. Non lasciateci soli come ha fatto il governo". La risposta è unanime: "Resteremo qui, a oltranza".

(13 aprile 2011)

 

 

L'INCHIESTA

Ruby, la Procura sulle nuove testimoni

"Importanti le loro parole"

Ruby, la Procura sulle nuove testimoni "Importanti le loro parole"

ROMA - Le testimonianze di Ambra Battilana e Chiara Danese 1, le due 18enni torinesi che hanno raccontato ai pm milanesi l'altro ieri alcuni particolari delle feste nella residenza di Arcore del premier, "sono importanti per il contesto, anche se non dicono nulla di nuovo".

Lo affermano fonti della Procura di Milano. I verbali delle loro deposizioni sono stati depositati ieri e messi a disposizione delle difese di Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora.

"Queste testimonianze ci sono piovute addosso - dicono al quarto piano del Palazzo di Giustizia - e dovrebbero essere le ultime prima di chiedere il rinvio a giudizio, cosa che è nostro interesse fare il prima possibile".

I legali del premier: "Prive di fondamento". "Le nuove dichiarazioni apparse anche quest'oggi su alcuni giornali in relazione alle serate in Arcore, sono destituite di ogni fondamento e contrastano con numerosissime indicazioni di segno completamente opposto. La genesi delle dichiarazioni e i tempi appaiono davvero indicativi e ne dimostrano l'assoluta inconsistenza". E' quanto dichiarano l'avvocato Piero Longo e l'avvocato Niccolò Ghedini.

(13 aprile 2011)

 

 

 

2011-04-12

IL RETROSCENA

Il Cavaliere impone tappe forzate

"Legittima difesa, non privilegio"

Preoccupazione per assenze-vendetta legate al caos nel Pdl. Lettera del capogruppo Cicchitto: tutti presenti fino a venerdì. Lo sfogo del premier: "Queste beghe interne sono roba da prima Repubblica"

di FRANCESCO BEI

Il Cavaliere impone tappe forzate "Legittima difesa, non privilegio" Daniela Santanché, sottosegretario per l'Attuazione del Programma

ROMA - A palazzo Grazioli compulsano il calendario con ansia crescente. È una lotta contro il tempo, il Cavaliere stavolta non ammette errori o scivoloni parlamentari: pretende che la prescrizione abbreviata, quella che metterà la pietra tombale sul processo Mills, sia legge dello Stato entro la fine del mese. E manca ancora un ulteriore passaggio al Senato. Vede con preoccupazione crescere la campagna contro quella che il Csm ha già definito "un'amnistia sostanziale" e, parlando con i suoi dopo lo show al tribunale di Milano, ordina di fare presto: "Il processo europeo è la risposta a questo attacco sconsiderato dei pm. È la mia legittima difesa". Niente e nessuno potrà distoglierlo da questo obiettivo, nemmeno i segnali di preoccupazione che arrivano dal Colle. "Stavolta Napolitano non ha appigli, la legge è costituzionale. Ma se davvero non dovesse firmarla, noi la riapproveremo così com'è".

Intanto c'è preoccupazione, nello stato maggiore del Pdl, su possibili assenze strategiche di deputati da qui a mercoledì sera, quando Montecitorio dovrebbe dare il via libera al provvedimento. Mario Mantovani, che insieme a Daniela Santanché ha organizzato le truppe azzurre davanti al Tribunale, ammette che "la situazione è difficile, ma mercoledì andrà tutto bene. Anzi, molti dei nostri sono già partiti alla volta di Roma per essere presenti fin dal primo momento in aula. Siamo convinti di arrivare fino in fondo

nei tempi previsti".

Tuttavia tanta tranquillità non deve albergare nel capogruppo Fabrizio Cicchitto, che stavolta non si è limitato a mandare il solito Sms per chiedere ai suoi deputati di essere presenti. Per l'occasione ha inviato una lettera accorata ritenendo "indispensabile affrontare i prossimi giorni con coesione politica e attenzione", "senza cadere nelle provocazioni che facilmente possono emergere nell'ambito di un dibattito così lungo su un provvedimento sul quale si registra un alto livello di contrapposizione politica". Un messaggio tutto in chiave interna, da leggere alla luce delle guerre intestine in corso nel partito. Tanto che lo stesso Berlusconi, quando gli parlano della situazione interna al Pdl, da giorni assume una smorfia di disappunto. "Queste polemiche continue - è sbottato due sere fa - sono roba da prima repubblica, l'opposto del nostro modo di intendere la politica".

A complicare le cose ci sono poi i "responsabili", che ancora non hanno ottenuto dal premier i posti nel governo che sono stati promessi. E proprio oggi si vedranno con il coordinatore del Pdl Denis Verdini, addetto all'allargamento della maggioranza, che proverà a placarli almeno fino al voto di mercoledì. Proprio sulla quota che il centrodestra può raggiungere nel voto di mercoledì, Verdini si gioca la sua scommessa. Le trattative sono in corso, le voci di via dell'Umiltà parlando di un paio di deputati dell'opposizione in arrivo. Si dice persino dal Pd, anche se è dentro Fli che tutti si aspettano nuovi casi Moffa.

Intanto, nel tentativo di rendere più commestibile la norma "salva-Silvio", Jole Santelli e Manlio Contento stamattina distribuiranno a tutti i colleghi deputati del Pdl l'elenco dei reati con il relativo sconto dovuto al taglio della prescrizione. Un modo per respingere l'accusa di voler far saltare anche processi clamorosi come quello per la strage di Viareggio, Calciopoli, le truffe dei falsi invalidi, Parmalat, Antonveneta.

(12 aprile 2011)

 

IL CASO

L'Aquila, treno Viareggio, morti sul lavoro

i parenti delle vittime contro il processo breve

Mercoledì sit in, in contemporanea con il dibattito alla Camera, promosso dal Comitato per le vittime della casa dello studente del capoluogo abruzzese. "Saremo sconfitti ma vogliamo esserci. Non ci prendano in giro"

L'Aquila, treno Viareggio, morti sul lavoro i parenti delle vittime contro il processo breve Silvio Berlusconi

di CARMINE SAVIANO

ASPETTANO giustizia per i loro familiari. Che hanno perso la vita a L'Aquila dove il terremoto ha buttato giù edifici costruiti in barba alle norme sulla sicurezza. A Viareggio per quel maledetto incidente alla stazione ferroviaria, due anni fa. O a causa della mafia, delle case avvelenate dall'amianto. Aspettano giustizia, e puntano il dito contro le norme sul processo breve. Che rischiano di far saltare, oltre a quelli per Silvio Berlusconi, anche i procedimenti che riguardano i loro cari. E mercoledì 13 aprile saranno in piazza a Roma. Prima con un presidio all'esterno della Camera dei Deputati. Poi, dalle 18, con un sit in al Pantheon. Per raccontare ai cittadini le loro storie. Che, grazie al salvacondotto giudiziario per il premier, rischiano di trasformarsi in storie di ordinaria ingiustizia.

"Non ci prendete in giro". Con Repubblica.it ne parla Antonietta Centofanti, del Comitato per le vittime della Casa dello Studente dell'Aquila. E le sue parole sono nervose, amare. "Vogliamo esserci anche se sappiamo che saremo sconfitti. Vogliamo testimoniare in maniera forte e chiara il nostro dissenso nei confronti dei provvedimenti che saranno approvati alla Camera". Poi il messaggio alla maggioranza parlamentare, al governo, a Silvio Berlusconi: "Non ci prendano in giro: la riforma della giustizia non esiste. C'è solo il salvacondotto per il premier. Non è possibile, tutto questo è incredibile".

Operazioni barbariche.

E le norme sul processo breve sono l'ultimo anello di una catena fatta di proclami restati in aria e di promesse non mantenute. Il danno dopo la beffa. " Le promesse del premier? Parlano i fatti. L'Aquila non esiste: ci sono solo 19 quartieri di cartongesso. Che vengono pomposamente chiamati new town". Nessuna traccia di comunità. Nessuna condivisione di spazi. "E non ci sono servizi, non c'è possibilità di vivere insieme. La ricostruzione è stata solo un'operazione barbarica che ha azzerato la socialità".

Poi la rabbia. Perché alla loro lettera aperta, inviati a tutti i parlamentari italiani, non è arrivata nessuna risposta dalla maggioranza. Neanche un cenno. "Ma è normale - dice la Centofanti - dopo il 14 dicembre a Montecitorio non c'è più un Parlamento, non c'è politica: è puro mercimonio". E da qui che parte l'idea di mettere insieme tutte le associazioni di vittime. Cui non manca la solidarietà e il supporto di tante associazioni. Da Articolo 21 a Libertà e Giustizia, passando per il Popolo Viola, l'Arci e l'Anpi. Che mercoledì saranno in piazza con loro.

I processi a rischio. "Berlusconi continua ad andare avanti con le sue leggi ad personam - dice Gianfranco Mascia del Popolo Viola - e non si preoccupa delle migliaia di processi che verranno prescritti per salvarlo dai suoi processi". E scorrere la lista dei procedimenti a rischio, si resta senza fiato: Terremoto dell'Aquila, infortuni mortali sul posto di lavoro, Strage di Viareggio, Crac Parmalat, Crac Cirio, il processo Eternit di Torino, i rifiuti a Napoli. Tutto per "salvare Silvio Berlusconi".

(11 aprile 2011)

 

2011-04-05

IL CASO

Ruby, la Camera dice si' al conflitto

e la maggioranza "conquista" i lib-dem

Voto favorevole (con lo scarto di 12 deputati) al conflitto di attribuzione sul caso del processo a Berlusconi per le frequentazioni con la minorenne marocchina. Montecitorio rinvia il tutto alla Consulta che dovrà decidere la competenza. I Liberal Democratici e l'ex Mpa Misiti votano assieme al Pdl, Lega e "Responsabili"

Ruby, la Camera dice si' al conflitto e la maggioranza "conquista" i lib-dem

ROMA - Sì al conflitto di attribuzione per provare a togliere il processo ai giudici di Milano. In aula 314 voti a favore e 302 voti contrari. Presenti in aula, al gran completo, anche i ministri del governo (Umberto Bossi e Giulio Tremonti, Angelino Alfano, Renato Brunetta, Gianfranco Rotondi e Mara Carfagna, assieme a Mariastella Gelmini, Stefania Prestigiacomo, Paolo Romani, Giorgia Meloni, Saverio Romano, Maria Vittoria Brambilla, Franco Frattini e il titolare della Difesa, Ignazio La Russa). Mentre fuori Montecitorio divampa la protesta democratica pdl-Lega-Responsabili strappano un sì al conflitto d'attribuzione sul caso del processo a Berlusconi per le sue frequentazioni con l'allora minorenne marocchina. Per il Pd una vittoria di strettissima misura, con uno scarto "reale" di soli tre voti. Grazie, dunque, proprio ai Lib-Dem che hanno votato a favore.

L'obiettivo, raggiunto da parte della maggioranza, era quello di chiedere alla Consulta di pronunciarsi sulla competenza del tribunale dei Ministri per il processo che vede coinvolto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sottraendolo a quella dell'autorità giudiziaria di Milano.

I due deputati liberaldemocratici, Daniela Melchiorre e Italo Tanoni, che oggi sono stati ricevuti dal premier a Palazzo Grazioli, hanno votato a favore; al loro voto si è unito quello dell'ex Mpa Aurelio Misiti. Proprio questi tre voti, dicono i democratici, sono stati determinanti per la vittoria della maggioranza.

Durissima

la presa di posizione delle opposizioni. Per Dario Franceschini, capogruppo del Pd, "questa è un'altra pagina davvero vergognosa. E' straordinario vedere i banchi del governo così pieni - ha aggiunto - e un ministro degli Esteri che, in piena crisi internazionale, passa le sue giornate a votare in Aula processi verbali e oggi il conflitto di attribuzione". "I 330 voti Berlusconi se li è sognati. Non c'era la registrazione del voto, ma visto che noi dell'opposizione eravamo 312 e ci sono stati 12 voti di scarto, loro erano 314", ha spiegato. Dunque, ha insistito il capogruppo Pd alla Camera, "quello di 330 deputati è un miraggio che il premier pensa di raggiungere ma, come tutti i miraggi, si allontana".

I tre parlamentari Lib-Dem, subito dopo il voto hanno cominciato a parlare tra di loro, sempre più isolati dai colleghi delle opposizioni. "Finalmente - ha commentato un deputato del centrosinistra - hanno gettato la maschera. Alcune volte infatti non votano, altre votano con l'opposizione e adesso hanno deciso di schierarsi con il centrodestra. Vediamo quanto questa volta tengono ferma la loro posizione...". Prima che esprimessero il loro voto, deputati del Terzo Polo avevano provato a convincerli a schiacciare la lucina verde, così come il resto del centrosinistra, ma loro, imperterriti, prima hanno coperto con la mano la spia luminosa per non far vedere cosa votavano, poi, invece, non hanno più avuto alcuna remora nel far capire la loro reale intenzione.

A difendere il sì al conflitto d'attribuzione è sceso in campo prima il vicepresidente della Camera, Antonio Leone: "Il voto favorevole serve e servirà a difendere le prerogative della Camera". A dargli manforte è arrivato Marco Regazzoni, capogruppo del Carroccio alla Camera: "Dodici voti sono dodici voti e la maggioranza è la maggioranza. L'opposizione predica bene e razzola male. Era così anche nei precedenti governi". E poi, in ultimo è intervenuto il leader del Carroccio, Umberto Bossi: "Dodici voti di scarto bastano". Il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, si mostra soddisfatto per l'esito del voto: "La maggioranza cresce e continuerà a crescere" ha commentato. Secondo i calcoli fatti nel Pdl, infatti, con i due nuovi 'ingressi' di oggi, i voti a favore del governo dovrebbero essere 323: in realtà, però, si continua a conteggiare tra le fila della maggioranza Antonio Gaglione, che, sempre assente nelle ultime votazioni, non si è mai schierato ufficialmente a favore del governo. Quanto al voto di oggi, sempre secondo fonti Pdl, alla maggioranza sarebbero mancati i voti di 7 assenti.

"Il fatto che il Parlamento faccia causa alla magistratura fa oggettivamente ridere, è una forzatura operata dalla maggioranza e che è andata male anche dal punto di vista dei numeri perché hanno avuto solo pochi voti di scarto", ha detto il capogruppo di Fli alla camera, Italo Bocchino, riferendosi al voto dell'aula di Montecitorio. "Non ci sono le condizioni per il prosieguo della legislatura, sono molto meglio le elezioni anticipate - ha aggiunto Bocchino - Berlusconi ha deciso di sostituire una componente politica raccattando deputati qua e là: ne può recuperare anche altri 30 ma il problema resta". I deputati che hanno cambiato casacca? "sono mossi da alti ideali legati alla storia delle Poste italiane", ha concluso Bocchino riferendosi al caso di Maria Grazia Siliquini confluita in Fli e poi tornata nel Pdl di recente nominata nel Cda delle Poste.

E Rosi Bindi, presidente del Pd, aggiunge: "Non hanno stravinto, ma hanno avuto i voti sufficienti per offendere l'intelligenza umana, oltre al Parlamento, le leggi e la Costituzione".

(05 aprile 2011)

 

 

 

Democrazia Day, dalla rete alla piazza

Camera vota sì su conflitto di attribuzione

Democrazia Day, dalla rete alla piazza Camera vota sì su conflitto di attribuzione

Mentre in Aula la Camera vota sì al conflitto di attribuzione, per sottrarre ai giudici di Milano il processo Ruby e per investirne quindi il Tribunale dei Ministri, all'esterno di Montecitorio il Popolo Viola manifesta insieme alle opposizioni. E si andrà avanti con altre manifestazioni nella "notte bianca per la democrazia". Il Pd manifesterà a poche centinaia di metri da Montecitorio, a piazza del Pantheon. Dalle 20 a mezzanotte un happening in piazza Santi Apostoli. Sui siti di Libertà e Giustizia, Articolo 21 e Popolo Viola migliaia di adesioni. Intanto Berlusconi riunisce i capigruppo della maggioranza, presenti il ministro della Giustizia, Alfano, e Ghedini. Intanto, Il disegno di legge costituzionale di riforma della giustizia sarà entro oggi nella disponibilità del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E' quanto si apprende da fonti del ministero della Giustizia.

L'aula della Camera oggi era chiamata a esprimersi prima sul tema 'caldissimo' del conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta che la maggioranza chiedeva di sollevare contro il tribunale di Milano, contestando la competenza per il caso Ruby che coinvolge il premier Berlusconi (l'accusa è di concussione per la telefonata alla questura, a cui è seguita quella di favoreggiamento della prostituzione minorile). La votazione ha visto uno scarto di 12 sì a favore della maggioranza. Tra questi anche i Lib-Dem e l'ex Mpa, Misiti. Poi Montecitorio sarà chiamato ad esprimersi sulla legge comunitaria 2010 con dentro la norma che amplia la responsabilità civile dei giudici. Solo in coda, è prevista la ripresa dell'esame del Ddl sul processo breve, in cui è stato inserito il taglio dei tempi di prescrizione per gli incensurati.

(Aggiornato alle 16:47 del 05 aprile 2011)

16:47

Granata: Parlamento ostaggio problemi premier 46 –

"Il Parlamento è in ostaggio dei problemi giudiziari del premier. Ma le bandiere di Fli in piazza in segno di protesta e impegno civile sono un importante 'segnale di vita'". Il deputato finiano Fabio Granata commenta così il voto di oggi sul conflitto di attribuzioni per il caso Ruby. "Torniamo così - aggiunge - allo spirito antagonista alla deriva di illegalità che tiene bloccata l'Italia e costruiamo l'alternativa al Pdl e a questa maggioranza"

16:46

Davanti Montecitorio anche le bandiere di Fli 45 –

Ci sono anche bandiere di Futuro e Libertà in piazza Montecitorio dove, dalle 14, stanno manifestando il Popolo Viola assieme a Rifondazione Comunista, Sinistra e Libertà e Italia dei Valori per quella che è stata definita la giornata della Democrazia. Mancano invece bandiere del Partito Democratico che terrà una manifestazione a Piazza del Pantheon alle 18

16:45

Di Pietro alla piazza: no rivolta, Berlusconi si batte alle elezioni 44 –

E' un Antonio Di Pietro calato nella parte del pompiere quello che si è presentato alla piazza davanti a Montecitorio per spegnere gli animi dei manifestanti che protestano contro il voto dell'Aula sul conflitto di attribuzione. A chi gridava "morte al tiranno" riferendosi a Berlusconi, Di Pietro ha risposto con durezza: "Berlusconi si sconfigge andando a votare". Il leader Idv ha poi spiegato alla piazza: "Non si deve passare dalle manifestazioni di piazza alle rivolte. Noi che siamo in Parlamento dobbiamo scongiurare questa possibilità. Solo andando a votare si può evitare la rivolta sociale e gli italiani, il 12 e 13 giugno devono andare a votare"

16:43

Bonelli: da premier atto di brigatismo contro giustizia 43 –

"Berlusconi parla di brigantismo giudiziario contro di lui? Oggi il centrodestra, con il conflitto di attribuzioni nei confronti delle autorità giudiziaria sul caso Ruby, nel tentativo di garantire l'impunità al premier, ha compiuto, un atto di brigantismo contro le istituzioni, i poteri dello stato e la giustizia oltre che un'umiliazione dell'articolo 3 della Costituzione sull'uguaglianza dei cittadini difronte alla legge". Lo dice il Presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. "Mentre il Nord Africa è in fiamme, mentre la crisi economica è tutt'altro che alle spalle, l'unica priorità del governo e della maggioranza è quella di salvare Berlusconi dai processi: è ormai evidente che questa è una legislatura salva Berlusconi"

16:42

Sereni (Pd): tutto il governo in Aula per emergenza 42 –

"Il governo invece di occuparsi dei problemi degli italiani, agita lo scontro frontale con la magistratura". Marina Sereni, vicepresidente dell'assemblea Pd, a Montecitorio attacca il voto della maggioranza sul conflitto di attribuzione sul caso Ruby e sottolinea che "tutto il governo oggi era in aula per il voto, come se questa fosse l'emergenza delle emergenze"

16:40

Di Pietro: Parlamento delibera che Ruby è nipote di Mubarak 41 –

"Oggi è stato un altro giorno di ordinaria follia, come ce ne sono stati altri: il Parlamento ha deliberato qualche minuto fa che Ruby è la nipote di Mubarak". Così il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha commentato, a margine del sit-in del 'Democrazia Day' il voto sul conflitto di attribuzioni appena conclusosi a Montecitorio

16:35

Bossi: 12 voti di scarto? Bastano 40 –

"Bastano". Questa la risposta del ministro per le Riforme, Umberto Bossi, ai giornalisti che a Montecitorio gli domandavano un commento sullo scarto di soli 12 voti sul conflitto di attribuzioni sul caso Ruby

16:34

Bindi: oltre ogni decenza, governo offende italiani 39 –

"Siamo oltre ogni decenza. La maggioranza raccoglie 314 voti per offendere l'intelligenza degli italiani, oltre che il Parlamento e la Costituzione". Così la vicepresidente della Camera Rosy Bindi commenta il voto alla Camera sul conflitto di attribuzioni. "La decisione della maggioranza - aggiunge Bindi - stravolge anche i fatti, visto che l'unico elemento fattuale di una decisione che non ha nessun fondamento giuridico è che Ruby sia davvero la nipote di Mubarak"

16:30

Verdini: maggioranza cresce e continuerà a crescere 38 –

Il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, si mostra soddisfatto per l'esito del voto della Camera sul conflitto di attribuzione per il caso Ruby. Con la maggioranza, infatti, hanno votato anche i due lib-dem, Daniela Melchiorre e Italo Tanoni, che questa mattina hanno incontrato il premier Berlusconi. "La maggioranza cresce e continuerà a crescere" ha commentato Verdini. Secondo i calcoli fatti nel Pdl, con i due nuovi 'ingressi' di oggi, i voti a favore del governo dovrebbero essere 323: in realtà, però, si continua a conteggiare tra le fila della maggioranza Antonio Gaglione, che, sempre assente nelle ultime votazioni, non si è mai schierato ufficialmente a favore del governo. Quanto al voto di oggi, sempre secondo fonti Pdl, alla maggioranza sarebbero mancati i voti di 7 assenti

16:28

Bocchino: maggioranza senza numeri, meglio andare al voto 37 –

"Il fatto che il parlamento faccia causa alla magistratura fa oggettivamente ridere, è una forzatura operata dalla maggioranza e che è andata male anche dal punto di vista dei numeri perché hanno avuto solo 15 voti di scarto". Lo ha detto il capogruppo di Fli alla Camera, Italo Bocchino, riferendosi al voto dell'aula di Montecitorio sul conflitto di attribuzione in merito al caso Ruby, passato per 12 voti. "Non ci sono le condizioni per il prosieguo della legislatura, sono molto meglio le elezioni anticipate - ha aggiunto Bocchino - Berlusconi ha deciso di sostituire una componente politica raccattando deputati qua e là: ne può recuperare anche altri 30 ma il problema resta". I deputati che hanno cambiato casacca? "Sono mossi da alti ideali legati alla storia delle poste italiane", ha concluso Bocchino, riferendosi al caso di Maria Grazia Siliquini, confluita in Fli e poi tornata nel Pdl, di recente nominata nel cda delle Poste

16:22

Scilipoti: hanno votato a favore tutti i Responsabili 36 –

"Tutti i Responsabili hanno votato a favore del conflitto di attribuzioni". Lo conferma al cronista l'esponente del nuovo gruppo parlamentare Domenico Scilipoti

16:18

Berlusconi: contro di me brigatismo giudiziario 35 –

"Contro di me è in atto un vero brigatismo giudiziario". E' quanto avrebbe detto il premier Silvio Berlusconi parlando nel corso del vertice a Palazzo Grazioli con i capigruppo di maggioranza, secondo quanto riferiscono diverse fonti. Il cavaliere si sarebbe mostrato irritato per la pubblicazione delle intercettazioni a suo carico presenti negli atti di accusa dei pm nel processo Ruby

16:15

Processo breve, maggioranza spera in Aula domani sera 34 –

Il processo breve dovrebbe tornare a essere discusso in Aula alla Camera domani sera, al più tardi giovedì. Secondo la tabella di marcia messa a punto nel corso del vertice a Palazzo Grazioli, riferiscono fonti di governo, la maggioranza avrebbe deciso di completare l'esame del provvedimento sui piccoli comuni, decidendo poi di rimandare in commissione la legge comunitaria (che contiene la contestata norma sulla responsabilità civile dei giudici), per passare quindi alla discussione sul processo breve. La tabella prevede che si inizi a discutere del testo al massimo entro giovedì mattina. L'aula della Camera, in questo modo, non arriverebbe all'approvazione entro questa settimana, ma accelererebbe comunque i tempi in visto di un'approvazione la prossima settimana

16:14

Franceschini: vergogna, nei banchi anche ministro Esteri 33 –

"Oggi abbiamo assistito ad un'altra pagina davvero vergognosa. E' straordinario come i banchi del governo erano pieni e un ministro degli Esteri che, in piena crisi internazionale, passa le sue giornate a votare in difesa del premier". Così il capogruppo Pd alla Camera Dario Franceschini commenta il voto sul conflitto di attribuzioni, appena conclusosi a Montecitorio

16:13

Franceschini: maggioranza a 330 Berlusconi se la sogna 32 –

Il conflitto di attribuzione è passato nell'aula della Camera per 12 voti di differenza tra il voto di maggioranza (314) contro quello delle opposizioni (302). "I 330 - commenta il capogruppo Pd Dario Franceschini - Berlusconi se li è sognati di notte. Sono arrivati a 314 e quindi i 330 sono un miraggio del premier che come tutti i miraggi si allontana"

16:11

Conflitto, decisivo voto favorevole dei Libdem 31 –

La maggioranza si riduce a solo tre voti di scarto. E' questo l'esito del voto sul conflitto di attribuzione, che a quanto si apprende, ha visto prevalere il centrodestra per 314 voti contro i 302 delle opposizioni. Ma la maggioranza in aula era fissata a quota 311. Decivisi i voti favorevoli dei liberaldemocratici Italo Tanoni e Daniele Melchiorre e del responsabile Aurelio Misiti

16:10

Conflitto, 14 i ministri in Aula per il voto 30 –

Umberto Bossi e Giulio Tremonti, ma anche i ministri Angelino Alfano, Renato Brunetta, Gianfranco Rotondi e Mara Carfagna sono stati presenti al momento del voto sul conflitto di attribuzione, nell'aula della Camera. Con loro anche altri colleghi di governo: i ministri Masriastella Gelmini, Stefania Prestigiacomo, Paolo Romani, Giorgia Meloni, Saverio Romano, Maria Vittoria Brambilla, Franco Frattini e il titolare della Difesa, Ignazio La Russa

16:07

Leone (Pdl): giudici Milano ledono prerogative Camera 29 –

"La magistratura di Milano ha completamente disatteso le indicazioni della Camera". Così Antonio Leone, esponente Pdl e vicepresidente della Camera, durante le dichiarazioni di voto sul conflitto di attribuzioni sul caso Ruby, annunciando il voto favorevole del suo gruppo. "Il comportamento dei giudici di Milano lede le prerogative della Camera che siamo a chiamati a difendere. Non possiamo rinunciare alla difesa delle nostre prerogative nei confronti delle altre istituzioni. Il nostro è un voto dato alla Camera dei deputati"

16:04

Conflitto di attribuzione, 314 voti a favore, 302 i contrari 28 –

L'aula della Camera ha approvato il conflitto di attribuzione per 314 voti a favore e 302 voti contrari. Lo si apprende da fonti parlamentari.

15:58

Lib-dem votano sì 27 –

I deputati liberal-democratici hanno votato sì, assieme alla maggioranza, al conflitto di attribuzioni davanti alla consulta sul caso Ruby. A votare a favore anche l'ex Mpa Aurelio Misiti, che sancisce quindi il suo 'passaggio' dalla parte di Pdl, Lega, e Iniziativa responsabile.

15:57

Melchiorre, Tanoni e Misiti votano sì 26 –

I deputati Daniela Melchiorre, Italo Tanoni e Aurelio Misiti, hanno votato insieme alla maggioranza a favore del conflitto di attribuzione in aula alla Camera.

15:56

Gelo tra Fini e La Russa 25 –

E' arrivato anche Ignazio La Russa, nell'aula della Camera, per il voto sul conflitto di attribuzioni sul caso Ruby. Proprio stamane l'ufficio di presidenza di Montecitorio ha decretato la "censura" al ministro della Difesa, per la bagarre che si è scatenata mercoledì scorso dopo il suo intervento concluso con un 'vaffa' al presidente della Camera. Tra Fini e La Russa, quando il ministro è entrato in aula c'è stato il gelo.

15:55

La proposta di sollevare il conflitto di attribuzioni sul caso Ruby è stata approvata nell'Aula della Camera per 12 voti di scarto. 24 –

15:51

Caso Ruby: via libera Camera a elevare conflitto attribuzione 23 –

15:50

Consolo: il No del Fli per motivazioni giuridiche 22 –

Il no di Fli al conflitto di attribuzione sul caso Ruby arriva "alla luce delle norme della Costituzione che ritengono la Camera di appartenenza l'unico giudice naturale precostituito per legge" e dunque "insussistenti i presupposti per sollevare un conflitto di attribuzioni". E' Giuseppe Consolo a dichiararlo in Aula,

15:48

Ovazione del Pd per l'intervento di Castagnetti 21 –

Una vera e propria ovazione del Partito Democratico per l'intervento del 'suo' deputato Pierluigi Castagnetti, durante le dichiarazioni di voto, nell'aula della Camera, sul conflitto di attribuzioni per il caso Ruby. Dopo che il presidente della giunta per le autorizzazioni ha terminato il suo discorso, i deputati del Pd si sono alzati in piedi e rivolti verso di lui hanno battuto lungamente le mani. Un grande applauso a Castagnetti lo ha rivolto anche il segretario Pierluigi Bersani.

15:45

Ministri schierati in Aula, anche sottosegretario Mantovano 20 –

Gran 'schieramento' di ministri nell'aula della camera per il voto sul caso Ruby. I banchi del governo, dove tra gli altri siedono Umberto Bossi, Giulio Tremonti, Angelino Alfano e Franco Fattini, sono al gran completo. Nei giorni scorsi, durante le ultime votazioni a Motecitorio, il voto di ministri e sottosegretari si è rivelato numericamente determinante per la tenuta della maggioranza. In aula è arrivato anche Alfredo Mantovano, che nei giorni scorsi ha annunciato le sue dimissioni da sottosegretario all'Interno, in polemica per la gestione dell'emergenza immigrati e l'invio massiccio di tunisini a Manduria. Mantovano si è seduto, non ai banchi del governo, ma al tavolo dei relatori, come un semplice deputato

15:44

Castagnetti: ad Arcore tutto tranne interesse dello Stato 19 –

"Non è vero che Silvio Berlusconi abbia agito nell'interesse dello Stato, quando organizzava le serate di Arcore dove c'era di tutto e di più, tranne l'interesse dello Stato". E' Pier Luigi Castagnetti, presidente della Giunta per le autorizzazioni alla Camera, a chiarirlo intervenendo a nome del Pd nel dibattito alla Camera sul conflitto d'attribuzioni sul caso Ruby. Per questi motivi, sottolinea, "non può configurarsi dunque alcun conflitto di attribuzione" mentre Castagnetti lamenta "violenza alle istituzioni" e "la volontà di creare un incidente per realizzare uno stato di conflitto permanente tra le istituzioni"

15:34

Consolo: mancano presupposti per conflitto d'attribuzione 18 –

"Noi di Fli, prescindendo dalla fondatezza e gravità dei reati addebitati al presidente del Consiglio, concentriamo l'attenzione sul diritto". E' la premessa di Giuseppe Consolo, deputato di Fli, che parla in Aula. Per il legale finiano la vicenda ha "un rilievo politico marcato" e dice: "Fli non ritiene sussistenti i pressuposti per elevare conflitto d'attribuzioni"

15:32

Moffa: sì a conflitto è nell'interesse del Parlamento 17 –

"Iniziativa Responsabile ritiene fondata la richiesta della maggioranza di sollevare il conflitto di attribuzioni per dirimere una delicata e complessa questione. Abbiamo il dovere di farlo nell'interesse del Parlamento. L'opposizione non riesce a liberarsi di un antiberlusconismo di maniera agitando un gretto moralismo che niente ha a che fare con la moralita". Lo ha detto nell'Aula della Camera Silvano Moffa di Iniziativa responsabile. "I giudici di Milano - ha spiegato Moffa - hanno disatteso la decisione della Camera: a questo punto possiamo accettare passivamente che il nostro deliberato sia considerato nullo da altro potere dello Stato o reagire alla rottura della leale collaborazione tra i poteri"

15:31

Bossi: sì a conflitto di attribuzione, spero clima più sereno 16 –

La Lega Nord voterà "compatta" a favore della richiesta della maggioranza di sollevare il conflitto d'attribuzione tra poteri dello Stato, in merito al 'caso Ruby'. Lo assicuraUmberto Bossi, interpellato alla Camera. A chi gli chiede poi se questo voto servirà a stemperare le tensioni, il ministro delle riforme risponde: "lo spero"

15:28

Di Pietro: mondo brucia e noi qui per processi premier 15 –

Mentre il mondo è alle prese con "un disastro nucleare", l'Italia partecipa a "una guerra in corso", le piazze sono "piene di disperati, 4 milioni di italiani sotto la soglia di povertà e il 30 per cento della popolazione giovanile è senza futuro", ricorda Di Pietro, "rispetto a tutto questo c'è ancora una giornata di ordinaria follia in Parlamento. Anche oggi, come domani, come tutta la settimana siamo costretti a occuparci solo dei processi del premier, che ha scelto di fare politica solo per allontanarsi dalle aule dei tribunali". In questo modo, dice Di Pietro, "noi siamo complici. E gli italiani devono sapere che non ci occupiamo dei loro problemi ma di stabilire noi che Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak e Berlusconi fatto quel che ha fatto per salvaguardare i buoni rapporti tra Egitto e Italia"

15:23

Di Pietro: basta funzioni parlamentari al servizio di impunità 14 –

"Denunciamo ancora una volta l'abuso delle funzioni che in questo Parlamento il governo sta portando avanti. I parlamentari utilizzano le loro funzioni per assicurare l'impunità a chi li ha mandati in Parlamento. Ormai nelle camere c'è chi chiede di conseguire l'impunità e chi, in cambio di una poltrona, si fa complice di questa situazione". Lo ha detto il presidente dell'Idv, Antonio Di Pietro, tanto in Aula quanto partecipando al presidio permanente contro i ddl del governo sulla giustizia, organizzato a piazza Montecitorio in concomitanza con il voto sul caso Ruby

15:22

Bossi: giusto appello di Napolitano su divisione dei poteri 13 –

L'appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, affinché la riforma della giustizia "rispetti la divisione dei poteri" è "giusto". Lo dice Umberto Bossi, leader della Lega Nord, interpellato alla Camera

15:20

Api: no a conflitto di attribuzione che serve solo a premier 12 –

"Siamo alla rapsodia ansiogena della maggioranza e alla strategia dei legulei del premier che seguono il sogno di ogni avvocato: cambiare le leggi sfavorevoli al loro assistito". Lo ha detto nell'Aula della Camera Pino Pisicchio dell'Api. "Si mira a un solo risultato: sottrarre il premier al suo giudice naturale. Per questo votiamo no al conflitto di attribuzioni"

15:19

Iniziata alla Camera seduta su conflitto di attribuzione 11 –

E' iniziata la seduta dell'Aula della Camera, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta dei capigruppo della maggioranza di sollevare conflitto di attribuzione sul caso Ruby. Mentre l'emiciclo comincia a riempirsi, ai banchi del governo c'è già Umberto Bossi, insieme al Guardasigilli Alfano, e poi il ministro degli Esteri, Frattini, il titolare dell'Istruzione, Gelmini, il ministro Prestigiacomo, il ministro delle Pari Opportunità, Carfagna, ed il ministro dell'Attuazione del programma, Rotondi

15:18

Berlusconi, vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli 10 –

Vertice a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi e i capigruppo della maggioranza. All'incontro hanno partecipato Fabrizio Cicchitto e Massimo Corsaro, capogruppo e vice del Pdl a Montecitorio, il presidente dei senatori Maurizio Gasparri e il vice Gaetano Quagliariello, i capigruppo della Lega Marco Reguzzoni e Federico Bricolo, il capogruppo di Ir, Luciano Sardelli. In via del Plebiscito sono stati ricevuti anche il guardasigilli Angelino Alfano e il legale del premier Niccolò Ghedini. Sul tavolo le prossime scadenze parlamentari e il caso Ruby. La riunione è durata poco più di due ore

15:16

La Malfa: vergogna Parlamento che discute casi giudiziari del premier 9 –

"Non discutiamo di Libia o dei problemi del Paese ma dei casi giudiziari del presidente del Consiglio: questa vergogna pesa sul Parlamento e sul Paese. Mai ho visto una classe dirigente che ha usato il Parlamento per difendersi davanti alla magistratura". Lo ha detto nell'Aula della Camera Giorgio La Malfa del gruppo Misto

15:15

Gasparri: processo breve, nessuna inversione lavori 8 –

"Non è prevista nessuna inversione dell'ordine del giorno dei lavori" alla Camera, "andiamo avanti con il calendario previsto". Così il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri, lasciando il vertice di maggioranza di Palazzo Grazioli, spiega ai cronisti che la maggioranza non è intenzionata a procedere nella richiesta di inversione dell'ordine dei lavori a Montecitorio, per dare priorità al processo breve

15:14

Sereni (Pd): in Aula e in piazza contro il governo 7 –

"Siamo di fronte ad un esecutivo che, prigioniero della propaganda, non riesce a gestire l'emergenza immigrazione, suddividendo con equità gli oneri dell'accoglienza temporanea tra Nord e Sud del Paese. Un esecutivo che, prigioniero delle ossessioni giudiziarie del premier, invade il Parlamento di leggi ad personam. Un esecutivo che, nel più totale disinteresse per i problemi degli italiani, aumenta le tasse, taglia i fondi alla scuola e al welfare, non dà risposte ai problemi del lavoro e delle imprese". Così Marina Sereni, vicepresidente dell'Assemblea Nazionale del Pd. "Ecco perché oggi il Pd sarà in Parlamento e in piazza per denunciare il totale fallimento del governo e accendere i riflettori sulla vita e le preoccupazioni delle persone normali"

15:10

Vendola e Leoni: destra arrogante, alternativa ed elezioni 6 –

"La protervia con la quale in questi ultimi giorni la maggioranza di centrodestra sta comprimendo la dialettica parlamentare può dare a qualcuno una impressione di forza. Non è forza, è arroganza. E questa arroganza non cancella in noi la convinzione che siamo di fronte agli ultimi pericolosi colpi di coda di una politica castale, populista e autoritaria". E' quanto affermano Nichi Vendola e Carlo Leoni, rispettivamente presidente e responsabile giustizia di Sinistra Ecologia Libertà. "Il declino del berlusconismo - proseguono gli esponenti di Sel - sta inquinando sempre più la vita civile e quella delle istituzioni. Si cerca di schiacciare e piegare senza alcun ritegno il Parlamento agli interessi personali del Presidente del Consiglio. Altro che riforme epocali ! Sono sempre e soltanto alla ricerca del salvacondotto per la impunità del premier". "Bisogna sapersi indignare e far sentire tutta la protesta possibile contro questa protervia. Ma se si vuole evitare che la degenerazione sociale e istituzionale provocata dalla destra faccia danni irreversibili, occorre accelerare la costruzione dell'alternativa e tornare a chiedere le dimissioni del governo e la convocazione di nuove elezioni", concludono i due esponenti di Sel

14:39

Di Pietro: "Il rischio è che si passi da manifestazioni a rivolte" 5 –

Di Pietro: "Prima che si passi dalla manifestazione alla rivolta vera e propria, invito i cittadini a dare seguito ad un referendum politico che metta con le spalle al muro il presidente del Consiglio e indichi, al presidente della Repubblica, la dicotomia ormai esistente tra una maggioranza numerica in parlamento e una maggioranza politica che non c'è più".

14:34

Vertice Berlusconi-capigruppo Pdl 4 –

E' iniziato intorno alle 13.30, A Palazzo Grazioli, il vertice tra il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e i capigruppo di maggioranza. Al vertice partecipano anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il deputato Pdl e avvocato del premier, Niccolò Ghedini.

14:31

Di Pietro alla manifestazione: "Votare per i referendum" 3 –

Ha preso il via il presidio organizzato dal Popolo Viola e Articolo 21 contro i ddl del governo sulla giustizia. Un presidio molto tranquillo, formato da circa un centinaio di persone, e stavolta dietro le transenne ad una cinquantina di metri dall'ingresso principale di Montecitorio. Alla spicciolata arrivano i deputati che alle 15 voteranno sul conflitto di attribuzione sul caso Ruby, mentre si è fermato a parlare con i manifestanti il leader dell'Idv Antonio Di Pietro, che arringando la folla, ha auspicato che "gli italiani vadano a votare per i referendum, e soprattutto per quello politico sulla giustizia. Non vi lasciate abbindolare, andate alle urne, se vinciamo cadrà il Governo".

14:13

Al via il sit-in del Popolo Viola a Montecitorio 2 –

Comincia il sit-in del Popolo Viola, con Gianfranco Mascia che si rivolge alla folla davanti Montecitorio: "Ancora una legge ad personam, mentre il governo non fa nulla per i problemi del Paese"

13:44

Piazza Montecitorio blindata per manifestazione 1 –

'Blindata'. A poche ore dal voto sulla competenza per il caso Ruby, così si presenta piazza Montecitorio. Alle 14,30 sarà il Popolo Viola a manifestare insieme alle opposizioni. E si andrà avanti con altre manifestazioni nella "Notte bianca per la democrazia". Il Pd manifesterà a poche centinaia di metri da Montecitorio, a piazza del Pantheon.

(05 aprile 2011)

 

 

 

 

 

 

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Napolitano rassicura i magistrati

"L'autonomia delle toghe è inderogabile"

L'Anm soddisfatta dopo l'incontro al Quirinale. Il capo dello Stato ribadisce: "Riforma possibile se rispetta divisione dei poteri". Palamara: "Preoccupati per le manifestazioni davanti ai tribunali, dal presidente grande attenzione"

Napolitano rassicura i magistrati "L'autonomia delle toghe è inderogabile" Il presidente dell'Anm Luca Palamara

ROMA - "L'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Lo ha assicurato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricevendo questa mattina al Quirinale i vertici dell'Anm. Ai rappresentanti del sindacato delle toghe, il capo dello Stato ha spiegato di sperare in "un più sereno clima istituzionale", precisando di non avere ancora ricevuto però da palazzo Chigi il testo della riforma costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 marzo.

"In termini più generali - precisa ancora una nota del Colle - il capo dello Stato ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948". Rimodulazione, sottolinea ancora il presidente della Repubblica, "che in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia".

"Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato", hanno commentato al termine del faccia a faccia i vertici dell'Associazione nazionale magistrati. Un appuntamento nel corso del quale i dirigenti del sindacato dei giudici hanno avuto modo di esprimere tutte le loro preoccupazioni in merito alla riforma della giustizia.

Un provvedimento che, secondo l'Anm, incide profondamente sul complessivo assetto costituzionale della magistratura.

A chiedere un incontro al capo dello Stato era stato proprio il presidente del sindacato delle toghe, Luca Palamara, con una lettera inviata al Colle il 16 marzo scorso, dopo il varo della riforma Alfano in Consiglio dei ministri. Un progetto che nelle valutazioni dell'Anm "rischia di minare in radice l'indipendenza e l'autonomia" dei magistrati, facendo scattare da parte dei giudici lo "stato di agitazione". A seguire erano poi arrivate altre iniziative parlamentari della maggioranza altrettanto preoccupanti agli occhi dell'Anm, come gli emendamenti al ddl sul processo breve e alla legge Comunitaria 2010.

Ma a destare l'allarme del sindacato non ci sono solo le nuove norme. "Abbiamo espresso al presidente - ha detto ancora Palamara - la nostra forte preoccupazione anche per il clima di manifestazioni di piazza in prossimità dei tribunali e anche nelle aule di giustizia, che rischiano di minare la serenità e l'equilibrio dei giudici chiamati a decidere importanti controversie". "La posizione dell'Anm - ha aggiunto - non è di chiusura corporativa ma di volontà di mantener fermi quei principi che riteniamo capisaldi dello Stato di diritto e che sono a garanzia e tutela dei cittadini come l'autonomia e l'indipendenza della magistratura che riteniamo fortemente alterata nell'eventuale approvazione del disegno di legge sulla riforma costituzionale della giustizia".

Al Capo dello Stato i rappresentanti dell'Anm hanno voluto inoltre rilanciare quelle che ritengono priorità per far funzionare meglio la macchina della giustizia e cioè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, l'informatizzazione della giustizia, e maggiori risorse. "Abbiamo espresso a Napolitano - ha detto ancora il presidente dell'Anm - i nostri timori anche per la riforma per legge ordinaria che per la disorganicità rischia ulteriormente di danneggiare il processo, in particolare quello penale. Ci siamo soffermati sul tema della responsabilità civile dei giudici che riteniamo sia stato malposto ai cittadini in quanto non è vero che il magistrato se sbaglia non paga".

(05 aprile 2011)

 

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Napolitano rassicura i magistrati

"L'autonomia delle toghe è inderogabile"

L'Anm soddisfatta dopo l'incontro al Quirinale. Il capo dello Stato ribadisce: "Riforma possibile se rispetta divisione dei poteri". Palamara: "Preoccupati per le manifestazioni davanti ai tribunali, dal presidente grande attenzione"

Napolitano rassicura i magistrati "L'autonomia delle toghe è inderogabile" Il presidente dell'Anm Luca Palamara

ROMA - "L'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Lo ha assicurato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricevendo questa mattina al Quirinale i vertici dell'Anm. Ai rappresentanti del sindacato delle toghe, il capo dello Stato ha spiegato di sperare in "un più sereno clima istituzionale", precisando di non avere ancora ricevuto però da palazzo Chigi il testo della riforma costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 marzo.

"In termini più generali - precisa ancora una nota del Colle - il capo dello Stato ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948". Rimodulazione, sottolinea ancora il presidente della Repubblica, "che in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia".

"Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato", hanno commentato al termine del faccia a faccia i vertici dell'Associazione nazionale magistrati. Un appuntamento nel corso del quale i dirigenti del sindacato dei giudici hanno avuto modo di esprimere tutte le loro preoccupazioni in merito alla riforma della giustizia.

Un provvedimento che, secondo l'Anm, incide profondamente sul complessivo assetto costituzionale della magistratura.

A chiedere un incontro al capo dello Stato era stato proprio il presidente del sindacato delle toghe, Luca Palamara, con una lettera inviata al Colle il 16 marzo scorso, dopo il varo della riforma Alfano in Consiglio dei ministri. Un progetto che nelle valutazioni dell'Anm "rischia di minare in radice l'indipendenza e l'autonomia" dei magistrati, facendo scattare da parte dei giudici lo "stato di agitazione". A seguire erano poi arrivate altre iniziative parlamentari della maggioranza altrettanto preoccupanti agli occhi dell'Anm, come gli emendamenti al ddl sul processo breve e alla legge Comunitaria 2010.

Ma a destare l'allarme del sindacato non ci sono solo le nuove norme. "Abbiamo espresso al presidente - ha detto ancora Palamara - la nostra forte preoccupazione anche per il clima di manifestazioni di piazza in prossimità dei tribunali e anche nelle aule di giustizia, che rischiano di minare la serenità e l'equilibrio dei giudici chiamati a decidere importanti controversie". "La posizione dell'Anm - ha aggiunto - non è di chiusura corporativa ma di volontà di mantener fermi quei principi che riteniamo capisaldi dello Stato di diritto e che sono a garanzia e tutela dei cittadini come l'autonomia e l'indipendenza della magistratura che riteniamo fortemente alterata nell'eventuale approvazione del disegno di legge sulla riforma costituzionale della giustizia".

Al Capo dello Stato i rappresentanti dell'Anm hanno voluto inoltre rilanciare quelle che ritengono priorità per far funzionare meglio la macchina della giustizia e cioè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, l'informatizzazione della giustizia, e maggiori risorse. "Abbiamo espresso a Napolitano - ha detto ancora il presidente dell'Anm - i nostri timori anche per la riforma per legge ordinaria che per la disorganicità rischia ulteriormente di danneggiare il processo, in particolare quello penale. Ci siamo soffermati sul tema della responsabilità civile dei giudici che riteniamo sia stato malposto ai cittadini in quanto non è vero che il magistrato se sbaglia non paga".

(05 aprile 2011)

 

 

Diretta

Democrazia Day, dalla rete alla piazza

Oggi manifestazioni in tutta Italia

Alle 14,30 sarà il Popolo Viola a manifestare insieme alle opposizioni davanti alla Camera. E si andrà avanti con altre manifestazioni nella "notte bianca per la democrazia". Il Pd manifesterà a poche centinaia di metri da Montecitorio, a piazza del Pantheon. Dalle 20 a mezzanotte un happening in piazza Santi Apostoli. Sui siti di Libertà e Giustizia, Articolo 21 e Popolo Viola migliaia di adesioni

(Aggiornato alle 13:44 del 05 aprile 2011)

13:44

Piazza Montecitorio blindata per manifestazione 1 –

'Blindata'. A poche ore dal voto sulla competenza per il caso Ruby, così si presenta piazza Montecitorio. Alle 14,30 sarà il Popolo Viola a manifestare insieme alle opposizioni. E si andrà avanti con altre manifestazioni nella "Notte bianca per la democrazia". Il Pd manifesterà a poche centinaia di metri da Montecitorio, a piazza del Pantheon.

(05 aprile 2011)

 

 

 

2011-04-04

LE INIZIATIVE

"In piazza per svegliare la democrazia"

Domani a Roma tre manifestazioni

di CARMINE SAVIANO

"In piazza per svegliare la democrazia" Domani a Roma tre manifestazioni

ROMA - In piazza. Per bloccare una delle "operazioni più indegne realizzate da questa maggioranza parlamentare". Tutto è pronto per la "Giornata della Democrazia", la mobilitazione lanciata da Articolo 21, Libertà e Giustizia e dal Popolo Viola. Appuntamento domani a Roma. Nel pomeriggio in piazza Montecitorio e dalle 20 alle 24 in piazza Santi Apostoli. E la protesta contro l'ennesima legge ad personam per Silvio Berlusconi cresce, raccoglie nuove adesioni di ora in ora. Parlamentari e associazioni. Fino a personaggi del mondo dello spettacolo e alle associazioni studentesche.

Il via alle 14, in piazza Montecitorio, proprio mentre alla Camera saranno in discussione le norme sulla prescrizione breve. Provvedimenti che vogliono solo "offrire l'ennesimo scudo legislativo al presidente del Consiglio", dice Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia. Che aggiunge: "La questione vera è un'altra, e riguarda quei tanti cittadini che ci vanno di mezzo. Questi sono provvedimenti che non li rispettano". E ancora: "Noi saremo in piazza per difendere uno dei principi cardine della nostra democrazia: l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge".

Proprio in vista della giornata di martedì, stasera il comitato promotore si riunisce in un'assemblea aperta a Roma. E domani mattina a Firenze, alcuni attivisti suoneranno "la sveglia della democrazia". Si tratta di accompagnare i deputati nel loro viaggio verso Roma. E ricordare loro l'importanza

della discussione che affronteranno alla Camera.

E intanto cresce la mobilitazione online. Un network di protesta, formato dai siti e dalle tante pagine che sui social network diffondono l'iniziativa. Dai volantini da scaricare fino alle mail da inviare a tutti i propri contatti. "Siamo convinti che queste mobilitazioni di cittadini siano indispensabili per dare un segnale chiaro: in Italia la maggioranza degli elettori vuole che il Parlamento si occupi dei problemi reali e non degli interessi del capo", dice Gianfranco Mascia del Popolo Viola. E, per questo, "il presidio permanente in piazza Montecitorio continuerà anche nei giorni di mercoledì e giovedì". Le adesioni crescono con il passare delle ore. Oltre a rappresentanti dei partiti anche personaggi come Dario Vergassola, Valerio Mastandrea, Dario Fo, Franca Rame e Moni Ovadia hanno condiviso l'appello contro il processo e la prescrizione breve.

E in programma per domani anche un'iniziativa del Partito Democratico. Pierluigi Bersani e i deputati del Pd incontreranno i cittadini a Roma, nei pressi del Pantheon.

(04 aprile 2011)

 

DEMOCRATICI

Parla Bersani: "Alfano servile

il Pd in piazza per la giustizia"

Il leader del Partito democratico: "Il guardasigilli è un ministro impastato di arroganza e servilismo". "Governo tecnico è tramontato, si deve votare" di GOFFREDO DE MARCHIS

Parla Bersani: "Alfano servile il Pd in piazza per la giustizia"

ROMA - "Alfano è arrogante come Berlusconi e servile a Berlusconi". Dunque si scordi il confronto, il "fumoso" dialogo. "Quando annunciò la sua epocale riforma della giustizia - ricorda Pier Luigi Bersani - dissi che entro 15 giorni saremmo tornati alle leggi ad personam. Da martedì voteremo una prescrizione costruita su misura del premier e sul fatto che Ruby è la nipote di Mubarak. Più chiaro di così".

È allarmante anche l'appello alla piazza del ministro della Giustizia?

"Mi allarma innanzitutto l'immagine di Alfano come emerge dall'intervista a Repubblica. Un ministro impastato di arroganza e servilismo. Un ministro che tradisce il suo mestiere e ha uno stile sartoriale perché adatta sempre i suoi provvedimenti ai voleri del capo. Quanto alla chiamata del popolo è un'affermazione sconsiderata. Ma lo avverto: è difficile arrampicarsi sulle piazze quando ci si arrampica sugli specchi".

Il Pd, rifiutando ogni confronto, rischia di apparire conservatore e succube dei magistrati. Ha messo in conto gli effetti negativi di questa posizione?

"Non siamo il partito dei giudici. Anzi, siamo pronti a disturbare i magistrati in nome di un servizio più efficiente per i cittadini come persino Alfano può arguire leggendo le nostre proposte di legge. Ma la riforma costituzionale ha un punto essenziale che è inaccettabile: dà alla politica un potere improprio nell'esercizio

della giustizia. Contro questo e contro le leggi ad personam combatteremo in Parlamento e nelle piazze".

Il Guardasigilli è convinto che il vostro no sia dettato dalla fretta. Per molti dirigenti del Pd, dice, il tempo è quasi scaduto.

"Faccia bene il suo mestiere e queste cose le lasci dire al suo capo".

Sicuro che il Pd riuscirà a reggere senza fratture il doppio binario in piazza e in Parlamento?

"Sarebbe una novità davvero singolare che un grande partito popolare dicesse no alla piazza o no alle aule parlamentari. Non conosco partiti popolari che si facciano di questi problemi".

Ma nel Pd qualcuno invoca l'Aventino e qualcun altro teme scivolamenti verso il dipietrismo.

"Allora chiariamo. Noi combattiamo in Parlamento. Lo rispettiamo e non l'abbandoniamo. Poi ci sono le tattiche parlamentari. Ma Aventino è una parola grossa. Significa andare via dal Parlamento, non uscire dall'aula in certe occasioni".

E la piazza? I vostri potenziali alleati capiranno?

"Noi vogliamo avere un colloquio diretto con i cittadini che a loro volta hanno voglia di essere protagonisti. Martedì saremo al Pantheon. Poi, le notti bianche sulla scuola diventeranno anche per la democrazia. I manifesti contro la Lega tappezzeranno il Nord. I cittadini sono parte di questa battaglia. In modo democratico e civile.

Non siamo noi quelli delle monetine".

Lei chiede le elezioni anticipate. Sotto sotto non pensa ancora a un governo tecnico?

"Ho detto e ripeto: qualsiasi soluzione è migliore dello sfascio attuale. Ma dopo il 14 dicembre e la scesa in campo dei mitici responsabili - che hanno creato un cestino dove si mettono le uova che puoi comprare ovunque - il governo di transizione più che indebolito è tramontato. Per questo dico: si vada subito al voto. Non è una forzatura, basta guardare agli ultimi mesi. Il governo ha prodotto la scossa all'economia finita in un comunicato stampa, la riforma epocale della giustizia invece siamo sempre intorno a Ruby, la posizione ambigua sulla Libia, Parmalat, Edison e tutta la moda che volano verso l'estero".

Sull'arrivo dei profughi il governo sbandiera il successo dei trasferimenti da Lampedusa.

"Invece è un disastro. Noi abbiamo avanzato una proposta. A Tunisi Berlusconi chieda di bloccare i flussi. A chi è già qui si dia lo status temporaneo per circolare in Europa come è successo ai tempi del Kosovo. No alle tendopoli, sì all'accoglienza diffusa. Ma se lo spettacolo è che ogni mattina un ministro dice solidarietà e l'altro fora di ball, allora fanno da soli".

Condivide l'idea di Tremonti: frenare lo "shopping" in Italia con una nuova Iri?

"I buoi sono scappati e loro hanno dormito per due anni. La nostra posizione è chiara: non si possono allestire strumenti pubblici senza avere uno straccio di idea sulle politiche pubbliche. Quando ero all'Industria proposi degli indirizzi di politica industriale. Il governo faccia lo stesso e siamo pronti a discuterne. Ma faremo una battaglia dura contro ipotesi di Iri o Mediobanche organizzate nella versione del sistema di potere".

Proprio martedì e mercoledì al Senato si decide sull'arresto del senatore Pd Tedesco. Alcuni democratici vorrebbero votare contro. Rischiate un cortocircuito con le piazze anti-Berlusconi?

"Ho detto ai senatori: leggete bene le carte e fatevi un vostro legittimo convincimento perché in ballo c'è la libertà personale. E sappiate che il partito non ha niente da tutelare".

Lei come voterebbe?

"Bisognerebbe conoscere bene gli atti giudiziari. Ma posso dire che il Pd ha a cuore un profilo di assoluto rigore".

Ad appena 51 anni Zapatero annuncia che non si ricandiderà alle prossime elezioni. Un fenomenale spot per il rottamatore Renzi.

"Penso esattamente il contrario".

In che senso?

"È una straordinaria pubblicità alla nostra idea di leadership".

Come dice?

"Dopo due legislature è assolutamente necessario un ricambio del leader".

Il vostro album di famiglia è sempre lo stesso da decenni.

"Ma la differenza con l'esperienza spagnola e con altre, non è il ricambio, è la stabilità. Le maggioranze sono garantite per un'intera legislatura e questa garanzia viene dai partiti non dal ghe pensi mi".

Il nuovo può essere Montezemolo?

"Ho trovato positivo il suo appello alle classi dirigenti e agli imprenditori che conoscono benissimo il crollo di credibilità dell'Italia nel mondo. Lo dico da tempo: chi tace oggi come potrà parlare domani?".

Quindi tifa per un suo impegno in politica?

"Tutto quello che mette nuova energia nella cosa pubblica è benvenuto. Purché sia chiaro un punto. Il tramonto di Berlusconi deve coincidere con la fine di un'illusione: una sola persona non ha la bacchetta magica. Il Pd vuole innovare, riformare le istituzioni e i partiti. Ma proprio per avere sia le istituzioni sia i partiti. È il tempo di leadership che siano dentro un collettivo. Solo in Italia si pensa che i problemi si risolvono con la scelta di una singola persona".

(04 aprile 2011)

 

 

LA MANIFESTAZIONE

I giovani contro la precarietà

Sabato in piazza in tutta Italia

Il 9 aprile manifestazioni nelle grandi metropoli e nei piccoli centri. Ma anche all'estero. Ci saranno i ricercatori e gli addetti dei call center. I neoimprenditori e gli operatori dello spettacolo. Chiedono più diritti e opportunità. E dicono: "E' arrivato il tempo per un'azione comune, perché ormai si è infranta l'illusione della salvezza individuale" di FEDERICO PACE

I giovani contro la precarietà Sabato in piazza in tutta Italia

ROMA - Il tempo è adesso. I giovani non vogliono più aspettare. Sabato 9 aprile saranno nelle piazze e nelle strade per manifestare e chiedere maggiore attenzione e più diritti. Per dire ai politici e ai decisori che è arrivato il momento di affrontare davvero la questione giovanile. Una questione che tutti riconoscono come indissolubilmente legata alla ricchezza di una nazione, ma per cui ancora nessuno, nel nostro Paese, ha fatto davvero qualcosa di rilevante.

Gli appuntamenti si terranno in tutta Italia, nelle grandi metropoli e nei piccoli centri. A Roma si annuncia una street parade che andrà da piazza della Repubblica fino al Colosseo. Lungo il percorso ci saranno rappresentazioni e "scene" delle situazioni emblematiche della precarietà. A Napoli un corteo si muoverà da piazza Mancini fino a piazza del Gesù. A Milano l'evento si terrà nel primo pomeriggio alle Colonne di San Lorenzo vicino Porta Ticinese. A Torino a piazza Vittorio alle 15. A Genova l'appuntamento è invece previsto per le cinque del pomeriggio a via San Lorenzo. Ma non solo. Manifestazioni sono annunciate anche a Parma, Modena, Lecce, Catanzaro, Siracusa e Cosenza. E anche Bari, Lodi e Bergamo.

Dai ricercatori ai call center. Tutto ha preso le mosse dal comitato "il nostro tempo è adesso" (www. ilnostrotempoeadesso.it) 1 e dal manifesto redatto dai quattordici promotori. Tra loro ci sono realtà, associazioni

e reti sociali che rappresentano buona parte degli universi che stanno pagando a più caro prezzo le trasformazioni dei rapporti e delle condizioni del mondo del lavoro. Trasformazioni acuite ancor di più dalla crisi di questi ultmi anni. Gli interinali, gli stagisti, i ricercatori precari e quelli che non ce la fanno più a rimanere in Italia e se ne vanno all'estero per avere una chance all'altezza delle proprie competenze e ambizioni. Ci sono gli operatori dello spettacolo, quelli che lavorano nei call center, gli archeologi, i giornalisti precari e anche i giovani imprenditori. Spesso ragazzi talentuosi a cui vengono negate le occasioni e le opportunità a cui hanno diritto.

La risposta dall'estero. Oltre a quelli già in calendario, in queste ore si stanno aggiungendo molti altri appuntamenti. Non solo in Italia. Il tam tam è arrivato oltre i confini nazionali e la voglia di partecipare è stata espressa anche da chi si trova lontano. Da chi conosce bene, per averlo vissuto sulla propria pelle, il mancato riconoscimento del talento. A Bruxelles, nel cuore dell'Europa, ci saraà una manifestazione. E in questi giorni si stanno prendendo accordi per simili avvenimenti anche a Londra e Washington, due delle mete più frequenti per i "cervelli" in fuga dal Belpaese. Tante, inoltre, sono state le adesioni alle manifestazioni del 9 aprile da parte di figure di rilievo. Dal sociologo Luciano Gallino all'attore Ascanio Celestini. Dallo scienziato Giorgio Parisi a Dario Fo.

I diritti negati e il rischio "generazione perduta". Le questioni in ballo sono tante. I giovani chiedono il rispetto del diritto allo studio e del diritto alla casa. L'attuazione di politiche che prevedano redditi di sostegno e un welfare anche per chi ne è rimasto per troppo tempo escluso. Sentono di avere anche loro bisogno di "realizzare la propria felicità affettiva". Oltre, ovviamente, a reclamare forse il diritto più essenziale di tutti: il diritto al lavoro. Nell'ultimo Quarterly Review della Commisione europea viene sottolineato come tra i più grandi paesi membri il tasso disoccupazione giovanile sia cresciuto in particolare in Spagna, Polonia e più marcatamente in Italia e nel Regno Unito. Gli autori del rapporto hanno richiamato l'attenzione, ancora una volta, sul fatto che la mancanza di lavoro per i più giovani rimane una sfida cruciale e hanno lanciato l'allarme riguardo le preoccupazioni crescenti del potenziale rischio di una "generazione perduta".

Originalità e ironia. Le iniziative di sabato nelle diverse città si annunciano originali nelle forme. D'altronde nell'avvicinamento ce se sono stati già alcuni assaggi. Il 17 marzo a Roma, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, è stato improvvisato un flash mob alla Galleria Alberto Sordi. Qui un guardiano "maturo" davanti a una porta tricolore impediva l'ingresso ai giovani. Sempre a Roma, a Via Condotti, si è tenuto un altro flash mob, con dei ragazzi in corteo ciascuno con una sedia con la scritta "se la sedia è il benefit ce la portiamo noi". Il tutto difronte alla sede di una società romana che aveva diffuso un'offerta di stage in cui proponeva come benefit sedia e postazione internet.

Nel manifesto del comitato i promotori scrivono che è arrivato il tempo per "un'azione comune, perché ormai si è infranta l'illusione della salvezza individuale. Per raccontare chi siamo e non essere raccontati, per vivere e non sopravvivere, per stare insieme e non da soli". Dopo il grande movimento che ha attraversato l'università e le scuole italiane, sembra forse arrivato per i giovani il tempo di una più decisa voglia di partecipare, di raccontarsi, anche con autoironia, e di riappropriarsi di tutto quello che, fino ad ora, gli è stato negato.

(04 aprile 2011)

 

IUSTIZIA

Berlusconi: "I giudici hanno troppo potere"

Gelmini con Alfano: "Giusto andare in piazza"

Il premier: "Le corporazioni non vogliono il cambiamento". Il ministro dell'Istruzione difende il Guardasigilli. E l'Idv parla di "strategia eversiva"

Berlusconi: "I giudici hanno troppo potere" Gelmini con Alfano: "Giusto andare in piazza" Maria Stella Gelmini

ROMA - Lo scenario cambia, il bersaglio è sempre lo stesso: la magistratura. Silvio Berlusconi sceglie la convention di Rete Italia per tornare ad attaccare le toghe e promettere riforme strutturali "per ridare potere alla politica". E lo fa dopo l'invocazione alla piazza del guardasigilli Alfano 1 che provoca la dura reazione dell'opposizione. "Oggi in Italia - sostiene il Cavaliere - la politica è debole, a volte impotente. Noi siamo diventati dei capri espiatori, dei parafulmini della società. I poteri che contano sono quelli dell'economia, della finanza, quello pervasivo della giustizia, che in italia è diventato un vero e proprio contropotere".

Ma non basta. Per Berlusconi "la politica è impotente e messa all'angolo da un potere che non gode della legittimità popolare: i cittadini in democrazia devono avere il diritto di decidere il proprio futuro. Per questo sono necessarie, indispensabili e non rinviabili le riforme, da quelle istituzionali a quella della giustizia a quella tributaria".

ASCOLTA L'AUDIO 2

Nel mirino del presidente del Consiglio non c'è solo la magistratura. Ma anche "i poteri delle Camere e della Corte costituzionale". Che, insieme alle toghe, sono "corporazioni che si oppongono al

cambiamento".

L'obiettivo, conclude il Cavaliere, è completare la legislatura, forti di quelli che ritiene numeri parlamentari sufficienti a varare le riforme: "Avanti così con questa nuova maggioranza in Parlamento che per la prima volta dopo i veti di Fini e Casini" ha davanti "due anni per approvare le riforme".

Gelimi con Alfano. Con Alfano senza se e senza ma. Per il ministro Maria Stella Gelmini il Guardasigilli "ha semplicemente rivolto un invito a comunicare i contenuti della riforma della giustizia visto che c'è un tentativo di stravolgerne i contenuti e ribaltare la realta". Chi invece eccita gli animi è l'opposizione "che vuole accreditare un clima da guerra civile"

Opposizione all'attacco. "Anche oggi il governo non ha perso occasione per rafforzare la sua strategia eversiva fatta di intimidazioni e stravolgimenti della legalità costituzionale. Una strategia confermata da innumerevoli, ossessive battute, violente e volgari, di Silvio Berlusconi e adesso anche dalla discesa in campo dei ministri Angelino Alfano e Mariastella Gelmini. Quando un regime vacilla è il momento dei pretoriani, che aggrediscono i dissidenti, le istituzioni di garanzia e i magistrati e tentano anche di invocare ed eccitare piazze ormai dissolte di sostenitori" afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando.

Il leader dell'Api, Francesco Rutelli chiede che Alfano "ritiri immediatamente il suo invito agli italiani a scendere in piazza per sostenere le leggi ad personam del governo".

Polemico anche il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa che parla di "un bel campionario di confusione che un'assidua compravendita parlamentare non riuscirà certo a diradare".

Processo Ruby. Secondo uno dei legali del premier, Pietro Longo, Berlusconi non sarà in aula mercoledì prossimo all'avvio del processo per il caso Ruby dove è imputato di concussione e prostituzione minorile. I suoi difensori, però, non chiederanno alcun rinvio per legittimo impedimento.

(03 aprile 2011)

 

2011-04-03

INTERVISTA

Alfano: "Non ci fermeremo su nessuna legge

il Pd vuole solo far cadere Berlusconi"

Il Guardasigilli: "In piazza per difendere la riforma costituzionale. Per piazza intendo comizi per le amministrative e piazze televisive, spiegherò le norme. Approvazione entro l'estate". Legge ad personam? "Non si applica ai processi in corso, per il premier nessun beneficio". Responsabilità dei giudici: "Chi sbaglia paga"

di CLAUDIO TITO

Alfano: "Non ci fermeremo su nessuna legge il Pd vuole solo far cadere Berlusconi" Angelino Alfano

ROMA - "Il voto sul conflitto di attribuzione? Certo che ci sarò, sempre che Fini mi permetta di votare". Il Guardasigilli Alfano è in partenza per gli Usa. Incontrerà l'omologo americano Eric Holder, e terrà una conferenza alla Hopkins University. Ma vuole prendere parte al primo dei voti ad alta tensione previsti per martedì: il conflitto di attribuzione, che mira a bloccare il processo Ruby.

Subito dopo ci sarà quello sul processo breve con la discussa norma sulla prescrizione. Due appuntamenti cui non vuole rinunciare. "Noi - conferma senza dubbi - su questo terreno andiamo avanti" e il Pd decida se confrontarsi sulla riforma costituzionale rinunciando al tentativo di "far cadere Berlusconi": "Hanno paura di perdere le prossime elezioni" e sanno che in quel caso sarà la "fine" della loro attuale classe dirigente.

Scusi Ministro, ma quando ha presentato la riforma costituzionale della giustizia auspicava un confronto con l'opposizione. Quell'apertura sembra svanita.

"Invece è in campo. La nostra tabella di marcia prevede che subito dopo Pasqua inizi l'esame della legge. La approveremo alla Camera entro l'estate. E io lavorerò per un confronto serrato con l'opposizione. Oltre che in Parlamento ci batteremo nelle piazze".

È pericoloso evocare la piazza per far passare una riforma costituzionale.

"Pure lei si mette a strumentalizzare? Contro chi dovremmo

agitare la piazza? Contro il governo guidato da noi o contro il Parlamento nel quale siamo maggioranza? Oppure vuole che cancelliamo la piazza dal vocabolario politico? Mi riferisco alle piazze per i comizi, alle amministrative. Mi riferisco alle piazze televisive. Vogliamo spiegare la riforma e rendere l'opinione pubblica consapevole della sfida che abbiamo davanti".

E pensa di intavolare una trattativa essendoci di mezzo il conflitto di attribuzione che può paralizzare il processo Ruby e la prescrizione breve che può fa saltare il caso Mills?

"Finché si discute del conflitto di attribuzione e del processo europeo (il processo breve ndr), i democratici hanno un bel dire che non possono fare la riforma con noi perché siamo brutti e cattivi. Quando ci si troverà nelle commissioni di fronte a un ragionevole testo di riforma costituzionale, allora saranno chiamati a pronunciarsi nel merito e con serietà. E finalmente capiremo il loro disegno in materia di giustizia".

In campo, però, c'è l'ennesima legge ad personam che lei aveva giurato di evitare.

"Capisco l'artificio retorico di chi in Parlamento e sui giornali sostiene che il sottoscritto aveva promesso di non fare leggi ad personam ma, per quanto astuta, la considerazione è fraudolenta".

Perché?

"Perché io ho detto, e lo ripeto, che la riforma costituzionale non si applica ai processi in corso e infatti non ci sarà alcun beneficio per Berlusconi. Questa è la sacrosanta verità e basta leggere l'articolo 17 del ddl per verificarla. Se poi l'onorevole Paniz presenta un emendamento per gli incensurati, non si può affermare che equivale a tradire gli impegni assunti. È solo un pretesto grande come una casa per chi non vuole fare la riforma costituzionale".

L'on Paniz, però, è un deputato del Pdl: bastava invitarlo a non depositare quell'emendamento.

"Per dirla con le parole che usa sempre il presidente del consiglio: visto il centinaio di provvedimenti a suo carico, non c'è norma in materia di giustizia che non lo coinvolga".

Non è la dimostrazione del conflitto di interessi?

"Secondo me, è il contrario. Gli altri hanno interesse al conflitto. Vogliono tenerlo sulla corda giudiziaria per logorarlo. Il punto, comunque, è che oggi è complicato parlare di queste cose. La controversia è troppo calda. Tra due o tre settimane, quando si entrerà nel merito della riforma costituzionale, questi argomenti avranno già perso peso".

Anche il presidente Napolitano vi ha invitato a sgombrare il campo da equivoci.

"Non è un caso che, insieme alla Lega e al relatore Pini, abbiamo rinviato la legge comunitaria che conteneva un intervento sulla responsabilità che, sebbene non esaustivo, avrebbe ottemperato alle indicazioni europee. Ne parleremo tra un paio di settimane. Per il resto, ho sempre orecchie attentissime per ciò che il capo dello Stato dice, per i suoi moniti e le sue preoccupazioni alle quali porgo sempre attenzione operosa anche quando non si vede e quando non ci sono dichiarazioni pubbliche in merito".

Quando ha presentato il testo di riforma costituzionale le critiche non sono mancate. La responsabilità civile dei magistrati non è un'intimidazione nei confronti dei giudici.

"Ho grande rispetto dei magistrati, di tutti quei magistrati che ogni giorno lavorano con senso del dovere e grande abnegazione. Costoro sono la grandissima maggioranza ed è per questo che categoricamente rifiuto l'idea che la riforma sia punitiva per i magistrati. Sulla responsabilità civile, non intervenire sarebbe un torto ai cittadini. Chi sbaglia, paga. Se un alto dirigente dello Stato commette un errore, se un giornalista diffama, se un medico sbaglia un intervento chirurgico, può essere citato direttamente. Perché no i magistrati? Non mi rassegno a un privilegio di casta".

Il centrodestra ha governato per quasi dieci anni degli ultimi 17 anni e il centrosinistra vi ha sempre accusato di varare norme volte a bloccare le toghe e a difendere il premier. Perché ora il Pd dovrebbe credervi?

"Intanto negli ultimi 14 anni abbiamo governato 7 anni ciascuno. Eppoi, il confronto non è una cortesia fatta a noi. Se lo vogliono, bene. Altrimenti, amen. Non dobbiamo noi meritare la loro buona grazia. Devono decidere loro se darsi un profilo schiacciato sullo status quo o se vogliono apparire riformatori. Sono stati contrari alla riforma costituzionale del 2006 con cui si dimezzava il numero dei parlamentari, sono stati contro la modifica dell'articolo 18, hanno criminalizzato la legge Biagi, e si sono opposti alla riforma dell'istruzione. Sono sempre contro, eppure qualche cosa di positivo ci sarà pure stata. Ci mettano alla prova con un confronto serio. Se poi risulteremo noi troppo rigidi o capricciosi, ne risponderemo agli elettori".

In attesa della riforma costituzionale, su tutte le altre leggi andrete quindi avanti?

"Non c'è un obbligo giuridico, né politico, né morale per sospendere l'attività. Abbiamo portato al Senato anche un provvedimento per diminuire l'arretrato civile, nell'ultimo consiglio dei ministri è stato approvato un testo sulla sussidiarietà e al prossimo ne formuleremo uno sulla responsabilità giuridica degli enti. Senza compromettere le iniziative di origine parlamentare come il processo di ragionevole durata o processo europeo (processo breve ndr)".

Ma queste sono tutte vostre iniziative.

"Propongo subito all'opposizione quattro temi da affrontare dopo la bagarre: lo smaltimento dell'arretrato civile, una seria ipotesi di depenalizzazione che elimini i reati considerati inutili, una più efficiente geografia giudiziaria e alcune proposte sul processo penale relative a formalismi che gli operatori ritiene superflui".

Ma lei è sicuro che possiate davvero andare avanti? Non rispuntano le elezioni anticipate?

"Non credo proprio. La maggioranza ora è meno ampia ma più coesa. Il programma di governo è chiaro e coerente con i cinque punti su cui abbiamo ottenuto la fiducia. Presto sarà pronto anche il disegno di legge che rinnova la forma di governo e di Stato".

Veramente il Quirinale ha paventato un rischio paralisi.

"A me non risulta. L'attività parlamentare negli ultimi mesi è stata significativa".

Certo il 2013 sembra un traguardo lontano.

"La verità è che le opposizioni hanno fretta di far cadere Berlusconi. È l'ultima occasione per la generazione di quelli che erano ancora comunisti quando è caduto il Muro di Berlino. In tanti oggi ai vertici avevano incarichi nel Pci del 1989. È la loro ultima chance. Dunque o fanno cadere subito il Cavaliere o, se perdono nel 2013, un'altra generazione di quarantenni sostituirà loro e quelli del Terzo Polo. Rischia di essere la fine di un'intera classe dirigente della sinistra".

Come la Lega anche lei chiede le dimissioni di Fini?

"Proprio giovedì ho vissuto sulla mia pelle una grave ingiustizia. Non mi è stato consentito di votare. Da dieci anni sto in Parlamento e non mi era mai capitata una cosa del genere. Non chiedo però le dimissioni di Fini: è un problema che appartiene alla sua coscienza. E mi pare l'abbia risolto... restandosene seduto dov'è".

Molti, anche Berlusconi, sostengono che nel 2013 sarà lei il candidato premier con il Cavaliere al Quirinale.

"Nel 2013 il candidato premier sarà Silvio Berlusconi. Il resto è fantapolitica. Non gioco al Fantacalcio, figuriamoci alla fantapolitica".

(03 aprile 2011)

 

 

RUBYGATE

E dopo il conflitto di potere con i pm

spunta l'improcedibilità per il premier

Pdl, nuova mossa blocca-processo. Nel partito c'è chi propone di votare un documento che nega la possibilità del giudizio, ma non tutti sono d'accordo. Un segnale alla Consulta, che comunque secondo l'opposizione non avrà alcun valore sul percorso del processo

di FRANCESCO BEI e LIANA MILELLA

E dopo il conflitto di potere con i pm spunta l'improcedibilità per il premier Karima El Mahroug

ROMA - Devono superare due scogli come il conflitto d'attribuzione per Ruby e la prescrizione breve ma già lavorano a una zeppa da piazzare sul cammino del processo di Milano.

L'improcedibilità. Formula che, fuori dal giuridichese, vuol dire che il Parlamento, la Camera nel caso di specie, vota per negare qualsiasi possibilità di ulteriore indagine o processo per un componente del governo. Non sono uniti, su questo, i berlusconiani. C'è chi spinge sull'acceleratore e vorrebbe che la nuova pronuncia arrivasse addirittura a ridosso dei voti di questa settimana. Chi consiglia maggiore prudenza e l'opportunità di attendere almeno la decisione della Consulta sull'ammissibilità del conflitto. Chi è ancora più guardingo e suggerisce di tenersi questa come ultima carta da giocare, attendendo il pronunciamento della Corte sul conflitto. Chi, infine, sconsiglia di forzare ancora la mano, quasi che l'improcedibilità, spesa così su due piedi, possa sortire l'effetto di indebolire e depotenziare l'arma del conflitto, quasi che gli stessi proponenti avessero dei dubbi sulla sua efficacia. Niccolò Ghedini è tra questi. Lui, a conflitto ormai sulla strada della Corte, preferisce che si giochi una carta per volta.

Ma tant'è. C'è ansia nel Pdl. Voglia di rivalsa sui giudici. Desiderio di utilizzare, in questa stagione politica, tutte le possibili risorse. Ecco allora la legge di Gasparri e Quagliariello per mettere il bavaglio al Csm. O quella, firmata dal leghista

Dussin, per portare dalla maggioranza semplice ai due terzi il quorum per votare alla Consulta sulla costituzionalità di una norma. Legge che richiede, a sua volta, i due terzi per essere approvata e che vale pertanto più come segnale che per l'effettiva possibilità che venga approvata. Poi la responsabilità civile. Poi la riforma della giustizia.

È in questo cammino anti-toghe che entra l'improcedibilità. I berlusconiani di più stretta osservanza che premono per farla la considerano "un atto necessario". E la spiegano così: "Dobbiamo ribadire che, comunque vada alla Corte, noi non daremo mai l'autorizzazione per fare a Berlusconi il processo su un atto, quella telefonata in questura, che ha compiuto nella pienezza dei suoi poteri di premier". Non solo: "Il documento della Camera ribadirà quanto abbiamo già detto dichiarando inammissibile la richiesta di perquisire il ragionier Spinelli e quanto stiamo per votare nel conflitto di attribuzioni. La procura di Milano non era competente a indagare e quando il reato transiterà, com'è certo che transiterà, al tribunale dei ministri, noi negheremo l'autorizzazione a procedere".

Vuole essere un segnale alla Consulta quello dell'improcedibilità. Che, va detto, viene vista con totale scetticismo dall'opposizione. Considerata, per esempio dal finiano Nino Lo Presti che fa parte della giunta per le autorizzazioni, come "un documento che non ha alcun valore, men che meno nel processo, il quale andrà avanti comunque, sia col conflitto che con l'improcedibilità". Eppure, già in queste ore, nel Pdl si lavora per capire quale potrà essere l'incastro dei tempi. Intanto per garantire la buona riuscita dei voti di questa settimana. Sms ai deputati intimano "l'obbligatoria presenza in aula per martedì 5 aprile, quando è in aula un provvedimento che riguarda Berlusconi". Un altro raccomanda di esserci "fino a venerdì, sospesa qualsiasi missione, con disponibilità per le notturne", visto che in aula ci sarà la prescrizione breve, su cui l'opposizione può ben contare su 16 ore per ostacolare il voto.

Ma chi spinge sull'improcedibilità guarda anche alla Corte dove, giusto da martedì, il presidente Ugo De Siervo non presiederà più i lavori perché dal 29 aprile lascia il palazzo avendo compiuto i nove anni previsti dall'incarico. Nelle file del centrodestra l'avvicendamento è guardato con entusiasmo nella convinzione che, a questo punto, la Corte si sposterà più a destra. Comunque vada la scelta per il nuovo presidente si tratterebbe di una guida più a destra di quella attuale. In campo ci sono l'attuale vice Paolo Maddalena (ex presidente di sezione della Corte dei conti) o Alfio Finocchiaro (omologo in Cassazione), i due più anziani. Qualora si rompesse la tradizione, ecco Alfonso Quaranta, ordinario di diritto tributario, scelto nel 2004 da Ciampi, che solo per un voto, otto a sette, ha perso con De Siervo e può garantire una presidenza più lunga. E v'è di più. Il Pdl già lavora per "scippare" al centrosinistra il posto di De Siervo, che alla Corte era stato portato da quell'area. Ora, ragionano i berlusconiani, "il nostro peso politico ci consente di attribuirci quel giudice e riequilibrare la Consulta". Sarà il consesso che dovrà decidere sul conflitto, sia sull'ammissibilità che nel merito. Dal 29 aprile saranno in 14. Con gli occhi puntati addosso per una decisione che, se difforme da quello che il Pdl si augura, potrebbe portare a una legge per cambiare la stessa Corte. Come sta avvenendo per il Csm, "colpevole" di voler giudicare le leggi e proteggere le toghe.

(03 aprile 2011)

 

 

 

2011-04-01

GOVERNO

Giustizia, Alfano sulle barricate

"Nelle piazze per fare passare la riforma"

Il Guardasigilli: "La sinistra ci dice che non sono pronti a fare il bene dell'Italia, pur di fare il male di Berlusconi". "La legge è uguale per tutti, anche per i magistrati. Se non ora quando? Cosa aspettiamo a cambiare?"

Giustizia, Alfano sulle barricate "Nelle piazze per fare passare la riforma"

TRENTO - "Ci batteremo per far passare la riforma della giustizia nelle piazze". Lo ha detto il ministro Angelino Alfano parlando di giustizia al convegno di Rete Italia a Riva del Garda. Parole pronunciate alla vigilia di una settimana densa di passaggi delicati sul fronte della giustizia, dalla ripresa del dibattito parlamentare sul processo breve al voto di Montecitorio sul conflitto d'attribuzione per il caso Ruby.

"Sarà necessario l'impegno di un grande partito come il nostro, guidato da Berlusconi" dice il Guardasigilli. Per poi aggiungere: "La legge è uguale per tutti e anche per i magistrati: questo principio non ha nulla di punitivo verso i magistrati, sarebbe punitivo verso i cittadini se non facessimo una legge di questo genere".

"Io chiederò a Rete Italia - scandisce il ministro - il sostegno culturale, pratico e materiale della militanza, perchè noi dobbiamo batterci per far passare quella che in altri Paesi è un'ovvietà e purtroppo è il limite del nostro Paese. Dobbiamo batterci contro il pregiudizio dei soloni del diritto che ritengono che noi non siamo idonei culturalmente a proporre una riforma costituzionale della giustizia. Dobbiamo batterci contro il pregiudizio di chi ritiene di rappresentare la virtù anche dal punto di vista della interpretazione costituzionale e dobbiamo batterci contro il pregiudizio doloso di chi sposa le ragioni dei magistrati a prescindere dai loro meriti e dai loro demeriti".

Poi arriva

l'attacco all'opposizione che "non condivide la nostra proposta di riforma della giustizia pur di far male a Berlusconi" e si rifugia "nel benaltronismo per uccidere il riformismo. Sono i titolari della virtù e la nostra riforma non la accettano perchè siamo brutti e cattivi".

E' un fiume in piena il ministro. "La sinistra ci dice che aveva dato una grande apertura di credito sulla riforma della giustizia, ma siccome ora facciamo leggi che non le piacciono, allora non va bene la riforma - continua Alfano - Noi separiamo le polemiche su queste leggi che non piacciono alla sinistra, ma loro devono avere il coraggio di presentare gli emendamenti alla riforma della giustizia. E se presenteranno foglio bianco sarà chiaro che non hanno un'idea di riforma della giustizia".

Muoversi, dunque, per evitare il rischio che "il ministro della giustizia del 2031" dica "le stesse cose del ministro della giustizia del 2011, che recrimina come il ministro della giustizia martinazzoli 20 anni fa - continua Alfano occorre che cambiamo e questo vale anche per la scuola e la sanità: noi abbiamo coraggio, il nostro programma non è il Vangelo ma noi ci crediamo". Ed è a questo punto che Alfano prende in prestito il motto delle donne scese in piazza a febbraio: "Se non ora quando? Cosa aspettiamo a cambiare? Che torni la sinistra?".

Le reazioni. 'Alfano stia sicuro che saranno i cittadini a scendere in piazza, ma lo faranno per mandare a casa lui e i suoi colleghi di questo indegno governo" attacca l'Idv.

(02 aprile 2011)

 

OVERNO

Berlusconi: "Vicini ai 330 deputati

vinceremo le amministrative"

Il premier ostenta ottimismo: "In Parlamento troveremo il modo di andare avanti e fare le riforme". "Pensate a votare senza dar peso all'opposizione". "Sulla giustizia non si può andare avanti così. Fini alleato dei pm politicizzati". Bersani: "Potrà comprarne uno o due, ma tutti vediamo che non c'è un governo. Meglio votare"

Berlusconi: "Vicini ai 330 deputati vinceremo le amministrative" Silvio Berlusconi

ROMA - Ostenta ottimismo, promette successi elettorali e prevede la crescita della sua maggioranza parlamentare fino a quota 330 deputati. Silvio Berlusconi, in collegamento telefonico con un convegno dei Reponsabili, sfodera il consueto copione fatto di rassicurazioni e promesse. "Siamo ormai vicini al traguardo dei 330 deputati e questo permetterà di governare per altri due anni", assicura il premier. Che si dice "sereno" per i lavori parlamentari, per le riforme e per il consolidamento della maggioranza. Ma dall'opposizione il Pd torna a chiedere il voto anticipato e, per bocca del segretario Pier Luigi Bersani, attacca: "Potrà comprarne uno o due, ma tutti vediamo che non c'è un governo. Da mesi non combinano nulla. Berlusconi confonde la governabilità con la sua sopravvivenza".

Il Cavaliere guarda a maggio e alla delicata tornata elettorale. Si vota in città importanti come Milano, Napoli e Bologna. Il primo test dopo la bufera del Rubygate e gli scontri alla Camera 1. Berlusconi, però, non ha dubbi. "Vinceremo le prossime amministrative", dice convinto il Cavaliere. Poi, facendo riferimento alla delicatissima situazione alla Camera, si dice certo di "trovare un modo per andare avanti". Magari, esorta, "non cadendo nelle provocazioni dell'opposzione che dice solo menzogne" ma concentrandosi "soprattutto e quasi esclusivamente a votare

e approvare i nostri disegni di legge".

"Il governo con la riforma dei padri costituenti - continua Berlusconi - non ha alcun potere. I disegni di legge vengono contestati dai magistrati di sinistra che li mandano alla Corte costituzionale che, per come è costituita oggi, li annulla".

Inevitabile l'affondo sulla giustizia, a maggior ragione dopo la bagarre parlamentare sul processo breve. Il premier, ancora una volta, promette riforme. Perché, sbotta "così non si può andare avanti". Ed ecco che nel mirino finisce nuovamente Gianfranco Fini "che, con i suoi statalisti e giustizialisti, si era messo di traverso per impedire le riforme, e su quella per la giustizia si erano alleati con frange della magistratura politicizzata". Sulla riforma della giustizia il presidente del Consiglio torna a parlare della necessità di separare le carriere dei magistrati e di approvare una legge che consenta ai cittadini incensurati assolti di non essere nuovamente processati in appello.

Il presidente del Consiglio chiude con una battuta rivolta alla platea: "Complimenti per il vostro inno, lo metterò anche tra le canzoni del 'bunga bunga'" (audio 2).

(02 aprile 2011)

 

2011-03-30

IL CASO

Ruby, il conflitto di attribuzione va in Aula

Pareggio nell'ufficio di presidenza

"Il caso presenta aspetti speciali ed unici" dice il presidente della Camera durante l'Ufficio di presidenza di Montecitorio. Il voto avverà il 5 aprile. Bindi: "Dittatura della maggioranza"

Ruby, il conflitto di attribuzione va in Aula Pareggio nell'ufficio di presidenza

ROMA - Sarà la Camera, il 5 aprile, a decidere direttamente sulla richiesta di sollevare il conflitto di attribuzioni sul caso Ruby nei confronti della Procura della Repubblica e del gip di Milano presentata dai capigruppo della maggioranza. La votazione dell'ufficio di presidenza sul conflitto di attribuzione è finito in parità: 9 a 9. Il presidente Gianfranco Fini non ha partecipato al voto, mentre era assente per motivi di salute Angelo Lombardo dell'Mpa. "Alla luce del voto è ancor più necessario che sia l'assemblea ad esprimersi" commenta Fini.

Se ci fosse stata l'approvazione a maggioranza dell'ufficio di presidenza della richiesta di elevare il conflitto, su questa si sarebbe dovuta comunque pronunciare l'aula. Se invece fosse prevalso nello stesso organismo un orientamento contrario e fosse passata la decisione di non sollevare il conflitto in questione, il quesito che sarebbe stato posto ai deputati sarebbe stato rovesciato: "Volete non elevare conflitto di attribuzione?".

In mattinata era stato Gianfranco Fini a pronunciarsi a favore dell'arrivo in aula del conflitto di attribuzione. Una posizione espressa dopo aver illustrato le conclusioni a cui sono pervenute la Giunta per le autorizzazioni e la Giunta per il regolamento ed aver richiamato alcuni precedenti rispetto ai quali il caso Ruby si presenta per certi aspetti come un "unicum".

La giunta per il regolamento, riunitasi nel pomeriggio di ieri, non aveva votato ma la maggioranza dei componenti

(sei dell'opposizione contro i cinque di Pdl, Lega e Ir)) si era espressa contro il passaggio in aula del conflitto di attribuzioni.

Nella sua relazione, Fini ha rilevato come la composizione dell'Ufficio di presidenza veda di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai precedenti in materia.

Secondo Fini vanno considerato che la richiesta avanzata si collega "alla deliberazione dell'assemblea del 3 febbraio scorso sulla domanda di autorizzazione all'esecuzione di una perquisizione domiciliare rispetto alla quale è prospettata come strumento per assicurare una tutela effettiva alla volontà precedentemente manifestata dall'assemblea". Inoltre la composizione dell'ufficio di presidenza vede la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, "ciò che costituisce un tratto di assoluta novità rispetto ai precedenti".

Il voto in aula alla Camera, dopo che oggi alle 14 si sarà espresso l'ufficio di presidenza (non parteciperà Salvatore Lombardo dell'Mpa, che oggi risulta malato), avverrà, in modo palese, per alzata di mano oppure con il sistema elettronico ma senza registrazione dei nomi. Non saranno ammessi emendamenti, ordini del giorno o altri strumenti accidentali.

Le reazioni. Fini ha "dimostrato quel senso dello Stato e delle istituzioni che voi avete rifiutato con l'ennesima forzatura parlamentare". E' l'affondo del leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, alla maggioranza che ha chiesto di anticipare il voto sul processo breve. Dal Pdl parla il vicepresidente della Camera, Antonio Leone: "Per fare dispetto alla maggioranza il centrosinistra tenta di mandare al macero tutte le prerogative dell'articolo 96 della Costituzione".

"Il conflitto non ha nessun fondamento - dice Rosy Bindi del Pd - ed e' la dimostrazione che le istituzioni vengono strumentalizzate e usate solo per assicurare l'impunità al premier. Unendo quanto avvenuto in ufficio di presidenzacon l'inversione dell'ordine del giorno sul processo breve, possiamo dire che siamo dentro una dittatura della maggioranza". Poi la fracciata a Fini: "Abbiamo apprezzato la prudenza e la cautela ma riteniamo che l'ufficio di presidenza avrebbe potuto esprimersi con un voto per evitare di esporre la Camera all'ennesimo vulnus alla sua dignità". La Bindi è stata anche protagonista di un acceso diverbio nell'emiciclo con Massimo D'Alema. Motivo del contendere: l'abbandono o meno dell'Aula come gesto di protesta contro la maggioranza.

Bindi sosteneva la tesi dell'Aventino, mentre D'Alema era contrario. Alla fine, quest'ultimo ironizzando, avrebbe detto: "Che vuoi? Che gli vado a menare? Mi levo gli occhiali e vado....". Ironia poco gradita alla Bindi che sarebbe andata davvero su tutte le furie.

(30 marzo 2011)

 

 

 

IL CASO

Processo breve, blitz di Pdl e Lega

Bagarre in Aula, l'esame slitta

La maggioranza chiede e ottiene di invertire l'ordine del giorno per dare un via libera immediato alla legge che sta a cuore al premier. Insorge l'opposizione. Franceschini: "Approfittano della tragedia di Lampedusa per coprire questo fatto gravissimo. Liberano i criminali". Berlusconi: "Ce lo chiede l'Europa". Polemica Bindi-D'Alema

Processo breve, blitz di Pdl e Lega Bagarre in Aula, l'esame slitta Un momento dello scontro tra Fini e La Russa

ROMA - Il blitz della maggioranza sul processo breve finisce in una bagarre assoluta con i manifestanti che assediano Montecitorio, il ministro La Russa protagonista di un durissimo scontro con il presidente della Camera Fini e infine la seduta sospesa e aggiornata a domani. Tutto inizia di mattina, quando Pdl e Lega hanno chiesto e ottenuto l'inversione dell'ordine del giorno dell'Assemblea scavalcando quindi la discussione sulla legge comunitaria e accelerando sulla legge che sta a cuore 1 al premier Berlusconi. Grida di "vergogna, vergogna" dai banchi dell'opposizione che valuta ogni forma possibile di ostruzionismo. Non a caso dai banchi del Pd è partita la richiesta a Fini di evitare il contingentamento dei tempi. Richiesta che Fini accoglie raddoppiando i tempi di intervento. "Speriamo di chiudere entro venerdì" commenta Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl.

IL COMMENTO DI EZIO MAURO 2

Malgrado le durissime prosteste dell'opposizione, la scelta di accelerare è stata rivendicata dal premier. "Non si tratta di processo breve, ma di processo europeo perché è l'Europa che ci ha chiesto di dare tempi più veloci ai nostri processi", così come "ce lo chiedono

i cittadini" ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in una conferenza stampa a Lampedusa.

In precedenza il capogruppo del Pd Dario Franceschini aveva denunciato: "Questa è l'ultima delle vergogne, se non avete la forza morale di fermarvi, almeno provate vergogna per un'altra pagina nera della Repubblica". "Vogliono - dice Franceschini - approfittare della tragedia di Lampedusa per coprire questo fatto gravissimo". Poi si rivolge a Umberto Bossi e alla Lega. "Cosa andate a dire ai popoli padani - chiede ironico il capogruppo Pd - a cui avete promesso la sicurezza? Andrete a dire che volete liberare i criminali? Il processo breve ha come unico scopo di fermare il processo Mills del presidente del Consiglio, ma le conseguenze immediate saranno che migliaia di processi rischiano la prescrizione e saranno liberati anche imputati di rapina o violenza sessuale. Ma di fronte al presidente del Consiglio le rapine e le violenze non contano e vi comportate da servitori fedeli". E di vergogna parla in Aula anche Pierferdinando Casini: "E' un provvedimento per placare le ossessioni giudiziarie del presidente del Consiglio. E' una vergogna".

Ma la tensione della mattina è stata però solo un antipasto del pomeriggio, quando si è svolto il sit in davanti alla Camera, teatro di attimi di fortissima tensione 3 che hanno finito per ripercuotersi anche all'interno di Montecitorio, inducendo il presidente Gianfranco Fini a sospendere la seduta facendo slittare l'esame del testo a domani. Una scelta, salutata da un boato delle opposizioni, arrivata dopo uno scambio di battute al vetriolo con il ministro La Russa, accusato dall'opposizione di essere appositamente uscito dall'aula in concomitanza con la manifestazione per cercare l'incidente ed esasperare gli animi.

Il Pd in particolare attribuisce un'estrema gravità alla situazione. "Questo è il governo della menzogna - attacca il segretario Bersani - Abbiamo capito stamattina a cosa serve il viaggio di Berlusconi a lampedusa: serve a togliere i riflettori da qua, dove per salvare una sola persona si buttano a mare centinaia di processi".

Al di là dei duri giudizi, i democratici sembrano però divisi sulla migliore strategia per cercare di contrastare i disegni della maggioranza. In particolare è da registrare un acceso diverbio nell'emiciclo di Montecitorio tra il presidente del Pd Rosy Bindi e Massimo D'Alema. Motivo del contendere: l'abbandono o meno dell'Aula come gesto di protesta contro la decisione di Pdl e Lega di invertire l'ordine del giorno dei lavori dell'Aula per far votare subito il testo sulla 'prescrizione breve'. Bindi sosteneva la tesi dell'Aventino, mentre D'Alema era contrario. Alla fine, quest'ultimo ironizzando, forse per smorzare un pò i toni del dibattito, avrebbe detto: "Che vuoi? Che gli vado a menare? Mi levo gli occhiali e vado....". Ma la battuta ha mandato su tutte le furie Rosy Bindi. Che più tardi aggiunge: " ''Non possiamo continuare a partecipare alla vita del Parlamento come se fosse una situazione normale, che invece finisce per coprire la straordinarieta' di quello che viviamo, e cioè l'uso strumentale del Parlamento, il disprezzo della legge pur di garantire l'impunita' al presidente del COnsiglio, che oggi come a Lampedusa prende in giro tutti''.

Altra replica a nome del governo è arrivata poi dal Guardasigilli Angelino Alfano: "Quella dell'opposizione sull'inversione dell'odg è un'indignazione programmata perché se non lo avessimo fatto ci sarebbe stata la legge comunitaria con la responsabilità civile dei magistrati e avrebbero protestato comunque".

In serata è arrivata quindi la replica dell'Associazione nazionale magistrati. "La legge sulla prescrizione breve - denuncia una nota dell'Anm - è un colpo mortale inferto al funzionamento della giustizia penale in Italia. Con la riforma oggi in discussione aumenterà a dismisura il numero di casi di denegata giustizia e di impunità per gli autori di gravi reati". Analisi condivisa dal presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, secondo il quale con il bliz sul processo breve "andranno in fumo tutti i principali processi per crimini ambientali in Italia".

(30 marzo 2011)

 

 

LA PROTESTA

Folla blocca Montecitorio: "Vergogna"

lancio di monetine verso La Russa

Folla blocca Montecitorio: "Vergogna" lancio di monetine verso La Russa

ROMA - Dura contestazione in piazza Montecitorio, a pochi metri dall'ingresso della Camera, da parte del Popolo Viola e di simpatizzanti del Pd e dell'Idv, in occasione di un presidio organizzato dal Partito Democratico contro il ddl sul processo breve al grido di "Vergogna, vergogna", "Ladri, ladri", "Mafiosi, mafiosi". I manifestanti sono riusciti anche a superare il transennamento che abitualmente tiene a distanza i manifestanti dall'ingresso del Parlamentto.

LE IMMAGINI DELLA PROTESTA 1

Il ministro della Difesa, La Russa, è stato accolto con fischi e insulti ed è stato anche oggetto di un lancio di monetine. La Russa è stato costretto a rientrare nel palazzo e lasciarlo da un'altra uscita. I dimostranti hanno poi duramente contestato anche Daniela Santanchè. La Russa ha commentato le proteste fuori da Montecitorio: "Sono dei violenti, come è violenta l'opposizione".

Bersani è intervenuto in piazza Montecitorio, parlando da una scaletta messa a disposizione dagli organizzatori della protesta, chiedendo la mobilitazione di tutti "contro il colpo di mano sul processo breve che porterà - ha detto - in libertà i truffatori e i criminali". Il leader del Pd ha stigmatizzato il fatto che "di fronte alla crisi internazionale - politica, economica e militare - l'intero governo era presente

stamattina in aula con il solo scopo di far passare la modifica dell'ordine del giorno per avere subito una votazione sul processo breve". Bersani ha attaccato duramente la Lega: "Predicano la moralità e fanno il gioco di Berlusconi e dell'immoralità generalizzata". Il segretario del Pd ha chiesto una mobilitazione continua in difesa della Costituzione. "Dobbiamo diffondere fiducia e speranza che non passeranno questi provvedimenti, compreso quello che blinda le televisioni alla vigilia della campagna elettorale" ha concluso.

Alcuni deputati leghisti tra i quali Gianluca Buonanno, davanti a Montecitorio, sono diventati il catalizzatore della protesta che del migliaio di persone che assediano il Parlamento. Il deputato Buonanno si è staccato dal gruppetto e nonostante gli insulti si è avvicinato minacciosamente ai manifestanti. Dalla gente è partita una raffica di monetine, qualcuno si è staccato dal gruppo e solo l'intervento delle forze dell'ordine ha evitato la rissa, mentre il resto della folla cantava "Bella ciao".

Intanto, in piazza è cresciuta la presenza dei manifestanti, mentre il cordone di polizia ha liberato l'emiciclo davanti a Montecitorio. Sono oltre 1000 le persone che, al grido di "via i mafiosi dallo Stato" e "l'Italia è nostra e non di Cosa nostra" hanno partecipato alla protesta davanti alla Camera. Molte bandiere dell'Idv, ma anche quelle del Pd. In piazza oltre a Leoluca Orlando, c'erano anche altri esponenti dell'Idv e del Partito democratico, così come esponenti delle opposizioni extraparlamentari.

Proprio Leoluca Orlando, portavoce dell'Idv, ha chiesto al leader del Pd Pier Luigi Bersani "un incontro di tutte le opposizioni per valutare l'ipotesi di andare a colloquio dal presidente Napolitano perchè esiste un rischio reale per la democrazia, per via delle leggi sulla giustizia presentate dalla maggioranza".

Dal canto loro, i rappresentanti del "Popolo Viola" hanno proposto l'istituzione di un "camper della legalità" permanente in piazza Montecitorio.

(ha collaborato Manuel Massimo)

(30 marzo 2011)

 

QUIRINALE

Napolitano: "In Italia guerriglia continua

In politica basta tensioni, creano sfiducia"

Il capo dello Stato a New York: "Il più grande problema della politica italiana è l'iper-partigianeria che rende impossibile il dialogo e il confronto, determina una delegittimazione reciproca dei competitori politici. Tutta questa polemica rischia di generare distacco dalle istituzioni", aggiunge "Giusto l'intervento in Libia, non capisco la scelta della Germania".

Napolitano: "In Italia guerriglia continua In politica basta tensioni, creano sfiducia" Napolitano in visita a Ellis Island

ROMA - "Il vero problema dell'Italia è l'attitudine della politica a dividersi". Giorgio Napolitano, durante il dibattito annuale alla facoltà di legge della New York university, torna sulla situazione politica del nostro Paese. Sottolineandone il continuo clima di scontro. "Non è un momento facile per l'Italia e per il lavoro di un presidente della Repubblica. Io non faccio commenti su nessuna personalità politica italiana. Parlo più in generale e dico che il più grande problema della politica italiana è l'iper-partigianeria che produce una guerrigia quotidiana, rende impossibile il dialogo e il confronto, determina una delegittimzione reciproca dei competitori politici. Una situazione in cui nessuno ascolta l'altro crea un rischio di gravi divisioni e di forte indebolimento del Paese".

"Il funzionamento della democrazia - continua il capo dello Stato - richiede un governo forte e stabile, ma anche una opposizione forte. Io non ci posso fare nulla se a volte l'opposizione non è abbastanza forte".

In mezzo a questa confusione il Quirinale si muove "sottolineando tutto ciò che unisce l'Italia, e non la divide". E magari ogni tanto si nota che "c'è qualche risultato". "Il mio", dice ancora Napolitano, citando Benjamin Constant, "è un potere neutro che viene esercitato allo scopo di garantire la Costituzione e l'equilibrio tra i poteri". Ecco perchè, quando la Costituzione lo richiede,

qualche decreto non prende la via della Gazzetta Ufficiale, ma riprende quella di Palazzo Chigi.

Certo bisogna considerare che "il Presidente del Consiglio rappresenta la maggioranza parlamentare" e ci sono pertanto casi in cui "non si può obiettare più di tanto". Quanto alla nomina dei ministri, Napolitano riferisce che al premier si può "dare qualche consiglio, ma se lui insiste non si può far altro che dirgli 'la responsabilita' è tua".

Tensione tra le istituzioni. Da Giorgio Napolitano arriva un nuovo invito a "rimuovere tensioni anche istituzionali che finirebbero per alimentare nell'opinione pubblica e specialmente tra i giovani motivi di disorientamento e sfiducia che è indispensabile scongiurare", proprio sul delicatissimo terreno della giustizia.

Libia. "Certamente il fatto che i principali paesi membri dell'UE si siano divisi sull'intervento militare in Libia è un fatto molto negativo" dice Napolitano a proposito degli sbarchi a Lampedusa. Definendo "un errore" la rinuncia dell'Europa a dotarsi di un dispositivo militare proprio. " La riprova si ha ora in Libia dove ogni Stato europeo interviene con le propie forze militari spendendo molto di più di quanto spenderebbe se ci fosse a forza militare eruropea integrata. "Il problema è la riluttanza dei Governi europei ad accettare una politica integrata sull'immigrazione e ad applicare provvedimenti già decisi", mentre servirebbe una legislazione organica e non 27 differenti.

Il presidente della Repubblica critica, inoltre, la scelta "neutralista" della Germania, dicendo di non capire la decisione della cancelliera Angela Merkel di non partecipare all'intervento militare in Libia: "Scelte come queste non dovrebbero essere influenzate dal fatto che si deve votare nel proprio paese. I leader politici non dovrebbero inseguire i sondaggi, ma guidare i cittadini. Chi per paura di perdere le elezioni rinuncia a scelte come questa, non si rivela un vero leader".

"Per troppi paesi europei, forse per tutti - aggiunge il presidente - l'Unione è solo un caprio espiatorio. Per i problemi che non sanno risolvere i singoli paesi accusano l'Europa". Oggi, spiega "il progetto europeo è meno popolare che agli inizi. Bisogna far ripartire l'integrazione perchè senza un'Europa veramente unita il nostro futuro sarebbe peggiore".

(30 marzo 2011)

 

PROCESSO MEDIATRADE

Tg3: "Per indagine 2.165.254 euro"

Berlusconi aveva detto 20 milioni

In un servizio del telegiornale, il dettaglio delle spese legate alle indagini. La maggior parte della somma è stata impiegata per la consulenza della società di revisione Kpmg. Il processo riprende il 4 aprile

Tg3: "Per indagine 2.165.254 euro" Berlusconi aveva detto 20 milioni

ROMA - È costata 2.165.254 euro l'indagine sui presunti fondi neri relativi ai diritti di Mediaset nel troncone denominato Mediatrade che vede imputato Silvio Berlusconi. Non sono state utilizzate intercettazioni né ci sono spese a riguardo. È quanto afferma un servizio del Tg3 che ha diffuso alcuni dati relativi alle spese legate al processo. Una cifra molto inferiore a quella dichiarata dal premier, che ieri aveva parlato di 20 milioni di euro 1 come costi delle inchieste a suo carico.

I costi al dettaglio. 2 milioni e 100 mila euro sono stati spesi per la consulenza della società di revisione Kpmg, somma contestata come eccessiva da un imputato, ma ritenuta congrua dal tribunale. 34 mila euro sono stati spesi per le rogatorie con viaggi a Lugano, Budapest, Los Angeles e Dublino dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Con altre spese varie si arriva a circa 2 milioni 165 mila euro.

Il processo riprende il 4 aprile. Mediatrade attualmente è in udienza preliminare. Si riprenderà lunedì 4 arile con il pm che illustrerà la richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi e altri 11 imputai tra cui il figlio Piersilvio, Fedele Confalonieri, e Frank Agrama l'uomo d'affari di cui il premier sarebbe stato socio occulto secondo i pm. Il risultato più significativo dell'inchiesta finora sono i 100 milioni di dollari sequestrati ad

Agrama in Svizzera.

(30 marzo 2011)

 

 

POLIS

Di Massimo Giannini

Delitto perfetto

Delitto perfetto Silvio Berlusconi sotto il Palazzo di Giustizia, lunedì scorso

Sulla guerra lunga contro la Libia no. Incapace e irresponsabile, Silvio Berlusconi non è in grado di "metterci la faccia". Ma sulla guerra-lampo contro i magistrati sì. Feroce e inesorabile, il Cavaliere la faccia ce la mette. Il blitzkrieg sul processo breve è la drammatica conferma di un lucido progetto di destrutturazione del sistema giurisdizionale. L'unica cosa che davvero conta, per il presidente del Consiglio, è ora e sempre fermare la macchina dei processi che lo riguardano. E così, nell'ombra della Camera oscurata per un giorno dai riflettori spostati su Lampedusa, il premier consuma il delitto perfetto. Lunedì la scena madre a Milano, con il predellino bis davanti al Palazzo di Giustizia trasformato in un qualsiasi palaforum da campagna elettorale: colossale finzione propagandistica, per dimostrare al suo popolo che lui ai processi ci va, nonostante la "persecuzione giudiziaria" di questi diciassette anni perpetrata dai soliti comunisti. Oggi, nel retroscena di Montecitorio, l'accelerazione improvvisa sul disegno di legge che contempla tra l'altro l'accorciamento dei tempi di prescrizione per gli incensurati: ultimo e definitivo "salvacondotto", per mettersi al riparo entro l'estate dalla probabile condanna nel processo Mills.

Come sempre, quando la posta in gioco del Cavaliere è la giustizia non si sbaglia mai: conviene scommettere sul peggio. Perché il peggio, puntualmente, arriva. A dispetto dei finti ingenui dell'opposizione, che ancora credono alle menzogne

del premier o ai bluff del suo Guardasigilli. In un giorno solo, il governo fa piazza pulita dell false promesse che hanno accompagnato la presunta "riforma Alfano": mai più norme ad personam, ma leggi nell'interesse dei cittadini. In un giorno solo, la maggioranza con il processo breve fa due passi avanti sul terreno dell'arbitrio legislativo, dopo aver simulato un passo indietro sull'emendamento per la responsabilità civile dei giudici. È la tattica collaudata in un quasi Ventennio. Con una mano, esibita al pubblico plaudente, ti porgo il ramoscello d' ulivo. Con l'altra mano, nascosta dietro la schiena, mi preparo a colpirti col bastone. Adesso ci risiamo. Con un'aggravante in più. Per salvare il premier con la norma tagliata a misura per la sua prescrizione, passa una legge che rischia di azzerare circa 100 mila processi, tra cui molti di quelli su reati comuni gravissimi (dalla violenza sessuale alla rapina), oltre a quelli su Thyssen, Parmalat, Antonveneta, e la Casa dello Studente dell'Aquila. È il prezzo, carissimo, messo da Berlusconi sul conto degli italiani: per garantire la sua impunità, devono rinunciare alla loro giustizia. Questa è la vera "riforma" del centrodestra.

(30 marzo 2011)

 

 

2011-03-25

LA POLEMICA

Giustizia, l'Anm contro il governo

"Leggi piegate a interessi particolari"

Nel mirino la norma recente sulla prescrizione breve, che "appare palesemente in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza". "Gli unici processi che potranno essere portati a termine saranno quelli nei confronti dei recidivi, mentre gli incensurati avranno ottime probabilità di restare tali per sempre". "La norma sulla responsabilità dei magistrati è un atto di aggressione"

Giustizia, l'Anm contro il governo "Leggi piegate a interessi particolari" Luca Palamara

ROMA - Durissima presa di posizione dell'Associazione nazionale dei magistrati contro le politiche dell'esecutivo sulla giustizia. Nel mirino la norma recente sulla prescrizione breve 1, che "appare palesemente in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza". Ma non solo. Le toghe puntano il dito anche contro il giro di vite sulla responsabilità dei giudici approvato in commissione giustizia alla Camera. 2

"Nel giro di pochi giorni - si legge in una nota congiunta dei vertici dell'Associzione - la maggioranza di governo ha dimostrato quale era il vero obiettivo dell'annunciata riforma epocale della giustizia, vale a dire risolvere situazioni legate a singole vicende processuali, direttamente con una norma sulla prescrizione e indirettamente con una modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati punitiva e intimidatoria 3".

Per i vertici dell'Anm, "gli unici processi che potranno essere portati a termine" con questa norma "saranno quelli nei confronti dei recidivi, mentre gli incensurati avranno ottime probabilità di restare tali per

sempre". Ma, secondo Luca Palamara, Antonello Ardituro e Giuseppe Cascini, presidente, vicepresidente e segretario dell'Associazione magistrati, "è impensabile che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti di un incensurato si estingua, mentre debba proseguire quello per una truffa da cinque euro commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato".

La differenziazione del regime di prescrizione del reato in ragione della personalità dell'imputato appare palesemente in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza. "La prescrizione del reato è una sconfitta per tutti: per lo Stato che non riesce ad accertare la responsabilità dei reati; per le vittime che non ottengono giustizia per il torto subito; per l'imputato che, se innocente, non vuole la scappatoia della prescrizione, ma un'assoluzione nel merito", concludono i vertici dell'Anm.

Per l'Anm la modifica della legge sulla responsabilità civile "appare talmente assurda e disorganica da potersi spiegare soltanto come atto di aggressione nei confronti della Magistratura, diretto ad influenzarne la serenità di giudizio". Per i vertici dell'associzione "l'interpretazione della legge e la valutazione del fatto e delle prove rappresentano il cuore dell'attività giudiziaria: pensare di sottoporre a censura tale attività con la generica e incomprensibile formula della 'manifesta violazione del diritto' è davvero irragionevole prima ancora che profondamente sbagliato".

(25 marzo 2011)

 

2011-03-22

GIUSTIZIA

Processo breve, sì a norma salva premier

"E' fatta apposta per aiutare Berlusconi"

Via libera della commissione giustizia della Camera all'emendamento del relatore al ddl Maurizio Paniz che riduce i tempi di prescrizione per gli incensurati. Pd, Udc e Fli abbandonano la commissione

Processo breve, sì a norma salva premier "E' fatta apposta per aiutare Berlusconi" Maurizio Paniz

ROMA - Riecco la norma salva-premier. La Commissione giustizia della Camera ha approvato, a maggioranza, la norma taglia-prescrizione per gli incensurati. Durante il voto sugli emendamenti, alla ripresa dei lavori nel pomeriggio, è passato l'emendamento Paniz quattro-bis che premia chi ha la fedina pulita e allunga i tempi della prescrizione per chi è recidivo. La norma non si applica ai procedimenti in cui è già stata pronunciata sentenza di primo grado. Hanno votato contro Pd, Udc, Idv e Fli. Si da Pdl, Lega e Responsabili.

Immediata la reazione dei deputati dell'Udc, di Fli e del Pd che hanno abbandonato i lavori della commissione. "Prendiamo atto - dichiara il capogruppo del Pd Donatella Ferranti - che non c'è più alcuna possibilità di costruire migliorando il testo insieme". Analogo il commento di Lorenzo Ria (Udc) secondo il quale la maggioranza sta andando avanti da sola senza ascoltare i contributi che arrivano dall'opposizione". Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, invece, resta: "Siamo riusciti a ridurre moltissimo la portata della norma pertanto restiamo e votiamo contro".

L'emendamento Paniz stabilisce che le misure predisposte non si applichino ai procedimenti nei quali, alla data dell'entrata in vigore della legge, è già stata pronunciata sentenza di primo grado e modifica l'art. 161 del codice penale prevedendo che "salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, comma 3 bis e 3 quater del codice di procedura penale (reati

più gravi come quelli di mafia o il sequestro di persona a scopo di estorsione, ndr), in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un sesto del tempo necessario a prescrivere, di un quarto nel caso di cui all'art. 99 primo comma (che riguarda la recidiva), della metà nei casi di cui all'articolo 99 secondo comma, dei due terzi nei casi di cui all'articolo 99 quarto comma e del doppio dei casi di cui all'articolo 102, 103 e 105".

Duro il capogruppo del Pd in commissione, Donatella Ferranti: "Sono spudorati sembra stiano approfittando della guerra per accelerare tutte le norme che riguardano Berlusconi. La prescrizione breve se sarà approvata in questa forma darà un duro colpo alla lotta alla corruzione". "Il testo - afferma Pierluigi Mantini dell'Udc - è stato molto modificato e molto migliorato ma contiene il trucco modesto di un favore ad personam sulla prescrizione agli incensurati". Ma Paniz non ci sta: "In nessun modo si arriverebbe alla fine del processo Mills a fine febbraio dell'anno prossimo. State svilendo il mio lavoro".

(22 marzo 2011

 

 

2011-03-20

GIUSTIZIA

Da lunedì la conciliazione obbligatoria

Avvocati in sciopero: "Incostituzionale"

Per molte cause civili bisognerà tentare la strada della mediazione davanti a uno degli organismi abilitati. Solo se non si troverà un accordo ci si potrà rivolgere alla giustizia civile. La protesta delle associazioni forensi e i dubbi di varie altre categorie

Da lunedì la conciliazione obbligatoria Avvocati in sciopero: "Incostituzionale" La protesta degli avvocati a Roma

ROMA - Entra in vigore lunedì prossimo la conciliazione obbligatoria prevista dalla riforma approvata un anno fa. Dal 21 marzo per molte cause civili non sarà quindi più possibile rivolgersi alla magistratura senza aver tentato prima la strada della mediazione davanti a uno degli organismi abilitati. Solo se le parti non troveranno un accordo in quella sede si andrà in tribunale. I dubbi sull'efficacia e la convenienza delle nuove procedure sono molti. E vengono da diverse categorie, a cominciare dagli avvocati che hanno deciso di astenersi dalle udienze dal 16 al 22 marzo in segno di protesta sia contro la conciliazione obbligatoria che contro il ddl che affida a 600 ausiliari, magistrati e avvocati dello Stato in pensione, lo smaltimento dell'arretrato civile. Perplessità sono state espresse anche dal Sunia, sindacato degli inquilini che parla di privatizzazione della giustizia.

Guida alla conciliazione obbligatoria 1 - Così nella sanità 2

La protesta degli avvocati. Lo sciopero ha fatto registrare secondo l'Organismo unitario dell'avvocatura un'adesione superiore al 90%. Ma la protesta non si esaurisce con l'astensione dalle cause e la manifestazione svoltasi mercoledì a Roma. L'Oua

ha in programma per il 28 marzo un incontro con il presidente della Camera Gianfranco Fini, per il 7 aprile uno con il ministro degli Interni Roberto Maroni e poi in giornate ancora stabilire altre riunioni con il presidente dell'Udc Pier Ferdinando Casini e con il leader dell'Idv Antonio Di Pietro.

"Gli avvocati, la stragrande maggioranza degli ordini e delle associazioni forensi stanno dando prova di una grande unità in questa battaglia in difesa dei diritti dei cittadini - sottolinea Maurizio De Tilla, presidente dell'Oua - Lo dimostrano le adesioni all'astensione: oltre il 90% dei legali stanno incrociando le braccia. Ma anche il sostegno ricevuto dalla stessa magistratura, con in testa l'Anm, nonché dalle forze politiche, e infatti la prossima settimana sarà calendarizzato al Senato un ddl bipartisan che modificherà questo sistema di mediazione finalizzato alla conciliazione".

"Di fronte a un così ampio e trasversale fronte di opposizione vogliamo anche rivolgerci con garbo ed amicizia al Consiglio Nazionale Forense - aggiunge De Tilla - che, pur condividendo in toto le critiche, ha parlato della necessità di dover 'rispettare la conciliazione'. Ci chiediamo come si può accettare un sistema che è innanzitutto incostituzionale sotto molteplici aspetti, che è contro i diritti dei cittadini, che è escludente nei confronti degli stessi avvocati, che è viziato da una logica strettamente economicista nonché dettato da precisi settori dell'impresa di questo Paese (Confindustria, banche, assicurazioni)". "In sintesi - conclude - come possiamo essere corresponsabili di un processo di svendita della giurisdizione e di privatizzazione della giustizia civile, nonché di un attacco così duro alla professione di avvocato".

(19 marzo 2011)

 

 

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Cause civili, da lunedì conciliazione obbligatoria

e solo se non c'è accordo ricorso al giudice

di Antonella Donati

Cambia volto la giustizia civile da lunedì prossimo. A partire dal 20 marzo, infatti, entra in vigore la riforma approvata un anno fa e per un gran numero di cause civili non sarà più possibile far ricorso al giudice senza aver prima tentato la via della conciliazione di fronte ad uno degli organismi abilitati. Solo se l'accordo non si raggiunge si andrà in tribunale.

 

Le liti interessate - La "rivoluzione" interessa tutte le cause relative a:

- diritti reali (ad esempio usufrutto, diritto di abitazione, uso esclusivo)

- divisione

- successioni ereditarie

- patti di famiglia

- locazione

- comodato

- affitto di aziende

- contratti assicurativi, bancari e finanziari

- responsabilità medica

- diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità.

Dal 20 marzo 2012, poi, la mediazione obbligatoria riguarderà anche le cause condominiali e il risarcimento danni da incidenti stradali.

 

Mediazione anche senza il ricorso all'avvocato - La conciliazione al posto del ricorso al giudice, peraltro, non è una novità: nel campo delle telecomunicazioni, ad esempio, è un obbligo da tempo. Non si può, infatti, ricorrere al giudice per contestare bollette o spese non dovute prima di aver obbligatoriamente tentato la via della conciliazione davanti al Co.re.com. Solo in mancanza di accordo si aprono le porte del tribunale. E così avverrà da ora in poi anche per le liti in tutti i settori previsti dalla legge, anche se resta la possibilità di ricorrere al giudice per richiedere provvedimenti urgenti, come, ad esempio, in caso di danni temuti, per bloccare i lavori che possono, appunto, arrecare un danno ai propri beni. Peraltro per la mediazione non è obbligatorio richiedere l'assistenza di un avvocato, ma ci si potrà eventualmente far assistere anche da un commercialista, e per questo gli avvocati sono sul piede di guerra, diversamente dagli altri professionisti che plaudono invece all'iniziativa. Il 16 marzo c'è stata un'assemblea e una manifestazione davanti a Montecitorio organizzata dall'Organismo unitario degli avvocati, e una richiesta, inascoltata, a governo e parlamento per un rinvio delle norme. Rinvio che, però, non c'è stato, e quindi come previsto dalla riforma del processo civile, entrata in vigore un anno fa, da lunedì la conciliazione obbligatoria è pienamente operativa.

Le regole del procedimento - Il sistema comporta una vera e propria rivoluzione: ci si rivolge al mediatore, infatti, non per stabilire chi ha ragione o chi ha torto, ma per trovare una soluzione in grado di soddisfare entrambi i "contendenti". Il ruolo del mediatore è quello di favorire un accordo amichevole di definizione della controversia, e non quello di arbitro. Quindi la procedura prevede che siano le parti, non il mediatore, a definire i contenuti dell’accordo, con tutte le soluzioni e le modalità che ritengono utili, a prescindere anche da specifiche disposizioni di legge. Così, ad esempio, è possibile accordarsi su una divisione ereditaria nel caso di un appartamento al mare, prevedendo invece della liquidazione degli eredi la possibilità di un uso a turno da parte di tutti, come una sorta di multiproprietà, con turni ben precisi. Oppure si possono definire su formule di liquidazione ad hoc per gli eredi in contrasto tra loro, magari sottoscrivendo un mutuo per l'acquisto di un bene invece che prevedendo un pagamento in contanti, e così via. Nel tentativo di conciliazione con l’aiuto del mediatore, in sostanza, è possibile concentrarsi sui interessi e bisogni reali e dar vita ad accordi con clausole personalizzate. E' comunque sempre possibile richiedere al mediatore di predisporre autonomamente il testo dell'accordo, che deve comunque soddisfare entrambe le parti.

Quattro mesi di tempo per chiudere la lite - Il mediatore al quale affidarsi per trovare una soluzione può essere scelto liberamente tra i soggetti iscritti all'Albo degli organismi di conciliazione del Ministero della giustizia. All'atto della presentazione della domanda di mediazione fatta da una delle parti, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro non oltre quindici giorni dal deposito della domanda. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo, e tutta la procedura deve concludersi, per legge, nel termine massimo di 120 giorni. In ogni caso tutti gli atti e le dichiarazioni sono coperte dal segreto professionale e non possono essere utilizzate in eventuali procedimenti successivi davanti al giudice. Se si raggiunge un accordo direttamente tra le parti, o su una proposta di conciliazione messa a punto dal mediatore, la procedura si conclude e il verbale di accordo può esser omologato dal tribunale. Il verbale omologato costituisce titolo esecutivo, il che vuol dire che se non viene rispettato si può ottenere un decreto ingiuntivo, anche per l'espropriazione forzata. Quando l'accordo non si trova si ha il diritto di ricorrere al tribunale.

Se l'altra parte non accetta l'invito alla mediazione - Se invece l’altra parte non aderisce alla convocazione o non si presenta all’incontro fissato dal mediatore, la segreteria della Camera di conciliazione consegna un verbale di fallita conciliazione per mancanza di adesione della controparte. A questo punto si potrà andare in tribunale allegando il verbale all’atto di citazione o al ricorso.

Quanto costa la procedura - La mediazione ha un costo che serve a retribuire il conciliatore, e che è a carico di entrambe le parti in causa. I costi per la mediazione sono fissati dal Ministero della Giustizia. Per favorire la mediazione è anche previsto anche un incentivo fiscale. Per chi trova un accordo è infatti riconosciuto un credito d'imposta rapportato alle spese pagate fino ad un massimo di 500 euro, ridotto della metà in caso di insuccesso della mediazione. Inoltre non sono dovute spese di registrazione del verbale fino ad un importo della lite pari a 50.000 euro.

Valore della lite (in euro)

Spese per ciascuna parte (in euro)

Fino a 1.000

65

da 1.001 a 5.000

130

da 5.001 a 10.000

260

da 10.001 a 25.000

360

da 25.001 a 50.000

600

da 50.001 a 250.000

1.000

da 250.001 a 500.000

2.000

da 500.001 a 2.500.000

3.800

da 2.500.001 a 5.000.000

5.200

oltre 5.000.000

9.200

 

La lista degli organismi di concilizazione sul sito del Ministero della giustizia

VAI AL SITO INTERNET:

http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_10_1.wp

(18 marzo 2010)

 

 

 

RIFORME

Sanità, conciliazione obbligatoria

anche sulle cause per errore medico

Dal 21 marzo in vigore la legge che obbliga al tentativo di mediazione prima di potersi rivolgere a un giudice ordinario. Le liti e le denunce contro gli ospedali sono in aumento

di VALERIA PINI

Sanità, conciliazione obbligatoria anche sulle cause per errore medico

ROMA - Il 21 marzo entra in vigore la legge che rende obbligatori i tentativi di conciliazione nella giustizia civile. In sostanza, in presenza di una lite qualsiasi, i cittadini dovranno cercare di risolverla facendo ricorso a un soggetto mediatore "autorizzato" dal ministero della Giustizia e solo in assenza di accordo potrà rivolgersi al giudice ordinario. L'obbligo riguarda anche le liti tra il cittadino e la sanità.

Guida alla conciliazione obbligatoria 1

Il paziente che contrae un'infezione in ospedale, ad esempio, se intende fare causa all'ospedale o alla Asl interessata, dovrà obbligatoriamente cercare di avere giustizia passando prima per il tentativo di conciliazione. Il "mediatore" potrà essere un avvocato, un medico o un ex giudice di pace appositamente formati. Ma non solo. "Potranno diventare conciliatori - spiega Gabriele Peperoni, segretario nazionale e consigliere delegato in materia di conciliazione della Fnomceo (Federazione nazione ordine dei medici) - tutti i laureati iscritti a un collegio o a un ordine professionale. Naturalmente dopo aver seguito un corso di formazione 'ad hoc' di 50 ore".

Nel caso in cui le parti si presentassero davanti al giudice senza essere prima passate per il tentativo di mediazione, sarà il magistrato stesso ad assegnare alle parti l'obbligo

di presentare la domanda entro 15 giorni. Il nuovo sistema dovrebbe facilitare l'accordo tra le parti, ma soprattutto punta a ridurre le spese e i tempi lunghissimi della giustizia civile.

Nel settore della sanità, il grosso del contenzioso sui preseunti errori medici riguarda denunce per diagnosi sbagliate e farmaci somministrati in modo non adeguato. Il fenomeno è in crescita. Se nel 2004 la media delle richieste di risarcimento danni era di 50 casi l'anno, nel 2009 si è passati a circa 65 per singolo ospedale (+30%). Lo rivela il secondo rapporto della Medmal Claims Italia, realizzato dalla società di brokeraggio Marsh su un campione di 74 ospedali pubblici. I numeri sono maggiori negli ospedali del Centro, dove si è passati da 58 denunce a 85 l'anno per ospedale.

Negli anni l'aumento delle cause in questo settore ha fatto salire anche la crescita dei costi assicurativi. Un aspetto che sta mettendo in fuga le compagnie. Basti pensare che a livello nazionale il valore assicurativo di un posto letto è stimato intorno a 2.235 euro. Per la Fnomceo il tentativo di trovare una conciliazione tra cittadino e sanitari porterà in poco tempo a un taglio delle spese nei contenziosi, ma è fondamentale formare in modo adeguato i mediatori.

Grazie a un'intesa siglata con il Consiglio nazionale forense (Cnf), la Federazione punta a creare scuole di formazione nell'ambito dei 26 distretti delle Corti d'appello attraverso cui sono organizzati gli Ordini forensi. Rischio clinico e danno biologico saranno le materie su cui sarà focalizzata l'attenzione nei corsi.

(19 marzo 2011)

 

 

2011-03-19

GIUSTIZIA

Anm, mobilitazione contro la riforma

il 5 aprile le toghe vanno da Napolitano

Il segretario Palamara: "Questo incontro dimostra che la giunta ha intenzione di muoversi nel pieno rispetto delle istituzioni. Non vogliamo sostituirci al Parlamento ma segnalare i rischi della proposta del governo"

Anm, mobilitazione contro la riforma il 5 aprile le toghe vanno da Napolitano Luca Palamara

ROMA - La proclamazione, a partire da oggi, dello stato di agitazione dei magistrati contro la riforma della giustizia 1 proposta dal governo, è la proposta sostenuta dal presidente dell'Anm, Luca Palamara, innanzi al parlamentino delle toghe riunito nella sede dell'Anm di piazza Cavour. Palamara chiama i giudici alla "mobilitazione generale", raccontando al comitato direttivo centrale di aver scritto il 16 marzo scorso al capo dello Stato chiedendo un incontro "per rappresentare le nostre preoccupazioni sulla riforma". Nella stessa giornata, riferisce ancora il leader dell'Anm, è arrivata la risposta del Colle. Un faccia a faccia che si terrà il 5 aprile.

I punti chiave del testo Alfano 2 2

"Questo incontro - continua il presidente dell'Anm - dimostra che la Giunta ha intenzione di muoversi nel pieno rispetto delle istituzioni". Anche Magistratura indipendente, l'unica tra le correnti a non avere un rappresentante in Giunta, è stata invitata da Palamara ad indicare il nominativo di un suo rappresentante per farlo partecipare alla riunione al Quirinale. Secondo Palamara l'Anm "non vuole sostituirsi al Parlamento" ma esprimere "i rischi

presenti nella riforma proposta dal governo".

Rinviata, per il momento, l'ipotesi dello sciopero, l'Anm punta sulla mobilitazione a più livelli: istituzionale e tra i cittadini. Valutando di deliberare "ulteriori incontri istituzionali e la proclamazione di un'assemblea straordinaria".

Severo, ovviamente, il giudizio sulla riforma. Che è stata preceduta da un "clima di dileggio e offese" nei confronti della magistratura. Non piace, alle toghe, lo sdoppiamento del Csm, la sua dipendenza della politica, le novità sulla obbligatorietà dell'azione penale. Tutte cose "che fanno emergere un quadro diverso dalla costituzione del 1948, poichè la magistratura non è più indipendente ma subalterna al potere politico".

"Quando parliamo di riforma punitiva - prosegue Palamara - ci riferiamo anche al metodo e alla tempistica non disgiunta, evidentemente, da tutte le vicende giudiziarie accadute in questi mesi". Poi tocca al Guardasigilli Alfano: "Ci disse che non sarebbero state fatte riforme ma sarebbero stati soltanto ritoccati gli aspetti organizzativi del funzionamento della giustizia, affermazioni che sono state del tutto smentite".

(19 marzo 2011

 

 

GIUSTIZIA

Da lunedì la conciliazione obbligatoria

Avvocati in sciopero: "Incostituzionale"

Per molte cause civili bisognerà tentare la strada della mediazione davanti a uno degli organismi abilitati. Solo se non si troverà un accordo ci si potrà rivolgere alla giustizia civile. La protesta delle associazioni forensi e i dubbi di varie altre categorie

Da lunedì la conciliazione obbligatoria Avvocati in sciopero: "Incostituzionale" La protesta degli avvocati a Roma

ROMA - Entra in vigore lunedì prossimo la conciliazione obbligatoria prevista dalla riforma approvata un anno fa. Dal 21 marzo per molte cause civili non sarà quindi più possibile rivolgersi alla magistratura senza aver tentato prima la strada della mediazione davanti a uno degli organismi abilitati. Solo se le parti non troveranno un accordo in quella sede si andrà in tribunale. I dubbi sull'efficacia e la convenienza delle nuove procedure sono molti. E vengono da diverse categorie, a cominciare dagli avvocati che hanno deciso di astenersi dalle udienze dal 16 al 22 marzo in segno di protesta sia contro la conciliazione obbligatoria che contro il ddl che affida a 600 ausiliari, magistrati e avvocati dello Stato in pensione, lo smaltimento dell'arretrato civile. Perplessità sono state espresse anche dal Sunia, sindacato degli inquilini che parla di privatizzazione della giustizia.

Guida alla conciliazione obbligatoria 1 - Così nella sanità 2

La protesta degli avvocati. Lo sciopero ha fatto registrare secondo l'Organismo unitario dell'avvocatura un'adesione superiore al 90%. Ma la protesta non si esaurisce con l'astensione dalle cause e la manifestazione svoltasi mercoledì a Roma. L'Oua

ha in programma per il 28 marzo un incontro con il presidente della Camera Gianfranco Fini, per il 7 aprile uno con il ministro degli Interni Roberto Maroni e poi in giornate ancora stabilire altre riunioni con il presidente dell'Udc Pier Ferdinando Casini e con il leader dell'Idv Antonio Di Pietro.

"Gli avvocati, la stragrande maggioranza degli ordini e delle associazioni forensi stanno dando prova di una grande unità in questa battaglia in difesa dei diritti dei cittadini - sottolinea Maurizio De Tilla, presidente dell'Oua - Lo dimostrano le adesioni all'astensione: oltre il 90% dei legali stanno incrociando le braccia. Ma anche il sostegno ricevuto dalla stessa magistratura, con in testa l'Anm, nonché dalle forze politiche, e infatti la prossima settimana sarà calendarizzato al Senato un ddl bipartisan che modificherà questo sistema di mediazione finalizzato alla conciliazione".

"Di fronte a un così ampio e trasversale fronte di opposizione vogliamo anche rivolgerci con garbo ed amicizia al Consiglio Nazionale Forense - aggiunge De Tilla - che, pur condividendo in toto le critiche, ha parlato della necessità di dover 'rispettare la conciliazione'. Ci chiediamo come si può accettare un sistema che è innanzitutto incostituzionale sotto molteplici aspetti, che è contro i diritti dei cittadini, che è escludente nei confronti degli stessi avvocati, che è viziato da una logica strettamente economicista nonché dettato da precisi settori dell'impresa di questo Paese (Confindustria, banche, assicurazioni)". "In sintesi - conclude - come possiamo essere corresponsabili di un processo di svendita della giurisdizione e di privatizzazione della giustizia civile, nonché di un attacco così duro alla professione di avvocato".

(19 marzo 2011)

 

 

2011-03-18

IL CASO

Giustizia, il segretario dell'Anm al Pdl

"Non avete legittimità per fare la riforma"

Cascini contro il disegno di legge Alfano: "E' una sorta di distrazione di massa sulla battaglia per il processo breve". Dura reazione di Paniz: "Parole incredibili, faccia il suo lavoro e non si permetta giudizi"

Giustizia, il segretario dell'Anm al Pdl "Non avete legittimità per fare la riforma" Maurizio Paniz

ROMA - Tenuto conto che appena una settimana prima della presentazione della riforma costituzionale sulla giustizia "il Pdl ha definito gli uffici giudiziari di Milano avanguardia rivoluzionaria, a mio avviso questa maggioranza non ha la legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per affrontare questo tema". E' duro l'attacco del segretario dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Cascini, nel suo intervento a un convegno su processo breve e riforme costituzionali della giustizia organizzato da Nichi Vendola.

"L'ipotesi di riforma costituzionale è una sorta di distrazione di massa" nei confronti di quanto sta avvenendo in Parlamento, ovvero la battaglia sul processo breve e "l'idea diffusa anche a sinistra secondo cui Berlusconi un po' di ragione in fondo ce l'abbia, denota una subalternità culturale e politica a un tema declinato dalla destra. Dalla sinistra - ha aggiunto Cascini - vorrei una risposta realmente di sinistra". Per il futuro, poi, l'invito del segretario dell'Anm è a "non farsi intrappolare dall'idea che dire no significhi essere conservatori".

Durissima e immediata la reazione del Pdl: secondo Maurizio Paniz, le parole pronunciate dal magistrato sono incredibili. "L'indegnità morale - ribatte il membro della Consulta Giustizia del Pdl, presidente del Consiglio di Giurisdizione e capogruppo Pdl della giunta per le autorizzazioni a procedere - è di chi non sa rispettare i limiti del proprio compito: applicare le leggi e

non farle è il suo dovere. Cerchi di farlo bene e non si permetta giudizi, vieppiù sulla legittimazione morale, di chi sta solo facendo il proprio lavoro di legislatore!".

"La dichiarazione del dottor Cascini supera qualsiasi limite di tollerabilità - aggiunge Jole Santelli, vicepresidente dei deputati Pdl - la legittimazione politica della maggioranza parlamentare è data dal popolo italiano e dai suoi rappresentanti democraticamente eletti".

(18 marzo 2011)

 

 

2011-03-16

IL CASO

Processo breve, arriva il nuovo testo

prescrizione più corta per gli incensurati

Si riducono i temmpi massimi per prescrivere e si introduce l'obbligo della segnalazione del magistrato che sfora i tempi del processo. L'Idv: "Un giochetto pro premier". Il Pd: "Caduta la maschera, è la norma chiesta dalla difesa di Berlusconi"

Processo breve, arriva il nuovo testo prescrizione più corta per gli incensurati

ROMA - Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz ha presentato ora in commissione Giustizia della Camera un emendamento che di fatto riscrive completamente il progetto di legge. E' stato presentato un emendamento col quale si modificano i tempi di prescrizione per gli incensurati. "Non è giusto che un incensurato sia trattato come un recidivo", spiega Maurizio Paniz. "L'interruzione della prescrizione per gli incensurati - spiega - può comportare l'aumento di più di un sesto del tempo necessario a prescrivere", di un quarto per i recidivi. Attualmente, il tempo della prescrizione è pari alla pena massima prevista per un reato. Ma in presenza di atti interruttivi (come ad esempio l'interrogatorio) questo tetto massimo viene aumentato di un quarto. Ora per gli incensurati l'aumento sarà, invece, di un sesto.

Ironica la reazione dell'Idv Li Gotti: "Se questa modifica verrà approvata ad esempio al processo Mills il reato di corruzione in atti giudiziari, invece di prescriversi in 10 anni, si prescriverà in 9 anni e quattro mesi, cioè a giugno". "E siccome fino a giugno i legali hanno programmato le udienze - prosegue Li Gotti - diventa chiaro il giochetto...".

L'altra novità è nella riscrittura dell'articolo 5 del provvedimento e riguarda l'obbligo di segnalazione al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, da parte dei capi dell'ufficio giudiziario, del magistrato che non ha concluso il processo

nei tempi stabiliti dalla legge.

Durissima la reazione dell'opposizione. Il Pd spiega: "E' caduta la maschera, il processo breve era solo il titoletto per nascondere all'opinione pubblica le vere intenzioni della maggioranza: far scappare Berlusconi dai suoi processi. L'emendamento Paniz è sconcertante perchè attraverso un cavilloso meccanismo interviene per ridurre i termini massimi della prescrizione del reato per gli incensurati. Guarda caso, proprio quello che chiedeva il collegio difensivo del presidente del Consiglio".

Ma intanto, nell'ufficio di presidenza del Pdl, Berlusconi insiste sulla riforma della giustizia e spinge il partito a impegnarsi: "La priorità è la riforma della giustizia, dobbiamo realizzarla perchè la vogliono i cittadini - ha detto -. Bisogna andare in tv e in radio, documentandosi al meglio per spiegarla".

(16 marzo 2011)

 

L'INTERVISTA

"Accuse allucinanti andrò in tv a difendermi

I bonifici alle ragazze? Erano solo aiuti"

Berlusconi si difende: "Trentatré donne sono troppe anche per me". E attacca: "Andrò in Tv a difendermi, sarò presente a tutte le udienze". La spiegazione: "Vicino a me c'è sempre stata la mia fidanzata"

di CLAUDIO TITO

"Accuse allucinanti andrò in tv a difendermi I bonifici alle ragazze? Erano solo aiuti" Silvio Berlusconi

ROMA - "So che siamo diversi. Siamo su opposte barriere. Ma vi parlo con la mano sul cuore. Questa volta seguo il mio istinto e voglio spiegare come stanno davvero le cose". Chiuso a palazzo Grazioli legge le agenzie con le notizie che annunciano la chiusura delle indagini per il processo "Minetti-Fede-Mora". I flash delle agenzie piombano sul tavolo di Silvio Berlusconi. E offrono il resoconto di quel che hanno riscontrato i magistrati di Milano. L'agenda serale del presidente del consiglio a quel punto cambia segno. La sua attenzione è catturata solo dalle carte dell'inchiesta. Decide di sfogarsi, anche con chi "si trova su sponde opposte". E annuncia: "Andrò in tv a spiegare tutto e a difendermi. Andrò a tutte le udienze".

A via del Plebiscito sono appena arrivati gli esponenti di "Forza Sud", il partito costruito da Gianfranco Micciché in seno al Pdl. Poco prima avevano varcato la soglia di Via del Plebiscito Claudio Scajola e il "responsabile" Saverio Romano. Oggetto dei colloqui: il rimpasto che oggi dovrebbe portare al trasferimento di Galan ai Beni Culturali e alla nomina dello stesso Romano all'Agricoltura.

Ma per il Cavaliere, adesso, l'emergenza è un'altra. E decide di offrire a Repubblica la sua personale interpretazione di quelle notizie. Mette sul tavolo il suo impianto difensivo. È un fiume in piena. E anche quando cade la linea, richiama e riprende il discorso. "Mentre leggevo quelle agenzie - dice subito - non credevo

ai miei occhi. Pensavo che fosse uno scherzo di Bonaiuti".

I documenti dei pm, in realtà, non sono uno scherzo.

"Ma le pare possibile? È mai possibile che quelle cose rispondano al vero? Hanno messo in piazza 33 ragazze che passeranno il resto della loro vita con il marchio della prostituta. E invece erano ragazze che hanno avuto solo il torto di partecipare a cene con il presidente del consiglio in cui c'erano tre musicisti e 6 camerieri. Di questi sei camerieri, tre venivano da un'agenzia e quindi non erano miei dipendenti. Cene spensierate, eleganti. Le ragazze facevano quattro salti in discoteca. Da sole, perché a me non è mai piaciuto ballare. Niente di più. E ora vedo queste cose allucinanti".

Però, presidente, dai verbali emerge un clima ben diverso.

"Ma nessuno dei testimoni lo conferma. Io non posso credere a un uso della giustizia così barbaro e così lontano dalla realtà. Io poi ho 75 anni e sebbene sia birichino... 33 ragazze in due mesi mi sembrano troppe anche per un trentenne. Sono troppe per chiunque. Eppoi c'è un ostacolo in più".

Quale?

"Ho sempre avuto vicino a me la mia fidanzatina che per fortuna sono riuscito a tenere fuori da questo fango. Se avessi fatto tutto quello che dicono, mi avrebbe cavato gli occhi. E assicuro che ha anche le unghie lunghe. La verità è che la giustizia di questi signori è senza senso".

E allora a cosa servivano tutti quei bonifici del ragionier Spinelli?

"Ma anche su quella vicenda ho visto cose allucinanti. Io non ho mai pagato una donna in vita mia. E poi può mai essere possibile che uno paghi con dei bonifici bancari una prestazione sessuale? Ma dove si è mai visto? Io sono come una Caritas quotidiana. Pago interventi chirurgici, il dentista, le tasse universitarie a tutti coloro che ne hanno bisogno. Sono in grado di farlo e sono felice di poterlo fare. Alcuni di quei bonifici servivano a pagare il mutuo ai genitori di una ragazza. Dei signori in difficoltà. È chiaro che queste persone sono anche attirate dal fatto che io sono una persona con certe possibilità. Ma io ho sempre aiutato e l'ho fatto anche con tante altre persone".

Ma ci sono anche delle intercettazioni a confermare le accuse dei pm.

"Ma nessuna di queste ragazze dice di essere stata pagata. Perché non è mai accaduto. Poi con bonifici bancari... ma quando mai? Per di più 130 mila euro per una prestazione sessuale... Sono indignato. Anche perché negli altri paesi le intercettazioni telefoniche non sono pubblicabili, solo da noi avviene una barbarie come questa".

Ma lei rifarebbe quella telefonata alla Questura di Milano?

"Posso giurare che una settimana prima avevo parlato con Mubarak per almeno 15 minuti di questa ragazza. Ho tutte le testimonianze. Gli interpreti e i commensali possono confermarlo. In quei giorni poi mi stavo occupando della crisi tra la Libia e la Svizzera. Ho pensato: e se anche da noi una parente di un premier straniero, in questo caso Mubarak, va in prigione? Che succede? Abbiamo allora mandato una persona incensurata per risolvere il problema. Senza contare che il presidente del consiglio ha il diritto di intervenire in campo amministrativo. Mi hanno spiegato che Craxi fece cose simili in occasione del caso Sigonella".

Ma per i pm si è trattato di qualcosa di più di un intervento amministrativo.

"Io ho chiesto solo informazioni, nessuna pressione. Lo dicono anche i funzionari di polizia. Non c'è una vittima e non c'è un trattamento privilegiato. È solo una montatura, uno scandalo".

Perché dovrebbe essere una montatura?

"Perché la gente, sa, è cattiva. Pensi che i genitori di alcune di quelle ragazze sono stati licenziati solo per il fatto che c'è questa inchiesta. Tutte queste ragazze non possono più lavorare, non possono fare una sfilata, nessuno offro loro un contratto. Io voglio difenderle pubblicamente".

Perché ne sente il bisogno?

"Perché per 14 mesi i telefoni sono stati messi sotto controllo. I miei avvocati mi hanno imposto di non rispondere più alle loro telefonate. E giustamente alcune di loro hanno pensato che le stessi scaricando. Ma, lo ripeto, non c'è un solo motivo che giustifichi un reato. È fatto tutto solo per gettare fango sull'immagine di queste ragazze. Che rischiano di passare il resto della loro vita con una macchia indelebile. Per questo andrò in tv: per spiegare tutto questo, per difendermi e difendere quelle ragazze. E parteciperò a tutte le udienze dei processi. Anche se non sarà facile".

Perché non sarà facile?

"Perché non è per niente facile affrontare quattro processi e fare il presidente del Consiglio".

(16 marzo 2011)

 

 

2011-03-15

LA CONFERENZA STAMPA SUL CASO YARA

Il disegno del procuratore

ispirato a quello di Berlusconi

A sorpresa il pm Meroni mostra un foglio con il disegno di una bilancia: su un piatto ci sono il pm, il giudice e Yara e su quell'opposto il presunto aggressore

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LA CONFERENZA STAMPA SUL CASO YARA

Il disegno del procuratore

ispirato a quello di Berlusconi

A sorpresa il pm Meroni mostra un foglio con il disegno di una bilancia: su un piatto ci sono il pm, il giudice e Yara e su quell'opposto il presunto aggressore

Dal nostro inviato CLAUDIO DEL FRATE

Il disegno del procuratore

Il disegno del procuratore

BERGAMO – Le conferenza stampa in cui è stato fatto il punto sulle indagini del caso Yara ha dato l’occasione Massimo Meroni, procuratore aggiunto di Bergamo ,di attualizzare la polemica sulla riforma della giustizia. Il magistrato, tra la sorpresa dei presenti, ha mostrato un foglio che riproduce il disegno esibito da Silvio Berlusconi in occasione della presentazione della riforma della giustizia e nel quale la bilancia della giustizia pendeva decisamente dalla parte dei pm.

 

LA COMUNITA' - Su quello del dottor Meroni i piatti sono ugualmente sbilanciati, ma sul più pesante siedono contemporaneamente il pm, il giudice e Yara. Su quello opposto si legge "cittadino presunto aggressore di Yara". "Mi limito a rappresentare la situazione attuale – ha spiegato il pubblico ministero – nel quale la magistratura non rappresenta solo se stessa ma anche la parte lesa e la comunità scossa da questo delitto. Non sto esprimendo alcun tipo di giudizio".

15 marzo 2011

 

 

 

 

GIUSTIZIA

Processo breve, il Pdl riscrive il testo

dopo le "perplessità" del Quirinale

Slittano a oggi le modifiche. Pd e Idv polemici: Alfano smentito. Costa (Pdl) assicura: "Il provvedimento sarà del tutto rivisitato e migliorato"

di LIANA MILELLA

Processo breve, il Pdl riscrive il testo dopo le "perplessità" del Quirinale Il ministro Alfano

ROMA - Tre anni, due anni, uno e mezzo. Tanto dovrebbero durare i processi. Quelli per reati fino a dieci anni. Gli altri, quelli per delitti gravissimi, anche di più. Ma se il tempo "ideale" viene superato, al massimo si può valutare di segnalare al Csm, magari per un'azione disciplinare o comunque per un rimbrotto, l'anomalia di un giudice che non riesce a far rispettare i tempi ottimali indicati dal Parlamento. Era un processo breve "ultimativo", in versione hard, quello per cui s'era battuto il Pdl. Sarà un processo breve "indicativo", in versione soft, una sorta di legge-manifesto per compiacere la Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, quello per cui il Pdl si batterà, certo con minor vigore, in futuro.

Va da sé che, se effettivamente oggi verrà scritto così come lo anticipavano ieri sera fonti autorevoli del Pdl, il processo breve non dovrebbe più essere una norma per Berlusconi. Oggi accadrà questo alla Camera, il famoso processo breve cambierà improvvisamente sostanza. Quello di cui s'è discusso e litigato al Senato, che ha suscitato rissa e scandalo, prevedeva la ghigliottina certa di un dibattimento se non aveva rispettato gli scaglioni di tre anni in primo grado, di due in appello, di uno e mezzo in Cassazione. Giusto questa tagliola avrebbe fatto "morire" anche due dei quattro processi di Berlusconi, Mills e Mediaset.

Ma tutto questo, da oggi, sarà storia. Il peso di Napolitano, del suo recentissimo

colloquio con il Guardasigilli Angelino Alfano, il caldo invito ad evitare una legge dai risvolti chiaramente incostituzionali, ha prodotto il miracolo. Un processo breve nuovo di zecca, in cui più che step obbligatori, si danno indicazioni di tendenza ai giudici. Ovviamente, una legge che, per queste sue caratteristiche, non può avere la norma transitoria della precedente, in cui la mannaia cadeva anche sui dibattimenti per i reati coperti dall'indulto del 2006. Una legge in cui viene del tutto cassata la revisione della legge Pinto, quella sull'indennizzo per i processi lunghi, che non convinceva affatto il Quirinale, e la cui modifica non serve più se il processo breve da diktat diventa semplice suggerimento.

È questa la svolta maturata ieri tra la Camera, dove c'era il capogruppo Pdl in commissione Giustizia Enrico Costa, lo studio di Maurizio Paniz a Belluno (il relatore del processo breve), quello di Niccolò Ghedini e Piero Longo a Padova, il ministro Alfano. Una giornata di telefonate e contatti fittissimi per fare un'altra legge. Ma gli emendamenti non sono arrivati in tempo per le 18 (quando se ne sono accumulati 280 degli altri partiti che ora sono da buttar via). Quelli del Pdl sono stati chiusi ieri sera tardi. E abbisognano, forse oggi, di qualche ulteriore ritocco. Li presenterà Paniz ("Manterremo gli impegni presi"). La sorpresa nel veder rinviare la modifica che doveva cancellare la sola norma transitoria, promessa da Alfano, ha suscitato sorpresa. Subito s'è scatenata l'opposizione con la Pd Donatella Ferranti ("Il Pdl non segue Alfano") e con il dipietrista Federico Palomba ("È la solita buffonata").

Ma le cose stanno proprio come le racconta Enrico Costa, a stretto contatto con Alfano, Ghedini, Paniz, quando annuncia il rinvio delle modifiche a oggi e spiega: "Non ci sarà solo la soppressione della norma transitoria, ma una rivisitazione e un miglioramento complessivo del testo, andando incontro a molte delle osservazioni e delle proposte che sono emerse nel corso delle audizioni. E quindi, non solo la norma transitoria, ma anche quella a regime verranno rimodulate". È il battesimo del nuovo processo breve. Quello del rinnovato corso di Berlusconi sulla giustizia in cui, a quanto sembra, non c'è spazio per norme ad personam. Dove si cerca il consenso trasversale. Perché chi potrà non essere d'accordo su un testo che suggerisce ai giudici di contenere la durata dei processi? Solo oggi però, quando sarà possibile leggere il testo, potremo capire se in qualche frase magari si nasconde un "aiutino" per Berlusconi.

(15 marzo 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-03-14

CRIMINALITA'

Colpo alla 'ndragheta in Lombardia

35 arresti, nel mirino droga e rifiuti

L'operazione è coordinata dal sostituto procuratore Ilda Boccassini e ha portato al sequestro

di beni per oltre due milioni di euro. In campo guardia di finanza, carabinieri e la polizia locale

 

Trentacinque arresti nei confronti di altrettanti affiliati alla 'ndrangheta in Lombardia sono in corso da parte del nucleo di Polizia tributaria della guardia di finanza di Milano e dei carabinieri del Ros, in collaborazione con la polizia locale, per l'operazione Redux-Caposaldo. Fra gli arrestati ci sono personaggi di primo piano delle cosche reggine e platiote, tra cui il 59enne boss Giuseppe 'Pepè' Flachi e suo figlio Davide, nonché diversi personaggi legati al clan Barbaro, tutti da anni residenti nel capoluogo lombardo.Sequestrati anche beni per due milioni di euro. In carcere anche Paolo Martino, considerato "diretta espressione" della famiglia reggina dei De Stefano, e Giuseppe Romeo e Francesco Gligora, considerati punti di riferimento delle cosche di Africo in Lombardia.

Le ordinanze di custodia cautelare sono state disposte dal gip Giuseppe Gennari su richiesta della Dda milanese. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti.

L'operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, assieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto. Le indagini hanno permesso anche di ottenere il sequestro di beni per un valore di oltre due milioni di euro.

Fra le attività dei boss Non c'è solo la diffusissima infiltrazione nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, ma anche la gestione della security in molti, notissimi, locali notturni, l'estorsione agli esercizi pubblici che sorgono nelle stazioni della metropolitana, l'attività di pizzo ai chioschi dei 'porchettari', il controllo dei posteggi fuori dalle discoteche più celebri, gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt e perfino una 'tassa' imposta a chi intendeva spacciare in alcune piazze della città.

(14 marzo 2011)

 

 

IL CASO

Dopo il C-day polemiche su Ingroia

Il Pdl attacca, comizio di Ferrara al Tg1

Critiche dopo la partecipazione del procuratore alla manifestazione di Roma a favore della Costituzione, in cui ha definito quella sulla giustizia una "controriforma". Il Giornale ne chiede le dimissioni, Pd e Idv lo difendono. E Vietti: "Magistrati siano liberi di esprimere la propria opinione"

Dopo il C-day polemiche su Ingroia Il Pdl attacca, comizio di Ferrara al Tg1 Il pm Antonio Ingroia alla manifestazione di Roma in difesa della Costituzione

ROMA - Dal palco di piazza del Popolo di Roma, durante il Costituzione day 1, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia definisce "controriforma" quella della giustizia e scoppiano le polemiche. In prima pagina il Giornale ne pubblica la foto e attacca senza mezzi termini: "Questo magistrato deve dimettersi". Nessun commento da parte del premier Silvio Berlusconi, ma è eloquente l'attacco che è partito da esponenti politici a lui più vicini, come Fabrizio Cicchitto che ha parlato di "appropriazioni indebite" del giorno della Costituzione.

In serata, interviene Giuliano Ferrara, intervistato da Susanna Petruni in diretta al Tg1. L'occasione è il lancio della trasmissione "Radio Londra". Ferrara attacca Ingroia e dice: "Se i magistrati fanno i comizi, i politici potrebbero anche fare le sentenze". Un riferimento polemico a Napolitano: "E' lui il presidente del Csm, dovrebbe dire qualcosa". Lo spot per la trasmissione: "Sono schierato, non come Santoro, Lerner, Dandini, Floris" ha aggiunto ironicamente. "Dirò delle cose scomode, non dirle rende il paese più povero e anche più stupido". In tutto, oltre tre minuti e mezzo. Protesta l'Idv: "Il Tg1 si conferma tg ad personam. porteremo il caso in vigilanza".

L'INTERVENTO DI FERRARA 2

Cicchitto polemico. "Quello del procuratore Ingroia è un autentico caso. Un pm impegnato in indagini delicatissime concernenti i rapporti mafia-politica e che nel contempo partecipa a manifestazioni politiche, sviluppa attacchi politici; in sostanza è ormai un personaggio politico di prima fila e rappresenta una contraddizione devastante per l'equilibrio del sistema. Ci auguriamo che quanto prima, magari fra una pratica a tutela e l'altra, il Csm si occupi di questo caso gravissimo", attacca Cicchitto, presidente dei deputati del pdl.

Il ministro della Giustizia Alfano dice che non ci sarà alcuna richiesta di procedimento disciplinare nei confronti del pm che ieri è intervenuto dal palco alla manifestazione nella capitale. "Non ci penso proprio", spiega il Guardasigilli. "Ha partecipato ad una manifestazione contro il governo. Ci mancherebbe che la politica si mettesse a chiedere le dimissioni di un magistrato. Ma ne deve rispondere alla sua coscienza, alla legge e alla deontologia", conclude Alfano.

Vietti lo difende. A difesa del procuratore di Palermo si è espresso il vice presidente del Csm Vietti: "Si deve consentire a tutti, anche ai magistrati, di dire ciò che pensano" della riforma costituzionale della giustizia. Il vicepresidente invita però tutti ad un atteggiamento misurato: "In linea generale raccomanderei su questa materia una grande prudenza, un grande equilibrio e una grande sobrietà a tutti, sia ai magistrati sia alla politica sia ai giornalisti", in riferimento alla prima pagina del Giornale di oggi.

L'attacco ad Ingroia è indegno per il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti. "Come tutti sanno è un magistrato serio e rigoroso, un allievo di Borsellino che non ha mai rinunciato alla lotta contro le mafie e per la legalità", dice Giulietti. "Per questo ha parlato ad una iniziativa per il Tricolore e la Costituzione e per questo alcuni politici della destra berlusconiana si sono indignati. Per loro è grave che un giudice ami la legge e la Costituzione invece è normale che un imputato minacci i suoi giudici e possa farlo con una videocassetta trasmessa a reti semiunificate", aggiunge.

E' la dimostrazione dell'intento punitivo della riforma, commenta dal Pd il senatore Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia: "Dopo aver approvato una riforma che compromette l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, adesso si vuole anche mettere il bavaglio ai magistrati", dice, mentre per l'Italia dei Valori l'attacco contro il pm è dimostrazione del degrado del Pdl: "Le manifestazioni di piazza del 12

marzo sono nate come iniziative in difesa della Costituzione. Considerare come una posizione di parte o addirittura una colpa la difesa della legalità, della democrazia e dei principi sanciti dalla Carta è soltanto la conferma del degrado di questa maggioranza", sottolinea il portavoce Leoluca Orlando.

(13 marzo 2011)

 

L'INTERVISTA

Ingroia: "Ho diritto di criticare la riforma

ci fu la stessa intolleranza su Borsellino"

Dopo le contestazioni seguìte alla sua partecipazione al C-Day, parla il magistrato. "Non era una manifestazione di partito ma un'iniziativa in favore della Costituzione". "Non mi sembrano affatto sobri gli attacchi che gettano fango su chi non la pensa allo stesso modo"

di SALVO PALAZZOLO

Ingroia: "Ho diritto di criticare la riforma ci fu la stessa intolleranza su Borsellino" Antonino Ingroia

PALERMO - "La magistratura non vuole sostituirsi al potere legislativo - dice il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia - ma nel rispetto del potere legislativo un magistrato può esprimere il suo punto di vista tecnico su scelte che rischiano di essere uno strappo rispetto ai principi fondanti dell'assetto costituzionale della giustizia e ai diritti fondamentali dei cittadini".

Qualcuno, senza toni polemici, rileva però il rischio che l'italiano medio possa restare disorientato rispetto ad alcune prese di posizione pubbliche dei magistrati nel dibattito politico. Cosa ne pensa?

"Non vedo affatto questo disorientamento, ma un desiderio diffuso di capire e sentire pareri diversi. Poi, ci sono gli italiani, e sono tanti, vittime di una disinformazione massiccia. La stessa che anni fa attaccò Paolo Borsellino, quando fece una denuncia pubblica sul calo di tensione nella lotta alla mafia. Era una denuncia che investiva contemporaneamente la politica e la magistratura. L'attacco fu non sui contenuti che Borsellino esprimeva, ma direttamente alla sua persona. Oggi, vedo la stessa intolleranza. Certo, con uno spiegamento di uomini e mezzi molto più massiccio".

Ieri, il Giornale le ha dedicato il titolo di apertura: "Questo magistrato deve dimettersi. Il pm Ingroia getta la maschera e attacca il governo in piazza".

"Già in passato ho avuto modo di sentirmi diffamato, mi sono rivolto alle vie legali e ho avuto soddisfazione.

Anche questa volta, vedo un intento denigratorio. Darò mandato ai miei legali di valutare i presupposti per un'azione legale".

Quale significato ha dato alla sua partecipazione al "C-day"?

"Intanto, non era una manifestazione di partito. Era solo un'iniziativa in difesa della Costituzione 1. Non vedo nulla di strano che un magistrato vi partecipi e dica la sua su un progetto di riforma costituzionale della giustizia".

Il vicepresidente del Csm, Vietti, si è appellato alla "sobrietà" dei magistrati. Il suo intervento è stato sobrio?

"Fortemente critico, ma sobrio. Credo di avere il diritto, ma anche il dovere di fare sapere il punto di vista dei magistrati su una questione che riguarda tutti. Non mi sembrano affatto sobri, invece, gli attacchi che gettano fango su chi non la pensa allo stesso modo. Ecco perché ho apprezzato le parole del ministro della Giustizia, che mostra tolleranza nei confronti delle opinioni diverse".

Berlusconi parla invece di "dittatura della magistratura". È una chiusura al dialogo con i magistrati sui temi della riforma?

"Non ci si può abituare a questi attacchi a testa bassa. Il confronto, anche aspro, su un tema così delicato è assolutamente necessario. Spero ancora che il clima possa rasserenarsi, anche se le premesse non sembrano delle migliori".

Il tema della partecipazione dei magistrati al dibattito politico è argomento di discussione anche all'interno dell'Associazione nazionale magistrati.

"La posizione dell'Anm è abbastanza chiara. Partecipazione non è sintomo di schieramento con questa o quella parte politica. E in passato nelle mie posizioni, come in quelle di altri magistrati, non sono state risparmiate critiche anche a iniziative legislative che venivano da maggioranze diverse da quella attuale. Non ci si può accusare di partigianeria".

Alla manifestazione del "C-Day" è arrivato anche un messaggio di adesione del presidente dell'Anm, eppure le critiche pesanti sono arrivate solo dopo il suo intervento. Si è fatto un'idea del perché?

"Io ho detto esattamente le stesse cose degli altri esponenti dell'Anm. Non voglio pensare che ci sia un collegamento con le indagini e i processi di cui mi sto occupando. Se così fosse, saremmo ben al di là dell'attacco alla magistratura, questa sarebbe una sorta di caccia al pm che viene percepito come minaccioso. Mi auguro davvero che non sia così".

(14 marzo 2011)

 

2011-03-13

gli interventi telefonici a due manifestazioni del pdl

Riforma giustizia, Berlusconi:

"I pm sono cittadini come gli altri"

"Se sbagliano devono pagare". "Io coraggioso e temerario, forse anche un po' eroico e matto"

gli interventi telefonici a due manifestazioni del pdl

Riforma giustizia, Berlusconi:

"I pm sono cittadini come gli altri"

"Se sbagliano devono pagare". "Io coraggioso e temerario, forse anche un po' eroico e matto"

MILANO - "L'autonomia dell'azione penale secondo la legge significa solo che anche i pm sono cittadini come gli altri e devono rispettare le norme e le priorità che sono indicate dal Parlamento". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente ad una convention del Pdl a Torino a sostegno del candidato sindaco Michele Coppola. E sempre parlando della riforma della giustizia: "La responsabilità civile dei magistrati se sbagliano è quella che devono pagare, perché questo è il minimo richiesto in uno stato di diritto", e inoltre "le carriere separate di giudici e magistrati esistono in tutto il mondo, sono la regola. Quindi non c'è nulla in questa riforma che possa far gridare allo scandalo o suscitare indignazione".

"SONO CORAGGIOSO E TEMERARIO" - "Tutte le persone sagge e con la testa sulle spalle mi hanno detto: non presentare adesso la riforma della giustizia perché altrimenti chissà cosa ti fanno. Io invece, avendo ritenuto di aver raggiunto una maggioranza in grado di farla, ho detto: non mi importa niente. Sono coraggioso e temerario, forse anche un po' eroico e matto, e ho detto: variamo subito questa importante riforma. E così abbiamo fatto nel Consiglio dei ministri straordinario di giovedì". Berlusconi ha ribadito che la riforma della giustizia "non è una forzatura" ma un impegno ad adeguare l'Italia a quanto avviene in altre parti del mondo.

"ESODO BIBLICO" - Intervenendo telefonicamente ad una manifestazione della Democrazia cristiana del segretario Giuseppe Pizza a Catania, Berlusconi ha parlato anche della crisi in Nordafrica: "In questo momento, con alle porte un possibile esodo biblico dal Nordafrica che arriva verso di noi e verso l'Europa, ci sarebbe bisogno di una forte coesione nazionale e di una comune assunzione di responsabilità. Invece le nostre opposizioni stanno davvero offrendo, ancora una volta, uno spettacolo sconsolante". Berlusconi si è detto comunque sicuro della maggioranza in Parlamento: "Oggi rispetto a prima possiamo contare su una maggioranza che è numericamente meno ampia. Vi anticipo che penso che possiamo arrivare oltre i 330 alla Camera, ma è una maggioranza politicamente più coesa e che sono sicuro consentirà al governo di fare un enorme salto di qualità per quanto riguarda la realizzazione delle riforme ed in generale per la produzione delle leggi".

LA SPALLATA - "La sinistra ha coniato lo slogan "piazza continuA": passa da una manifestazione all'altra e spera di dare al governo, attraverso la piazza, quella spallata che non è riuscita a dare in Parlamento", ha detto in un altro passaggio Berlusconi. "Credo che così facendo la sinistra si sta condannando a una definitiva marginalità e anche ad altri lunghi anni di opposizione, perché la politica ha un senso se riesce a dare risposte positive e concrete ai cittadini".

BERSANI: IL FUTURO SIAMO NOI - Pier Luigi Bersani, da Abano Terme, replica a caldo alla frase di Berlusconi "lunghi anni di opposizione": "Io la penso all'opposto - dice il segretario Democratico - credo invece che il suo sia un tramonto, purtroppo pericoloso per il Paese, perché non riusciamo ad affrontare nessuno dei problemi di questo Paese, e perché vediamo picconate ai presidi democratici e costituzionali". "Noi non stiamo lavorando contro - tiene a ribadire Bersani - stiamo lavorando oltre. Stiamo lavorando per un progetto per un risveglio italiano. Per noi si tratta di fare opposizione ma anche di costruire un progetto per il futuro. Il futuro siamo noi, non è lui".

Redazione online

13 marzo 2011

 

il premier lo ha accusato di essere responsabile della mancata riforma della giustizia

Fini: "Non c'è dittatura dei giudici

Berlusconi cerca il capro espiatorio"

Il presidente della Camera: la Costituzione "non è intangibile" ma non si cambi "a colpi di maggioranza"

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Gianfranco Fini

Gianfranco Fini

MILANO - All'attacco di Silvio Berlusconi che lo ha accusato di aver ostacolato fin qui la riforma della giustizia, Gianfranco Fini risponde colpo su colpo. Intervistato a Sky Tg24, il presidente della Camera spiega che il premier "ora ha bisogno di un capro espiatorio e se mi dà la responsabilità della mancata riforma, me la prendo. Ma le norme proposte - ci tiene a puntualizzare - non facevano l'interesse generale". E anche sulla presunta "dittatura dei giudici" il leader di Fli è in disaccordo con il presidente del Consiglio. "Non credo che in Italia ci sia, né dei giudici né dei magistrati", precisa.

LA COSTITUZIONE - Fini, in realtà, spiega di apprezzare il testo di riforma della giustizia elaborato dal governo. "Non è ad personam ed è la ragione per cui io condivido la posizione di chi ha detto in Parlamento, senza pregiudizi, si discuta e vediamo di che cosa si tratta". Per il presidente della Camera infatti "le riforme vanno fatte anche se bisogna capire con quale spirito e bisogna capire cosa si intende quando si dice riformiamo la giustizia". Anche sulle eventuali modifiche alla Costituzione, il numero uno di Futuro e Libertà appare possibilista. ma il suo avvertimento è chiaro: la Carta non è intangibile, ma non si cambi a colpi di maggioranza.

FLI E LA LIBIA - Un passaggio della sua intervista, Fini lo dedica alle spaccature all'interno di Futuro e Libertà. minimizzando. "Ci sono sensibilità diverse - ammette - ma non mi appassiona né il dibattito tra falchi e colombe né la ricerca del compromesso ad ogni costo". Quanto alla situazione in Libia e a Muammar Gheddafi, il presidente della Camera non usa mezzi termini: il Raìs "è un pazzo sanguinario, mi rifiuto di commentare le sue minacce, auspico solo che la comunità internazionale faccia seguire alle intenzioni i fatti". "Sicuramente c'è il rischio di conseguenze gravi sui flussi migratori - aggiunge il leader di Fli - ma sarebbe guardare al dito e non alla luna pensare solo a questo e non al cambiamento storico dei paesi del Magreb, paragonabile al crollo del Muro dell'89".

Redazione online

13 marzo 2011

 

 

 

 

2011-03-12

LA POLEMICA

Giustizia, Berlusconi attacca

"Evitare la dittatura dei giudici"

In un messaggio ai Promotori della libertà, il premier a tutto campo sulla riforma costituzionale: "E' necessaria, oggi la bilancia pende a favore dell'accusa a svantaggio delle persone. La fiducia dei cittadini è a zero. Lavoriamo per eliminare una patologia grave della nostra democrazia"

Giustizia, Berlusconi attacca "Evitare la dittatura dei giudici"

ROMA - La riforma della giustizia è necessaria perché "non è un caso se oggi la fiducia dei cittadini nella giustizia è a zero". Lo ha detto Silvio Berlusconi in un messaggio ai Promotori della libertà, puntando il dito contro "l'assenza di un processo affidabile e di durata ragionevole". Il premier ha anche aggiunto: "Oggi la bilancia pende a favore dell'accusa a svantaggio dei cittadini. Questa riforma andra' avanti in

Parlamento anche attraverso dieci leggi di attuazione, che noi abbiamo già pronte, e porterà a cambiamenti epocali". Secondo il premier, quella approvata dal Parlamento due giorni fa "Non è una riforma per una persona o contro una persona, perchè non si applica ai processi in corso e quindi l'opposizione non potrà dire che si applica ai miei processi".

"Esondazione della magistratura". Continua il premier, ripetendo il concetto espresso dopo il consiglio die ministri che ha varato il testo: "Se questa riforma fosse stata fatta per tempo, la storia recente dell'Italia sarebbe stata diversa. Non ci sarebbe stata quella esondazione della magistratura dagli argini costituzionali che ha portato ad annullare un'intera classe di governo nel 1992-93, che ha causato l'abbattimento del nostro primo governo nel 1994, che ha determinato anche la caduta di un governo di sinistra a causa della loro improvvida proposta di riformare la giustizia avanzata dal ministro Mastella". E aggiunge: "Così

come non si sarebbe potuto portare avanti il tentativo tuttora in corso di eliminare il governo in carica per via giudiziaria. Da parte nostra invece c'è soltanto l'obbiettivo di lavorare per il bene dell'Italia, e di eliminare finalmente una anomalia, anzi una patologia grave della nostra democrazia".

"Il primo passo - sottoliena il Cavaliere - di questa riforma sarà la separazione delle carriere tra la magistratura giudicante e l'ordine degli avvocati dell'accusa, che sarà sancita con l'istituzione di due Csm, entrambi presieduti dal capo dello Stato, con un eguale numero di consiglieri togati e di consiglieri laici, cioè nominati dal Parlamento. In questo modo si porrà fine allo strapotere delle correnti politicizzate della magistratura, che hanno trasformato il Consiglio Superiore della Magistratura in una specie di Terza Camera politica sempre pronta a criticare il governo e il Parlamento e ad intervenire addirittura con commenti sulle leggi in discussione alle Camere".

"Azione penale, criteri decisi dalla politica". Il messaggio di Berlusconi prosegue toccando altri punti del suo disegno: "Il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale rimarrà ma dovrà essere applicato secondo i criteri che saranno previsti dal Parlamento ogni anno. L'obbligatorietà si è ormai trasformata in un'assoluta discrezionalità dei pm, che perseguano preferibilmente le ipotesi di reato con alta visibilità mediatica e contro i nemici politici". E aggiunge: "Con la riforma sarà il Parlamento a indicare le priorità su cui intervenire con l'azione penale".

"Opposizione trascura il Paese per colpire me". Nel messaggio c'è spazio per un attacco alle opposizioni: "Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso nel tentativo di ostacolare ed evitare questa riforma", dice Berlusconi. "Ma sappiamo di avere argomenti molto validi per ribattere ad ogni critica e ripeto, una maggioranza coesa e determinata in Parlamento. Noi siamo un grande partito riformatore che si deve confrontare con una opposizione conservatrice che non fa l'interesse del Paese per fare il male di Berlusconi".

"Una riforma equilibrata". Poi però Il premier si dice disponibile a migliorare e integrare la riforma con contributi esterni alla maggioranza: "Questa volta indietro non si torna, anche se noi, con lo spirito liberale che ci muove, saremo sicuramente aperti a integrazioni e a miglioramenti che potranno anche esserci suggeriti dai nostri oppositori purchè non si snaturi l'impianto complessivo della riforma". Prosegue Berlusconi: "Io sono convinto che il testo che presentiamo al Parlamento sia un testo molto equilibrato, che metterà alla prova l'effettiva credibilità della sinistra e la sua disponibilità al dialogo. Siamo convinti che questa riforma può rappresentare davvero un passo avanti fondamentale per il rafforzamento della nostra democrazia. Chi questa volta si tirerà indietro non avrà nessuna giustificazione".

"Riforma ostacolata da Fini". Il premier torna ad incolpare Fini della mancata riforma della giustizia durante gli anni di governo. "Dal 1994 in poi nelle campagne elettorali ci siamo impegnati a rifondare la giustizia, ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perchè Fini e i suoi, giustizionalisti e statalisti, si sono messi sempre di traverso, in accordo con le correnti di sinistra della magistratura. Ora che non sono più con noi, anche se più limitata nei numeri, è più coesa e determinata e questo ci consentirà di portare in Parlamento una riforma costituzionale della giustizia assolutamente equilibrata e moderna".

"L'estero non investe per paura delle toghe". "Se nessuna impresa straniera viene più a investire in Italia, il primo motivo è proprio l'assenza di un processo affidabile e di durata ragionevole", dice Berlusconi. "E' una realtà incontestabile, visto che abbiamo 9 milioni di processi arretrati tra civile e penale e la giustizia italiana è al 156.mo posto su 180 Paesi nella graduatoria stilata dalla Banca Mondiale proprio per l'eccessiva durata dei processi, che in media durano il triplo della media dei Paesi occidentali".

(12 marzo 2011)

 

 

2011-03-10

PALAZZO CHIGI

Giustizia, dal Cdm ok alla riforma

Berlusconi esulta: "Punto di svolta"

Il premier precisa che il varo del nuovo testo costituzionale "non c'entra con i processi in corso" e si mostra ottimista anche sul futuro del governo: "Siamo a quota 330". Opposizione e Anm pronte a dare battaglia: "Norme punitive fatte contro i giudici"

Giustizia, dal Cdm ok alla riforma Berlusconi esulta: "Punto di svolta" Silvio Berlusconi

ROMA - "Un punto di svolta", un cambiamento che se fosse stato introdotto 20 anni fa avrebbe evitato "l'esondazione, l'invasione della magistratura nella politica e quelle situazioni che hanno portato nel corso della storia degli ultimi venti anni a cambiamenti di governo, ad un annullamento della classe dirigente nel '93", e soprattutto avrebbe evitato "il tentativo che è in corso attualmente di far cadere il governo per via giudiziaria". Silvio Berlusconi descrive così il disegno di legge costituzionale per la riforma della giustizia varato oggi dal Consiglio dei ministri. Il governo ha salutato con un applauso l'approvazione del testo messo a punto dal ministro Angelino Alfano. Il testo varato dal Cdm è esattamente quello proposto dallo stesso Guardasigilli e discusso ieri pomeriggio nel corso di un colloquio di quasi due ore al Quirinale 1con il capo dello Stato Giorgio Napolitano.

La soddisfazione del premier per il varo del tanto agoniato provvedimento si è estesa anche al quadro politico generale. "E' dal 1994 che volevo questa riforma, è dai tempi della nostra discesa in campo, finalmente riusciamo a realizzare un punto fondamentale del nostro programma", ha commentato Berlusconi con i colleghi del governo. "Abbiamo una maggioranza solida e contiamo di arrivare a 330 deputati a Montecitorio", ha aggiunto nel corso del Consiglio dei ministri, secondo quanto

riferito da fonti governative. Il presidente del Consiglio durante la riunione avrebbe poi sottolineato che il nuovo testo è "una riforma organica, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso e non è contro nessuno".

Anzi, ai processi che lo vedono imputato, Berlusconi ha spiegato poi in conferenza stampa di voler essere presente. "Mi prenderò la soddisfazione di essere presente ai processi e credo che mi prenderò delle belle soddisfazioni e soprattutto spiegherò agli italiani come stanno veramente le cose". Il Cavaliere ha quindi ribadito che "per la prima volta nella storia della nostra Repubblica presentiamo un testo di riforma completo, organico, chiaro, convincente. Lo portiamo all'attenzione del Parlamento che lo discuterà, lo approverà e intendiamo sostenere questa riforma con una larga comunicazione. E' una riforma che va nell'interesse dei cittadini. Sono già pronte dieci leggi di attuazione, che presenteremo in successione al Parlamento". Riferendosi al ridimensionamento del ruolo del pubblico ministero, uno dei punti più a cuore del premier, Berlusconi ha sintetizzato con una battuta: "Il pm per parlare con il giudice dovrà fissare l'appuntamento e battere con il cappello in mano e possibilmente dargli del lei".

Il Ddl costituzionale contiene la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, l'estensione della responsabilità civile del giudice, nonché due Csm separati, entrambi presieduti dal presidente della Repubblica, come previsto nella bozza 2anticipata ieri. Il cardine, ha illustrato in conferenza stampa Alfano, è la divisione tra giudici e pm. La riforma, ha sottolineato, "pone al centro la parità tra accusa e difesa. E' un impegno che abbiamo assunto con i cittadini. Ed è quello che stiamo sostenendo dal 1994". Il giudice, ha aggiunto, diventa colui che è davvero sopra le parti perché non è più pari al pm. Giudice e pm, ha insistito il ministro, "svolgono mestieri differenti. Il giudice deve valutare cosa gli vengono a dire accusa e difesa".

Per questo, ha detto ancora, il Guardasigilli, "giudici e pm devono avere un organismo di governance del tutto autonomo e indipendente rispetto ai giochi interni alle correnti della magistratura e alla politica". La responsabilità disciplinare dei di giudici e pm è stata però "estrapolata dal Csm", con la creazione di un'Alta Corte di disciplina "composta per metà da da magistrati e per metà da eletti da Parlamento tra coloro che abbiano competenze giuridiche consolidate". Quanto alla responsabilità civile, la riforma prevede che "il cittadino possa citare in giudizio il magistrato che ha sbagliato". "Il principio di responsabilità è un principio di libertà", ha sostenuto Alfano.

Altri punti destinati a scatenare polemiche sono sicuramente il divieto ad appellarsi ad una sentenza di assoluzione in primo grado e la revisione del principio di obbligatorietà dell'azione penale. Quest'ultima sarà mantenuta, ma secondo "i criteri previsti dalla legge". "Si partirà prima dalle priorità - dice Alfano - e poi il resto. Se il giudice non potrà perseguire tutto, le priorità le definirà il parlamento". Alfano, come aveva già fatto il premier, è tornato quindi ad assicurare che la riforma non riguarderà i procedimenti in corso. "Questi principi non si applicano ai procedimenti in corso alla data dell'entrata in vigore della legge", ha ricordato il ministro. Quanto infine al processeo breve, il ministro ha ricordato che "è calendarizzato per la fine di marzo". "Mi sembra che ci sia una fase di stallo, al momento non è priorità. Ora stiamo pensando alla riforma, al ddl costituzionale", ha proseguito. Mentre il presidente del Senato Renato Schifani ha parlato di "un cantiere aperto", auspicando "punti d'intesa".

Il no dell'opposizione. L'opposizione resta comunque sulle barricate. Non è una riforma, "punta soltanto a togliere autonomia al pm e a metterlo sotto il controllo del potere politico del governo", commenta Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera. "Il pd- dice ancora- si opporrà con tutti gli strumenti parlamentari a disposizione dell'opposizione ed anche con una forte mobilitazione della società civile. Già questo sabato ci sarà una manifestazione in difesa della scuola e della Costituzione, anche lì alzeremo la voce". Per quanto riguarda la futura approvazione del parlamento, Franceschini è certo che non passerà con i due terzi (per evitare il referendum, ndr) e che "non arriverà nemmeno alla maggioranza". Durissimo anche il giudizio di Antonio Di Pietro: "E' stata proposta una riforma così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto" dunque "Idv presenterà un solo emendamento, completamente abrogativo di tutta la riforma e poi chiederà il referendum perché il corpo elettorale mandi a casa la riforma e chi l'ha fatta". Critico anche Fabio Granata di Fli. "Sulla riforma della giustizia - spiega - si discuterà in sede parlamentare. Mi sembra comunque che presentarla, da parte del premier, sostenendo che se fosse stata vigente non ci sarebbe stata 'mani pulite' e che il pm per parlare con il giudice dovrà fissare l'appuntamento e battere con il cappello in mano, non sia un buon inizio". Per Massimo D'Alema del Pd prima di ogni discussione sui temi della giustizia "devono arrivare le dimissioni di Berlusconi".

La reazione dei magistrati. Pesantemente negativo anche il giudizio dei magistrati. Il presidente e il segretario dell'Anm, Luca Palamara e Giuseppe Cascini, definiscono il ddl una "riforma punitiva", fatta "contro i giudici" e che "riduce le garanzie per i cittadini". In una nota i due leader del sindacato delle toghe ribasdiscono che il testo "mina l'autonomia e l'indipendenza della magistratura" e "altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato".

Secondo un sondaggio lanciato dal 23 febbraio al 9 marzo sul sito di informazione giuridica Altalex, ai legali, invece, piace la separazione delle carriere dei magistrati

(10 marzo 2011)

 

 

RIFORME

Giustizia, faccia a faccia al Quirinale

Alfano: "Con Napolitano tutto bene"

Due ore di colloquio tra il capo dello Stato e il ministro. Il presidente ha preso atto del progetto del governo, ribadendo la necessità di larghe intese. Il Guardasigilli: "Considerazioni del Colle recepite". Bersani duro: "Copre leggi ad personam"

Giustizia, faccia a faccia al Quirinale Alfano: "Con Napolitano tutto bene" Pier Luigi Bersani

ROMA - Due ore di colloquio concluse con l'ottimismo del ministro della Giustizia in vista del varo ufficiale atteso per il Consiglio dei ministri di domani. "Bene, è andata bene, il capo dello Stato ha ascoltato, ha preso atto e ha svolto considerazioni di carattere generale e io ho ascoltato e recepito con la dovuta attenzione" ha commentato Alfano dopo aver illustrato a Giorgio Napolitano la bozza della riforma costituzionale della giustizia preparata dal governo. Il capo dello Stato, nel lungo incontro, si sarebbe invece limitato a "prendere atto" in maniera "formale" delle intenzioni dell'esecutivo, ascoltando quello che il Guardasigilli ha avuto modo di illustrargli, ribadendo la necessità di larghe intese.

Stando alle indiscrezioni sull'ultima bozza che Alfano avrebbe illustrato al Quirinale "i magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". Questo significa che le toghe potranno essere chiamate a rispondere di tasca propria dal cittadino che potrà citare direttamente loro in giudizio e non lo Stato come è ora. Nella bozza, anticipata dall'Ansa, si prevede anche, come aggiunta all'articolo 113 della Costituzione (diventa il 113 bis), che "nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati" la quale "si estende allo Stato".

La

bozza conferma inoltre la creazione di due Csm: uno per i giudici e uno per i pm. Ma prevede che entrambi siano presieduti dal Capo dello Stato. Una novità introdotta nell'ultima versione rispetto all'ipotesi che a capo del Csm dei magistrati requirenti vada il Procuratore generale della Cassazione eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione del Csm.

La riforma presentata da Alfano a Napolitano stabilisce poi che "l'ufficio del pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge". Se ad oggi l'articolo 112 della Costituzione prevede che "il pm ha l'obbligo di esercitare l'azione penale", nella penultima bozza la formulazione era "secondo le modalità stabilite dalla legge". Ora, invece, la versione sottoposta al Quirinale parla di "criteri". Comunque un'azione penale limitata rispetto a quella che oggi può esercitare il pm.

Il testo, come ha sintetizzato il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri, punta "alla separazione delle carriere, alla riduzione del tasso di politicizzazione delle toghe soprattutto nel Csm" e "alla responsabilità civile". Umberto Bossi si è detto quindi convinto che la riforma della giustizia passerà: "Aspettiamo il Consiglio dei ministri, ma non c'è nessun problema". Domani, dopo il Consiglio, tour de force di comunicazione per il ministro: convegno sulla giustizia al Senato e registrazione di Porta a Porta.

L'opposizione annuncia però battaglia. "Le carte si vedono sempre, ma le premesse non sono buone". Così Pier Luigi Bersani commenta le anticipazioni sulla riforma 1della giustizia circolate sulla stampa. "C'è un elemento di manovra - spiega il segretario del Pd - si vuol dare copertura sul piano politico generale e costituzionale al bricolage domestico dell'aggiustamento delle leggi ad personam, e continuare a non parlare dei problemi seri della giustizia".

Da Fli Italo Bocchino anticipa che "non c'e un nostro 'no' preventivo, perché - conviene il vicepresidente futurista - il Paese ha bisogno di una riforma della giustizia. Siamo disposti a discutere nel merito, condividiamo l'ipotesi della separazione delle carriere, dei due Csm, meno delle modifiche dell'Alta Corte, ma discutiamo". L'esponente finiano pone però "due condizioni: la riforma non deve prevedere norme ad personam e non deve essere punitiva nei confronti dei magistrati".

Forti perplessità da Api, con Francesco Rutelli che avverte: "Ho l'impressione che il governo Berlusconi non sia affatto animato dall'intenzione di migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria".mentre per il governatore della Puglia e leader del Sel, Nichi Vendola la riforma serva a blindare "il potere di un sovrano modernamente medioevale come l'inquilino di palazzo Chigi". Lapidario Antonio Di Pietro: "Con questa riforma la maggioranza e il ministro Alfano intendono intervenire sull'indipendenza della magistratura, sull'obbligatorietà dell'azione penale, sul ruolo del Csm, sui compiti e sulla composizione della Corte Costituzionale". Prudente il vicepresidente del Csm Michele Vietti: qualsiasi giudizio ora, ha osservato, sarebbe "intempestivo". (09 marzo 2011)

 

 

LA RIFORMA

Doppio Csm, carriere separate e azione penale

Ecco i pnti chiave del testo Alfano

Ecco i punti della riforma costituzionale della giustizia varata oggi dal Consiglio dei ministri

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. I magistrati si "distinguono in giudici e pubblici ministeri" e la legge "assicura la separazione delle carriere".L'ufficio del pm "è organizzato secondo le norme dell'ordinamento giudiziario che ne assicurano l'autonomia e l'indipendenza".

DOPPIO CSM: il Consiglio Superiore della Magistratura giudicante "è presieduto dal Presidente della Repubblica", ne fa parte di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione e gli altri componenti sono eletti per metà da tutti i giudici ordinari tra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal Parlamento in seduta comune fra professori ordinari di università in materia giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

Per quanto riguarda la magistratura requirente si prevede che anche questo Consiglio sia presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fa parte di diritto il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per metà da tutti i pubblici ministeri fra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio. Come per

quanto avviene per la magistratura giudicante i membri elettivi durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili

I Consigli Superiori non possono adattare atti "di indirizzio politico nè esercitare funzioni diverse da quelle previste nella Costituzione".

AZIONE PENALE. Resta il principio dell'obbligatorietà ma si introducono criteri di legge: "L'ufficio del pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge". Questo sarà il nuovo articolo 112 della Costituzione, come modificato dall'articolo 15 della riforma della giustizia approvata stamane.

DISCIPLINARE MAGISTRATI. Viene istituita la "Corte di disciplina", con una sezione per i giudici e una per i pm. I componenti di ciascuna sezione "sono eletti per metà dal Parlamento in seduta comune e per metà rispettivamente da tutti i giudici e i pm". I componenti eletti dal Parlamento "sono scelti - prevede la riforma - tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo 15 anni di servizio", quelli eletti da giudici e pm "sono scelti, previo sorteggio degli eleggibili, tra gli appartenenti alle rispettive categorie".

INAPPELLABILITA' SENTENZE ASSOLUZIONE. No al ricorso in appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate in primo grado. "Contro le sentenze di condanna è sempre ammesso l'appello, salvo che la legge disponga diversamente in relazione alla natura del reato, delle pene e della decisione.

Le sentenze di proscioglimento sono appellabili solo nei casi previsti dalla legge".

RESPONSABILITA' CIVILE TOGHE: "I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato". Inoltre, "la legge espressamente disciplina la responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale", prevede ancora la riforma, e la "responsabilità civile dei magistrati si estende allo Stato".

RAPPORTO PM-POLIZIA GIUDIZIARIA: Nel testo si legge che "il giudice ed il pm dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge".

COMPETENZE DEL GUARDASIGILLI: Al ministro della Giustizia spettano "la funzione ispettiva, l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia". Riferisce ogni anno alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine".

NOMINA ELETTIVA TOGHE ONORARIE. "La nomina elettiva si estende ai magistrati onorari che svolgono funzioni di pm, mentre finora era riservata soltanto ai giudicanti.

INAMOVIBILITA' MAGISTRATI: "In caso di eccezionali esigenze, individuate dalla legge, attinenti all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, i Consigli superiori possono destinare i magistrati ad altre sedi".

(10 marzo 2011)

 

 

2011-03-06

GIUSTIZIA

Ecco il nuovo piano Alfano

Doppio Csm e un'Alta Corte

Il ministro della Giustizia sta ancora limando la riforma. Il Quirinale per ora non ha ricevuto il testo. Giallo su una possibile norma transitoria che anticiperebbe una parte della normativa

di LIANA MILELLA

Ecco il nuovo piano Alfano Doppio Csm e un'Alta Corte

Nel suo Ipad, da cui non si separa mai, legge e rilegge l'ultima versione della riforma costituzionale della giustizia. Quella che, se dovesse andare in porto, legherà il nome del Guardasigilli agrigentino Angelino Alfano alla storia della magistratura. Per certo, a scorrere il testo, legherà il ministro alla cronaca dello scontro più duro tra le toghe e la politica. Più cruento di quello, che costò ben quattro scioperi, sulla revisione dell'ordinamento giudiziario. Stavolta il momento, tante volte temuto dai giudici, è giunto davvero. La riforma è (quasi) pronta. Per dirla con Niccolò Ghedini, che ama molto le citazioni in latino, "fervet opus". Perché, anche se l'impianto è già scritto, alcuni dettagli rilevantissimi abbisognano ancora dell'ultima messa a punto. Tant'è che il testo del ddl costituzionale e di quelli ordinari che lo renderanno operativo non sono ancora sulla scrivania di Napolitano. Visto che il capo dello Stato li visiona sempre in anteprima. E al Quirinale, per questo, c'è un clima di attesa.

Ben giustificata, visto quello che si può scoprire scorrendo la legge che cambierà radicalmente il titolo quarto della Costituzione, gli articoli dal 101 al 113. Compreso quel famoso 111 sul giusto processo nel quale sarà imposta, con forza e determinazione, la parità tra accusa e difesa dinanzi al giudice in ogni fase del processo. Una previsione, come quelle sulla nuova disciplina dell'azione penale, sulla sostanziale indipendenza

della polizia giudiziaria dal pm, sulle restrizioni imposte al Csm, che potrebbero avere effetto immediato. Tant'è che il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto si lascia scappare che si sta discutendo di un'eventuale norma transitoria. Scatenando un giallo da chiarire entro giovedì.

Assicura il ministro della Giustizia Alfano che la riforma non riguarderà i processi di Berlusconi. Certo, a leggere l'ultima bozza che ancora ieri sera viaggiava tra pochissimi indirizzi, Berlusconi, Alfano, Ghedini, la Iannini (capo del legislativo di via Arenula), la separazione delle carriere dei giudici e dei pm, quella che Alfano descrive come l'avvio di "uno spirito di decisa concorrenza tra le due diverse figure", non avrà effetti immediati sui quattro dibattimenti del Cavaliere. Né potrebbe, visto che, ben che vada, la legge necessità di quattro passaggi parlamentari e un referendum. Ma non c'è solo quel principio nella riforma. Ci sono la divisione in due del Csm, perché così, dopo forti contrasti, si è deciso, e l'Alta corte che d'ora in avanti "processerà" i giudici al posto della sezione disciplinare del Csm ritenuta troppo "domestica". Due Consigli, presieduti uno dal presidente della Repubblica e uno dal procuratore generale della Cassazione, che non conteranno quasi più nulla. Non potranno fare delibere d'indirizzo, né dare pareri sulle leggi, né approvare pratiche a tutela. Csm resi organi di mera amministrazione delle carriere. Eletti a sorteggio, con un equilibrio tra togati e laici più favorevoli ai secondi. Csm senza potere disciplinare, che spetterà alla nuova Alta corte dove i laici potrebbero contare per due terzi su un terzo di togati.

La limitazione dei poteri, se la norma transitoria dovesse consentirlo, potrebbe attualizzarsi subito, e ridurre di molto il battito d'ali dell'attuale Csm. Per non parlare delle conseguenze, queste sì con un ricasco immediato sui processi in corso, quelli di Berlusconi compresi, per l'assoluta parità tra accusa e difesa nel processo. Se oggi il presidente del tribunale del processo Mediaset può tranciare di netto la lista testi presentata da Ghedini, provocandone la collera ("È una situazione di eccezionale gravità, qui ci impediscono di difenderci" ha detto lunedì 28 marzo), in futuro quel presidente dovrà essere molto più cauto. E non solo. Le stesse conseguenze ci saranno nei rapporti tra i pm e la polizia.

Ma è il capitolo dell'azione penale quello più preoccupante. Tra la colomba Ghedini, che non vuole toccare l'obbligatorietà, e la Lega che pretende la totale discrezionalità, ha prevalso un compromesso che di fatto smonta il principio per cui oggi il pm persegue "tutti" i reati. In futuro, se la riforma passa, sarà il Parlamento sulle indicazioni del Guardasigilli a decidere la "lista" dei reati. Se si aggiunge a questo la ritrovata autonomia della polizia (che dipende dal governo) non è azzardato ipotizzare che il Rubygate non sarebbe mai esploso.

La vita dei giudici non sarà più la stessa. Com'è scritto, essi saranno economicamente responsabili per quello che fanno e decidono. Un principio, la responsabilità civile, che entrato in Costituzione, cambierà il lavoro delle toghe. Le quali, divise tra loro, con due Csm indeboliti, con un ministro della Giustizia più potente dell'indire l'azione penale e nella sua presenza nei Csm, con l'incubo dell'Alta corte, senza l'indirizzo delle indagini, non più liberi di indagare su tutto, dovranno pure mettere mano al portafoglio per risarcire l'imputato che hanno intercettato senza successo.

(06 marzo 2011)

 

 

GIUSTIZIA

Berlusconi: giovedì riforma giustizia "epocale"

"Bonus scuole private, legge intercettazioni"

Il premier a tutto campo in due messaggi al Pdl. Insiste su critiche a insegnanti, preannuncia misure radicali in cdm. "Non ci saranno elezioni anticipate, maggioranza forte e Pdl al 30,6%". Ghedini: "Potrà partecipare a suoi processi solo di lunedì, scenderà in campo per difendersi". Mediatrade, subito rinvio al 28 marzo

Berlusconi: giovedì riforma giustizia "epocale" "Bonus scuole private, legge intercettazioni"

ROMA - "La sinistra ancora una volta non esita di fronte a nulla nell'ultimo disperato tentativo di ottenere con scorciatoie mediatico-giudiziarie quello che non riesce a ottenere nelle urne". Lo dice il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato alla prima Conferenza nazionale sul lavoro e occupazione femminile del Pdl. E alla platea di donne ribadisce: "Chi cerca di strumentalizzare politicamente le donne non le difende, ma le mortifica". I guai giudiziari rimangono comunque in cima alle preoccupazioni del premier, che attraverso il suo legale fa sapere di essere pronto a "difendersi in aula".

Riforma della giustizia. Berlusconi ha poi confermato - parlando telefonicamente a una manifestazione Pdl ad Avezzano - che la riforma della giustizia è pronta e sarà presentata in Consiglio dei ministri giovedì: "Presenteremo la riforma della giustizia giovedì. E' una riforma che sarà epocale". Lo ha detto Silvio Berlusconi intervenendo telefonicamente ad una manifestazione del Pdl ad Avezzano. "Nessun governo mai ha fatto così bene", dice il premier. "Stiamo lavorando sulla riforma tributaria, è una cosa assolutamente importante, siamo rimasti a leggi di 40 anni fa", osserva il Cavaliere, "abbiamo poi - aggiunge il presidente del Consiglio - in programma il piano per il Sud".

Bonus per scuole private. Nell'intervento, a tutto campo dalle amministrative al nucleare,

il premier è tornato poi sulla polemica sulle sue dichiarazioni sulla scuola pubblica 1. "Abbiamo un'opposizione che dice solo bugie, menzogne, l'unica cosa che sa fare è quello di raccontare delle storie", afferma il Cavaliere. "Io non ho mai attaccato la scuola pubblica", osserva il presidente del Consiglio. "La scuola alla sinistra è servita solo come ammortizzatore sociale, come serbatoio politico", aggiunge il premier. "Abbiamo difeso la scuola pubblica con le riforme", e ribadisce la frase oggetto di polemica: di fronte a scuole in cui "vengono inculcati valori contrari a quelli dei genitori", "ho solo proposto un bonus per le famiglie meno abbienti che si trovino in questa situazione in modo che possano mandare i loro figli in una scuola privata".

Elezioni anticipate. "Non ci saranno elezioni politiche anticipate. Sarebbe veramente un danno per il nostro Paese dare un segnale di non avere stabilità di governo: sia per la finanza internazionale, che per quanto succede in Egitto in Tunisia e in Libia, è molto importante avere un governo stabile e nel pieno dei poteri". Berlusconi garantisce: "I sondaggi ci dicono che siamo sempre il primo partito in Italia, nonostante gli attacchi della sinistra e dei giornali: siamo al 30,6% quindi andiamo avanti con grande consenso", sottolineando che la sua maggioranza può contare sul 51% degli italiani e che è ora più solida anche grazie al fatto che non c'è più Fini con i suoi "no pregiudiziali a ogni riforma della giustizia". In particolare, il premier ha ora intenzione di procedere con uno dei provvedimenti più controversi, quello sulle intercettazioni: "Riprenderemo la legge bloccata da Fini".

Nessun attacco a istituzioni. "Noi abbiamo questa palla al piede della sinistra - ha detto ancora Berlusconi al telefono con Noi Riformatori ad Avezzano -, una sinistra che si inventa di tutto, adesso anche un mio attacco alle istituzioni, mentre è falso, sono io che subisco attacchi senza soluzione di continuità da 17 anni".

Avanti sul nucleare. "Il nucleare è l'unica alternativa possibile a petrolio e gas, oltre naturalmente alle fonti rinnovabili, che rappresentano una percentuale minima per il nostro fabbisogno", ha detto ancora Berlusconi, attaccando poi il "falso ambientalismo ideologico della sinistra" che "ha seminato un mare paure e ha bloccato fino a qui in Italia tutto ciò che negli altri paesi è stato normale, e quindi termovalorizzatori, le centrali nucleari ed anche le grandi opere". "Credo che dobbiamo andare avanti con decisione su questo terreno".

Il messaggio alle donne. "Il nostro governo ha lavorato per aumentare la sicurezza delle donne introducendo normative avanzate come quella contro lo stalking. Si è schierato in prima linea contro la violenza sulle donne, soprattutto le immigrate". Così Berlusconi si è rivolto con un messaggio ai partecipanti a 'Fattore D', la prima conferenza nazionale delle donne Pdl sul lavoro e l'occupazione femminile. Poi il Cavaliere ha aggiunto su quanto fatto dall'esecutivo: "Si è fatto promotore di azioni come quella del piano casa 2020 per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Il governo ha stanziato risorse per 40 milioni di euro per l'intervento in favore della conciliazione. Queste misure sono pilastri per la creazione di nuove famiglie. E' un impegno che sento di prendere per tutto il governo, in prima persona perchè dobbiamo lavorare tutti insieme, noi e voi, per il bene di questa nostra Italia".

L'offerta di Ghedini. "Il premier ritiene opportuno scendere in campo in prima persona per difendersi". Così Niccolò Ghedini, uno degli avvocati del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha spiegato la volontà del suo assistito di partecipare a tutte le udienze dei suoi processi a Milano. Per questo riferisce la sua disponibilità ad essere presente in aula anche per due udienze nello stesso giorno. Un''"offerta" resa nota da Ghedini prima di entrare nell'aula dove si è svolta l'udienza preliminare Mediatrade (subito rinviata al 28 marzo, per difetto di notifica): "Bisogna bilanciare gli impegni istituzionali di Berlusconi con quelli processuali. Ma lui è disponibile anche a doppie udienze, non a due dibattimenti, ma a un dibattimento e a un'udienza preliminare nello stesso giorno. Bloccare l'agenda di Berlusconi il lunedì è il massimo che si possa pretendere per un presidente del Consiglio". "La Corte Costituzionale -spiega il legale- valutando la legge sul legittimo impedimento ha chiesto che fosse possibile trovare degli spazi per il processo. Noi ci siamo attivati in questo senso e abbiamo proposto al presidente del tribunale, Livia Pomodoro, di celebrare i procedimenti solo il lunedì. Ed è il massimo che si possa chiedere ad un presidente del Consiglio. Da parte nostra c'è la disponibilità di celebrare i processi e rapidamente, per questo abbiamo dato la disponibilità del lunedì per le udienze".

(05 marzo 2011)

 

 

 

2011-03-03

GIUSTIZIA

Prescrizione, giallo sulla norma "salva premier"

Ghedini: 'Ritirata'. Berlusconi: 'Non ne so nulla'

La proposta di legge del deputato Andrea Vitali obbliga il giudice in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età, ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Il legale del premier la frena. Il ministro Guardasigilli Angelino Alfano illustrerà il progetto di riforma, anche costituzionale, del sistema giudiziario

Prescrizione, giallo sulla norma "salva premier" Ghedini: 'Ritirata'. Berlusconi: 'Non ne so nulla' Niccolò Ghedini

ROMA - Mentre viene fissato per giovedì 10 marzo alle 9,30 un consiglio dei ministri straordinario sulla giustizia, durante il quale il ministro Guardasigilli Angelino Alfano illustrerà la riforma, anche costituzionale, del sistema giudiziario, nel Pdl scoppia il giallo della prescrizione breve. Ampiamento pubblicizzata sotto forma di una proposta di legge del deputato del Pdl Andrea Vitali (attraverso un 'taglio' alla prescrizione per gli incensurati e per gli ultrasessantacinquenni) e poi stoppata da Niccolò Ghedini, legale del premier e parlamentare dello stesso partito. Tanto che lo stesso Vitali annuncia una rapida marcia indietro: "Con la legge ex Cirielli infatti sarebbe difficile tornare a proporre il meccanismo delle circostanze attenuanti che potrebbero prendere il sopravvento sulle aggravanti per ridurre i tempi di prescrizione. Dovrò rivedere la sua formulazione.

Anche Berlusconi, in serata, conferma di "non saperne nulla". Rispondendo ad una domanda sulla possibilità che la proposta sia condivisa dal governo, il Cavaliere ha ribadito, per ben tre volte: "Mi dovete credere, non ne so nulla".

La proposta contestata. Tutto inizia quando si vengono a conoscere le norme contenute nella proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Luigi Vitali. In particolare una di queste sembra tagliata addosso al premier alle prese con le inchieste della magistratura. Per chiarire: la norma obbliga il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia

superato i 65 anni di età, ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Con conseguente riduzione dei tempi di prescrizione del reato. Le attenuanti, poi, dovranno sempre considerarsi prevalenti rispetto alle aggravanti quando "per effetto della diminuzione della pena il reato risulti estinto per prescrizione". Il giudice (anche se si fosse nella fase delle indagini preliminari) dovrà pronunciare in camera di consiglio una "sentenza inappellabile di non doversi procedere". Ma c'è anche un'altra norma che fa discutere: quella che rende inutilizzabili tutti gli atti di indagine nel caso in cui il Pm non abbia esercitato l'azione penale o non abbia richiesto l'archiviazione per tempo, cioè senza rispettare il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. E' questa una misura, commenta l'opposizione, che cancellerebbe di fatto il processo sul caso Ruby. L'iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi, infatti, è avvenuta qualche tempo dopo quella degli altri imputati coinvolti nella vicenda. Quindi, si introduce il 'legittimo sospetto' tra le cause di rimessione del processo e si estendono i casi in cui il giudice abbia l'obbligo di astenersi prevedendo, tra l'altro, l'ipotesi del magistrato che abbia avuto "comportamenti o manifestazioni di pensiero" o abbia aderito a movimenti o ad associazioni che determinino fondato sospetto di recare pregiudizio

La proposta di legge è in realtà il frutto di un lavoro fatto dai tecnici della giustizia di Forza Italia nel 2001 che ora la maggioranza vuole riproporre. In 44 articoli si riforma di fatto buona parte del codice di procedura penale. Tra le novità che il Pdl punta ad inserire nell'ordinamento, anche l'ipotesi che a pronunciarsi su tutti i reati commessi dai magistrati (come ad esempio la violazione del segreto istruttorio) sia sempre la Corte d'Assise visto che ogni collegio può contare su due 'togati' e 6 giudici popolari. E sempre la Corte d'Assise sarà chiamata ad occuparsi di un maggior numero di reati tra cui anche quelli contro la pubblica amministrazione.

Lo stop di Ghedini. Anche se di prescrizione breve si era parlato nei giorni scorsi, e i vertici del Pdl non avevano smentito che l'ipotesi fosse allo studio, in serata il legale del premier corre ai ripari: "La proposta è di esclusiva iniziativa di Vitali e non concordata con la consulta giustizia del Pdl. Chiederemo di ritirare immediatamente quella parte di ddl che potrebbe offrire strumentali polemiche in particolare per ciò che riguarda la prescrizione".

Il Pd: "Proposta punitiva". "Quella di Vitali - commenta il capogruppo del Pd nella commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti - è una proposta sconcertante perché priva di ogni logica di sistema, con intenti punitivi e intimidatori nei confronti della magistratura e costruita per risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi, a partire dal caso Ruby i cui atti potrebbero essere resi nulli d'un colpo"

Cdm. La data è arrivata dopo che Alfano ha riferito sugli aggiornamenti fatti al ddl di riforma costituzionale nel corso di incontri avuti sia con la Lega sia con i 'tecnici' della giustizia del Pdl riuniti ieri alla Camera. Separazione delle carriere di giudici e Pm; Csm diviso in due (uno per i Pm l'altro per i giudici); Alta Corte di disciplina esterna a Palazzo dei Marescialli; principio di responsabilità dei magistrati in Costituzione; inappellabilità delle sentenze di assoluzione: questi i capisaldi della riforma confermati nel corso delle riunioni di questa settimana.

"Nessuna mano pesante". Rispetto a ipotesi più radicali circolate negli ultimi giorni, il Guardasigilli ha ieri assicurato che su alcuni punti non si interverrà con mano pesante: l'obbligatorietà dell'azione penale resterà ("non c'è alcuna possibilità che l'articolo 112 della Costituzione sia cancellato") anche se - ha aggiunto - "stiamo valutando se intervenire con legge ordinaria per regolamentarne le modalità"; nessun intervento sulla Corte Costituzionale o su eventuali maggioranze qualificate cui aveva fatto riferimento lo stesso premier Berlusconi per dichiarare l'illegittimità di una legge ("non se ne è parlato e - ha specificato Alfano - non faceva parte della mia relazione"). Infine, niente presidenza del Csm dei Pm affidata al ministro della Giustizia ("da parte mia questa è un'ipotesi esclusa") ma la possibilità che questa vada al Procuratore generale della Cassazione o al Presidente della Repubblica, oppure a un procuratore generale 'ad hoc' votato dal Parlamento.

Alcuni nodi devono essere ancora definitivamente sciolti prima del Cdm della prossima settimana. Le diverse ipotesi in campo che per Alfano "hanno tutte diritto di cittadinanza" riguardano in particolare la composizione dei due Csm (un terzo 'togati' e due terzi 'laici' oppure metà e metà?) e la maggiore partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia richiesta dalla Lega. Su quest'ultimo punto si sta valutando la modifica dell'art. 106 della Costituzione in modo da prevedere la nomina elettiva di magistrati onorari alle funzioni di pm, ma anche l'eventuale elezione dei capi degli uffici giudiziari, sempre per andare incontro alle richieste del Carroccio

(03 marzo 2011)

 

 

Il Guardasigilli: "Nessun problema con la Lega, vediamo come far partecipare il popolo"

Giustizia, il governo si riunisce il 10 marzo

Alfano: si avrà parità tra accusa e difesa e resterà l'obbligatorietà dell'azione penale

Il Guardasigilli: "Nessun problema con la Lega, vediamo come far partecipare il popolo"

Giustizia, il governo si riunisce il 10 marzo

Alfano: si avrà parità tra accusa e difesa e resterà l'obbligatorietà dell'azione penale

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa)

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano (Ansa)

MILANO - Si terrà tra una settimana, il 10 marzo prossimo, il Consiglio dei ministri straordinario per varare la riforma costituzionale della giustizia. La data è stata decisa giovedì mattina nel corso della riunione dei ministri a Palazzo Chigi.

CARRIERE SEPARATE - Già mercoledì il Guardasigilli Angelino Alfano ha illustrato i capisaldi del provvedimento nel corso della consulta del Pdl. "Si tratta di una riforma - ha detto il ministro - che si basa sulla separazione delle carriere e sulla parità tra accusa e difesa, oltre che su una giustizia disciplinare che non sia domestica e sulla architettura del processo che riaffermi l'effettiva del primato del giudice". Il Guardasigilli ha poi parlato di un confronto positivo con la Lega e ha confermato che, proprio su richiesta del Carroccio, si sta lavorando sull'articolo 106 della Costituzione, così da contemplare le modalità di partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia: "Siamo aperti ai suggerimenti della Lega, stiamo lavorando assieme" per arrivare "ad una amplia condivisione". Alfano ha inoltre precisato che nella sua relazione non si è fatto cenno a modifiche alla Corte costituzionale, e che resterà l'obbligatorietà dell'azione penale seppure "ci sarà un intervento con legge ordinaria per regolamentarne le modalità".

IL DOPPIO CSM - Quanto ai due Csm, Alfano ha spiegato: "Abbiamo varie opzioni in campo. È esclusa, per quanto mi riguarda, l'ipotesi di presentare una proposta che preveda la presidenza da parte del ministro della Giustizia. Stiamo valutando, perchè sulla presidenza del consiglio superiore della magistratura requirente in questi anni ci sono state varie proposte in campo e tutte hanno una loro cittadinanza". "Stiamo risolvendo questo che non è un problema - ha detto ancora il titolare del dicastero di via Arenula- ma un punto importante che contribuirá a determinare complessivamente l'equilibrio di questo sistema che ha come bussola il processo giusto e la parità di accusa e difesa".

Redazione Online

02 marzo 2011(ultima modifica: 03 marzo 2011)

 

 

 

 

 

 

2011-02-22

IL CASO

Ddl intercettazioni, il no della Corte dei Conti

"Sono essenziali per combattere la corruzione"

La magistratura contabile boccia le iniziative del governo: dalla Cirielli al processo breve. Disco rosso anche per il federalismo

Ddl intercettazioni, il no della Corte dei Conti "Sono essenziali per combattere la corruzione" Mario Ristuccia

ROMA - La Corte dei Conti boccia, una dopo l'altra, le iniziative del governo in materia di giustizia. A partire dal ddl intercettazioni "che non combatte la corruzione". Sottolineando come questo strumento sia molto importante per contrastare il fenomeno. Lo afferma il procuratore generale della magistratura contabile Mario Ristuccia nella sua relazione in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 2011. Una relazione che punta il dito anche sui rischi del federalismo e sull'espansione della corruzione nella pubblica amministrazione.

Intercettazioni. "Non appaiono indirizzati a una vera e propria lotta alla corruzione - afferma - il disegno di legge governativo sulle intercettazioni che, costituiscono uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo e neppur l'aver dimezzato con la cd legge Cirielli del 2005 i termini di prescrizione per il reato di corruzione ridotti da 15 a 7 anni e mezzo, con il risultato che molti dei relativi processi si estingueranno poco prima della sentenza finale, sebbene preceduta da una o due sentenze di condanna e con conseguenze ostative per l'esercizio dell'azione contabile sul danno all'immagine".

Processo breve. "Il disegno di legge in materia di durata dei processi non sia un ulteriore ostacolo alla lotta contro la corruzione". E' questo l'auspicio del pg che sottolinea come "da rispettosi osservanti delle norme varate dal parlamento", i magistrati contabili restano "perplessi di fronte

a recenti leggi che consentono una profonda alterazione di principi di certezza del diritto".

Federalismo. Il federalismo potrebbe aumentare la corruzione, afferma Ristuccia. "Ci si interroga in termini dubitativi se, in tema di federalismo fiscale, il decentramento della spesa pubblica possa contribuire a ridurre la corruzione" rendendo "più diretta la relazione tra decisioni prese e risultati conseguiti" oppure se, sottolinea il presidente "possa avere l'effetto contrario ed aumentare la corruzione quando la vicinanza a interessi e lobbies locali favorisca uno scambio di favori illeciti in danno della comunità amministrata".

Corruzione. La corruzione e le frodi sono "patologie" che "continuano ad affliggere la pubblica amministrazione". Un fenomeno che riguarda soprattutto aiuti e contributo nazionali e dell'Ue. "I dati al riguardo non consentono ottimismi", spiega il procuratore secondo cui la situazione di "cattiva amministrazione, nonostante i progressi conseguiti in termini di efficienza, a partire dalla legge Brunetta, continua a caratterizzare in negativo l'immagine complessiva dell'apparato amministrativo". Inoltre, prosegue Ristuccia, una "diminuzione delle denunce che potrebbe dare conto fi una certa assuefazione al fenomeno verso una vera e propria 'cultura della corruzione'".

Le cifre. Nel 2010 i reati corrutivi sono aumentati del 30% rispetto all'anno precedente. In termini complessivi sono stati denunciati 237 casi di corruzione, 137 di concussione e 1090 di abuso d'ufficio, che rispetto a quelli denunciati nel 2009 indicano un incremento del 30,22% dei reati corruttivi, mentre si riscontra un decremento rispettivamente del 14,91% e del 4,89% per i reati concessivi e d'abuso d'ufficio. Le forze di polizia hanno denunciato complessivamente 708 persone per corruzione, 183 per concussione e 2290 per abuso d'ufficio. Cifre che rappresentano un calo,rispetto al 2009, dell'1,39%, dell'18,67% e del 19,99%.

Le reazioni. Cauta la reazione della Lega. "Le intercettazioni sono utili ma vanno regolamentate" dice il capogruppo della Lega Nord, Marco Reguzzoni. Dura invece la posizione dell'Idv: "Ha ragione la Corte dei Conti: le intercettazioni sono uno strumento indispensabile per le indagini. Solo una maggioranza di pazzi o di conniventi con la criminalità può pensare di limitarle..." taglia corto il capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi

(22 febbraio 2011)

 

 

L'INIZIATIVA

Contro il bavaglio la rete rilancia la protesta

Il 12 marzo in piazza per la Costituzione

La manifestazione formalizzata da articolo 21. Corteo a Roma e manifestazioni in altre città. Aderisce anche l'Anpi. In prima fila il gruppo web Valigia Blu che contro la legge sulle intercettazioni rimette in campo i post-it di CARMINE SAVIANO

Contro il bavaglio la rete rilancia la protesta Il 12 marzo in piazza per la Costituzione

ROMA - Come in un gioco di specchi. Da un lato la nuova stretta sulle intercettazioni e l'offensiva sulla riforma costituzionale della giustizia annunciata da Silvio Berlusconi. Dall'altro il fronte del No alla Legge Bavaglio, ricompattato e pronto a tornare in azione. Comitati, associazioni, gruppi spontanei di cittadini. I protagonisti della mobilitazione della scorsa primavera. Che rilanciano proponendo, il prossimo 12 marzo, una grande manifestazione nazionale. 1A Roma, con un corteo che si concluderà a piazza del Popolo. Per "difendere la Costituzione" e affrontare quella che si configura sempre più come una vera e propria emergenza democratica.

La proposta, formalizzata da Beppe Giulietti, deputato e portavoce dell'associazione Articolo 21, e da Vincenzo Vita, senatore del Pd, trova subito numerose adesioni. Da Libertà e Giustizia all'Anpi, l'associazione dei partigiani italiani. "Non possiamo più perdere tempo. Dobbiamo promuovere una straordinaria protesta unitaria contro il bavaglio, per la Costituzione e la legalità repubblicana". Poi, le coordinate: "Il 12 marzo è la data che abbiamo individuato insieme a tante associazioni per un grande giornata di orgoglio costituzionale. Con il tricolore e cantando l'inno di Mameli".

E mentre ci si prepara alla piazza, in rete l'opposizione al bavaglio è già scattata. In prima fila Valigia Blu, il gruppo di web attivisti ideatore

della protesta dei post-it. Per la serie: simbolo vincente non si cambia. "Non solo si metterà in moto nuovamente la macchina dei post-it, ma proporremo una mobilitazione permanente", dice Arianna Ciccone. "Andremo anche fin sotto Montecitorio e Palazzo Chigi. L'idea è: un sacco a pelo, il cartello 'No alla legge bavagliò e i social network. Queste saranno le nostre armi di difesa". Perché "si può discutere di tutto, come migliorare, come cambiare. Ma in nome del bene del Paese non nell'interesse di uno solo". Contro la "distruzione dei fondamenti della Costituzione" si mobilita anche Micromega che lancia un appello a tutti partiti dell'opposizione affinché reagiscano con una "legittima difesa repubblicana, proclamando il blocco sistematico del Parlamento con tutti i mezzi che la legge e i regolamenti mettono a disposizione, fino alle dimissioni di Berlusconi e conseguenti elezioni". L'appello è firmato da Camilleri, Flores d'Arcais, Fo, Hack, Rame, Spinelli e Tabucchi.

Il quartier generale del No alla legge Bavaglio è il web. Per esattezza le pagine Facebook "A difesa della Costituzione", e "Manifestazione unitaria in difesa della Costituzione": contano già alcune migliaia di iscritti. E come logo c'è il manifesto che sarà utilizzato per l'iniziativa del 12 marzo. Due mani, "quelle dei cittadini", continua la Ciccone, "che proteggono il tricolore e se ne prendono cura". In poche ore tanti interventi. Altro luogo d'incontro virtuale il sito Costituzione Day. Un portale dal quale saranno forniti materiali e indicazioni per la manifestazione.

Verso il 12 marzo, quindi. Utilizzando un modello di dissenso già sperimentato il 13 febbraio con la manifestazione delle donne: un corteo a Roma e iniziative in decine di piazze italiane, reali e virtuali. E domani una riunione nella sede di Articolo 21. Per elaborare il canovaccio della mobilitazione. E al premier, che aveva dichiarato "stavolta nessuno mi potrà fermare", si replica: "Presidente, stia sicuro: neanche a noi. Sarà una protesta pacifica ma tosta come nemmeno si può immaginare. Perché è ora di dire basta. Se non ora quando?".

(22 febbraio 2011)

 

 

 

TOGHE

DI LIANA MILELLA

21

feb

2011

Colleghi, fuori da via Arenula

Il segretario di Magistratura democratica Piergiorgio Morosini

Il segretario di Magistratura democratica Piergiorgio Morosini

"La misura è colma". I magistrati non ne possono più. Il segretario di Magistratura democratica Piergiorgio Morosini chiede ai colleghi di fare sciopero. Non usa proprio questa parola, parla di "forte mobilitazione", di "forme di astensione dall’attività". Ma la sostanza è quella.

Nella settimana in cui, a palazzo Chigi, parte il treno della riforma costituzionale della giustizia, lui, di mestiere gip a Palermo, ai vertici della sua corrente da pochi mesi, rivolge un invito shock ai colleghi che lavorano in via Arenula, accanto al Guardasigilli Angelino Alfano. Perché "le proposte politiche sul tappeto non debbono trovare in alcun modo l’appoggio e il contributo di magistrati che hanno giurato fedeltà alla Costituzione". Chiede loro di andarsene, di voltare le spalle al ministro e tornare a casa.

Cosa voglia cambiare Berlusconi è noto. Vuole separare le carriere dei giudici da quelle dei pm, in modo da indebolire i secondi, spingendoli verso l’esecutivo. Vuole dividere in due il Csm, indebolendo anche questo. Vuole spogliare lo stesso Csm della sezione disciplinare, che "processa" i magistrati che sbagliano, per trasformarla in un’Alta corte di nomina politica. Vuole fissare nella Costituzione il principio che il magistrato che sbaglia paga di tasca sua, in modo che un pm prima di avviare l’azione penale ci penserà otto volte. Vuole distorcere gli equilibri della Consulta, stabilendo che per le decisioni di tipo costituzionale, come per i lodi Schifani e Alfano e per il legittimo impedimento (cancellati o ridimensionati dalla Corte di stretta misura), ci vuole la maggioranza dei due terzi. Vuole togliere ai pm il controllo della polizia giudiziaria, che a quel punto risponderà solo al ministero dell’Interno, cioè al governo, cioè a lui. Vuole ampliare il potere delle difese nei processi, costringendo i giudici ad accettare supinamente le loro richieste. A cominciare dai suoi. Per far felici Gjhedini e Longo. E vuole pure il processo breve per chiudere i suoi processi. E approvare la legge sulle intercettazioni di modo che voi tutti cittadini non conosciate più nulla delle inchieste giudiziarie, soprattutto quelle che riguardano lui.

Dunque il segretario di Md Morosini ritiene che nessun magistrato, di fronte a riforme come queste, possa ancora star seduto accanto ad Alfano. Come se nulla fosse. E chiede una mobilitazione.

Se non ora, quando?

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Scritto lunedì, 21 febbraio 2011 alle 23:19

 

GIUSTIZIA

Tempi lunghi per il processo breve

Alfano: "Non vogliamo rotture"

Il Guardasigilli motiva così la non calendarizzazione alla Camera del provvedimento."Seguiamo sempre la saggezza..". Berlusconi al Quirinale con Letta

Tempi lunghi per il processo breve Alfano: "Non vogliamo rotture" Angelino Alfano

ROMA - "Non voglio che diventi in questo momento un elemento di rottura mentre stiamo lavorando alla riforma costituzionale". Angelino Alfano motiva così la decisione della maggioranza di non chiedere la calendarizzazione in Aula del processo breve. Quindi si segue la linea del Quirinale?, chiede un giornalista. "Seguiamo sempre la saggezza...", la risposta del ministro della Giustizia prima di entrare in Aula alla Camera. Nel frattempo Silvio Berlusconi, è arrivato al Quirinale intorno alle 16.30. Il premier è accompagnato dal sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta.

Il presidente del tribunale di Napoli, Carlo Alemi, lancia l'allarme processo breve. Numerosi processi (compreso Calciopoli) rischiano di saltare con l'approvazione del provvedimento. Il quadro che disegna il magistrato è pesantissimo: la situazione, dice, è "ineludibilmente destinata ad aggravarsi" e riguarda anche processi "di particolare rilevanza" per "contraffazione, contrabbando, truffe, violazioni edilizie". A rischio anche "numerosissimi processi per omicidio determinato da colpa medica o da violazione della normativa sugli infortuni sul lavoro", per non parlare di quelli "per frodi, truffa, traffico di rifiuti, smaltimento di rifiuti pericolosi".

Al termine dell'audizione in commissione Giustizia alla Camera Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la corte d'appello di Caltanissetta, non usa mezzi termini per bocciare il provvedimento:

"Avrebbe "effetti devastanti e c'è il rischio che porti alla prescrizione anche reati "imprescrittibili" come quelli di mafia".

(22 febbraio 2011)

 

 

 

 

2011-02-21

Testamento biologico, Saviano

"Vogliono legge contro libera scelta"

A Roma al teatro Umberto l'happening "Le ragioni del cuore" sul testamento biologico, con Beppino Englaro, Ignazio Marino, personaggi del mondo del cultura e dello spettacolo. Polemica dopo il messaggio video dello scrittore: "La scelta del papà di Eluana è una battaglia di democrazia"

di CATERINA PASOLINI

Testamento biologico, Saviano "Vogliono legge contro libera scelta" Roberto Saviano

ROMA - "La battaglia di Englaro è una battaglia di democrazia, di libertà. Nessuno può scegliere al posto tuo quale vita è degna di essere vissuta, ognuno può e deve poterlo decidere per se stesso. Per questo serve un testamento biologico, non la legge ora in discussione che è solo sopraffazione". Roberto Saviano avrebbe voluto essere questa sera al teatro Umberto di Roma per l'happening teatrale "Le ragioni del cuore, testamento biologico, sentimenti e diritti a confronto" con Beppino Englaro, Ignazio Marino, attori, cantanti, avvocati a raccontare le mille facce della realtà tra musica e prosa, medicina e politica con la regia di Accordino. Ma non gli è stato possibile e ha affidato a un video il suo pensiero.

GUARDA: Il videomessaggio di Saviano 1

"La scelta di Englaro è una battaglia di democrazia - dice lo scrittore - perché Beppino avrebbe potuto ottenere per Eluana la stessa cosa in maniera clandestina, perché accade, perché succede negli ospedali quando la situazione è disperata. Invece lui si è rivolto alle istituzioni, convinto del suo diritto di giustizia. E non venite a parlare di scelta di morte: il voler riconosciuto il diritto a scegliere sul proprio fine vita, serve a garantire che all'interno di una legge ognuno trovi la sua strada. Che

chi vuole restare attaccato alle macchine anche se in coma profondo possa farlo, e chi la pensa in maniera diversa abbia il diritto di vedere riconosciuta la sua volontà. Questa è una scelta di liberta, libertà di pensiero".

Sul palco, Englaro in silenzio a esprimere "il sentimento di un uomo offeso da un governo che ha scelto la data della morte di Eluana, sua figlia, per spingere una legge che è contro la libertà di scelta, che considera non vincolanti le dichiarazioni del malato, che impedisce di rinunciare all'idratazione". Così Ignazio Marino, medico senatore del Pd relatore della prima proposta di legge, che aggiunge dati a raccontare lo scollamento della politica della vita del Paese. "L'ordine dei medici ha scritto che bisogna rispettare la volontà del paziente, l'80 % dei chirurghi ha sottolineato che se passerà questa legge disubbidiranno, il 70% dei cittadini vuole una legge dove siano i malati, le persone care e i medici a decidere. Non i politici che hanno vinto le elezioni". Nello spettacolo storie diverse, posizioni anche opposte sul tema, come quelle di chi ha parenti nella Casa dei risvegli. Autoprodotto con finanziamenti privati e un cast che cambia ogni sera, è già stato richiesto in diverse città italiane.

Ed è polemica dopo le parole di Saviano, cui ha fatto eco il presidente di Sel Nichi Vendola ("C'è bisogno di una battaglia di civiltà" per "garantire i diritti di ciascuno di noi"). "Saviano, illiberale sarà lei! - replica il vicepresidente del Senato Domenico Nania (Pdl) - non si può definire illiberale un ddl, come il testo Calabrò, che è il risultato di un confronto serrato che si è svolto secondo le regole e dentro il luogo in cui vive la democrazia". Parla di 'malafede' di Saviano Cesare Giardina, presidente dei Giovani del Pdl: "Definire 'burocrazia' l'alimentazione e l'idratazione di un malato è una bugia".

In difesa del ddl il cui esame riprenderà a marzo (è ancora atteso il parere della commissione Giustizia della Camera) il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella ricorda che "il testo oggi dà a tutti la possibilità di scegliere a quali terapie sottoporsi quando non si sia più in condizione di esprimere la propria volontà. La verità è che non si vuole affermare la libertà di scelta delle cure ma si chiede l'eutanasia". Contro il ddl in mattinata l'associazione Luca Coscioni, con il coordinamento laico nazionale, ha organizzato un sit-in davanti a Montecitorio.

(21 febbraio 2011)

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-19

ESECUTIVO

Giustizia, il governo va avanti

il premier rivuole la legge "bavaglio"

Il Cavaliere riunisce il governo, chiede tempi rapidi, rilancia sulle intercettazioni e punta sul vecchio testo senza le modifiche dei finiani. Sul tavolo anche il ripristino dell'immunità parlamentare. Anm: "Riforme punitive. Non ci intimidiscono"

Giustizia, il governo va avanti il premier rivuole la legge "bavaglio"

ROMA - Giustizia, il governo insiste 1. Con il Consiglio dei ministri che approva all'unanimità la relazione del ministro della Giustizia Angelino Alfano sul ddl che contiene la riforma costituzionale della giustizia. E con l'annuncio di un Cdm straordinario che sarà convocato nei prossimi giorni per l'approvazione definitiva della riforma. Un comitato formato da ministri ed esperti si riunirà per approfondire i contenuti del testo. Da quello che filtra il premier punta anche a riprendere in mano il ddl sulle intercettazioni fermo alla Camera dei deputati, tornando però al testo originario, la cosidetta legge-bavaglio, vale a dire la versione precedente le modifiche imposte anche da finiani e centristi. Al momento tuttavia non è ancora chiaro se il ritorno al testo precedente le modifiche comporti degli emendamenti che facciano tornare al provvedimento così come era stato approvato dal Senato oppure se, pur modificandone l'impianto, il testo debba comunque essere sottoposto a un nuovo voto a Palazzo Madama.

Per Luca Palamara, presidente dell'Anm, si tratta di "un copione già visto: ogni volta che emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti, poi seguono iniziative legislative punitive per i magistrati". "Noi non ci faremo intimidire - ha aggiunto il leader del sindacato delle toghe - e continueremo ad applicare la legge con serenità, imparzialità,

in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero". "Ciò che più preoccupa in questa fase - ha osservato Palamara - sono le posizioni di ministri in carica, Istruzione, addirittura Esteri e persino Giustizia, che partecipano senza alcuna remora, che pure sarebbe doverosa per la carica istituzionale ricoperta, alla sistematica aggressione nei confronti dei magistrati".

Chi ha partecipato questa mattina al Consiglio dei ministri ha parlato comunque di un Silvio Berlusconi soddisfatto per i nuovi innesti nella maggioranza. "Questa è una riforma basata su principi di civiltà" avrebbe detto annunciando altre novità in arrivo: "Dobbiamo fare in fretta perché è un problema non più rinviabile che dobbiamo risolvere quanto prima". Per poi rilanciare la riforma delle intercettazioni e dell'immunità parlamentare prevista dal vecchio articolo 68 della Costituzione.

"Al governo non interessa un sistema della giustizia che funzioni davvero - ha detto Antonio Di Pietro dell'Idv -. Per questa ragione le riforme che il governo ha annunciato di voler fare non sono in favore della giustizia e dei cittadini onesti ma dei delinquenti".

"E' paradossale - ha attaccato la capogruppo del Pd nella commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti - che il consiglio dei ministri abbia approvato alla cieca un testo di cui conosce poco più che i titoli. Quel voto unanime è quindi una preoccupante dimostrazione di fedeltà al capo da parte di ministri che sembrano agire ormai come se facessero parte del collegio difensivo del premier". A rincarare la dose è stata Anna Finocchiaro: " La riforma non è altro che la somma dei desideri del premier: intercettazioni, separazione delle carriere e ora anche immunità. Sempre e solo provvedimenti ad uso personale del presidente del Consiglio".

(18 febbraio 2011)

 

 

IL RETROSCENA

Berlusconi sfida pure il Quirinale

"Stavolta nessuno mi può fermare"

Il premier stringe sulle intercettazioni e sull'immunità. I dubbi di Napolitano. Sugli ascolti aveva già piantato i suoi paletti

di LIANA MILELLA

Berlusconi sfida pure il Quirinale "Stavolta nessuno mi può fermare" Silvio Berlusconi

ROMA - Gli sorride, perché è pur sempre il suo pupillo, ma sul più bello lo interrompe. Berlusconi alza la mano nel gesto di "aspetta un attimo" e ferma Alfano, quando ha quasi finito di illustrare come dovrebbe essere la riforma della giustizia. "Eh no, Angelino, ti sei dimenticato due questioni molto importanti per tutti noi, le intercettazioni e l'immunità. Su queste dobbiamo andare avanti il più in fretta possibile e senza concedere nulla".

"nessuna modifica - ha aggiunto il premier - non come succedeva ai tempi di Fini e della Bongiorno perché loro adesso non ci sono più". Un attimo di gelo e di imbarazzo. Qualche toccata di gomito tra i ministri. Ma Alfano non perde l'aplomb e replica: "Davo per scontato che ci saremmo occupati di entrambe le questioni. Certo che andiamo avanti su intercettazioni e immunità". Il Quirinale è già in forte fibrillazione. Non c'è bisogno che parli sugli ascolti e sulla riforma delle carriere e del Csm. Le tante prese di posizione dal 2008 in avanti sono note e fanno ormai parte della storia dei tormentati rapporti, degli scontri più duri, tra palazzo Chigi e Colle. L'ultimo altolà di Napolitano sulla legge bavaglio ci fu quando il testo uscì dal Senato, privato delle migliorie che la finiana Giulia Bongiorno aveva inserito alla Camera. Un brutto incontro tra il capo dello Stato e il presidente, come riferirono le cronache. In cui il presidente ribadì che voleva salva la libertà d'informare

i cittadini e quella di indagare delle toghe. Ma è proprio a quel testo che ora si vuole tornare. Per approvarlo in tutta fretta e farlo diventare subito legge. Il capo dello Stato s'è poi rifiutato di "cogestire" le riforme sulla giustizia, ma ha posto rigidi paletti sulla tutela dell'autonomia delle toghe. Anche quando Alfano, nell'autunno scorso, tentò di portargli un brogliaccio su carriere e Csm si sentì rispondere che il Quirinale non avrebbe mai dato lasciapassare preventivi.

Tutto questo Berlusconi lo sa bene, ne ha discusso con lo stesso Alfano nei tanti incontri a palazzo Grazioli, ma ieri ai ministri ha detto di essere intenzionato ad andare avanti comunque e a ogni costo: "Questa volta dobbiamo andare fino in fondo. Lo scandalo delle intercettazioni che finiscono sui giornali deve finire. Il Rubygate dev'essere l'ultimo caso. I pm non possono continuare a violare la nostra privacy, anche quella di noi parlamentari". Poi l'affondo sull'immunità: "Nel '93 è stata abolita una legge sacrosanta. Dobbiamo tornare a quella legge, ripristinare una piena tutela per i parlamentari". Proprio per dare un primo segnale sulle garanzie a deputati e senatori sarà utilizzato il conflitto d'attribuzione alla Consulta per l'inchiesta di Milano.

Niente sconti, e sì agli scontri. Con chi si mette per traverso. Una strategia sulla giustizia, e per arginare i suoi processi, da attuare in tempi brevissimi. Su questo insiste più volte il Cavaliere durante la riunione a palazzo Chigi. I tempi sono la sua ossessione. Vuole subito la legge sulle intercettazioni. Ipotizza ancora il decreto legge, si ferma solo quando gli fanno capire che Napolitano non lo firmerà mai. Accetta, anche se a malincuore, che si torni al testo uscito dal Senato, quello con il tetto dei 75 giorni, le intercettazioni segrete fino al processo, la possibilità di pubblicare gli atti delle inchieste solo per riassunto. Niente verbali di Ruby o delle ragazze dell'Olgettina, per intenderci. E l'immediata entrata in vigore anche per le inchieste in corso. Rubygate compreso. A palazzo Grazioli, il giorno prima, lo ha detto al suo avvocato Niccolò Ghedini e ad Alfano: "Voi analizzate bene tutte le scorrettezze che ci hanno fatto in questa inchiesta di Milano e fate una legge per impedirle".

Il blitz sulle intercettazioni il Cavaliere lo pensa alla Camera. Dove vuole approvare a tamburo battente il testo del Senato, senza ulteriori navette. Mette nel conto che Napolitano si metterà per traverso, magari non lo firmerà, ma lui lo farà votare di nuovo. La road map l'ha decisa già in consiglio dei ministri. E ad Alfano ha dato due settimane di tempo per preparare tutti i testi, riforma della giustizia compresa. S'è inventato il gruppo ristretto dei ministri, che lavorerà a partire da martedì. Un'idea che vorrebbe riproporre anche per altri argomenti, quelli più importanti, pensando già alle udienze dei suoi quattro processi. Riunioni speciali, del premier e dei ministri, che hanno la sufficiente caratura istituzionale ammessa dalla Consulta e che ben potrebbero servire come altrettanti legittimi impedimenti per stoppare le udienze Mills, Mediaset, Mediatrade, Rubygate. E se proprio non dovesse riuscirci, come ha detto ieri in consiglio, allora si presenterà in udienza per gridare in faccia ai giudici tutta la sua rabbia per le "inchieste ingiuste", per la sopraffazione subita, "per il tentativo di disarcionarlo per via giudiziaria".

(19 febbraio 2011)

 

 

 

 

 

 

2011-01-14

Berlusconi indagato

per il caso Ruby

Le ipotesi per il presidente del Consiglio: concussione e prostituzione minorile

di EMILIO RANDACIO

Berlusconi indagato per il caso Ruby Karima Ruby el Mahroug

MILANO - Il presidente del Consiglio è indagato per concussione e prostituzione minorile: la vicenda è quella delle presunte coperture e pressioni sulla questura, per il rilascio 1 della - a quell'epoca- minorenne Karima Ruby el Mahroug, e per il ruolo di presunte escort accompagnate nella sua casa di Arcore. E' stata perquisita anche la casa della consigliere regionale Nicole Minetti, già indagata per sfruttamento della prostituzione. Le operazioni della polizia giudiziaria sono ancora in corso e vengono coodinate dal pm Ilda Boccassini.

LA VIDEOINTERVISTA A RUBY 2

A questo indirizzo, 3 è possibile leggere tutti gli articoli sull'inchiesta. La ragazza fu fermata e condotta in Questura il 27 maggio dell'anno scorso, e poi rilasciata dopo una accelerazione delle procedure, in seguito alle pressioni della presidenza del Consiglio. Fu la stessa Minetti ad andare in Questura, fu lei a dichiararsi tutrice della ragazza, salvo poi non effettuare alcun controllo sulla sua vita.

IL DOSSIER VIDEO SU RUBY 4

L'inchiesta

rientra in un più ampio dossier su un giro di prostituzione d'alto bordo, in cui sono indagati anche Emilio Fede e Lele Mora.

 

 

 

LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Berlusconi: "Consulta ha salvato impianto"

Il premier attacca i pm: "Mi perseguitano"

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interviene telefonicamente a Mattino 5. "Quelli che mi riguardano sono processi inventati, ho già giurato sui miei figli che non ho commesso alcun reato"

Berlusconi: "Consulta ha salvato impianto" Il premier attacca i pm: "Mi perseguitano"

ROMA - "Non mi aspettavo nulla di diverso. D'altra parte il legittimo impedimento non l'ho voluto io ma i miei collaboratori". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interviene telefonicamente a Mattino 5 e commenta la sentenza con cui la Consulta ha bocciato parzialmente il legittimo impedimento. Scegliendo un doppio registro. Morbido con i giudici costituzionali ("Il verdetto riconosce la giustezza dell'impedimento di chi governa, e tipizza la sua fattispecie"), duro con i pm: "Quelli che mi riguardano sono processi inventati, ho già giurato sui miei figli che non ho commesso alcun reato. Se mi accorgerò che nei collegi giudicanti la maggioranza è di sinistra andrò in tv e spiegherò agli italiani come stanno le cose").

Attacco ai giudici. "Sono processi assolutamenti inventati, ridicoli, grotteschi. Intanto io ho assicurato davanti a tutti che questi fatti non esistono. Non ci sono fatti che possono rendere possibili una condanna". Berlusconi sparge ottimismo, ma avverte: "Ma se nei collegi giudicanti ci saranno giudici di sinistra andrò in tv e spiegherò di cosa si tratta. Non si possono trovare giudici che oseranno dare una condanna su fatti che non esistono". Il premier prevede che, anche dopo la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, "non sarà così facile per i difensori dei miei processi ottenere un atteggiamento benevolo da parte dei magistrati. Sanno tutti che c'è persecuzione

politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo".

Governo. La sentenza non avrà conseguenze sulla durata della legislatura, assicura il premier. "Ho visto che oggi 'Repubblica' dà addirittura la data del voto, ma le decisioni di della Consulta sono assolutamente infinfluenti - spiega il presidente del Consiglio -, il governo andrà avanti. L'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate". E a sostegno della maggioranza arriveranno altri parlamentari: "Ci sono dei deputati che hanno capito la situazione, che prima erano in altre formazioni ma che ora daranno vita a dei gruppi di 'responsabilità nazionale' alla Camera e al Senato diventando la terza gamba della maggioranza".

Elezioni. "Il voto anticipato deve essere evitato a tutti i costi, perchè altrimenti la speculazione finanziaria imporrebbe tassi di interesse più onerosi sui titoli di Stato italiani con conseguente aumento delle tasse per i cittadini" continua il Cavaliere. "Le elezioni ci esporrebbero alla speculazione finanziaria internazionale che per acquistare i nostri titoli del debito pubblico, e quest'anno dobbiamo vendere 250 miliardi di euro, chiederebbe interessi più elevati con costi superiori del bilancio dello Stato". Costi che, ha sottolineato, "verrebbero pagati da tutti gli italiani con un aumento della pressione fiscale e delle tasse". Insomma, conclude Berlusconi, "l'Italia ha bisogno soprattutto di continuità e stabilità nell'azione di governo come avvenuto finora e come è stato riconosciuto dalle agenzia di rating".

(14 gennaio 2011)

 

 

 

LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Berlusconi: "Consulta ha salvato impianto"

Il premier attacca i pm: "Mi perseguitano"

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interviene telefonicamente a Mattino 5. "Quelli che mi riguardano sono processi inventati, ho già giurato sui miei figli che non ho commesso alcun reato"

Berlusconi: "Consulta ha salvato impianto" Il premier attacca i pm: "Mi perseguitano"

ROMA - "Non mi aspettavo nulla di diverso. D'altra parte il legittimo impedimento non l'ho voluto io ma i miei collaboratori". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interviene telefonicamente a Mattino 5 e commenta la sentenza con cui la Consulta ha bocciato parzialmente il legittimo impedimento. Scegliendo un doppio registro. Morbido con i giudici costituzionali ("Il verdetto riconosce la giustezza dell'impedimento di chi governa, e tipizza la sua fattispecie"), duro con i pm: "Quelli che mi riguardano sono processi inventati, ho già giurato sui miei figli che non ho commesso alcun reato. Se mi accorgerò che nei collegi giudicanti la maggioranza è di sinistra andrò in tv e spiegherò agli italiani come stanno le cose").

Attacco ai giudici. "Sono processi assolutamenti inventati, ridicoli, grotteschi. Intanto io ho assicurato davanti a tutti che questi fatti non esistono. Non ci sono fatti che possono rendere possibili una condanna". Berlusconi sparge ottimismo, ma avverte: "Ma se nei collegi giudicanti ci saranno giudici di sinistra andrò in tv e spiegherò di cosa si tratta. Non si possono trovare giudici che oseranno dare una condanna su fatti che non esistono". Il premier prevede che, anche dopo la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento, "non sarà così facile per i difensori dei miei processi ottenere un atteggiamento benevolo da parte dei magistrati. Sanno tutti che c'è persecuzione

politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo".

Governo. La sentenza non avrà conseguenze sulla durata della legislatura, assicura il premier. "Ho visto che oggi 'Repubblica' dà addirittura la data del voto, ma le decisioni di della Consulta sono assolutamente infinfluenti - spiega il presidente del Consiglio -, il governo andrà avanti. L'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate". E a sostegno della maggioranza arriveranno altri parlamentari: "Ci sono dei deputati che hanno capito la situazione, che prima erano in altre formazioni ma che ora daranno vita a dei gruppi di 'responsabilità nazionale' alla Camera e al Senato diventando la terza gamba della maggioranza".

Elezioni. "Il voto anticipato deve essere evitato a tutti i costi, perchè altrimenti la speculazione finanziaria imporrebbe tassi di interesse più onerosi sui titoli di Stato italiani con conseguente aumento delle tasse per i cittadini" continua il Cavaliere. "Le elezioni ci esporrebbero alla speculazione finanziaria internazionale che per acquistare i nostri titoli del debito pubblico, e quest'anno dobbiamo vendere 250 miliardi di euro, chiederebbe interessi più elevati con costi superiori del bilancio dello Stato". Costi che, ha sottolineato, "verrebbero pagati da tutti gli italiani con un aumento della pressione fiscale e delle tasse". Insomma, conclude Berlusconi, "l'Italia ha bisogno soprattutto di continuità e stabilità nell'azione di governo come avvenuto finora e come è stato riconosciuto dalle agenzia di rating".

(14 gennaio 2011)

 

 

L'ANALISI

Caduto il privilegio, il premier va alla guerra

di GIUSEPPE D'AVANZO

C'E' UNA confortante novità e un paio di pessime notizie. La buona nuova è questa: la Consulta demolisce la legge sul "legittimo impedimento". Berlusconi se l'era affatturata per il presente e per il futuro; per i processi in corso a Milano e per le tegole che (non si mai e chi meglio di lui può saperlo) gli potrebbero piovere sul capo. Il premier ha pensato, e non è un mistero per nessuno: quei processi mi spaventano, posso obiettare che devo governare, posso dire che è il compito che mi ha assegnato il popolo sovrano e quindi che non ho tempo per i processi - ma nemmeno un pomeriggio, neanche due ore, nemmeno il sabato o la domenica: la mia agenda non ha buchi - e quelli i giudici che possono fare?

Devono rinviare l'udienza. Può bastarmi? Posso fidarmi? No che non posso. Una legge deve obbligarli, vincolarli - sì, costringerli - altrimenti corro dei rischi.

Nasce così la legge sul "legittimo impedimento" che, in attesa della sospirata immunità costituzionale, assicura al Cavaliere di non essere processato. L'arnese scelto è il più prepotente. Si può definire autocertificazione: è lo stesso capo del governo che dirà, senza alcun possibilità di essere contraddetto, di avere molto da fare. Magari per i sei mesi che vengono perché non conta soltanto l'impegno pubblico che rende legittimo l'"impedimento", ma anche tutto il lavoro di prima e di dopo o comunque essenziale a far fronte a quell'appuntamento

istituzionale. Chi può sindacare quanto tempo sia necessario? Quindi, il giudice - comanda la legge - deve prenderne atto e rinviare l'udienza perché l'arresto del processo è automatico.

Ecco, è su questo punto decisivo (chi decide se l'impedimento è legittimo?) che la Corte costituzionale cancella oggi l'abusiva "prerogativa" che il Sovrano s'era cucinato nel suo esclusivo interesse e illegittimamente perché con legge ordinaria e non costituzionale. Come ha già scritto qui Franco Cordero: eliminato l'automatismo, la legge si squaglia. La Consulta, con la sua sentenza, annulla l'autocertificazione all'impedimento del Cavaliere (l'automatismo) e restituisce al giudice il dovere di accertare, caso per caso, di volta in volta, se le ragioni che ostacolano la presenza in aula dell'imputato siano concrete o fasulle, come accade a ogni cittadino della Repubblica. Si ripristina così ciò che la legge sul legittimo impedimento ha manomesso: l'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 della Costituzione).

Fin qui la notizia che rincuora, ma ce ne sono anche di pessime. Per lo meno un paio. La prima è che Berlusconi non ha alcuna intenzione di difendere la sua onorabilità nel solo luogo appropriato, l'aula del tribunale. In quel luogo - e in modo definitivo con la "sentenza Mills" - è stato documentato che egli è un corruttore, un bugiardo e uno spergiuro anche quando fa voto della "testa di figli e nipoti". Un uomo, con un'altra idea della dignità personale e della responsabilità pubblica, filerebbe in quell'aula per dimostrare la sua correttezza e onestà. Non Berlusconi che si è fatto politico per scampare - e non è un mistero - da un passato di malaffare e come corruttore, bugiardo e spergiuro pretende di essere accettato dal Paese.

Il Cavaliere avrà buon gioco - altra pessima notizia - perché i processi che lo attendono a Milano presto diventeranno cenere. Tra le leggi che il Sovrano si è acconciato per farla franca (2001, rogatorie internazionali; 2002, legittimo sospetto; 2003, legge immunitaria Schifani; 2006, inappellabilità delle sentenze di proscioglimento; 2008, legge immunitaria Alfano), tutte sterili o cancellate dalla Corte Costituzionale, la più efficace per farla franca si è rivelata la riforma dei tempi della prescrizione (2005). È questa che soffocherà i processi di Milano. Cinque dei sette giudici che lo stavano giudicando a Milano per corruzione (Mills), frode fiscale (diritti tv Mediaset), appropriazione indebita (Mediatrade) sono stati trasferiti ad altro incarico. I dibattimenti dovranno dunque ricominciare di nuovo e daccapo e la possibilità che possano arrivare al verdetto definitivo della Cassazione è concreta come l'eventualità che Berlusconi accetti di farsi processare. Nelle prossime settimane e mesi assisteremo a uno spettacolo estenuante. Gli avvocati del Sovrano andranno in aula per sfruttare tutte le possibilità che la bocciatura parziale della legge sul legittimo impedimento lascia sul tavolo. La Consulta chiede ai giudici una leale collaborazione istituzionale e di accordare le necessità della giurisdizione con il dovere di governare. Il punto di equilibrio è difficile da trovare quando i diritti della difesa sono l'occasione non per fare luce nel processo, ma per tenersi lontano dal giudizio. Anche perché - facile previsione - Berlusconi non si farà mancare gli impegni soprattutto all'estero e i suoi legali useranno quell'agenda posticcia per scardinare i tempi del processo. È molto improbabile che i giudici del tribunale di Milano se la sentano di smascherare il gioco. Lo si è già detto. Se Berlusconi fosse un imputato qualunque, il tribunale stringerebbe i tempi e il "processo Mills", che ha davanti un anno di tempo prima di "morire", forse riuscirebbe a chiudersi anche in Cassazione. È il processo più sensibile e, in fondo, quello più limpido perché nei fatti si è già concluso quando anche dinanzi alla Cassazione - e quindi definitivamente - è stata accertato che l'avvocato inglese David Mills, architetto della galassia di società off-shore di Fininvest organizzata con il coinvolgimento "diretto e personale" del Cavaliere, è stato pagato per non dire la verità nei processi contro Craxi e gli ufficiali della Guardi di Finanza, corrotti dal tycoon di Arcore. La corruzione è un reato "a concorso necessario": se Mills è stato corrotto, il presidente del consiglio (coimputato) è il corruttore. Per chiunque altro che non sia il capo del governo il processo, che ora ricomincerà a Milano, sarebbe una pura formalità. Tre e quattro udienze in primo grado. Un'udienza in appello. Un'udienza in Cassazione. Sentenza che passa in giudicato. Dodici mesi sono più che sufficienti perché nel caso degli "imputati in scadenza termini", come si dice, i tribunali hanno l'obbligo di fare presto e bene non fosse altro per garantire i diritti di chi è stato offeso dal reato. Potrebbe avvenire anche per il processo Mills? Difficile. Meglio, impossibile. Il clima di perenne aggressione all'ordine giudiziario un segno lo ha lasciato. Gli abusi del sistema politico, governativo e mediatico (un caso per tutti, l'agguato denigratorio al giudice Mesiano "colpevole" di aver indossato calzini viola) provocano nelle toghe qualche impaccio superfluo che rallenta il processo. Da questo punto di vista, la sentenza della Consulta non aiuta perché prepara ai giudici di Milano un percorso ricco di trappole e complicazioni. Per dirne una, con il costituzionalista Alessandro Pace: come si potrà "coniugare l'indifferibilità dell'impedimento con l'esistenza di un'attività preparatoria e consequenziale"? È quanto questo lavoro che predispone e segue l'impegno pubblico del capo del governo potrà essere legittimamente lungo?

A pensarci, l'annichilimento per prescrizione dei processi di Milano non è nemmeno la notizia peggiore. La nuova davvero pessima la si scorge nelle manifeste intenzioni del premier. Lo si vede già muovere i fili con attenzione. Clamorosamente fallito come uomo che governa e modernizza finalmente il Paese, il Cavaliere affida il suo destino al solo congegno che conosce e controlla: le elezioni. In queste ore, con queste mosse - ieri la sortita a Berlino contro "l'ordine giudiziario fuoriuscito dall'alveo costituzionale", oggi la catilinaria televisiva dalla tv di casa in compagnia di un dipendente - le sta preparando con cura mentre dice in pubblico - spudorato - di non volerle. Come sempre, ha bisogno di creare un "contratto emotivo" con gli elettori ricordando che la sua proposta politica è egli stesso. Che il suo destino è il destino di tutti. Che la sua persona e i suoi interessi privati sono gli interessi del Paese. È una strategia che funziona (in passato ha funzionato tre volte su cinque) quando ogni questione nazionale o espressione politica precipita in una conflittualità concreta che consente di dividere il Paese in amico e nemico. È un metodo che trasforma in una vuota astrazione ogni altro problema: il debito pubblico, il declino dell'Italia, il dramma delle giovani generazioni, il fallimento delle liberalizzazioni, lo Stato di diritto, i precetti della Carta costituzionale, la sovranità, il discredito dell'Italia nel mondo. Quel che conta è il Corpo mistico del Capo, al tempo stesso sovrano e popolo. Quel che conta è sapere qual è il nemico che minaccia il Capo e che quindi deve essere - dal popolo, dai membri del corpo mistico - contrastato e colpito.

Ecco la notizia pessima: Berlusconi si prepara al voto ed è intenzionato a far rotolare il Paese in un conflitto senza confini e il nemico da distruggere sarà la magistratura. Una magistratura che il Cavaliere vorrà rappresentare come nemica del popolo, della democrazia, dell'Italia, come appunto pare si chiamerà il suo nuovo partito. Se sei contro l'Italia (partito), sei contro l'Italia (nazione). "Quando si avoca a sé la piena rappresentatività della comunità nazionale e si disconosce la legittima cittadinanza dell'altro in quanto anti-nazionale è guerra civile", sostiene Marco Rovelli. Si può anche non sapere se ci attende davvero una moderna "guerra civile", è certo che Berlusconi sta preparando, a partire dai suoi contrasti con la giustizia, qualcosa di molto simile.

(14 gennaio 2011)

 

 

 

 

 

 

2011-01-13

CORTE COSTITUZIONALE

Legittimo impedimento bocciato in parte

a decidere dovranno essere i giudici

Sentenza sostanzialmente sfavorevole a Berlusconi da parte della Consulta sulla legge pensata per mettere il premier al riparo dai processi che lo vedono imputato. In particolare viene affidato ai magistrati giudicanti di valutare le ragioni che secondo la difesa impedirebbero la presenza in aula

Legittimo impedimento bocciato in parte a decidere dovranno essere i giudici Giornalisti in attesa davanti alla Consulta

ROMA - Parziale bocciatura, ma legge sostanzialmente stravolta rispetto all'impianto con cui era stata concepita dagli avvocati di Silvio Berlusconi. E' questo il verdetto della Consulta al termine della lunga camera di consiglio per valutare la costituzionalità della norma sul legittimo impedimento. La decisione sarebbe stata presa a larga maggioranza, con 12 voti favorevoli e 3 contrari, dopo oltre cinque ore di discussione: i giudici si erano trovati in udienza alle 9.30 di stamattina e poco prima delle 14 avevano aggiornato la seduta ripresa alle 15.30. Circa un'ora dopo è arrivata la sentenza.

La decisione. La decisione dell'Alta Corte in parte boccia e in parte interpreta alcune norme sul 'legittimo impedimento'. La Corte Costituzionale ha infatti posto diversi paletti alla legge nata per mettere temporaneamente al riparo il presidente del Consiglio dalla ripresa dei suoi tre processi (Mills, Mediaset e Mediatrade). In particolare, la Consulta ha bocciato la certificazione di Palazzo Chigi sull'impedimento e l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza fino a sei mesi, dichiarando illegittimo il comma 4 dell'art.1 della legge 51 del 2010. Bocciato solo in parte invece il comma 3, con l'affidamento al giudice della valutazione del 'legittimo impedimento'.

L'interpretazione. La Consulta ha inoltre fornito una interpretazione del comma 1, ritenendolo legittimo solo se, nell'ambito dell'elenco di attività indicate come impedimento per premier e ministri, il giudice possa valutare

l'indifferibilità della concomitanza dell'impegno con l'udienza, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra esigenze della giurisdizione, esercizio del diritto di difesa e tutela della funzione di governo, oltre che secondo un principio di leale collaborazione tra poteri.

Bocciato per "irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione" (art. 3 della Costituzione) il comma 4 dell'art. 1 che prevede nello specifico quanto segue: "Ove la Presidenza del Consiglio dei ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi".

Il comma 3, rispetto al quale la Corte sarebbe intervenuta con una pronuncia 'additiva' , prevede che "il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti, rinvia il processo ad altra udienza".

Il comma 1, di cui la Consulta ha invece dato una interpretazione conforme alla Costituzione, prevede che per premier e ministri, chiamati a comparire in udienza in veste di imputati, costituisce legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". A seguire, sempre il primo comma, elenca i riferimenti normativi riguardanti specifiche attività tra le quali, ad esempio, il consiglio dei ministri, la conferenza Stato-Regioni, impegni internazionali etc. Dopo questo elenco minuzioso, il comma 1 prevede che sono oggetto di legittimo impedimento le "relative attività preparatorie e consequenziali, nonché ogni attività comunque coessenziale alla funzioni di governo".

(13 gennaio 2011)

 

 

 

 

LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Il Pdl insorge contro la sentenza

Bersani: "Reazioni inaccettabili"

Per Bondi la Consulta ha violato i "principi fondamentali della Costituzione". Ghedini "La Corte ha equivocato". Il Pd: "Smontato impianto della legge". Vietti del Csm: "Decisione saggia e equilibrata". Palazzo Chigi smentisce frase di Berlusconi che secondo indiscrezioni aveva detto: "Tranquilli è un compromesso"

Il Pdl insorge contro la sentenza Bersani: "Reazioni inaccettabili"

ROMA - Dopo la sentenza della Corte Costituzionale 1, Silvio Berlusconi prepara la sua controffensiva. Ufficialmente, Palazzo Chigi comunica che il premier non commenterà la decisione della Consulta, ma con i suoi collaboratori Berlusconi avrebbe parlato di "compromesso accettabile. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno", avrebbe aggiunto. "Sono tranquillo, andiamo avanti". Il presidente del Consiglio, spiegano le stesse fonti, si attendeva un esito di questo tipo e ha ribadito che la decisione non influenzerà in alcun modo l'esecutivo.

Domattina, comunque, il premier sarà a "Mattino 5" dove, verosimilmente, tornerà a parlare di giustizia. E dal Pdl i toni si alzano subito. Il coordinatore Sandro Bondi parla di "rovesciamento dell'ordine democratico". Parole che provocano la reazione del segretario Pd Pierluigi Bersani che parla di "dichiarazioni inaccettabili". Più cauto, nel Pdl, l'avvocato Niccolò Ghedini, secondo il quale: "L'impianto della legge è stato riconosciuto valido".

Il PdL. Le parole più pesanti sono quelle di Sandro Bondi: "Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini della nostra Costituzione e dei principi fondamentali di ogni ordine democratico", dice il ministro e coordinatore del PdL. "Oggi la Consulta ha stabilito la superiorità dell'ordine giudiziario rispetto a quello democratico,

rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all'esercizio della responsabilità politica e istituzionale".

Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato commenta così: "Mi pare che la Corte

Costituzionale, pur avendo optato per una decisione di compromesso non rigettando ne' accogliendo integralmente il ricorso, abbia comunque fatto a pezzi il legittimo impedimento". E aggiunge: "Non ho la sfera di cristallo per individuare le conseguenze politiche che si possono trarre da questa decisoone. Di sicuro le avrà, anche se la Consulta ha deciso assolutamente in punto di diritto. In ogni caso, resta in piedi la possibilità del referendum, ma del legittimo impedimento resta poco o nulla".

Niccolò Ghedini. Il legale del premier e parlamentare del PdL, in una nota scritta con Piero Longo, usa toni molto più cauti rispetto ai suoi colleghi di partito: "La legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace e ciò è motivo evidente di soddisfazione". Parla comunque di un "equivoco" nel quale sono incorsi gli alti magistrati: "Nell'intervenire su modalità attuative, la Corte Costituzionale sembra avere equivocato la natura e la effettiva portata di una norma posta a tutela della possibilità di esercitare serenamente l'attività di Governo".

Gaetano Pecorella, ex legale di Silvio Berlusconi, dichiara: "Ormai le leggi le scrive la Corte Costituzionale".

il vicecapogruppo al Senato Gaetano Quagliariello parla di "Sentenza inutile. La democrazia italiana resta una democrazia a legittimità limitata. C'è necessità di ripristinare un equilibrio tra poteri sovrani".

La Lega. In una dichiarazione congiunta, arriva il commento dei capigruppo della Lega di Camera e Senato: "La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del governo. Il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi già stabiliti e per la Lega non cambia nulla. Dalla Corte Costituzionale non c'era da aspettarsi altro: sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c'è sentenza della magistratura che può bloccare l'azione dell'esecutivo".

Il Pd. "La Consulta smonta l'impianto della legge e ne mostra l'inutilità". Questo il commnento del capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti. "Le anticipazioni sulle motivazioni della Corte smontano sostanzialmente l'impianto della legge. Il parlamento è stato quindi impegnato inutilmente per troppi mesi". Interviene anche Pierluigi Bersani, nella sua replica finale alla Direzione del Pd: "Berlusconi non pensi che adesso il Paese possa girare attorno ai suoi problemi perche' il Paese ne ha di ben altri".

La capogruppo del Pd Anna Finocchiaro dichiara: "La Consulta ha bocciato l'automatismo disposto dalla legge e la certificazione di Palazzo Chigi e ha rimesso ai giudici la valutazione relativa al rinvio dell'udienza. "Mi sembra chiaro che a saltare è l'impianto complessivo della legge".

Vietti. "La decisione della Corte costituzionale appare saggia e equilibrata, fa salvo l'impianto originario del legittimo impedimento nella versione che a suo tempo ho proposto alla Camera". Così Michele Vietti , già deputato dell'Udc e oggi vice presidente del Csm commenta, interpellato dall'ANSA la sentenza della Consulta che ha dichiarato l'illegittimità parziale della legge sul legittimo impedimento".

Sinistra e Libertà. Per Nichi Vendola, leader idi SeL, la decisione della Corte Costituzionale "è una bocciatura di un atto di arroganza" e "rappresenta l'ennesimo gioco d'azzardo che non è riuscito a Berlusconi. Siamo di fronte al tentativo del potere politico di sottrarsi dal dovere di partecipare al pubblico dibattimento dentro al processo". "Noi - ha rilevato - dobbiamo lavorare per rendere veloce il processo. Per garantire la parità assoluta tra difesa e accusa" e "la terzietà del giudice". Prosegue Vendola: "Ma bisogna andare, quando si è oggetto di una imputazione e di un rinvio al giudizio, a difendersi dentro al processo, e non bisogna difendersi dal processo sabotandolo continuamente. Questo è il punto che la Corte Costituzionale ha ribadito"

Di Pietro. Il leader dell'Italia dei Valori commenta la sentenza con un occhio al suo referendum sul legittimo impedimento: "I cittadini diranno in modo forte e chiaro che anche Berlusconi deve andare dal giudice quando viene chiamato e non si deve inventare una scusa ogni volta". Continua Di Pietro: "La Consulta ha dato ragione a noi quando dice che questo provvedimento è in gran parte illegittimo", ma "ha fatto rientrare dalla finestra quello che ha messo fuori della porta. Infatti, riconoscendo come legittimo impedimento ogni attività perparatoria e consequenziale alle funzioni di Governo, permette a Berlusconi di sostenere che anche quando andrà al bagno svolgerà un attività consequenziale. Per questa ragione il referendum è l'unica arma a disposizione dei cittadini per bocciare una legge incostituzionale e immorale".

UdC. Il commento di Pierferdinando Casini: "Se fossero stati approvati gli emendamenti Udc, anche soppressivi, la legge sul legittimo impedimento sarebbe passata. Purtroppo non siamo stati ascoltati. La maggioranza di governo ha costretto la Corte a intervenire per eliminare le forzature nel testo. Quando si esagera queste sono le prevedibili conseguenze. Mi auguro che questa sia una lezione per tutti".

FlI. "Prendo atto della decisione della Corte costituzionale. Ora si dovrà vedere come i giudici, udienza per udienza, valuteranno le richieste di legittimo impedimento. Se vogliamo vederla così, dopo questa decisione esce vittorioso il ruolo dei giudici su quello dei politici". Così Giuseppe Consolo, deputato di Fli. Ma il messaggio politico più significativo lo manda il senatore Viespoli, che chiede ora al premier di aprire "una nuova fase". E Urso, invitando a non strumentalizzare, insiste perché ci si attivi per una stagione di riforme ineludibili.

Verdi. Angelo Bonelli, presidente dei Verdim commenta così la sentenza: "La Corte costituzionale salva la democrazia italiana e ristabilisce un principio, quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, che è stato mortificato dal tentativo di Berlusconi di rendersi ingiudicabile. Il tentativo di creare una casta di intoccabili al di sopra della legge è fallito", conclude.

Libertà e Giustizia. "Possiamo salutare con compiacimento la sentenza" - dice Valerio Onida, a nome della presidenza di LeG. "Si è ristabilito il valore del legittimo impedimento, stravolto per un uso personale. La Corte ha dimostrato di difendere la Costituzione, come già aveva fatto con il lodo Alfano. Questo era il terzo tentativo per allontanare dal premier i processi in corso a Milano, Mills, Mediaset e Mediatrade e solo quelli".

Il Popolo Viola. Esultanza dei Viola davanti al palazzo della Consulta, dopo aver appreso la notizia della bocciatura parziale della legge sul legittimo impedimento. Una delegazione ha stappato una bottiglia di spumante e sventolato il Tricolore scandendo 'Viva la Costituzione italiana'. "La decisione della Consulta -ha sottolineato Gianfranco Mascia in rappresentanza del Popolo Viola- è una vittoria per gli italiani. Dobbiamo togliere il tappo dall'Italia: la legge -ha ribadito- è uguale per tutti".

(13 gennaio 2011)

 

 

 

 

 

 

 

 

IL SITO DI ASSANGE

Wikileaks, nuovi file sull'Italia

"Politici non combattono mafia"

Scetticismo anche sul Ponte sullo Stretto: "Mancano le strade".Rivelazioni sull'Afghanistan: le province sotto controllo italiano erano nel mirino dei razzi talebani. Alcuni gruppi di terroristi avrebbero operato sotto direttive del governo iraniano

Wikileaks, nuovi file sull'Italia "Politici non combattono mafia" Julian Assange, fondatore di WikiLeaks

ROMA - Dall'Afghanistan alla mafia, nuove clamorose rivelazioni sull'Italia dai file di Wikileaks.

Scarso impegno contro la mafia. "Anche se le associazioni imprenditoriali, i gruppi di cittadini e la Chiesa, almeno in alcune aree, stanno dimostrando promettente impegno nella lotta alla criminalità organizzata, lo stesso non si può dire dei politici italiani, in particolare a livello nazionale" scrive J. Patrick Truhn, console generale Usa a Napoli, in un dispaccio del giugno 2008. "Come ci ha ricordato Roberto Saviano, il tema (della lotta alla criminalità organizzata, ndr) è stato virtualmente assente dalla campagna elettorale di marzo-aprile" continua Truhn. Il diplomatico suggerisce a Washington di "lavorare per fare presente al nuovo governo che la lotta al crimine organizzato è una seria priorità del governo Usa, e che i drammatici costi economici della criminalità sono un argomento convincente per una azione immediata".

L'incontro con lo scrittore. ""Quelli che lottano contro la mafia - sottolinea il console

- hanno bisogno di essere considerati come dei modelli reali. E Saviano può ben essere su questa strada". Lo scrittore infatti "appare regolarmente sulla stampa e sui media radiotelevisivi non come un'autorità per la gente, ma - ed è più importante - come una bussola per coloro che sono disposti ad ascoltare". Infine il dispaccio riporta

un incontro tra il diplomatico e lo scrittore. "Quando gli abbiamo chiesto come il governo degli Usa, al di là della cooperazione giudiziaria, potrebbe supportare al meglio la lotta al crimine organizzato, Saviano, in aprile, ha risposto: 'Solo parlando della questione, le date una credibilita' che il resto del mondo, italiani inclusi, non può ignorarè".

Il Ponte sullo Stretto piace alla Mafia. Il ponte sullo Stretto "servirà a poco senza massicci investimenti in strade e infrastrutture in Sicilia e Calabria. E la Mafia potrebbe essere la prima beneficiaria di questa opera, di cui si parla da decenni. Il Ponte potrebbe essere una miniera d'oro per la criminalità" sostiene Truhn, che analizza la situazione in Sicilia, dopo lo scontro politico tra Raffaele Lombardo e "il partito del premier Silvio Berlusconi". Il "grandstanding" (teatrino) politico ha "bloccato una operazione di trivellazione per gas lo scorso anno e minaccia di rinviare un importante sistema di comunicazione satellitare della Marina statunitense".

L'allarme 'ndrangheta. "Se la Calabria non fosse parte dell'Italia, sarebbe uno Stato fallito. La 'ndrangheta controlla infatti "vaste porzioni del suo territorio e della sua economia". "Loiero (ex presidente della Regione ndr) non è stato in grado di offrire nessuna soluzione alle difficoltà della regione. Quando gli è stato chiesto come immaginava utilizzare i circa 14 milioni di euro che l'Ue aveva stanziato per la Calabria, ha dato una vaga risposta e ha cambiato argomento".

I preti "eroici". "La Chiesa cattolica viene criticata per non assumere una forte posizione pubblica contro il crimine organizzato. Uno dei pochi preti che lo ha fatto, padre Luigi Merola, è ora sotto scorta, così come il vescovo di Piazza Armerina Michele Pennisi" scrive Truhn, che suggerisce a Washington di "cercare cooperazione nel Vaticano".

IL DATABASE DEI CABLE "SEGRETI" 1

Il Ponte sullo Stretto non serve. Il ponte sullo Stretto "servirà a poco senza massicci investimenti in strade e infrastrutture in Sicilia e Calabria" scrive J. Patick Truhn, console generale Usa a Napoli in un dispaccio del giugno 2009 in cui si analizza la situazione in Sicilia, dopo lo scontro politico tra Raffaele Lombardo e "il partito del premier Silvio Berlusconi". Il "grandstanding" (teatrino) politico ha "bloccato una operazione di trivellazione per gas lo scorso anno e minaccia di rinviare un importante sistema di comunicazione satellitare della Marina statunitense".

 

Afghanistan, 2007. I missili dell'Iran erano puntati contro obiettivi nelle province afghane sotto comando italiano, Herat e Farah. Tra i bersagli anche il Prt di Farah, gestito dagli americani. Nei nuovi file di Wikileaks si legge: "Gli iraniani hanno detto di aver puntato i missili contro questi bersagli perche si aspettano un attacco statunitense contro la Repubblica islamica".

Dai dispacci emerge anche che alcuni gruppi talebani "operano sotto direttive emanate dal governo iraniano", e non solo: "Il governo iraniano ha dispiegato truppe lungo il confine con il distretto di Ghoryan nella provincia di Herat" si legge nel file, "e pianifica di offrire supporto agli insorti".

I file. Nel dispaccio militare Usa datato 24 giugno 2009 si può leggere che: "Il gruppo talebano di Gholam Yahya Akbary (GYA) è in possesso di alcuni razzi iraniani e mine a pressione per lanciare attacchi nel distretto di Ghozareh, a sud di Herat. Il gruppo ha ricevuto tutto l'equipaggiamento ed i finanziamenti dall'Iran, e dimostra le sue attività alla Repubblica islamica, talvolta sparando razzi e granate su Camp Arena e altri obiettivi". A luglio 2009, kamikaze arrivati da "Iran e Pakistan" e "coordinati da figure di primo piano dell'intelligence iraniana" pianificavano attacchi suicidi a Herat.

In un altro file datato agosto 2009, si riferisce che il GYA "ha ricevuto sostegno finanziario da un alto ufficiale dell'intelligence iraniana, e progetta attacchi contro la città e l'aeroporto di Herat dopo le elezioni". Dispacci confermati dalla cronaca: in quelle settimane si contarono almeno due attacchi a colpi di razzi contro Camp Arena, senza fortunatamente causare vittime nè danni.

Talebani e armi. In altri file, si delineano le attività di addestramento dei talebani all'uso e all'assemblaggio dei micidiali Ied. In un dispaccio del settembre 2009 si fa riferimento a "sei mine anticarro molto potenti ricevute dall'Iran" che i talebani "utilizzeranno contro le forze della coalizione internazionale o esponenti di spicco della polizia afghana".

(12 gennaio 2011)

 

 

 

 

Lombardo snobba i diplomatici Usa

Lo dice una nota diffusa da Wikileaks

Wikileaks ha diffuso un dispaccio del console generale Usa, J. Patrick Trohn, che di Lombardo dice: "Ha poco tempo per i funzionari stranieri". Il diplomatico lamenta la "disinformazione" di alcuni politici siciliani che "ha bloccato senza seri motivi" le trivellazioni a Ragusa

 

Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo "ha poco tempo per i funzionari stranieri", e come presidente della Provincia di Catania ha concesso "solo una telefonata di 5 minuti" al console generale Usa a Napoli, mentre da presidente ha rifiutato di "ricevere sia l'ambasciatore Ronald Spogli che il personale diplomatico di Palermo".

E' quanto si legge in un dispaccio del console generale Usa, J. Patrick Trohn, datato giugno 2009 e pubblicato da Wikileaks, nel quale il diplomatico lamenta tra l'altro la "disinformazione" posta in essere da alcuni politici siciliani che "ha bloccato senza seri motivi" le trivellazioni della texana "Panther Eureka Gas" a Ragusa, e del sistema di comunicazione satellitare della Marina Usa nei pressi di Niscemi.

(13 gennaio 2011)

 

 

 

 

EVASIONE FISCALE

Lista Falciani, indagano 120 procure

"È la fotografia dell'Italia che evade"

Un terzo dei titolari dei conti svizzeri ha aderito allo scudo fiscale. Altri nomi noti, da Claudio Panatta a Eduardo Montefusco, titolare di Rds

di CARLO BONINI

Lista Falciani, indagano 120 procure "È la fotografia dell'Italia che evade"

ROMA - Ora che il segreto ha cominciato a cedere, raccontano che i 5.595 nomi della "lista Falciani" con i loro 5 miliardi e mezzo di euro di depositi nella filiale ginevrina della "Hsbc" siano "la fotografia dell'Italia della porta accanto". Che quel "database della vergogna" documenti drammaticamente la "normalità dell'evasione fiscale", la sua "sistematicità" in intere aree produttive del Paese. Come la Brianza, il varesotto e il comasco, dove - riferisce chi ha avuto accesso alla lista - "figurano come correntisti della Hsbc interi blocchi familiari delle piccola e media impresa lombarda. Come pure della borghesia delle libere professioni. Dal nonno ai nipoti". Evasori per cifre importanti (mediamente tra i 10 e i 20 milioni di euro), impermeabili alla ciclicità dei condoni, se è vero, come ha sin qui accertato la Guardia di Finanza, che di quegli oltre cinquemila esportatori di valuta, solo un terzo (circa 1.500) ha aderito allo scudo fiscale.

Certo, c'è qualcuno meno anonimo degli altri. E così nel florilegio di nomi di queste ore, si infoltisce la pattuglia dei "vip" documentati dalla lista. Della "Hsbc" di Ginevra è stata cliente la nobildonna Maria Cristina Saint Just di Teulada, classe 1937, e come lei Eduard Egon Furstenberg, figlio di Clara Agnelli (la sorella di Umberto e Gianni), stilista di alta moda, scomparso per malattia nel giugno del 2004. Ma un conto lo hanno avuto anche il conte Giovanni Auletta

Armenise, barese di nascita, romano di residenza, classe 1931, Cavaliere del lavoro dal 1988, soprattutto patron della Banca Nazionale dell'Agricoltura (di cui è stato presidente fino al 1995) e Claudio Cavazza, 76 anni, Cavaliere del Lavoro come Armenise e presidente della Sigma-Tau, la seconda industria farmaceutica del Paese.

Non è tutto. Raccontavamo ieri di Cesare Pambianchi, presidente della Confcommercio di Roma ("Il conto risale agli inizi dell'anno 2000 - è stata la sua replica - quando, allo scopo di costruire un centro benessere di primo livello adiacente al "Grand hotel du Golf", nella nota località elvetica di Crans Montana, fu costituita una società di diritto svizzero, la "S&B International sa", controllata da una società italiana e governata da un Cda nel quale ricoprivo la carica di presidente"). Ma, ora, nella lista Falciani appare un secondo nome di peso della realtà produttiva della capitale. Il vicepresidente dell'Unione Industriali di Roma con delega all'expo di Milano 2015, Eduardo Montefusco, napoletano di nascita, 57 anni, editore e presidente di "Radio Dimensione suono spa", direttore della testata giornalistica "Rds news", vicepresidente dell'Associazione per la radiofonia Digitale in Italia ("Repubblica" ha provato a rintracciarlo nella giornata di ieri, senza avere risposta).

Va da sé che non poteva mancare qualche "sportivo". E il nome è quello del tennista romano Claudio Panatta, 50 anni, 8 volte in coppa Davis, fratello del più noto Adriano. E questo mentre dalla lista emergono nuovi dettagli sulle "posizioni" di alcuni dei correntisti di Hsbc di cui "Repubblica" ha dato conto ieri. Se infatti il professor Francesco Lefebvre D'Ovidio "nega di aver mai intrattenuto rapporti con Hsbc" e se la "Hausmann&co srl", la "Hausmann condotti srl" e la "Hausmann Trident srl" "smentiscono categoricamente di aver mai avuto rapporti finanziari con Hsbc e che il signor Pietro Hausmann sia legato in qualsiasi modo, diretto o indiretto con le attività di orologeria e gioielleria svolte a Roma", salta fuori che, nella filiale ginevrina della banca, oltre al conto intestato allo scomparso regista Sergio Leone, ne risulta un secondo di cui è titolare il figlio Andrea. Entrambi per un importo nominale di 3 milioni di euro ciascuno. Mentre la disponibilità del conto di Stefania Sandrelli sarebbe stata di circa 400 mila euro.

Naturalmente, il lavoro della Guardia di Finanza sulla "lista" (e di conseguenza quello delle 120 Procure che hanno aperto procedimenti per evasione fiscale nei confronti dei 5 mila correntisti) è tutt'altro che prossimo a una conclusione. Non fosse altro perché è appena cominciata l'analisi delle posizioni di tutti quei correntisti i cui saldi contabili al 31 dicembre del 2006 (data in cui il database è stato trafugato da Falciani) ammontavano a "0" e dunque per i quali la legge non prevede la "presunzione di evasione". Si tratta, verosimilmente, di conti "svuotati" nel tempo e di cui ora si cercheranno di ricostruire i flussi.

(13 gennaio 2011)

 

 

 

 

2011-01-12

IL CASO

Legittimo impedimento verso bocciatura

La Consulta ammette referendum Idv

ROMA - La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum promosso dall'Idv per l'abolizione totale della legge sul legittimo impedimento, che metterebbe al riparo il premier Berlusconi dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade). Tecnicamente, l'effettivo svolgimento della consultazione dipenderà in ogni caso dal verdetto di domani della stessa Corte sulla legittimità dello 'scudo' previsto dalla legge per le più alte cariche dello Stato. Se la Consulta dovesse bocciare la legge sul legittimo impedimento per vizio di costituzionalità, non ci sarebbe ragione di tenere la consultazione popolare. Referendum che invece ci sarebbe senz'altro in caso di sentenza interpretativa di rigetto oppure di un verdetto di inamissibilità o infondatezza dei ricorsi. Il voto sarebbe in forse se la Consulta bocciasse lo 'scudo' solo in parte: in questo caso spetterebbe all'Ufficio centrale della Cassazione valutare se sussista ancora l'interesse alla consultazione referendaria. Andando oltre i puri aspetti tecnici, l'ammissibilità del referendum presentato da Idv sembra confermare un orientamento della Consulta indirizzato alla bocciatura della legge 1 sul legittimo impedimento.

(12 gennaio 2011)

 

 

 

 

BERLINO

Vertice italo-tedesco, Berlusconi attacca i giudici

"In tv spiegherò che sono patologia italiana"

In una conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco Angela Merkel, il premier parla anche del legittimo impedimento: "Nessun pericolo per il governo da decisione della Consulta". E sul governo: "In Italia impossibile una grande coalizione"

Vertice italo-tedesco, Berlusconi attacca i giudici "In tv spiegherò che sono patologia italiana"

BERLINO - L'economia e la situazione nella Ue. Ma anche la politica italiana e un nuovo attacco ai giudici. Silvio Berlusconi, al termine del vertice italo -tedesco a Berlino, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il cancelliere Angela Merkel, parla dei giudici come " patologia". E sulla possibilità di un dialogo con l'opposizione esclude che "in Italia ci sia la possibilità di una grande coalizione".

Berlusconi: "In Italia nessuna grande coalizione". "Non credo che in Italia ci sia la possibilità di una grande coalizione". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi rispondendo alla domanda su una possibile grande coalizione in Italia per affrontare la crisi economica internazionale. "Purtroppo non possiamo contare su una opposizione socialdemocratica - ha sottolineato Berlusconi -. È un'opposizione divisa, senza idee, senza progetti, senza leader. Non vediamo dentro questa coalizione nessuna persona che possa essere presa sul serio e con cui sia possibile parlare in modo serio".

Legittimo impedimento, il premier: "Nessun pericolo per stabilità di governo". ''Non c'è nessun pericolo per la stabilità di Governo qualunque sia l'esito della decisione della Corte Costituzionale'', ha assicurato il presidente del Consiglio alla vigilia della sentenza della Consulta sul legittimo impedimento. Berlusconi ricorda, riferendosi alla norma all'esame della Corte, che ''io non l'ho mai richiesta; è

un'iniziativa portata avanti dai gruppi parlamentari".

Giudici patologia della democrazia italiana. "Spiegherò agli italiani - ha aggiunto il presidente del Consiglio - di cosa si tratta, della patologia di un organismo giudiziario che, come ho detto anche alla cancelliera Merkel, si è trasformato in potere giudiziario esorbitando dal suo alveo costituzionale". ''Sono totalmente indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno dei processi, che considero ridicoli, su fatti per i quali ho avuto modo di garantire che sono inesistenti, giurando sui miei figli e sui miei nipoti'', ha continuato Silvio Berlusconi. Il premier ha ribadito di aver più volte ''giurato sui suoi figli'' di essere totalmente innocente ed estraneo ai fatti penali che gli vengono imputati.

Il 'caso' Fiat. "Noi riteniamo assolutamente positivo lo sviluppo che sta avendo la vicenda, con la possibilità di un accordo tra le forze sindacali e l'azienda nella direzione di una maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro, una direzione molto positiva. Ove questo non dovesse accadere ovviamente le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi. Ci auguriamo che la vicenda possa avere un esito positivo", ha detto, in merito al 'caso' Fiat il presidente del Consiglio.

Grande coordinamento politico. Italia e Germania sono convinte che la stabilizzazione della zona Euro occorre un "grande coordinamento politico". Un coordinamento che "va rafforzato e portato avanti", ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel al termine del vertice.

Merkel: "Nostro compito è aiutare Paesi in difficoltà". "Il nostro compito è aiutare i Paesi che si trovano in una situazione di emergenza" economica e finanziaria, ha affermato il cancelliere tedesco. "Dobbiamo aspettare e vedere come la situazione evolve", ha affermato la Merkel sottolineando che "la vendita dei titoli di stato del Portogallo è andata bene". "Ci deve essere sempre un bilanciamento delle energie: ci deve essere solidarietà e controllo della stabilità e della crescita in europa. Credo che passo dopo passo usciremo da questo deficit europeo, possiamo farcela", ha aggiunto.

(12 gennaio 2011)

 

 

 

 

POLITICA E GIUSTIZIA

Consulta, aumentano i dubbi dei giudici

Legittimo impedimento verso lo stop

Cassese indica i nodi sui poteri dei pm. Diventano 8 i membri della Corte pronti a bocciare la legge, 5 favorevoli, 2 gli incerti

di LIANA MILELLA

Consulta, aumentano i dubbi dei giudici Legittimo impedimento verso lo stop Il presidente della Consulta

Ugo De Siervo

ROMA - Due interrogativi di Sabino Cassese sul legittimo impedimento. E s'intorbida la giornata degli avvocati di Berlusconi. E cambia in peggio, per il Cavaliere, il toto voto alla Corte 1. Ora sarebbero otto i giudici pronti a bocciare totalmente o in parti sostanziali la legge che doveva garantirgli la tregua giudiziaria. Ancora cinque vogliono tenerla in piedi. Due sono incerti. Ma ieri, appena aperta l'udienza pubblica, grande ressa di giornalisti da tutto il mondo, i sei minuti del professor Sabino Cassese, il docente di diritto amministrativo relatore sui ricorsi dei giudici di Milano contro la legge ponte, ha costretto tutti, i 14 colleghi, Niccolò Ghedini e Piero Longo (i legali di Berlusconi), Michele Dipace e Maurizio Borgo (avvocati dello Stato), a riflettere sulle anomalie della norma.

LEGGI Il documento: la legge sul legittimo impedimento 2

Premette Cassese che, domani, su due questioni dovranno pronunciarsi gli alti giudici: "l'ambito" della legge e i poteri di controllo del giudice. Agli avvocati, chiede in sequenza: "I fatti e gli eventi individuati come ipotesi di legittimo impedimento sono indicati in modo specifico o generico?". Ancora: "Residuano poteri di controllo del giudice? E questi poteri possono svolgersi sulla sussistenza

del fatto-evento oppure anche sulla concomitanza?". Sono i dubbi che, sin dall'approvazione, giuristi e costituzionalisti hanno sollevato. Sono quelli che hanno spinto i giudici di Milano dei tre processi di Berlusconi a ricorrere alla Corte contestando il "privilegio", la "prerogativa", la sostanziale immunità riconosciuta al premier con una legge ordinaria.

Tutti gli impegni di un presidente del consiglio costituiscono legittimo impedimento? Pure "le attività preparatorie e consequenziali e quelle co-essenziali"? Un singolare neologismo quest'ultimo, partorito con la legge. E il giudice, ricevuto il certificato di palazzo Chigi, "rinvia" sic et simpliciter? Ore dopo l'intervento di Cassese irrompe nel dibattito la Pd Donatella Ferranti che, di fronte a Berlusconi che diserta la seduta del consiglio dei ministri per incontrare Storace, dichiara: "Comunque vada alla Corte, d'ora in poi gli sarà difficile usare le sedute del consiglio come assoluto, legittimo e permanente impedimento a comparire nei processi". Aggiunge l'ex segretaria del Csm: "Finalmente un elemento di chiarezza, nessuno nelle istituzioni è insostituibile, e non tutti i Cdm costituiscono, a priori, un legittimo impedimento". Massimo D'Alema rincara: "Si tolga di mezzo questa legge-abuso".

Posto il quesito di Cassese, agli avvocati resta una strada in salita. Ghedini e Longo, camice azzurre con gemelli d'oro, ci provano, ma non convincono. Quando parla Longo un giudice s'addormenta più volte. Ghedini subito ringrazia per il rinvio di dicembre, quando lui, deputato, e Longo, senatore, erano alle prese col voto di fiducia. Un mese guadagnato. Con l'intercalare veneto, quel "vedano" ripetuto sei, sette volte, difende la legge: "Essa non abroga né sostituisce il 420 ter del codice di procedura penale (il legittimo impedimento ordinario, ndr.), ma lo tipizza". Garantisce "la leale collaborazione offerta nei processi". Per sé dichiara: "Sono un fermo sostenitore dell'obbligatorietà dell'azione penale". Ma non fa sconti sui tempi della giustizia, considerati i quali "il rinvio di un mese o di tre o quattro è del tutto fisiologico". La "speditezza" non è certo un criterio prioritario. Tanto più che "la prescrizione è ferma". Quanto ai giudici essi "potevano interpretare la legge, anziché venire alla Corte" perché la legge non vieta loro di "sindacare" gli impegni. Longo rincara: "Il giudice può chiedere qualsiasi delucidazione, il suo potere di accertamento è intatto, nulla gli è precluso". Però egli "non può entrare nel merito degli impegni nel rispetto della divisione dei poteri". Serviva una legge costituzionale? No, replica Longo, "il bilanciamento dei valori" s'è sempre fatto con norme ordinarie. L'avvocato Dipace sostiene entrambi: "intatto" il potere del giudice, "nessuna sospensione ma solo un rinvio", ma certo "il giudice non può sindacare se proprio quel giorno c'è un Cdm". Perché "notoriamente" premier e ministri "hanno una posizione diversa dagli altri cittadini". Su questo, domani, si pronuncerà la Corte. Che oggi si dedica solo ai referendum.

(12 gennaio 2011)

 

 

 

GIUSTIZIA

Legittimo impedimento, udienza finita

giovedì la decisione della Consulta

La Corte Costituzionale deve pronunciarsi sulla legge grazie alla quale il premier Silvio Berlusconi è al riparo dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade) almeno fino al prossimo ottobre. Ghedini: "Il giudice può sempre valutare"

Legittimo impedimento, udienza finita giovedì la decisione della Consulta I giudici della Consulta

ROMA - I giudici della Consulta si riuniranno in camera di consiglio per decidere sulla norma del legittimo impedimento 1 (la legge grazie alla quale il premier Silvio Berlusconi è al riparo dalla ripresa dei tre processi a suo carico - Mills, Mediaset e Mediatrade - almeno fino al prossimo ottobre) alle ore 9,30 di giovedì prossimo.

Presente anche il giudice costituzionale Maria Rita Saulle, la cui partecipazione era stata data in forse nei giorni scorsi per problemi di salute, arrivata in udienza in sedia a rotelle. Le ultime anticipazioni 2 davano per prevalente la totale o parziale pronuncia di incostituzionalità, con sette giudici schierati contro la norma che, dall'aprile del 2010, ha congelato i tre processi di Berlusconi. All'opposto una pattuglia di cinque alte toghe pronte a promuoverla. E infine tre incerti, ancora oscillanti tra il primo e il secondo fronte.

Stamattina il giudice relatore, Sabino Cassese, ha cominciato a riassumere i motivi dei tre ricorsi dei giudici di Milano che sullo 'scudo' lamentano la violazione dell'art.138 della Costituzione (necessità di una legge costituzionale) e 3 (irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione).

A seguire è intervenuta la difesa. "La legge sul legittimo impedimento non prevede

nessun automatismo, in quanto viene concesso alle funzioni di governo ma il giudice resta libero di accertare se le attività di governo siano davvero previste e debbano realmente aver luogo"s ottolineano gli avvocati del premier Piero Longo e Nicolò Ghedini.

Domani la Corte deciderà sull'ammissibilità di sei referendum: quattro contro la 'privatizzazione' dell'acqua, uno dell'Idv per il 'no' al nucleare e l'ultimo, sempre del partito di Antonio Di Pietro, per la cancellazione totale del 'legittimo impedimento'. Il via libera a quest'ultimo quesito viene dato per scontato in ambienti di Palazzo della Consulta. Se però la consultazione popolare si terrà o meno dipenderà anche dalla decisione che i giudici dell'Alta Corte prenderanno sulla legittimità dello 'scudo'.

(11 gennaio 2011)

 

 

 

IL DOCUMENTO

Legittimo impedimento, il testo della legge

LEGGE 7 aprile 2010, n. 51

Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza. (10G0076) (GU n. 81 del 8-4-2010)

 

Art. 1

1. Per il Presidente del Consiglio dei Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato, il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo.

2. Per i Ministri l'esercizio delle attività previste dalle leggi e dai regolamenti che ne

disciplinano le attribuzioni, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo, costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali quali imputati.

3. Il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza.

4. Ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi.

5. Il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio, secondo quanto previsto dell'articolo 159, primo comma, numero 3), del codice penale, e si applica il terzo comma del medesimo articolo 159 del codice penale.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 2

1. Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonché della disciplina attuativa delle modalità di partecipazione degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dall'articolo 96 della Costituzione, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

(11 gennaio 2011)

2011-01-05

MAGISTRATI

Giudici di pace in sciopero

due settimane di stop

L'Unione nazionale della categoria si ferma dal 17 al 28 gennaio per contestare il comportamento del ministro Alfano: "La controriforma è quasi identica alla riforma, già ritirata dopo gli scioperi del 2009 e 2010"

ROMA - L'Unione nazionale dei giudici di pace (Unagipa) ha proclamato uno sciopero di due settimane, dal 17 al 28 gennaio prossimo. La protesta è rivolta contro "il famigerato progetto di controriforma della magistratura onoraria", che il governo si accingerebbe a "presentare nei prossimi giorni", ma punta anche a sollecitare una "ragionevole proroga" per tutti i giudici di pace in scadenza.

L'Unagipa motiva lo sciopero con il comportamento del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che, secondo i giudici di pace, "ha proposto al Consiglio dei ministri un disegno di legge sulla riforma della magistratura onoraria quasi identico a quello già elaborato dal ministero della Giustizia nel dicembre del 2009, poi ritirato dopo gli scioperi indetti dall'Unione a dicembre 2009 e gennaio 2010. Questo nonostante gli incontri e le assicurazioni avuti dal ministro Alfano durante l'anno".

Secondo i giudici di pace il progetto che ora il governo si accingerebbe a rispolverare "peggiora" la loro condizione perché "non assicura la continuità del rapporto e non prevede nessuna forma di copertura previdenziale e assistenziale". E inoltre "mina l'autonomia della categoria, sottoposta alla direzione del giudice di appello, previa soppressione dei coordinatori", e preannuncerebbe "una sensibile riduzione delle indennità".

Infine i giudici di pace contestano il decreto legge con cui il governo ha limitato "la proroga dei

termini in scadenza al 31 marzo 2011, escludendo i colleghi il cui terzo mandato scade durante l'anno 2011".

(05 gennaio 2011)

 

 

Ricorso al Giudice di Pace, ecco come si fa

Tutto quello che c'è da sapere su questa istituzione: le competenze, le istruzioni per fare ricorso, le spese da pagare a cura di Monica Rubino

 

Il Giudice di Pace è l'organo giurisdizionale preposto a dirimere le controversie civili di piccola entità. Ha specifiche competenze soprattutto in materia civile e amministrativa, in misura minore anche penale. La competenza civile è ampia, praticamente analoga a quella del Tribunale e regolata per valore. Quella amministrativa riguarda sanzioni e multe (comminate ai sensi della legge 689/81 e del codice della strada), quindi verbali, ordinanze/ingiunzioni e, in alcuni casi, cartelle esattoriali.

COMPETENZA IN MATERIA CIVILE

Per quanto riguarda la materia civile, è recentemente intervenuta la legge 69/2009 che ha alzato i tetti di competenza.

Dal 4/7/2009, infatti, si può andare dal giudice di pace per cause di valore fino a 5.000 euro (in precedenza 2.582,28), innalzati a 20.000 (in precedenza 15.493,71) se la controversia riguarda rimborsi danni da circolazione veicoli.

Tali limiti non sussistono in caso di conciliazione (vedi più avanti).

Il giudice di pace, poi, ha competenza esclusiva (senza limiti di valore) su:

- cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;

- cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case;

- cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.

- cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali.

CONTENZIOSO O CONCILIAZIONE?

Davanti al giudice di pace si possono attivare due tipi di procedure.

Nel contenzioso si apre una vera e propria causa a cui le parti devono presentarsi obbligatoriamente. Alla prima udienza il giudice interroga le parti e tenta una conciliazione, ovvero cerca di far giungere le stesse ad un "accordo". Se questo non viene raggiunto le parti devono precisare i fatti, le difese, le eccezioni, con presentazione delle eventuali documentazioni e prove. In casi particolari, a decisione del giudice, può essere fissata una seconda udienza. Quando il giudice decide che il procedimento è giunto al termine, invita le parti a precisare le conclusioni. Alla fine il giudice decide ed emette sentenza.

Se il valore della controversia non supera i 516,46 euro e si pensa di avere le necessarie competenze tecniche per gestire la causa si può procedere senza avvocato; se si supera tale importo sarà il giudice a valutare caso per caso se autorizzare la parte a stare in giudizio da sola.

In conciliazione, invece, il giudice ha un ruolo di paciere. L'unico rischio della conciliazione è che si perda tempo. Infatti, la controparte non è obbligata a presentarsi e un accordo potrebbe non essere trovato. In questi casi si ha un nulla di fatto e al soggetto che ha provveduto ad attivare la procedura (attore) non gli resta che ricorrere in contenzioso. Nel caso l'accordo venisse trovato viene redatto e sottoscritto un verbale di conciliazione. Nella conciliazione i rischi sono limitati (non possono essere addebitate le spese legali della controparte, salvo che ciò non rientri nell'accordo) e non è necessario essere assistiti da un legale. La conciliazione non è obbligatoria ma consigliata, soprattutto per questioni "semplici" di lieve entità.

Alla conciliazione che si conclude senza successo può ovviamente esser fatta seguire la causa.

Iin alternativa, è possibile tentare la conciliazioneanche davanti alle camere di commercio, le cui commissioni sono competenti in tutte le materie inerenti il commercio. In caso di controversie inerenti contratti di telefonia o di servizi di telecomunicazione, la conciliazione è obbligatoria e deve essere fatta presso i CORECOM regionali, organi dell'Autorità garante delle telecomunicazioni.

COME AGIRE

In ambedue i casi -contenzioso e conciliazione- va presentata un'istanza all'ufficio del giudice di pace competente per il territorio, utilizzando i moduli che fornisce la cancelleria dell'ufficio.

Di solito, quando ad agire è un consumatore, è competente il giudice della zona di residenza dello stesso. In casiparticolari, come tipicamente i ricorsi avverso le multe, è competente il giudice del luogo ove è avvenuta l'infrazione.

Indirizzi e recapiti possono essere trovati sull'elenco telefonico alla voce "uffici giudiziari" o sul sito internet del Ministero della Giustizia.

A parte particolari eccezioni (sempre i ricorsi avverso le sanzioni amministrative, multe, etc.) il ricorso va presentato di persona recandosi presso l'ufficio. Se non si risiede nel Comune ove ha sede l'ufficio si deve eleggere un domicilio "temporaneo" presso un legale o un conoscente di fiducia oppure direttamente presso la cancelleria del giudice, avendo poi cura di verificare le varie comunicazioni che vi giungeranno (come la fissazione dell'udienza, etc.). E' bene informarsi sulle procedure in uso presso la cancelleria dello specifico giudice di pace. L'operatività, infatti, può cambiare da ufficio a ufficio.

COMPETENZA IN MATERIA AMMINISTRATIVA (sanzioni, multe)

Ci si può opporre davanti al giudice di pace anche per fare opposizione alle sanzioni amministrative entro il limite di 15.493,71 euro. Per sanzioni di importo maggiore ci si deve rivolgere al tribunale. Le sanzioni amministrative sono le pene pecuniarie, le cosiddette "multe", che siamo tenuti a pagare quando, per esempio, abbiamo violato il codice della strada o un regolamento comunale (eccesso di velocità, sosta vietata, apertura di un negozio in un locale troppo piccolo). Se si ritiene che il vigile urbano o la polizia stradale abbiano sbagliato, ci si può rivolgere al Giudice di Pace per chiedere che annulli la sanzione.

A seconda del caso ci si può quindi opporre ad un verbale, ad un'ordinanza/ingiunzione o ad una cartella esattoriale.

Bisogna, invece, rivolgersi sempre al Tribunale nel caso che la sanzione riguardi le infrazioni in materia di urbanistica ed edilizia e di tutela del lavoro, di previdenza, di tutela dell'ambiente, di igiene degli alimenti e bevande, di società ed intermediari finanziari, di antiriciclaggio, tributaria e valutaria.

Facendo ricorso contro una sanzione amministrativa si può, in deroga alla regola generale, presentare l'istanza tramite raccomandata a/r. In questi casi, proprio perchè è facile doversi rivolgere ad un ufficio fuori dal nostro Comune, è necessario domiciliarsi nel distretto del Giudice, presso un legale, un conoscente di fiducia o direttamente in cancelleria.

Contro la sentenza avversa del giudice di pace è possibile, dal 2/3/2006 (per effetto dell'entrata in vigore del d.lgs. 40/06) fare appello in Tribunale. La Corte di Cassazione rimane competente nei casi di voglia agire contro le sentenze che hanno decretato l'inammissibilità del ricorso.

QUANTO COSTA

- Per ricorsi contro le sanzioni per infrazione al codice della strada: nulla.

- Processi (compresi attività conciliative in sede non contenziosa) fino a 1.033 euro: 30 euro.

- Processi (compresi attività conciliative in sede non contenziosa) tra 1.033 e 1.100 euro: 30 euro + 8 euro in marche.

- Processi tra 1.100 e 5.200 euro: 70 euro + 8 euro in marche.

- Processi tra 5.200 e 26.000 euro e per i quelli di valore indeterminabile di competenza esclusiva del Giudice di Pace: 170 euro + 8 euro in marche.

- Processi in materia di locazione, comodato, occupazione senza titolo e di impugnazione di delibere condominiali: 103,30 euro + 8 euro in marche.

Tali cifre costituiscono, rispettivamente, il contributo unificato e l'anticipazione forfettaria dei diritti, indennità di trasferta e spese di spedizione per la notificazione degli atti (art.13 e 30 del DPR 115/02). Ovviamente restano a parte gli oneri eventualmente dovuti al legale coinvolto.

 

 

BRINDISI

Incendio alla villa del giudice Forleo

qli inquirenti: è stato un attentato

Il rogo la scorsa notte intorno all'una, continuano gli accertamenti. Fiamme anche nell'azienda agricola di Manduria degli imprenditori cui aveva affittato la masseria. Gli investigatori: attentato. Il bersaglio sarebbero i due

di SONIA GIOIA

Incendio alla villa del giudice Forleo qli inquirenti: è stato un attentato Un vigile del fuoco davanti alla masseria incendiata

Un attentato, probabilmente legato al racket delle estorsioni. Nessun dubbio per gli investigatori sulla natura dolosa dell’incendio che, intorno all'una della notte scorsa, ha semidistrutto la masseria in contrada Visciglie di proprietà del giudice brindisino Clementina Forleo, che si trova lungo la provinciale Francavilla Fontana-Sava, nel Brindisino. Secondo le prime ipotesi dei carabinieri al comando del capitano Fabio Guglielmone, vero obiettivo degli attentatori sarebbero i due mezzadri a cui la masseria era stata affidata in gestione da ormai due anni. Nelle stesse ore infatti, è stata data alle fiamme un’altra azienda agricola nell’agro di Manduria, in provincia di Taranto, affidata agli stessi gestori. Si tratta di Angelo Antonio Martella e Giuseppe Furio, entrambi ex dipendenti della masseria in contrada Visciglie, già da quando erano in vita i genitori del giudice, Gaspare Forleo e Stella Bungaro, morti in un incidente stradale sulla stessa provinciale il 25 agosto 2005.

GUARDA LE IMMAGINI

Sul posto sono intervenuti quattro mezzi dei vigili del fuoco, tre del distaccamento di Francavilla Fontana, uno del comando provinciale di Brindisi. I vigili del fuoco sono ancora al lavoro a Manduria per spegnere le fiamme che si sono sviluppate nell'azienda agricola dei due imprenditori, sul quale indaga la polizia di Taranto.

Salita agli onori delle cronache per aver assolto due tunisini dall'accusa di terrorismo internazionale operando una distinzione tra "guerriglieri" e "terroristi", la Forleo si è poi occupata del caso Antonveneta dando luogo a fragorose polemiche sull'uso di intercettazioni che coinvolgevano parlamentari. Il giudice attualmente è gip a Cremona, dopo il lungo periodo di lavoro a Milano da dove è stata trasferita dopo essersi occupata del caso Unipol-Bnl.

La Forleo ha più volte denunciato attentati alla vita propria e dei familiari. Anche nel 2005, poco prima dell’incidente in cui persero la vita entrambi i genitori, un rogo di vaste proporzioni aveva distrutto tonnellate di balle di fieno. Nello stesso anno gli anziani coniugi, Gaspare Forleo era stato sindaco della città, la madre era maestra elementare, avevano denunciato telefonate anonime al telefono fisso della masseria, in piena notte, di cui non sono mai stati individuati gli autori. Clementina Forleo, all’epoca gip del tribunale di Milano, denunciò ritardi nell’acquisizione dei tabulati telefonici e nelle indagini. Ad agosto il terribile incidente mortale.

L’auto sulla quale viaggiavano i genitori del gip, una Rover Land Cruiser, era guidata da Giuseppe Franzoso, marito del giudice. L’auto si schiantò, all’uscita dalla vicinale in contrada Visciglie, contro la Toyota Land Cruise guidata dal medico Saverio De Bellis, in viaggio sulla provinciale Francavilla-Sava. Franzoso, rinviato a giudizio per omicidio colposo, fu assolto dal tribunale di Brindisi. La stessa ipotesi accusatoria grava invece su De Bellis e l’allora ingegnere comunale di Francavilla Fontana, coinvolto nella vicenda per mancanza della segnaletica stradale che avrebbe dovuto intimare lo stop, scongiurando la tragedia.

Il giudice Forleo, che trascorre nella masseria di famiglia le vacanze estive, si trova in questi giorni a Francavilla Fontana insieme alla famiglia, la figlia nata in autunno e il marito. Clementina Forleo è stata immediatamente avvisata dell’accaduto dai carabinieri del comando provinciale di Brindisi. "Si è trattato di un incendio sicuramente doloso – ha dichiarato Francesco Cionfoli, responsabile dei vigili del fuoco di Francavilla – perché i focolai sono due in due differenti depositi. Stenderemo una relazione che depositeremo al magistrato di turno".

La città di Francavilla è stata teatro, negli ultimi tre mesi, di tre omicidi, frutto di una guerra di mala per la contesa del territorio e degli affari legati al racket delle estorsioni e al traffico degli stupefacenti. Guerra fra bande rivali legate a clan probabilmente legati alla Sacra corona unita. Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, che ha presieduto due vertici convocati nella stazione dei carabinieri della città, ha detto il 28 dicembre scorso: "Francavilla Fontana città a rischio, come Caserta e Palermo. L’emergenza criminale è tale che terremo qui un vertice al mese, fino a quando l’emergenza non sarà rientrata".

(05 gennaio 2011)

 

 

2010-12-22

GIUSTIZIA

"Processi italiani troppo lenti"

Maxicondanna alla Corte europea

Per i giudici di Strasburgo il problema è "diffuso". A Strasburgo ci sono oltre 3.900 ricorsi in attesa giudizio presentati per il ritardato pagamento degli indennizzi. Il loro numero è salito dai 613 del 2007 a circa 1.340 ricevuti tra il primo giugno e il 7 dicembre 2010

"Processi italiani troppo lenti" Maxicondanna alla Corte europea Il ministro della Giustizia Angelino Alfano

STRASBURGO - La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha oggi emesso una maxi condanna nei confronti dell'Italia per i ritardi con cui vengono pagati gli indennizzi legati alla lentezza dei processi. I giudici di Strasburgo hanno infatti reso noto di aver adottato 475 sentenze che danno ragione ad altrettanti ricorsi presentati da soggetti che hanno dovuto attendere dai 9 mesi ai quattro anni per incassare il risarcimento che gli era stato riconosciuto, in base alla legge Pinto, per l'eccessiva lunghezza del processo. "In Italia il problema è diffuso" si legge nella nota.

La Corte ha quindi chiesto al nostro Paese di rivedere la legge Pinto e, in particolare, di istituire un fondo speciale che consenta il pagamento degli indennizzi in tempi ragionevoli. La Corte rileva inoltre che al momento pendono in attesa di giudizio a Strasburgo oltre 3.900 ricorsi presentati per il ritardato pagamento degli indennizzi e che il loro numero è salito dai 613 del 2007 a circa 1.340 ricevuti tra il primo giugno e il 7 dicembre 2010.

Nel comunicato inoltre si legge che la Corte "pur non appoggiando tutte le riforme attualmente all'esame della Camera, considera che questo sia l'ambito ideale per prendere in considerazione le indicazioni della Corte stessa e le raccomandazioni sinora fatte dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa". La Corte ha accordato a ciascun ricorrente 200 euro per danni non pecuniari.

(21 dicembre 2010)

 

 

2010-12-10

IL CASO

Legittimo impedimento, slitta l'udienza

"Serve clima tranquillo per giudicare"

In origine la Corte Costituzionale l'aveva fissata il 14 dicembre, ma la concomitanza con la fiducia l'ha fatta spostare a gennaio

Legittimo impedimento, slitta l'udienza "Serve clima tranquillo per giudicare"

ROMA - La Corte Costituzionale rinvierà l'udienza (e quindi non solo la decisione) sul 'legittimo impedimento' il prossimo gennaio, in origine fissata il 14 dicembre, per "giudicare in un clima più tranquillo" vista la concomitanza con il voto di fiducia al governo in Parlamento. "Il clima è troppo surriscaldato, vogliamo evitare letture politicizzate della sentenza" dice il neopresidente della Consulta, Ugo De Siervo 1, in conferenza stampa.

Slitta, probabilmente l'11 o il 25 gennaio, il verdetto dei giudici sulla legittimità della legge grazie alla quale i tre processi a carico di Berlusconi (Mills, Mediaset e Mediatrade) sono rinviati almeno fino a ottobre 2011. Una decisione che farà felici i legali del premier che, quattro giorni fa, avevano chiesto di rinviare l'udienza vista la concomitanza con il voto di fiducia al governo.

A rispondere il giorno stesso, era stato l'ex presidente della Consulta, Francesco Amirante, che aveva fatto sapere ai legali che la Corte si sarebbe riservata di valutare e che a decidere sarebbe stato il collegio dei 15 giudici (e dunque non il solo presidente).

La scelta della Consulta ha importanti ricadute sul piano politico. Slittando l'udienza Berlusconi evita di trovarsi in una situazione tutt'altro che agevole. Da una parte avrebbe potuto ottenere la fiducia ma non il legittimo impedimento. Dall'altra non ottenere la 'fiducia'

ma salvarsi con il 'legittimo impedimento'. Adesso, con lo slittamento, la matassa diventa meno ingarbugliata.

(10 dicembre 2010)

 

 

GIUSTIZIA

Consulta, De Siervo presidente

per un voto ha battuto Quaranta

Alla Corte è arrivato nel 2002 eletto dal Parlamento su indicazione del centrosinistra. Il primo importante appuntamento sarà l'udienza della prossima settimana sul "legittimo impedimento". "Offensivo dire che siamo di parte"

Consulta, De Siervo presidente per un voto ha battuto Quaranta

ROMA - Un solo voto di scarto, al ballottaggio. È bastato a Ugo De Siervo per diventare nuovo presidente della Corte Costituzionale e battere l'altro candidato Alfonso Quaranta. De Siervo succede a Francesco Amirante, il cui mandato novennale è scaduto lo scorso 6 dicembre. Ad eleggerlo sono stati, a scrutinio segreto, i 15 giudici della Consulta. Resterà in carica fino al 29 aprile del prossimo anno. Alla Corte è arrivato nel 2002 eletto dal Parlamento su indicazione del centrosinistra. Nella corsa alla presidenza è stata dunque rispettata l'anzianità di carica e De Siervo - già vicepresidente con Amirante - ha avuto la meglio sull'altro candidato, il giudice costituzionale Quaranta per un solo voto: nello scrutinio del ballottaggio, De Siervo ha avuto otto voti contro i sette di Quaranta. Tra le numerose sentenze scritte come giudice costituzionale, quelle sul conflitto tra Stato e Regioni sul nucleare sono tra le più recenti. Il primo importante appuntamento per la Corte sarà l'udienza della prossima settimana sul "legittimo impedimento".

"La Consulta non ha orientamenti precostituiti". "Non accade, come da qualche parte si è voluto fare intendere, anche di recente, che la corte costituzionale abbia orientamenti precostituiti. E' sbagliato dire che la corte abbia orientamenti", ha detto De Siervo. "Dire che la corte abbia orientamenti precostituiti - ha aggiunto - è profondamente offensivo per ciascuno

di noi. Noi giuriamo fedeltà al presidente della repubblica e la prima fedeltà è quella di essere imparziali, senza vincoli di appartenenza".

Chi è. Sessantotto anni, sposato e con quattro figli, Ugo De Siervo è nato a Savona ma è fiorentino di adozione. Si è laureato nel 1965 con 110 e lode alla Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Firenze, dove nel 1969 diventa assistente ordinario di diritto costituzionale. Nel 1972 diventa professore incaricato nella Facoltà di giurisprudenza di Sassari e poi di Firenze, mentre nel 1976 vince il concorso a cattedra di diritto pubblico e va ad insegnare nelle Università di Salerno e Firenze. Attualmente è professore (in aspettativa) di diritto costituzionale presso la Facoltà di giurisprudenza di Firenze. Coordinatore del dottorato di ricerca in diritto pubblico presso l'ateneo fiorentino dal 1982 al 1993, è stato direttore di numerosi gruppi di ricerca in vari settori del diritto costituzionale e del diritto delle regioni e degli enti locali.

E' autore di molti scritti di storia costituzionale, sistema delle fonti, libertà e diritti costituzionali, sistema regionale, processo di costituzionalizzazione dell'Europa. De Siervo è stato componente dal 1970 al '74 del Comitato regionale di controllo (Coreco) della Toscana, dal 1986 al 1993 del Consiglio superiore della pubblica amministrazione, dal 1997 al 2001 del Garante per la protezione dei dati personali. Nel 1988 e' stato inserito nell'elenco entro cui eventualmente sorteggiare i giudici aggregati della Corte costituzionale nei casi di giudizi penali.

(10 dicembre 2010)

 

 

 

 

2010-11-28

GIUSTIZIA

Alfano: "Non vogliamo il pm sotto l'esecutivo"

L'Anm contro il ministro: "Non è riforma seria"

Intervento del ministro della Giustizia al Congresso dell'Associaziome magistrati. "Non faremo della polizia giudiziaria uno strumento nelle mani del governo". L'annuncio: "Uditori giudiziari nelle sedi disagiate scoperte". Scettico Palamara: "La soluzione dei problemi autentici dei cittadini non costituiscono una priorità per chi governa"

Alfano: "Non vogliamo il pm sotto l'esecutivo" L'Anm contro il ministro: "Non è riforma seria" Il ministro della Giustizia Angelino Alfano

ROMA - "Non vogliamo sottoporre il Pm al potere esecutivo, né intendiamo arrivare surrettiziamente a questo risultato intervenendo sulla polizia giudiziaria". Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano parlando al Congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati. "Il pm dispone della polizia giudiziaria - ha assicurato ancora il Guardasigilli - per la via diritta o traversa ripeto che non intendiamo violare il sacro recinto della giurisdizione, perché non siamo certi che chi verrà dopo di noi non abuserà di quella violazione. Siamo unicamente interessati a far sì che il sistema processo funzioni".

Alfano ha aggiunto che il governo non intende compiere questo passo "perché non abbiamo fiducia nei governi che ci hanno preceduto e che potrebbero succederci". "Ed è questa la stessa ragione - ha spiegato - per cui non intendiamo fare della polizia giudiziaria uno strumento nelle mani dell'esecutivo".

Scettico il presidente dell'Anm, Luca Palamara: l'intervento di Alfano, commenta, "non fa che confermare che il governo ha altre priorità rispetto alla soluzione dei veri problemi della giustizia, intesa come servizio per il cittadino". Della giustizia come "servizio" al cittadino, rincara la dose il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini, "la politica non si occupa: parla solo di separazione delle carriere, di doppio Csm, ma alla gente interessa che le cause giudiziarie vengano risolte in breve tempo. Da tempo abbiamo

preso atto che la linea del governo ha altre priorità rispetto ai veri problemi e oggi non abbiamo scoperto nulla di nuovo".

Il discorso del ministro. Riferendosi alle passate polemiche, Alfano ha detto: "Noi abbiamo percepito aggressioni alla sovranità del Parlamento, voi alla vostra indipendenza ed autonomia. Voi rivendicate aggressioni subite che hanno imposto repliche, noi documentiamo centinaia di dichiarazioni rilasciate durante i lavori legislativi".

Il ministro è riuscito anche a strappare qualche applauso durante il suo intervento, che è stato però spesso segnato da mormorii della platea. L'applauso, oltre che alla fine dell'intervento, è arrivato quando Alfano ha detto che proporrà al Parlamento di rendere stabile la deroga a mandare i magistrati di prima nomina nelle sedi disagiate.

"A questo punto bisogna ripristinare la possibilità che gli uditori giudiziari vadano nelle sedi disagiate", sono state le parole di Alfano. "O lascio scoperte queste sedi oppure devo lavorare perché la deroga al blocco per le giovani toghe ci sia: nessuno mi dirà - ha sottolineato - che le ho provate tutte. Non voglio passare per uno che si impunta, visto che tutto ciò che è stato fatto è stato inutile". I posti scoperti sono soprattutto al Sud.

L'intervento del ministro si è comunque svolto in un clima disteso e Alfano entrando ha anche fatto una battuta: rivolgendosi al presidente dell'Anm Luca Palamara e al segretario Giuseppe Cascini, che lo hanno accolto, ha detto: "Ecco i Pato e Ronaldinho della magistratura".

La similitudine presa dal mondo del calcio è stata utilizzata anche al termine del discorso. Incalzato da una giovane magistrato di Locri che lo invitava a restituire alla magistratura la dignità che merita, il Guardasigilli ha ribattuto: "Mi batterò per restituire alla magistratura il prestigio che merita ma anche per fare sì che magistratura e politica possano sentirsi parte di una grande squadra che si chiama Nazionale Italia".

Ma alla fine i problemi e le distanze rimangono: tra il ministro e i magistrati, ha ribadito Palamara, "c'è un'inevitabile diversità di vedute", ma le toghe danno comunque un "segnale di rispetto istituzionale, che fa parte del loro Dna".

(27 novembre 2010)

 

 

GIUSTIZIA

Anm: "Riforme colpiscono indipendenza"

Giustizia al collasso, peggio del Ruanda

Presente al 30mo Congresso dell'associazione dei magistrati Giorgio Napolitano, accolto da un applauso: "Indispensabile recuperare fiducia nella giustizia". Fini invia un messaggio: "Compito della politica è sostenere operato della magistratura". Palamara: "Basta ambiguità"

Anm: "Riforme colpiscono indipendenza" Giustizia al collasso, peggio del Ruanda

ROMA - "Le riforme vogliono colpire la nostra indipendenza". Con queste parole il segretario dell'Associazione nazionale magistrati Palamara ha inaugurato il congresso del "sindacato" dei magistrati. Palamara ha invitato i colleghi riconoscere gli errori, ma ha anche denunciato "la campagna di denigrazione di cui siamo bersaglio". In sala il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano accolto da un grande applauso: "Bene la disponibilità dell'Anm a confronto con la politica".

Il messaggio di Fini. Ai magistrati ha scritto il presidente della Camera Gianfranco Fini. "Compito delle istituzioni democratiche - ha detto il numero uno di Montecitorio - e di tutte le forze politiche del Paese, senza distinzione di parte, è quello di sostenere costantemente l'operato della magistratura, la cui azione riveste un ruolo centrale per la salvaguardia della legalità". "Oggi più che mai - scrive Fini - la collocazione centrale della magistratura, non solo di quella ordinaria, nell'attuale contesto istituzionale e sociale rende i magistrati più esposti ai giudizi e alle critiche". A ciò, secondo Fini, "i magistrati devono rispondere unicamente con il loro impegno, con la loro dedizione alle istituzioni repubblicane nella consapevolezza, come non a caso affermato di recente dal Capo dello Stato, di 'rendere un servizio fondamentale ai diritti e alla sicurezza dei cittadini', un servizio, e non è retorico ricordarlo, per il quale tanti

hanno sacrificato la loro vita".

Riforme mirate a limare indipendenza magistratura. ''Abbiamo assistito, a una serie di interventi episodici e contingenti dettati dall'esigenza di risolvere situazioni legate a singole vicende processuali e sempre mirati a limitare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura''. Il presidente Luca Palamara, nel suo intervento, mette sotto accusa la politica della giustizia del governo. Nel mirino c'énon solo l'annunciata riforma costituzionale, ma anche i ''non meno insidiosi progetti di legge ordinaria in materia di intercettazioni, processo breve e polizia giudiziaria svincolata dal pm".

Il coraggio di cambiare. Bisogna "voltare pagina - dice il leader dell'Anm - lasciando alle spalle ciò che in questi anni non ha funzionato nella macchina giudiziaria, nei rapporti tra politica e magistratura, ma anche al nostro interno, dando centralità ai temi dell'autoriforma, della questione morale e dell'organizzazione". Bisogna avere "il coraggio di cambiare interrogandoci su quello che non ha funzionato nell'esercizio del potere diffuso, nel sistema dell'autogoverno e dell'associazionismo giudiziario". "Dobbiamo riconoscere anche i nostri errori, ma non possiamo accettare che alcuni ci considerino, in maniera del tutto falsa e infamante, come una corporazione di fannulloni superpagati impegnata a proteggere gli interessi di una casta accusata delle peggiori nefandezze".

No a commistioni tra politica e magistratura. È "indispensabile" evitare "indebite commistioni" tra magistratura e politica. Per questo servono "regole rigorose", compresa quella che consente di evitare "la

possibilità di tornare a fare il magistrato dopo l'esperienza in politica". Luca Palamara lancia la proposta, richiamando l'articolo 8 del "nuovo codice etico", approvato dal 'parlamentino' dell'Anm lo scorso 13 novembre: "Fermo il regime delle ineleggibilità e delle incompatibilità stabilite dalle normative in materia, nel

territorio dove esercita la funzione giudiziaria il magistrato - è scritto - evita di accettare candidature e di assumere incarichi politico-amministrativi negli enti locali". Del resto, ricorda il leader dell'Anm, già lo scorso marzo il 'sindacato' dei magistrati aveva chiesto "un intervento legislativo" per adeguare "la legge elettorale per le amministrative a quella per il Parlamento nazionale introducendo un divieto per i magistrati di partecipare alle elezioni ovvero di assumere incarichi di governo nelle amministrazioni locali nei luoghi dove hanno precedentemente esercitato la funzione giudiziaria".

Politica decida se reintrodurre immunità. La scelta se rientrodurre l'immunità parlamentare spetta alla politica, dice il leader dell'Anm. "Si è discusso - ricorda - di immunità, lodo Alfano e legittimo impedimento: questioni che riguardano i rapporti tra politica e cittadini piuttosto che tra politica e magistratura. Prima tra

tutte, l'immunità (non solo parlamentare) e il suo ripristino. È la politica che deve scegliere se recuperare un istituto che, nel 1993, si era, invece, deciso di abrogare e modificare, forse perché la stessa politica si era pentita di aver negato l'autorizzazione a procedere nei confronti di alcuni deputati imputati in processi eccellenti. Noi, come magistrati, non possiamo fare altro che richiamarci al principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge".

Basta ambiguità. Basta con le "ambiguità' o con gli atteggiamenti gattopardeschi". Luca Palamara ritiene che non si possa prescindere dalla questione morale: "Vogliamo ribadire la centralità della questione morale - dice - a fronte delle gravissime vicende emerse negli ultimi mesi che coinvolgono le istituzioni del Paese". Al riguardo, annota ancora, "non possono esservi ambiguità o atteggiamenti gattopardeschi. Non possiamo tollerare distinguo o sofismi: o si sta da una parte o si sta dall'altra". E aggiunge: "Non ci sono più spazi di compromesso - dice - perché il nostro modello di magistrato non entra ed esce dal mondo della politica senza seguire percorsi trasparenti, non frequenta lobby e salotti dove garantisce ciò che non può garantire, non fa pressioni per diventare capo di un ufficio, non si ispira a una logica clientelare".

Da maggioranza di governo insulti alla magistratura. "Abbiamo assistito a un costume politico di alcuni rappresentanti dell'attuale maggioranza di governo, che hanno reso pratica quotidiana l'insulto e il dileggio nei confronti di un'indefettibile istituzione dello Stato - ha detto ancora Palamara -. Un'assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità della magistratura davanti agli occhi dei cittadini, facendo leva sulla generale delusione per le mancate risposte alla legittima ansia di giustizia''.

Giustizia al collasso. La giustizia è "al collasso" e restano "gravi" le conseguenze che la situazione di disservizio determina sulla cittadinanza italiana". Tant'è che l'Italia nella clasiffica dei Paesi in cui è conveniente investire è all'80mo posto e "Zambia, Mongolia, Ghana, Ruanda continuano a precederci". Non è affatto roseo il quadro di Palamara. "I ritardi costano alle imprese 2,3 miliardi di euro:una 'tassa occulta' di circa 371 euro per azienda che ricade su imprenditori, fornitori, clienti, consumatori". E la giustizia ritardata - aggiunge Palamara ,ricordando tra l'altro i 5,5 milioni di processi pendenti nel civile e il milione e mezzo pendente nel penale - "è un costo anche per lo Stato", visto che per le richieste di indennizzo per violazione del termine di ragionevole durata del processo si spendono 250 milioni di euro. "Non dobbiamo e non possiamo rassegnarci a questo stato di cose".

Napolitano: "Indispensabile recupero della fiducia del cittadino nel sistema giudiziario". ''L'Anm resta, e più che mai appare, un interlocutore rappresentativo ed essenziale in una fase difficile nella quale è indispensabile il recupero della fiducia del cittadino nel sistema giudiziario anche attraverso un corretto rapporto tra magistratura e politica'', ha il capo dello Stato, lasciando il Congresso: "''Ho apprezzato in modo particolare, ascoltando la relazione del presidente Luca Palamara, l'impegno dell'Anm per l'autoriforma della magistratura e la disponibilità dichiarata a un confronto costruttivo e propositivo con le forze politiche sul tema della riforma della giustizia''.

"Parole che ci confortano" e sono "motivo di orgoglio" per il leader dell'Associazione nazionale magistrati. "Dal presidente Napolitano è venuto un forte riconoscimento della bontà della linea dell'Anm", ha aggiunto.

Schifani: "In riforme nessun pericolo autonomie toghe". ''Ci si deve sforzare tutti per evitare qualunque tensione, qualunque contrapposizione conflittuale nella logica della separazione dei poteri''. Il presidente del Senato, Renato Schifani, parlando con i cronisti a margine del Congresso, ha parlato dell'autonomia della magistratura, sottolineando che ''l'autonomia e l'indipendenza della magistratura sono un fondamento essenziale della nostra Costituzione che non può essere messo minimamente in discussione. Ma io credo che nei progetti di riforma che si sono susseguiti questo principio non sia stato seriamente messo in pericolo''. ''Sono certo che il nostro sistema - ha aggiunto - non metterà mai in discussione questi principi essenziali a garanzia della separazione dei poteri''. Il presidente del Senato, poi, ha concluso: "Sulle riforme io mi auguro da tempo, e lo dico, che si trovi un momento di confronto costruttivo tra la politica, le istituzioni e la stessa magistratura. Dobbiamo evitare - ha detto ancora la seconda carica dello Stato - corto circuiti che non giovano a serie riforme e che nonaiutano i cittadini ad avere una giustizia più celere e più efficiente".

Con Napolitano e Fini magistratura meno sola. ''Tre anni fa all'inizio di questa legislatura si prospettavano riforme punitive per la magistratura. Ora possiamo registrare con soddisfazione che molte di quelle ipotesi sono tramontate e che la magistratura è meno sola nella difesa dei fondamentali valori di autonomia e indipendenza''. Lo dice il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini, commentando le parole del capo dello Stato e il messaggio del presidente della Camera.

Penalisti: "Non bastano buone intenzioni". Promossa, ma solo a metà, la relazione di Palamara dal presidente dell'Unione delle Camere Penali, Valerio Spigarelli: ''È piena di buone intenzioni che però, non sono seguite da fatti concreti - ha detto Spigarelli - speriamo che il nuovo Csm da poco insediatosi, possa fare dei passi avanti''. Secondo Spigarelli la relazione di Palamara contiene ''l'analisi sul fallimento del sistema delle correnti, ma poi non esprime la conseguenza logica di volerle riformare''. Per quanto la separazione delle carriere, secondo Spigarelli ''l'Anm non ha preso atto del fatto che è possibile arrivare alla separazione delle carriere senza sottoporre il Pm al controllo dell'esecutivo. Sono arroccati a una chiusa posizione di contrarieta'''.

Idv: "Governo mette a rischio autonomia Anm". "Condividiamo l'appello lanciato oggi dall'Anm e continueremo a batterci, come abbiamo sempre fatto, per l'autonomia della magistratura. Questo governo, con i suoi continui attacchi e i tagli indiscriminati al comparto, ha messo e continua a mettere seriamente a rischio l'indipendenza di quest'organo, calpestando la separazione dei poteri sancita dalla Costituzione", ha dichiarato in una nota il leader dell'Italia dei valori, Antonio Di Pietro.

 

 

(26 novembre 2010)

 

 

 

 

 

 

2010-11-17

CRIMINALITA'

'Ndrangheta, l'allarme della Dia

"Interazione con imprese lombarde"

La relazione relativa al primo semestre 2010 denuncia il coinvolgimento di rappresentanti della pubblica amministrazione, che hanno pilotato l'assegnazione di importanti appalti ad affiliati dell'associazione criminale. E mette in guardia: le cosche puntano all'Expo 2015. Ramificazioni in tutto il Nord Italia, dal Piemonte all'Emilia Romagna

'Ndrangheta, l'allarme della Dia "Interazione con imprese lombarde" Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso

ROMA - Nel Nord Italia e soprattutto in Lombardia c'è una "costante e progressiva evoluzione" della 'ndrangheta che, "radicata da tempo su quei territori, interagisce con gli ambienti imprenditoriali lombardi". E' quanto sottolinea l'ultima relazione della Dia, la Direzione investigativa antimafia, consegnata al Parlamento e relativa al primo semestre del 2010. L'allarme arriva nel pieno della polemica aperta dalla denuncia di Roberto Saviano 1 a Vieni via con me, cui il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha reagito 2 con la massima determinazione. La 'ndrangheta, osserva la Dia, al momento rappresenta una minaccia maggiore di Cosa Nostra, "in crisi organizzativa e di vocazioni", essendo "sempre più strutturata territorialmente e con riferimenti gerarchici precisi in un ambito di tipo federativo".

"Presenza consolidata" e "coinvolgimento" di amministratori locali. La "consolidata presenza" in alcune aree lombarde di "sodali di storiche famiglie di 'ndrangheta ha influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi", si legge nella relazione, che sottolinea il "coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede a impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l'assegnazione di appalti e assestato oblique vicende amministrative".

I due filoni. Per penetrare nel tessuto sociale, "le cosche - che in Lombardia godono di una certa autonomia ma dipendono sempre dalla 'casa madre calabrese' come ha dimostrato l'inchiesta 'Crimine' che ha ricostruito l'organigramma della 'ndrangheta - si muovono seguendo due filoni: quello del consenso e quello dell'assoggettamento", spiegano gli esperti della Dia. Tattiche che "da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall'altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici".

Le aree dell'infiltrazione. Con questa strategia, e favorita da "una serie di fattori ambientali", si consolida la "mafia imprenditrice calabrese" che con "propri e sfuggenti cartelli d'imprese" si infiltra nel "sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell'edilizia privata" come il "multiforme compartimento che provvede alle cosiddette 'opere di urbanizzazione'."

"Condizionamento ambientale". Il risultato è un vero e proprio "condizionamento ambientale" da parte della 'ndrangheta, "a modificare sensibilmente le normali dinamiche degli appalti, proiettando nel sistema legale illeciti proventi e ponendo le basi per ulteriori imprese criminali". In Lombardia ormai la 'ndrangheta si è ambientata talmente bene che non ha più bisogno di usare tecniche d'intimidazione. Al contrario, sottolinea la Dia, si serve di "nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: il ricorso al massimo ribasso" nelle gare d'appalto e la "decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere". Insomma, una volta consolidata la propria presenza, la 'ndrangheta ha imparato a usare bene leggi e bandi a proprio vantaggio, arricchendosi sempre di più.

I rischi per l'Expo 2015. Ricordando l'arresto di amministratori pubblici e imprenditori che collaborano con la 'ndrangheta, la Dia però mette anche sull'avviso il governo per il futuro: si rischia che l'associazione criminale s'infiltri con successo negli appalti per l'Expo 2015. Per evitarlo, si legge nella relazione, occorre un "razionale programma di prevenzione".

I settori più esposti. "Il cosiddetto 'ciclo degli inerti', la cantieristica e la logistica collegata, la manodopera e le bonifiche ambientali" costituiscono i settori - scrive la Dia - maggiormente esposti al rischio di infiltrazione dell'intero indotto che si muove attorno alle grandi opere, agli appalti pubblici e privati". Ma c'è di più: secondo la Dia, infatti, il "condizionamento ambientale" delle cosche su parte dell'economia lombarda, va inteso come "partecipazione ormai pacificamente accettata di società riconducibili ai cartelli calabresi a determinati segmenti, in espansione, del settore edile, sia pubblico che privato".

Infiltrazioni anche in altre Regioni: il Lazio. Ben organizzata com'è, la 'ndrangheta non agisce solo in Lombardia, naturalmente, ma anche in altre Regioni: il Lazio, il Piemonte, il Veneto. Per quanto riguarda il Lazio, in particolare, "la Capitale - si legge nel rapporto - come altre grandi aree metropolitane costituisce un favorevole luogo per il rifugio di latitanti". "Nel primo semestre 2010 sono infatti stati tratti in arresto alcuni esponenti di rilievo delle cosche reggine, sfuggiti alla cattura in precedenti azioni di polizia", ricorda ancora la Dia. A Roma "gli interessi economici delle cosche si sono via via evoluti concentrandosi nel multiforme e diffuso settore commerciale della ristorazione". E "le 'ndrine dei Gallace e Novella sarebbero orientate verso il settore degli appalti pubbici''.

Ramificazioni in tutto il Nord. Dal Piemonte al Veneto, passando per la Liguria, l'Emilia Romagna e anche la Toscana, la 'ndrangheta ha ramificazioni in buona parte delle regioni settentrionali, rileva la Dia. In Piemonte si registra una "qualificata presenza di soggetti riconducibili alle 'ndrine del vibonese, della locride, dell'area ionica e tirrenica della provincia di Reggio Calabria". Anche in questo caso, la 'ndrangheta gestisce lucrosi appalti e subappalti. In Liguria "traffico di stupefacenti, estorsioni, usura, gioco d'azzardo, controllo dei locali notturni per lo sfruttamento della prostituzione costituiscono i maggiori settori dell'arricchimento per le cosche". Per il Veneto il rapporto si limita a rilevare "segnali d'interesse". Le cosche sono presenti anche in Emilia Romagna e Toscana.

(17 novembre 2010)

 

 

LA LEGGE

Sì del Senato al decreto svuota carceri

domiciliari per pene inferiori all'anno

Il provvedimento, approvato con i voti di Pdl, Lega e Fli e l'astensione delle opposizioni, rigurda circa 7mila detenuti

Sì del Senato al decreto svuota carceri domiciliari per pene inferiori all'anno

ROMA - Il Senato ha approvato in via definitiva il ddl che consente la detenzione domiciliare per chi deve scontare condanne inferiori a un anno. Il provvedimento, definito "svuota carceri" per tamponare la situazione di sovraffollamento nei penitenziari è già stato approvato alla Camera e diventa legge. Hanno votato a favore il Pdl, la Lega Nord e Fli, si sono astenuti il Pd, l'Idv e l'Udc che sostengono che questo provvedimento "non risolve" il problema delle carceri. Non hanno partecipato al voto i senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti. Ne beneficeranno, entro il 31 dicembre 2013, quei detenuti a cui mancano 12 mesi per completare il periodo di detenzione e poter tornare in libertà.

La legge dovrebbe interessare circa 7mila persone in carcere. Chi deve scontare ancora solo un anno di galera, potrà farlo agli arresti domiciliari. In caso di evasione dai domiciliari, la pena viene inasprita: da uno a cinque anni. Gli arresti domiciliari non saranno applicati ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Sarà il magistrato di sorveglianza a disporre l'esecuzione domiciliare degli ultimi 12 mesi di pena. La legge prevede l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria di circa 2mila unità. I tossicodipendenti potranno avere gli arresti domiciliari in un centro di recupero.

(17 novembre 2010)

 

 

 

2010-11-10

IL CASO

Ruby, il pm minori smentisce Maroni

"Mai dato l'autorizzazione all'affido"

Il magistrato che fu chiamata a intervenire il 27 maggio scorso dopo il fermo a Milano si rivolge al Csm perché faccia chiarezza e ribadisce il suo disaccordo con il il ministro dell'interno secondo il quale "il caso è chiuso". Il procuratore di Milano: "Nessun commento"

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MILANO - Si riapre il caso Ruby. Perché sul fatto che sia una vicenda chiusa il pm dei Minori Annamaria Fiorillo, che si occupò della vicenda la notte del 27 maggio quando Ruby fu portata in questura 1, non ci sta. E si rivolge al Csm: "Chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita" perché "le parole del ministro Maroni 2 che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso". Ma soprattutto perché, precisa, "si deve sapere che io non ho mai dato alcuna autorizzazione all'affido della minorenne".

FOTO 3

Questo il testo della lettera ufficiale: "Con riferimento alle dichiarazioni rese dal ministro dell'Interno Maroni ieri 9 novembre al Senato in merito al caso della minorenne in oggetto, essendo stata personalmente coinvolta nella vicenda in veste di pubblico ministero della Procura per i minorenni di Milano di turno il 27 e il 28 maggio 2010, osservo che esse non corrispondono alla mia diretta esperienza". "Poiché il ministro - prosegue la missiva - ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all'esito di specifica istruttoria, chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita".

Alla notizia della richiesta del pm dei minori il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati non ha voluto fare commenti ("Non ho nessuna dichiarazione da fare, né nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi") ma Maroni, sottolineando che la sua posizione "è la stessa del procuratore capo di Milano", ha poi ribadito: "Il caso è chiuso".

Secondo la ricostruzione fatta da Maroni al Senato nella gestione della vicenda non si erano evidenziate modalità che potessero "richiamare frettolosità o superficialità della questura di Milano" dove la notte del 27 maggio erano state rispettate "tutte le procedure previste dalla legge, dai regolamenti e dalla costante prassi". Ripercorrendo le tappe del "caso Ruby" - dalla chiamata di una volante da parte della donna che aveva subito un furto al trasferimento in questura della minorenne per l'identificazione - il ministro ha toccato però anche l'area di competenza del pm dei minori.

"Stanti anche le indicazioni fornite in merito dal pubblico ministero di turno presso il tribunale per i minorenni - ha detto Maroni -, venivano svolti tutti gli accertamenti" per dare un nome alla marocchina Karima el Mahroug, "da rintracciare" perché allontanatasi da una comunità di Messina. Karima "veniva fotosegnalata e, successivamente, compiutamente identificata, anche sulla base delle notizie acquisite dalla questura di Messina e dai genitori della stessa presenti a Letojanni, in Provincia di Messina".

Ma il pm Annamaria Fiorillo non è d'accordo e non vuole liquidare la questione come invece vorrebbe il ministro. Nella stessa ricostruzione dei fatti al Senato Maroni ha infatti citato il procuratore capo della procura di Milano, dottor Brutti Liberati, in relazione al comportamento della questura di Milano e dei funzionari. "Liberati ha dichiarato, cito testualmente, che: 'la fase conclusiva della procedura di identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata in modo corretto. In futuro non ci saranno altri accertamenti. Per quanto riguarda questa fase dell'indagine abbiamo praticamente chiuso'", ha detto Maroni.

Il pm dei minori Annamaria Fiorillo, che era di turno nel giorno del fermo di Ruby, aveva già chiarito di non aver mai dato "l'autorizzazione all'affido della ragazza" 4 alla consigliera regionale con incarico alla Presidenza del Consiglio Nicole Minetti, 25 anni, Pdl. E, a differenza di quanto sostenuto nelle varie "note" poliziesche, Fiorillo ha sempre sostenuto di non aver mai raggiunto alcun "accordo" (parola dalla quale si è sempre dissociata) per l'affido della giovane frequentatrice delle feste di Arcore alla consigliera regionale: "E non lo avrebbe raggiunto nemmeno nel caso fosse arrivata negli uffici di via Fatebenefratelli una copia dei documenti di identità" di Ruby, che - va sottolineato - non c'erano.

La sostituto procuratore Fiorillo ha invece sempre sostenuto di aver chiesto di accertare se la ragazza era "quello che dice di essere" (e Ruby non ha mai parlato di parentela né con un egiziano, né con un capo di Stato straniero). Di verificare la sua storia e le sue fughe dalla comunità, che c'erano. Il magistrato avrebbe scoperto solo settimane dopo che Ruby non era rimasta in questura, ma era stata lasciata alla Minetti, e poi, alla strada.

Le conclusioni a cui nei giorni scorsi è arrivato il procuratore di Milano Bruti Liberati si sono basate invece sulla relazione inviata dal procuratore della Repubblica dei minori Monica Frediani e da quelle degli ispettori di polizia e della questura che quella notte si occuparono di Ruby. L'inchiesta su quanto avvenne quella sera negli uffici di via Fatebenefratelli rimane aperta invece per far luce sulla telefonata 5 arrivata dalla presidenza del Consiglio, nella quale si diceva che la ragazza era nipote del presidente egiziano Mubarak, e per chiarire come mai nonostante Ruby fosse affidata a Nicole Minetti in realtà abbia trascorso i giorni successivi a casa di un'amica brasiliana con cui poi il 5 giugno ha litigato ed è finita in ospedale e infine, su disposizione di un altro pm dei minori, in una comunità in Liguria.

(10 novembre 2010)

 

 

 

2010-11-09

IL CASO

Benigni, Saviano, la macchina del fango

E' "Vieni via con me", ritratto dell'Italia

Su RaiTre la prima puntata di "Vieni via con me", con Fabio Fazio e lo scrittore. Che nel suo primo intervento spiega il meccanismo della diffamazione, cita il caso Boffo, Caldoro e la casa di Montecarlo e mette in guardia, "un conto è la privacy, un altro è scegliere le proprie amiche da cadidare, un'altra finire nelle mani di estorsori: questo smette di essere privacy e diventa condizionamento della cosa pubblica"

di ALESSANDRA VITALI

Benigni, Saviano, la macchina del fango E' "Vieni via con me", ritratto dell'Italia Roberto Saviano

ROMA - Se, come dice Roberto Saviano 1, "nella televisione italiana il diritto a parlare lo conquisti con gli ascolti", tutto fa pensare che meriti una rubrica quotidiana su una rete Rai. Perché - ma sarà lo share a parlare, ferma restando l'insondabilità dei gusti del pubblico italiano - c'è motivo di credere che la prima puntata di Vieni via con me - spazio faticosamente conquistato su RaiTre dopo le contrarietà di viale Mazzini e le polemiche - di pubblico ne abbia conquistato parecchio. La leggerezza di Fabio Fazio - co-conduttore insieme all'autore di Gomorra - che elenca "le prostitute che lavoravano a Pompei prima dell'eruzione, quelle colte e raffinate che si vendevano per influenzare i clienti potenti che gestivano la politica, poi è crollato tutto ma il crollo continua ancora adesso", la linearità con cui lo stesso Saviano illustra il meccanismo della macchina del fango - Boffo, Cosentino, la casa di Montecarlo, anche Giovanni Falcone -, l'ironia coraggiosa con cui Nichi Vendola sciorina ventisette modi per dire omosessuale (gli elenchi sono uno dei perni del programma) ma pure le drammatiche forme di "espiazione" loro riservate, Roberto Benigni che travolge trascina e infine emoziona cantandola, la canzone che dà il titolo al programma, Vieni via con me.

L'Italia, gli elenchi, la gente comune. Tre punti dai quali il programma parte per un viaggio nel Paese attraverso incognite, antinomie, incertezze ma pure prospettive, aspirazioni, speranze. Come quelle di una signora di 88 anni - è l'attrice Angela Finocchiaro a leggere una sua lettera - che prende 500 euro di pensione e dice di aver lottato una vita per un'Italia più giusta "e ancora spero di vederla"; quelle di una giovane precaria che - riecco un elenco - fa la lista di tutti i lavori che ha fatto per pagarsi l'università; quelle di una suora che vuole la moschea a Torino e spiega perché.

Che avrebbe parlato della macchina del fango, Saviano lo aveva annunciato su Repubblica 2. E quel meccanismo mette a rischio la democrazia. Quello che "arriva a infamare una persona che si pone contro certi poteri". Boffo, Caldoro, Fini e la casa di Montecarlo. E' articolato e elementare: "Parte da fatti minuscoli della tua vita privata che vengono usati contro di te. Stai per scrivere un articolo e pensi 'domani mi attaccheranno' su cose che non hanno niente a che vedere con la vita pubblica, lo faranno con il tuo privato e ti costringeranno a difenderti. Allora prima di metterti a scrivere ci pensi. E vuol dire che si è incrinata la libertà di espressione". La differenza "fra inchiesta e diffamazione: l'inchiesta si fonda su una quantità abnorme di informazioni, quelle che i giornalisti sognano di avere per approfondire, la diffamazione usa un solo elemento e lo costruisce contro la persona che prende di mira. Ti compromettono con l'obiettivo di dire 'siamo tutti uguali'. Non che quello che facciamo è giusto o sbagliato, ma che siamo tutti egualmente sporchi. Invece - continua Saviano - la forza della democrazia è la molteplicità. Le differenze. Quelle che la macchina del fango non vuole che il cittadino veda. La privacy, ad esempio: è sacra. Ma una cosa è la privacy, un'altra è scegliere le proprie amiche da candidare, un'altra è finire nelle mani degli estorsori: quella smette di essere privacy e inizia a essere condizionamento della cosa pubblica. E può essere crimine". Ai giovani, in particolare, si rivolge perché ascoltino "la storia di una persona che è riuscita a resistere a una macchina del fango gigantesca: Giovanni Falcone".

L'elenco, si diceva, fra le anime del programma. Nichi Vendola spiazza con il suo. Il governatore poeta pronuncia ventisette modi per dire omosessuale. Invertito e buzzarone, pederasta e cripto-checca, burrone, arruso, bucaiolo e via così. Il coraggio dell'ironia. Che diventa dramma quando il leader di Sinistra e Libertà elenca le possibili "espiazioni" dell'omosessualità: evirato, deportato nei lager e nei gulag, confinato, ricoverato in manicomio, stuprato per punizione. E ancora, le classificazioni dell'omosessualità nella vita pubblica: "crimine", "disordine", "pulsione di morte", "sporcizia", "peccato". Allora, conclude Fazio citando la battuta di Silvio Berlusconi, "è molto meglio guardare le belle ragazze che essere gay?". Vendola risponde: "E' molto meglio essere felici".

Non è vero che l'attesa è tutta per Benigni, come si dice sempre in circostanze come questa. L'attesa, stavolta, è per tutti i protagonisti della serata. E anche Benigni non tradisce le aspettative. Il materiale che l'attualità recente gli ha fornito è roba che sta tutta nelle sue corde. Le escort che sarebbero una vendetta della mafia - l'ha detto Berlusconi a proposito della vicenda Ruby - e le sue guardie del corpo che ne scovano in ogni angolo della sua casa, rientrando, alla sera. L'opposizione che insiste, "Berlusconi si può battere solo sul piano politico" e allora "ci vuole una ragazza del Pd", l'invocazione a Rosy Bindi, "tu gli garbi, dai una foto a Fede e ti intrufoli, gli dici che sei maggiorenne, e se t'arrestano basta che dici che sei la suocera di Zapatero". Ironia anche sulle polemiche di qualche settimana fa, legate ai compensi degli ospiti del programma e anche al suo cachet (alla fine l'attore ha partecipato a titolo gratuito), "sono d'accordo a venir gratis, la Rai ha bisogno di soldi, però Masi non fare scherzi: a un semaforo quando ho abbassato il vetro un polacco mi ha riconosciuto e mi ha dato un euro..".

Poi, mentre sullo sfondo campeggiano le immagini del crollo di Pompei, un altro elenco tocca al maestro Claudio Abbado - ultimo ospite -, quello delle ragioni per cui vale la pena difendere la cultura contro i tagli del governo. Perché ", èrricchisce sempre, è contro la volgarità e permette di distinguere tra bene e male, è lo strumento per giudicare chi ci governa, è libertà, di espressione e di parola. Con la cultura si sconfigge il disagio sociale delle persone, perché è riscatto dalla povertà". Ma soprattutto "la cultura è un bene comune e primario, come l'acqua. Ed è come la vita. E la vita è bella".

(08 novembre 2010)

 

 

2010-10-30

POLITICA E GIUSTIZIA

Napolitano sul Lodo Alfano

"Credo accolta la mia richiesta"

L'Anm replica alle frasi di ieri del premier sulla riforma della giustizia: "Non siamo macigno, ma risorsa per il Paese"

Napolitano sul Lodo Alfano "Credo accolta la mia richiesta"

HONG KONG - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nell'ultimo giorno della sua visita di Stato a Hong Kong, si è espresso sul possibile emendamento al Lodo Alfano.

"Non mi imbarco adesso in una discussione su ciò che troverò a Roma, perchè ho l'abitudine di leggere le carte - ha detto il capo dello Stato -. Certamente, in quella lettera al presidente Vizzini 1 si sollevava il problema della diminuzione del ruolo, e anche della condizione di disagio in cui avrebbe potuto trovarsi il presidente se fosse stata sottoposta una questione di procedibilità nei suoi confronti con un voto a maggioranza semplice del Parlamento".

"Dal momento che ora si parla della legge Alfano che io promulgai - ha proseguito - è evidente che con l'emendamento, se ci sarà, quando ci sarà, si va in quella direzione".

Anm a Berlusconi: "Noi siamo risorsa". "La giustizia non è macigno ma una risorsa per il paese". Così il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, replica al Presidente del consiglio che anche ieri è tornato a parlare di una magistratura che è macigno per la democrazia. "Noi - ha detto Palamara - non vogliamo essere trascinati sul terreno dello scontro che sta caratterizzando il dibattito sulla giustizia. E rilanciamo la necessità di urgenti e vere riforme per rendere più efficiente il servizio".

Il presidente dell'associazione delle toghe si dice poi "d'accordo con il presidente della Camera", che ieri aveva definito l'ipotesi di soggezione del pm all'esecutivo come una cosa da "tempi del fascismo".

Vietti: rispetto per i giudici. "La giustizia è amministrata dai giudici e ad essi e alla loro funzione si deve rispetto, un rispetto talora troppo trascurato, in ossequio ad un malinteso senso di libertà dai ruoli e dalle regole". Lo ha sostenuto il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, nel corso del suo intervento al congresso di Magistratura democratica. Non "un rispetto acritico", aggiunge Vietti, ma "le polemiche non devono mai farci dimenticare la funzione di protezione sociale che la magistratura svolge", "essenziale strumento di tutela dei più deboli". "Siamo talora inclini -conclude il vice presidente del Csm - a pensare più agli errori e alle colpe, alle storture e alle lungaggini. Ma non dobbiamo mai dimenticare che esistono condotte cariche di disvalore, condotte che ci offendono, che toccano in modo illegittimo gli interessi della nostra vita quotidiana. Non è immaginabile una convivenza sociale senza giustizia, perché non vi potrebbe essere organizzazione sociale senza regole. La magistratura è garante di questa convivenza e di questa continuità".

(30 ottobre 2010)

 

 

2010-10-29

GIUSTIZIA

Berlusconi: "Accordo o mi rivolgo al Paese"

Ma Fini attacca: no ai pm sotto l'esecutivo

Nuovo attacco del premier: "Senza riforma è un macigno sulla democrazia". E annuncia un "forte intervento" alle Camere se i gruppi parlamentari non troveranno un'intesa. Il presidente della Camera frena: "Si a organismi separati per magistratura inquirente e giudicante, ma conservarne l'indipendenza". E ricorda: la soggezione dei giudici all'esecutivo c'era durante il Regime

Berlusconi: "Accordo o mi rivolgo al Paese" Ma Fini attacca: no ai pm sotto l'esecutivo Silvio Berlusconi

ROMA - Da Bruxelles Silvio Berlusconi rilancia: la giustizia è "un macigno sulla vita della nostra democrazia" e si dice pronto ad affrontare la questione in Parlamento. Da Bari, Gianfranco Fini mette precisi paletti, bocciando l'intenzione, ventilata da alcuni esponenti della maggioranza, di sottomettere in qualche modo i pm all'esecutivo. La giustizia si conferma tema caldo nella maggioranza, su cui la tenuta del governo rischia di franare.

A margine della riunione del Consiglio Europeo, Silvio Berlusconi annuncia: "Sto preparando un discorso in Parlamento per chiarire la nostra e la mia posizione sull'intervento nel nostro Paese della magistratura". C'è una trattativa in corso con le altre forze politiche per una riforma, dice il premier. Ma se ciò non avvenisse, "allora farò un intervento per dire qual è oggi la situazione della giustizia e della magistratura in Italia, senza ipocrisie".

Fini, però, frena sul progetto di assoggettare i pm all'esecutivo. Dal convegno "Organizzare la giustizia, il ruolo del nuovo Csm", a Bari, dice: "Sarebbe grave andare in quella direzione, accadeva durante il fascismo". Secondo Fini, infatti, "non sarebbe motivo di scandalo separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, ma è una riforma da fare senza rinunciare all'indipendenza della magistratura. Carriere separate sì ma senza assoggettamento all'esecutivo". Ieri era stato il vicepresidente del Csm Michele Vietti dire no "alla separazione delle carriere". Oggi Fini cita Montesquieu, e osserva che "se le ragioni delle modifiche proposte sono giustificate con il clima di tensione che vede contrapposti, da un lato, la magistratura o parti di essa e, dall'altro, frange pur rilevanti del potere politico, simili soluzioni appaiono ancora più rischiose".

In un clima "già oggi così poco disteso - continua ancora il presidente della Camera - le interferenze tra potere politico e funzione giurisdizionale sarebbero destinate a intensificarsi e ciò porterebbe inevitabilmente al determinarsi di una spirale di intrecci e cortocircuiti fra politica e giustizia sempre più forti e pericolosi, in particolare per la credibilità per le nostre istituzioni".

A Fini, insomma, l'idea del governo di riformare il Csm non piace. L'attuale composizione dell'organo, sostiene il presidente della Camera, è "adeguatamente bilanciata". "Un eccessivo peso ai non togati - sottolinea il leader di Fli - esporrebbe l'organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato".

Il presidente della Camera ribadisce anche l'importanza del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, definisce la lentezza "il peggior male della giustizia" e chiede risorse per migliorarla.

A Berlusconi, intanto, risponde Antonio Di Pietro. Per il leader dell'Idv, l'unico intervento che dovrebbe fare Berlusconi è "quello nelle Aule dei tribunali, dove si svolgono i suoi processi". "Lasci stare la riforma della giustizia perché tutti sanno che affidarla lui è come affidare il pronto soccorso a Dracula", dice. Per il senatore Giuseppe Lumia, del Pd, i provvedimenti che il governo intende adottare in materia "sono estremamente pericolosi perché annientano la libertà e l'autonomia della magistratura, che verrebbe sottomessa al dispotismo dell'esecutivo".

(29 ottobre 2010)

 

 

 

 

 

2010-10-26

POLITICA E GIUSTIZIA

Lodo Alfano, si tratta fino a giovedì

Berlusconi: "Con questi pm serve immunità"

Riaperti i termini per gli emendamenti. Vizzini: "La norma sarà discussa martedì prossimo". Fli: Preenteremo nostre proposte di modifica. Le parole del premier nel libro di Vespa: "Necessaria una commissione d'inchiesta, contro di me uso politico della giustizia"

Lodo Alfano, si tratta fino a giovedì Berlusconi: "Con questi pm serve immunità"

ROMA - C'è tempo fino a giovedì per presentare nuovi emendamenti al Lodo Alfano. E Futuro e libertà promette di farlo. La trattativa sull'immunità per il premier dunque continua. Con esiti incerti. Almeno fino a dopo domani alle 16, quando si comincerà a capire se le diverse anime della maggioranza avranno trovato una intesa.

Il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, ha disposto oggi la riapertura dei termini. "Di fatto - ha spiegato - ne discuteremo martedì prossimo e quindi ci prendiamo una settimana di tempo per ragionarci. La politica non si fa con l'aritmetica, c'é una necessità di riflessione seria, ci sono argomenti importanti posti da gruppi diversi, su cui vogliamo riflettere. Perciò nulla di strano se rispetto a un provvedimento così importante che riguarda una legge costituzionale ci prendiamo 48 ore di tempo per una riflessione politica per presentare gli emendamenti". Respinta, invece, la richiesta presentata dalle opposizioni di sospendere l'esame. La questione pregiudiziale, spiega Lucio Malan (Pdl) è stata presentata fuori dei termini regolamentari, pertanto "la commissione ha dovuto respingerla".

Già presentato emendamento Udc. "L'Udc ha già presentato il suo emendamento contro la reiterabilità", ha annunciato il leader centrista, Pier Ferdinando Casini, parlando con i giornalisti a Montecitorio. "Non importa chi presenta l'emendamento, l'importante è raggiungere l'obiettivo", aggiunge Casini riguardo a Futuro e libertà che sta lavorando a una sua proposta di modifica. E sulla decisione della commissione Affari costituzionali del Senato di riaprire il termini degli emendamenti, il leader dell'Udc afferma: "Mi sembra una scelta giusta". "Se il lodo Alfano deve svelenire non può avvelenare. Occorre -ribadisce Casini- eliminare la reiterabilità e accogliere le giuste osservazioni fatte dal Capo dello Stato".

Berlusconi: "Con questi magistrati serve immunità". Sulla questione giustizia, il giorno dopo l'affondo di Gianfranco Fini, che ieri aveva detto 1: "Mi auguro che sul tema giustizia non ci siano questioni insormontabili e che non ne scaturisca una crisi di governo", sono giunte le parole di Silvio Berlusconi che, in una conversazione con Bruno Vespa per il nuovo libro del conduttore di Porta a Porta, la settimana scorsa aveva detto: "Ritengo che una legge che sospenda i processi delle più alte cariche dello Stato mentre adempiono alle loro funzioni istituzionali sia opportuna ed anzi, vista la magistratura con cui abbiamo a che fare, assolutamente indispensabile".

Commissione d'inchiesta per tutelare giudici 'per bene'. Il Pdl chiederà a breve una Commissione

d'inchiesta sulla giustizia e la magistratura, ha annunciato Berlusconi nell'intervista rilasciata a Vespa. "A causa di comportamenti dei magistrati politicizzati i nostri parlamentari sono in procinto di chiedere una commissione parlamentare d'inchiesta. Penso che questa iniziativa sia largamente condivisa e debba far luce su una infinità di processi clamorosi, come quelli, tra i tanti, contro Calogero Mannino, contro il generale Ganzer e l'ex capo della Polizia De Gennaro. È un'iniziativa a difesa dei cittadini, ma anche delle migliaia di giudici per bene che lavorano seriamente e che per colpa di pochi vedono diminuire la fiducia degli italiani anche nei loro confronti". E, sulle vicende che lo hanno coinvolto, ha aggiunto: "Soltanto con la serenità e la forza d'animo che derivano o dalla consapevolezza di non aver commesso alcun reato sono riuscito a disinteressarmi dei tanti, troppi procedimenti che mi sono stati addossati e che ogni giorno vengono amplificati da giornali e televisioni".

Alfano: "Riforma garantirà autonomia dei magistrati". Nessun intento punitivo del governo nei confronti della magistratura con la riforma della giustizia. Lo garantisce il ministro Guardasigilli, Angelino Alfano, al termine di un incontro con una delegazione dell'Udc: ''Il governo non intende sottomettere il pm all'esecutivo'', Ma ''non consentiremo che il pm sottometta il cittadino''. Pm e cittadino, continua il ministro della Giustizia, ''devono essere assolutamente allo stesso livello. I poteri e i doveri del pm e dell'avvocato che rappresenta il cittadino devono essere gli stessi''. Il ministro però, nonostante lo spiraglio aperto 2 sulla reiterabilità - "Non mi pare una questione su cui vive o muore questo disegno di legge" -, non ha fatto il minimo accenno ai tre punti sui quali i finiani avevano espresso la loro contrarietà: composizione del Csm, poteri del ministro della Giustizia e "collocazione" della polizia giudiziaria.

Bongiorno: "Bene se verrà esclusa reiterabilità". La possibilità, ventilata dal Guardasigilli, che il lodo costituzionale per le alte cariche dello stato non sia reiterabile è "estremamente positiva perché accoglie un principio che abbiamo sostenuto". La presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, commenta così l'apertura ventilata dal ministro Alfano. Secondo la Bongiorno, in questo modo viene dimostrata "la volontà di venire incontro alle nostre istanze", aggiunge al termine di un incontro con i senatori di Futuro e Libertà Viespoli e Saia per discutere degli emendamenti allo scudo giudiziario.

Finocchiaro: "Maggioranza prepara corda per impiccarsi". ''Stanno intrecciando la corda con la quale si impiccheranno''. Il presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, commenta così quanto sta avvenendo all'interno della maggioranza sul Lodo Alfano. ''Sono in stato assolutamente confusionale - sottolinea la parlamentare - perché c'é Fini che dice di no alla reiterabilità. Poi, c'è Alfano, che dice va bene, parliamone. E infine, ci sono Quagliariello e Gasparri, che dicono: 'Non si tocca'. Per non parlare poi della nuova proposta lanciata, sempre dal centrodestra, della cosiddetta 'reiterabilità a tempo', cioè che varrà dalla prossima legislatura. Ma di cosa stiamo parlando?''.

Marcegaglia: "Non possiamo permetterci elezioni anticipate". Sulla possibilità di andare alle urne in primavera stamani è intervenuta Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha detto: "Non possiamo permetterci di andare a elezioni anticipate, non possiamo permetterci una campagna elettorale disastrosa in un momento come questo e richiamo ancora una volta tutti a un senso di attenzione e di bene per il Paese".

(26 ottobre 2010)

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Corruzione, l'Italia sempre peggio

Per Transparency International è al 67mo posto

Il Bel Paese, nella classifica dei Paesi onesti, scivola di quattro posizioni rispetto al 2009 e finisce dietro a Ruanda e Samoa. Gli Stati Uniti escono dalla top venti, conquistando solo il 22mo gradino

Corruzione, l'Italia sempre peggio Per Transparency International è al 67mo posto

ROMA - Brutte notizie per il Bel Paese in tema corruzione. Secondo la classifica stilata dall'ong Transparency International, elaborata analizzando 178 Paesi e presentata stamane, l'Italia scivola al 67esimo posto nell'indice sulla corruzione. Il nostro Paese è arretrato di quattro posizioni rispetto al 2009 e di ben 12 sul 2008.

Il Corruption Perceptions Index (CPI) è considerato la misura più credibile al mondo per misurare la corruzione nel settore pubblico. Oltre ai casi di corruzione in senso stretto, influiscono sul CPI tutte le questioni di malgoverno della cosa pubblica in senso lato che si manifestano nel Paese, in larghissima misura a livello locale. Infatti, la sanità (gestita dalle Regioni) appare il settore dove tale malgoverno più si manifesta. E proprio il CPI registra che la credibilità esterna dell'Italia riguardo la corruzione è in calo e che l'allarme sociale interno sul tema è in crescita.

I Paesi ottengono un punteggio da zero a 10 (con zero che indica livelli elevati di corruzione e 10 bassi). L'Italia è al 67esimo posto, con un punteggio di 3,9 peggiorato rispetto al 2009 (quando era al 63esimo posto, con punteggio di 4,3) e al 2008 (alla 55esima posizione, con 4,8).

Meglio di noi fanno il Ruanda e Samoa. I Paesi più onesti sono quelli più pacifici: Danimarca e Nuova Zelanda. In fondo alla classifica, Paesi devastati dalla guerra (Iraq, Afghanistan e Somalia) o governati da una giunta militare come la Birmania. Gli Stati Uniti

sono usciti dalla top 20 dei meno corrotti, collocandosi al 22esimo posto.

(26 ottobre 2010)

 

 

Procura su Montecarlo "Nessuna truffa" Archiviare il caso Fini era indagato

"Nessuna truffa. Difetto assoluto elementi costitutivi di reato". Con questa motivazione la Procura di Roma chiede che il caso venga chiuso. Andando più nel dettaglio: ill procedimento penale sulla vendita a una società off-shore di un appartamento a Monte Carlo da parte del partito Alleanza Nazionale va archiviato. La Procura di Roma ha sollecitato la chiusura del caso e trasmesso gli atti all'ufficio del giudice delle indagini preliminari.

Nel fascicolo erano indagati il presidente della Camera, ex presidente di An e ora leader di Fli Gianfranco Fini e il senatore Francesco Pontone, già tesoriere di An. I magistrati li avevano iscritti nel registro degli indagati dopo l'audizione dello stesso Pontone e l'acquisizione di atti e documenti presso la sede di An a Roma in via della Scrofa. Questo risulta dalle agenzie di stampa. Al che Pontone, di Fli, replica: "Non siamo stati mai indagati, eravamo soltanto stati invitati come testi".

Secondo gli inquirenti non c'è stata "nessuna truffa per difetto assoluto di uno degli elementi costitutivi del reato". La casa era stata donata ad An da una nobildonna, Anna Maria Colleoni. Poi l'ha occupata il fratello di Elisabetta Tulliani, compagna di Fini.

Sarà il Giudice per le indagini preliminari a decidere nelle prossime settimane se archiviare o meno l'inchiesta della procura di Roma sulla vendita a una società off-shore dell'appartamento. Il procuratore Giovanni Ferrara e l'aggiunto Pierfilippo Laviani, che avevano aperto un'inchiesta dopo la denuncia presentata da due esponenti de La Destra di Francesco Storace, avevano iscritto sul registro degli indagati Fini, e il senatore Pontone, che in qualità di tesoriere di An curò la vendita dell'appartamento. I due magistrati, però, hanno deciso di chiedere l'archiviazione del fascicolo.

La denuncia ipotizzava la truffa perché il prezzo di vendita, circa 300mila euro nel 2008, appariva molto al di sotto del valore di mercato dell'immobile che An aveva acquisito nel '99. Per i pm della capitale invece non c'è stato "nessun artificio e raggiro".

I magistrati hanno chiesto l'archiviazione del procedimento penale dopo aver ricevuto per rogatoria documenti chiesti alle autorità di Montecarlo. Il Principato di Monaco e la Chambre Immobiliere Monegasque, ente che monitora tutte le vendite immobiliari, hanno comunicato che "il valore di mercato dell'immobile era triplicato al momento dell'alienazione rispetto a quello dichiarato a fini successori (273mila euro). Tale valutazione - rilevano i pm - è stata effettuata in astratto, senza tener conto delle condizioni concrete del bene, descritto dai testi come fatiscente. Qualsiasi doglianza, quindi, sulla vendita a prezzo inferiore non compete al giudice penale ed è eventualmente azionabile nella sede civile".

Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra, aveva sporto denuncia. E commenta: "Il processo breve, brevissimo si applica solo a Gianfranco Fini. In poche settimane lo si scrive nel registro degli indagati per truffa e poi si decide che "va assolto"... In compenso, si ammette che c'è stato il danno per aver svenduto la casa di Montecarlo finita al cognatino".

26 ottobre 2010

 

 

 

 

 

2010-10-24

LA NOTA

Fini: il Lodo non sia reiterabile

Napolitano: "Niente strumentalizzazioni"

Chiarimento del Colle dopo le polemiche sui rilievi allo scudo per le alte cariche. Il presidente della Camera: "Pronti a presentare nuovi emendamenti". Gasparri e Quagliariello: "Martedì emendamenti per recepire le istanze del presidente"

Fini: il Lodo non sia reiterabile Napolitano: "Niente strumentalizzazioni" Giorgio Napolitano

ROMA - Non si placa la polemica sul Lodo Alfano. Interviene di nuovo il Quirinale, per puntualizzare la sua critica e stoppare "interpretazioni politiche". E poco dopo torna a parlare anche la terza carica dello Stato. Gianfranco Fini ribadisce che non è possibile pensare che nella legge ci sia la reiterabilità nella sua applicazione, fino ad annunciare la presentazione di emendamenti da parte del Fli: "Non ci possono essere norme che rendano possibile reiterare il Lodo, perchè si tratta di tutela della funzione e non di una nuova legge ad personam".

Poco prima il nuovo intervento del Quirinale. "Il presidente della Repubblica è estraneo alle polemiche e lavora con imparzialità a favore della correttezza e della continuità della vita istituzionale". E' l'inizio di una nota di precisazione dopo le polemiche suscitate dai rilievi sul Lodo Alfano bis mossi da Napolitano in una lettera a Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, e interpretati da più parti come una secca bocciatura della proposta di legge costituzionale voluta dal Pdl.

Polemiche a cui il presidente si sottrae con nettezza. Le "conseguenze politiche" annunciate dopo la lettera sono "del tutto estranee" agli "intendimenti del capo dello Stato", volti sempre "a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale", si legge nella nota diffusa dal Colle, in cui si sottolinea l'estraneità del presidente a "soggettive interpretazioni e generalizzazioni" della lettera.

"Con la lettera inviata al Presidente Vizzini, il capo dello Stato ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del Presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato", si legge nel testo del Quirinale. "Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera apparse in diversi commenti di stampa, così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre sono del tutto estranee agli intendimenti del Presidente della Repubblica, sempre volti a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale".

Da parte sua, il Pdl precisa che già martedì verranno presentati in Commissione Affari Costituzionali emendamenti per recepire i rilievi del Colle: lo annunciano in

una nota il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri e il suo vicario Gaetano Quagliariello. "La lettera del Capo dello Stato e il dibattito che ne è seguito - sostengono - evidenziano quanto sia delicato e importante il tema delle garanzie per le alte cariche istituzionali".

La tutela delle alte cariche dello Stato, proseguono, "è un'esigenza che va oltre il fatto che una specifica carica sia ricoperta in un dato momento da una persona determinata, ed è dunque assolutamente corretto che nessuno chieda per sè una misura come il lodo Alfano, ma sia il Parlamento a farsi carico di un'esigenza di tutto il Paese". "In questo quadro - aggiungono Gasparri e Quagliariello - tutti gli interventi tesi ad assicurare che le garanzie vengano rafforzate e non indebolite, a cominciare dalla lettera del Capo dello Stato, incontrano la nostra attenzione".

Sul fronte dell'opposizione, Massimo D'Alema apprezza l'intervento di Napolitano e giudica la lettera inviata dal capo dello Stato come una rigorosa difesa del suo ruolo costituzionale. "Non mi pare che ci sia nessuna svolta, nessun retroscena, se non il rigore del suo ruolo di garante della costituzione che ha ispirato la sua azione fin dall'inizio", dice il presidente del Copasir. Le precisazioni di Quagliariello e Gasparri stupiscono Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd, che si chiede: come mai si presentano emendamenti se Berlusconi dice di non volere più la legge? "E' un gioco delle parti?"

Per Nello Formisano, dell'Idv, ancora una volta il capo dello Stato "dimostra di essere interprete autentico, fedele e libero della Carta Costituzionale". E anche Nichi Vendola, di Sinistra ecologia e libertà ne loda il "rigore ammirevole" e dice: "Meno male che c'è Napolitano". Per Pierferdinando Casini, leader dell'Udc, infine, le parole di Napolitano sono "ineccepibili".

(23 ottobre 2010)

 

 

 

L'INTERVENTO

Governo, Fini avverte Berlusconi

"Se cade si apre fase nuova"

Il presidente della Camera contro il "partito carismatico" poi annuncia: "Presenteremo una proposta di aumento delle tasse sulle rendite finanziarie al 25%". "Un altro esecutivo non sarebbe un colpo di Stato"

Governo, Fini avverte Berlusconi "Se cade si apre fase nuova" Gianfranco Fini

ASOLO (Treviso) - Gianfranco Fini torna a proporre i suoi distinguo da Silvio Berlusconi e dal Pdl e, a più riprese nel corso di diversi interventi attacca il "partito carismatico", avverte il Cavaliere che se il suo governo cade "si apre una fase nuova" e precisa: "Un nuovo esecutivo non sarebbe un colpo di Stato". Poi chiede "un aumento delle tasse sulle rendite finanziare del 25%". Colpi in sequenza contro i capisaldi del berlusconismo: il partito, il governo e la battaglia antifisco.

Su quello che chiama "il partito carismatico" Fini è chiarissimO: "E' il miglior strumento per vincere le elezioni, ma il peggiore per governare perché deriva dal fatto che il cosiddetto partito carismatico forse non è 'cosiddetto', essendo basato su un rapporto diretto tra il leader e il popolo, essendo spesso senza intermediari, senza un dibattito interno e una democrazia".

Quanto al governo il presidente della Camera ricorda che Fli "è determinante per tenere in vita la maggioranza ", si tratta di vedere se il governo "è in grado di cambiare passo, di aggiustare il tiro" su alcuni temi, come sud, povertà, la stessa riforma della giustizia. Se non accadesse, "su alcune leggi potremmo votare contro. E se ciò portasse alla caduta del governo, allora si aprirebbe una fase nuova". Fase nuova che, specifica il leader di Fli, non significa immediate elezioni. In caso di crisi dell'esecutivo, spiega "è del tutto evidente che con la Costituzione vigente il presidente della Repubblica ha il diritto dovere di verificare se può nascere un altro governo, chi dice il contrario in qualche modo si pone contro la Costituzione, fuori dalla Costituzione. Poi, del tutto diverso è il discorso dell'opportunità politica".

Fini ha aggiunto che "Berlusconi ha il diritto di governare, ma anche il dovere di governare. Non dica ciò che farà quando si voterà ma cosa vuole fare ora che il voto non c'è" per risolvere i "problemi che gli italiani affrontano quotidianamente".

Poi annuncia che Futuro e libertà presenterà in parlamento un emendamento per alzare l'aliquota di tassazione delle rendite finanziarie dal 12,5 al 24-25%, in linea con la media europea. "La tassazione delle rendite finanziarie - ha detto il fondatore di Fli - non è né di destra né di sinistra e con le nuove entrate si può finanziare la riforma dell'università".

(23 ottobre 2010)

 

 

GIUSTIZIA

Lodo Alfano, le perplessità di Napolitano

"Riduce l'indipendenza del Quirinale"

Il presidente critica "la scelta d'innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il capo dello Stato". Fini: "Parole di cui tenere conto". Poi ripete: "Mai più leggi ad personam". Il Pd: "Mostro giuridico". E il Pdl si dice pronto a modifiche

Lodo Alfano, le perplessità di Napolitano "Riduce l'indipendenza del Quirinale" Giorgio Napolitano

ROMA - Lo stop di Napolitano si fa sentire. Quelle "profonde perplessità" sull'estensione al capo dello Stato del cosiddetto 'scudo' giudiziario previsto dal Lodo Alfano 1, scuotono la giornata politica. Ad esprimerle è lo stesso presidente della Repubblica, in una lettera inviata al senatore Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, dove è in corso l'esame della proposta di legge costituzionale.

"Visto l'esito della discussione svoltasi sulla proposta di legge costituzionale e nell'imminenza della conclusione dell'esame referente - scrive Napolitano delle cui perplessità ha dato conto Repubblica 2 - ritengo di dover esprimere profonde perplessità sulla conferma da parte della commissione della scelta d'innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il presidente della Repubblica. Questa previsione non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008".

Nella lettera Napolitano ribadisce di voler restare "estraneo" all'elaborazione della legge. Ma osserva come lo scudo giudiziario per il capo dello Stato ne riduca l'indipendenza. "Come già ribadito più volte, è mia intenzione rimanere estraneo nel corso dell'esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in questo caso - riguardino proposte d'iniziativa parlamentare e di natura costituzionale", scrive Napolitano.

"Non posso peraltro fare a meno di rilevare - sottolinea - che la decisione assunta dalla commissione incide sullo status complessivo del presidente della Repubblica riducendone l'indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni". Andando inoltre contro l'articolo 90 della Costituzione. Mettere il capo dello Stato accanto al premier, scrive Napolitano, "consente al Parlamento in seduta comune di far valere responsabilità penali del presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dall'articolo 90 della Costituzione". Una possibilità esclusa dalle norme vigenti, dalla prassi, e pure dalla legge Alfano del 2008. Insomma, conclude Napolitano, c'è una "palese irragionevolezza".

Le reazioni. II presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, condivide le "perplessità" del Colle: "Non ci può essere un atto parlamentare che deliberi su una situazione o una condizione che riguarda il presidente della Repubblica: ciò sarebbe di certo un'interferenza, limiterebbe l'indipendenza del capo dello Stato". Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il Parlamento deve "tenere di conto" le parole di Napolitano.

Dura la reazione dell'Idv: "Se neanche di fronte alle fondate osservazioni del Quirinale Berlusconi si arrende significa che siamo di fronte a un tentativo di golpe" attacca il presidente dei senatori, Felice Belisario. Per il Pd la maggioranza si deve fermare e ritirare "il mostro giuridico". Mentre il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini annuncia l'astensione in Aula e precisa: "E' indispensabile tenere conto delle preoccupazioni di Napolitano".

In serata arriva la replica del Pdl: "Osservazioni del Colle non troveranno indifferente il nostro gruppo parlamentare", affermano in una nota congiunta Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo del Popolo della libertà al Senato preannunciando modifiche al testo. Per questo i due assicurano che si faranno "carico di sollecitare la commissione affari costituzionali affinché l'ipotizzata misura dell'autorizzazione parlamentare venga soppressa dalla proposta di legge in discussione".

"E' Inutile che il Pdl pensi a modifiche, la norma va solo ritirata", ribatte il senatore Francesco Pancho Pardi, capogruppo dell'Italia dei valori in commissione Affari costituzionali.

Fini: "Io premier? Ipocrita tirarsi indietro". "Mi pare però che siano superficiali gli attacchi a Fli 3", dice Fini rispondendo a una domanda sul sì di Futuro e Libertà sul Lodo Alfano in commissione al Senato che ha generato malumori nella base del suo movimento. "A Mirabello fui chiaro ed esplicito. Mi sono andato a risentire e cioè 'mai più leggi ad personam'. Noi non siamo disponibili a una legge che garantisca l'impunità e favorisca una persona - prosegue il presidente della Camera - ma siamo favorevoli ad una legge che tuteli la funzione del presidente del Consiglio. Questo vuol dire sospendere, non cancellare i procedimenti, (perché le indagini vanno avanti), finché il premier dura in carica".

Poi un avvertimento al governo, sul complesso dei provvedimenti che riguardano la giustizia: "Credo sia interesse del ministro Alfano coinvolgere preventivamente Futuro e Libertà nella preparazione del ddl Costituzionale sulla giustizia 4, che ha un iter lungo, in quattro letture. Vedremo quale testo sarà presentato in Cdm, se ci sono emendamenti e che sorte avranno, solo al termine, per dovere di serietà, si potrà esprimere un giudizio".

L'attenzione si sposta sull'esecutivo e sullo stato di salute della maggioranza. Fini invita Berlusconi ad occuparsi dell'oggi e a "governare". Per il futuro c'è tempo: "Dice che vuol candidarsi nel 2013? La notizia sarebbe stata se avesse detto che non si ricandidava, comunque il 2013 è lontano". Inevitabile la domanda sul futuro del presidente della Camera: "Io candidato premier? In una democrazia la scelta la fanno gli elettori. Sarei ipocrita se mi tirassi indietro, ma ho realismo, senso della misura, piedi per terra".

(22 ottobre 2010)

2010-10-22

LA LEGGE

Ecco la riforma della giustizia

"Più poteri al guardasigilli"

Csm a guida politica, assoluzioni inappellabili, polizia autonoma . Il pm perde il controllo delle indagini a vantaggio degli investigatori. Una normativa per assicurare parità assoluta tra pubblica accusa e difesa di LIANA MILELLA

Ecco la riforma della giustizia "Più poteri al guardasigilli"

ROMA - Eccola, la legge di Angelino Alfano. La riforma costituzionale per cui il Guardasigilli sta spendendo incontri con le massime cariche dello Stato. Per ora è raccolta in tre fogli, quelli che il ministro della Giustizia ha mostrato, anche con modifiche in progress, a Napolitano, a Fini e Schifani, a Vietti. Le massime cariche dunque, capo dello Stato, presidenti di Camera e Senato, vice presidente del Csm. Sotto la dicitura in grassetto "riforma costituzionale della giustizia" ci sono una dozzina di capitoli, con il reiterato e insistito riferimento alla Bicamerale di D'Alema, alla famosa bozza Boato, quasi a voler dire che anche la sinistra voleva questo ridimensionamento dei giudici che ora Berlusconi vuole realizzare. Una rivoluzione in negativo per la magistratura. Riassumibile in pochi concetti: le toghe divise, il pm privato della polizia e dell'obbligatorietà, perfino eletto dal popolo, il Csm depotenziato e messo nelle mani della politica, il Guardasigilli rafforzato e con ampi poteri. Scorriamo la bozza di Alfano per scoprire come vuole riscrivere il titolo quarto della Costituzione che non si chiamerà più "la magistratura", ma "la giustizia". Perché, dice il ministro, "le norme riguardano non solo l'ordine giudiziario, inteso come corporazione, ma un bene essenziale per la vita dei cittadini e per la nazione". Per il bene di entrambi cade la mannaia sulla magistratura.

Le carriere. Saranno separate. Ma non solo. "La posizione costituzionale del giudice è differenziata da quella del pm: il primo è definito come un "potere" dello Stato; il secondo come un ufficio regolato dalle leggi dell'ordinamento giudiziario". E qui arrivano i dolori. Primo limite: "l'ufficio del pm resta titolare dell'azione penale, ma dovrà esercitarla secondo le priorità indicate dalla legge". Secondo limite: "Anche la disponibilità della polizia giudiziaria sarà rimessa alle modalità stabilite dalla legge". È la norma manifesto messa in Costituzione che sarà poi declinata da una ordinaria con cui si sgancia la polizia dal pm, la si mette in condizione di fare quello che vuole, senza più né direzione né obblighi né controlli. Alfano lo motiva così: "Ciò assicurerà di non disperdere le indagini, l'efficienza della politica criminale, il rispetto delle priorità nel trattare gli affari penali, rafforzerà il principio di responsabilità nell'uso dei poteri di indagine". È la fine del pm autonomo e indipendente.

I Csm. Saranno due, ma conteranno molto meno dell'uno di adesso. Ridotti a ruolo burocratico e amministrativo. Li presiederà il capo dello Stato. Componenti eletti per un terzo, o per metà, dalle toghe, per il resto dalle Camere. Addio agli equilibri di oggi a favore dei giudici. Che faranno? "Continueranno a occuparsi delle assunzioni, dei trasferimenti, delle promozioni". E "verrà affermata la natura amministrativa degli atti consiliari, il divieto di adottare atti di indirizzo politico e quello di esercitare attività diverse da quelle previste dalla Costituzione". Non basta. "Sarà regolamentata l'emanazione di pareri sui ddl, che i Consigli potranno esprimere solo quando ne venga fatta formale richiesta dal ministro della Giustizia". Il quale potrà pure prendere parte alle sedute e proporre questioni. Qual è la ragione del bavaglio al Csm? Per il Guardasigilli "si colma una lacuna obiettiva della Carta che, non indicando limiti, consente l'esercizio di ampie funzioni para normative e di indirizzo generale che assumono talvolta natura politica e determinano conflitti con gli altri poteri dello Stato". È l'accusa di essere una terza Camera. Il Csm perde anche la sezione disciplinare, che diventa un'Alta Corte per tutte le magistrature.

Il Guardasigilli. Alfano "si allarga". Il ministro "riferirà annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale, sull'uso dei mezzi d'indagine". Al Csm "potrà presentare proposte e richieste". Verrà "costituzionalizzata la sua funzione ispettiva". "Concorrerà alla formazione dei giudici e dei pm". Un potere enorme, che ne farà il vero dominus e super controllore della magistratura. Sulla quale non solo incomberà la mannaia della responsabilità civile, ma anche il trasferimento obbligatorio.

"Leggine" nella Carta. Non possono che essere lette come anticipi di norme a favore del premier quella del ripristino della legge Pecorella, cassata dalla Consulta, per cui "in Costituzione sarà affermato il principio per cui contro le sentenze di condanna è sempre ammesso l'appello, mentre le sentenze di assoluzione possono essere appellate soltanto nei casi previsti dalla legge". E poi la regola della parità tra accusa e difesa nel processo, per cui "si sta studiando una legge per assicurare che l'ufficio del pm e del difensore siano messi in condizione di parità dinanzi al giudice in ogni fase del procedimento penale". È la base d'appoggio per un ddl, ribattezzato processo lungo, per garantire lo strapotere delle difese a discapito del giudice.

Pm eletti. Alla fine ecco pure "la partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia", per cui sarà prevista "la nomina elettiva di magistrati onorari per le funzioni di pm". È l'obolo pagato alla Lega. Ma tradisce la voglia di trasformare completamente la magistratura.

(22 ottobre 2010)

 

 

 

 

L'INTERVENTO

Berlusconi: "Mai chiesto Lodo Alfano

Nelle toghe una corrente eversiva contro di me"

In un'intervista al Faz il premier si scaglia contro i 'giudici di sinistra': "Sulla nostra democrazia grava un macigno". E annuncia: "In caso di elezioni anticipate, mi candiderò comunque. Vedremo se Fini sarà ancora nostro alleato". La replica di Bersani: "Se non ha chiesto il provvedimento, lo ritiri"

Berlusconi: "Mai chiesto Lodo Alfano Nelle toghe una corrente eversiva contro di me" Il presidente del Consiglio Berlusconi con il ministro della Giustizia Alfano

ROMA - In un'intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sostiene di non aver mai chiesto che venisse introdotto il Lodo Alfano, ma fa notare come una normativa di questo tipo esista in molti Paesi. Il premier si scaglia inoltre ancora una volta nell'intervista contro le toghe, sostenendo che lo attaccano "per motivi di lotta politica".

"Attualmente i giornali parlano di nuovi processi per evasione fiscale e corruzione. La verità è completamente diversa da quella proclamata dalla stampa di sinistra. Nessuno dei capi d'accusa rivolti da 17 anni contro di me da certa magistratura corrisponde alla verità. La realtà è che vengo attaccato da giudici di sinistra che abusano illegittimamente del loro potere per motivi di lotta politica", accusa Berlusconi.

In particolare il Cavaliere respinge con forza le accuse di evasione fiscale: "I giornali parlano di irregolarità fiscali commesse nel 2003 a Roma. In quel periodo come presidente del Consiglio non avevo più niente a che fare con il gruppo Mediaset presieduto da mio figlio e mia figlia. Si accusa l'azienda di aver evaso 1,9 milioni di euro nel 2003, quando per lo stesso periodo ha pagato 450 milioni di tasse. E comunque, non mi sono mai occupato di questioni tributarie relative al mio gruppo aziendale".

Quanto ai processi nei quali è stato imputato, Berlusconi riporta i suoi numeri: "Ho già avuto 104 istruttorie; più di mille procuratori della Repubblica si sono occupati di me e delle mie aziende. Ho speso più di 300 milioni per gli avvocati. Ciononostante, non sono mai stato condannato. La gran parte dei giudici è seria. Per lo più si parla di influenza sui media. In concreto, però, le accuse sono risibili".

All'intervistatore che osserva "C'è tuttavia anche un dibattito su leggi ad personam a suo favore", il premier replica: "Non sono io che le ho chieste. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia. Per dirlo con parole chiare: sulla nostra democrazia grava un macigno. Nella magistratura abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando di procedere contro chi è stato eletto legalmente dal popolo. I processi vanno avanti già da molto tempo".

"Tutto - sostiene il presidente del Consiglio - è cominciato nel 1994 durante la mia prima legislatura. Due anni dopo sono stato assolto, ma i processi intanto avevano fatto cadere il governo e in questo modo la sinistra è giunta al potere. Ora l'opposizione vorrebbe procedere allo stesso modo".

Alla domanda su cosa farebbe se ci dovessero essere elezioni anticipate, il premier risponde: "Mi candiderò comunque. In caso di elezioni, vedremo se il programma del partito di Fini sarà tale da consentire di renderlo parte integrante della coalizione".

"Intanto, però, l'italia continua a essere un paese con una guida politica stabile e un esecutivo forte che poggia sul consenso della grande maggioranza degli italiani. - prosegue Berlusconi - Dopo il 2008, il mio partito ha prevalso in tutte le elezioni. Mi sono presentato pochi giorni fa alle camere con un programma per i prossimi tre anni, sul quale ho ottenuto la fiducia. Suppongo che il partito di fini continuerà a sostenere il governo", conclude.

Commentando l'intervista, il segretario nazionale del Pd, Pier Luigi Bersani, afferma: "Se Berlusconi sostiene di non aver mai chiesto il Lodo Alfano allora c'è solo una cosa che il premier oggi possa fare: chiedere il ritiro del provvedimento". "Per il resto - aggiunge Bersani - siamo alle chiacchiere finali pronunciate da chi non ha il coraggio di ammettere i propri fallimenti e scarica su nemici immaginari la propria incapacità di governare e risolvere i problemi del paese".

(22 ottobre 2010)

 

 

 

GIUSTIZIA

I paletti dei finiani sulla riforma

Alfano: "Ora la strada è spianata"

Giulia Bongiorno illustra le "forti perplessità" di Fli sulle bozze. I punti controversi sono lacomposizione a maggioranza laica del Csm, le prerogative del guardasiglli e la nuova collocazione della giudiziaria, non più alle dirette dipendenze della magistratura. Ma il ministro è soddisfatto: "L'impianto è salvo"

I paletti dei finiani sulla riforma Alfano: "Ora la strada è spianata" Angelino Alfano, ministro della Giustizia

ROMA - "Ho illustrato ai vertici di Fli lo stato attuale della riforma della giustizia, secondo le bozze che ho avuto modo di esaminare". Così la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, durante una pausa della riunione che Gianfranco Fini sta tenendo con i vertici di Fli nella sede di FareFuturo. Fli ritiene "alcuni principi già enunciati condivisibili, come quello della separazione delle carriere e del Csm. Tuttavia sono stati introdotti nuovi principi che non possiamo condividere". La Bongiorno ne elenca tre: "Le nuove funzioni e la composizione a maggioranza laica del Csm; i nuovi poteri conferiti al ministro della Giustizia; la nuova collocazione della polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura". Via libera, invece, a separazione delle carriere e del Csm.

Positivo il primo commento del ministro della Giustizia Alfano: "Mi pare che la strada principale sia spianata. Occorre ora lavorare sui viali collaterali. L'impianto della riforma", dichiara Alfano, "è condiviso perché l'impianto è carriere separate di giudici e pm e due Csm".

Durante il summit con i coordinatori regionali Gianfranco Fini, raccontano i presenti, avrebbe aperto i lavori parlando subito del nodo della giustizia. In particolare, sul lodo Alfano avrebbe sottolineato che Futuro e libertà è stato coerente, seguendo la linea indicata a Mirabello.

Di giustizia è tornato a parlare anche il premier Silvio Berlusconi, intervistato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung: "La realtà è che sono perseguitato da procure e giudici di sinistra, che strumentalizzano il loro potere per la lotta politica", ha dichiarato il presidente del Consiglio in un'intervista che sarà in edicola domani.

(21 ottobre 2010)

 

 

 

 

GIUSTIZIA

Il Lodo Alfano sarà reiterabile

Scontro sul referendum tra Pd e Idv

L'ombrello costituzionale del Lodo è legato alla carica e scatta di nuovo se il presidente del Consiglio viene rieletto nella sua carica o viene eletto presidente della Repubblica. Il segretario del Pd Bersani annuncia la volontà di puntare sulla consultazione popolare. L'ex pm: "Le firme le abbiamo raccolte noi, lui è in ritardo". Poi, in serata, smussa: "Felice di lottare insieme al Pd". I finiani dopo le proteste della loro base: "Ricordatevi di Mirabello"

Il Lodo Alfano sarà reiterabile Scontro sul referendum tra Pd e Idv Antonio Di Pietro

ROMA - La commissione Affari Costituzionali del Senato ha bocciato uno degli emendamenti dell'opposizione che stabiliva la non reiterabilità della sospensione dei processi per il capo dello Stato o il presidente del Consiglio. Questo vuol dire che l'ombrello costituzionale del Lodo è legato alla carica e scatta di nuovo se il presidente del Consiglio viene rieletto nella sua carica o viene eletto presidente della Repubblica.

Ci sono però altri emendamenti delle opposizioni sulla non reiterabilità della sospensione dei processi che devono essere ancora votati. Sono stati bocciati anche altri emendamenti dell'opposizione che chiedevano una maggioranza qualificata di una Camera per ottenere la sospensione. In questo caso sono stati bocciati i tre emendamenti che definivano il quorum più elevato per deliberare: con maggioranza assoluta, dei tre quinti o dei due terzi. Rimane quindi la possibilità per il Parlamento di concedere la sospensione del processo, anche per reati extrafunzionali, al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio con la maggioranza semplice.

Polemica tra Di Pietro e il Pd. Oltre ad allargare il fossato tra maggioranza e minoranza, il Lodo Alfano 1spacca anche l'opposizione. Che litiga su come contrastare la nuova accelerata del governo. Tutto inizia quando il segretario del Pd Pier Luigi Bersani annuncia che il suo partito darà battaglia in Parlamento 2e se la maggioranza dovesse riuscire comunque ad approvare la normativa, verrà promosso il referendum previsto dalla Costituzione.

Di Pietro ascolta e non si trattiene. "L'improvvisa folgorazione di Bersani stupisce soprattutto per la folgorante superficialità e tardività della proposta. Se, infatti, Bersani si riferisce al 'Lodo costituzionale' attualmente in discussione al Parlamento, il referendum, di tipo confermativo, è previsto dalla Costituzione ed è obbligatorio per il solo fatto che non potrà mai essere raggiunto in Parlamento il quorum di due terzi per modificare la Costituzione". Conclusione: Bersani "non ha alcun titolo per intestarsi un referendum che è previsto e voluto dalla legge".

"Se, invece, Bersani si riferisce al 'Lodo Alfano', già varato e attualmente sotto esame da parte della Corte Costituzionale, sarebbe bene - incalza il leader Idv - che qualcuno gli ricordasse che le firme necessarie per promuovere il referendum, questa volta di tipo abrogativo, sono già state raccolte questa estate dall'Italia dei Valori, ed attualmente sono al vaglio della Corte di Cassazione, mentre lui e gli altri del Pd, spaparanzati al sole, osteggiavano la nostra iniziativa. La verità è una ed una sola: che Berlusconi vuole a tutti i costi assicurarsi l'impunità per i reati di cui è accusato e noi dell'Italia dei Valori, sin dal primo giorno, lo abbiamo capito e ci siamo attrezzati per impedirlo. Ben arrivati, dunque, ai ritardatari".

La replica di Bersani. "Questa affermazione di Di Pietro non l'ho capita: io non mi approprio di niente". Così il leader del Pd ha replicato al capo dell'IdV e insiste: "Ho solo detto che faremo battaglia in Parlamento e, se non la vinceremo, andremo al referendum perché un Lodo Alfano così non è accettabile".

Di Pietro smussa. 'Noi siamo ben felici di fare il referendum contro il Lodo Alfano insieme al Pd e a chi ci vorra' stare - dice Di Pietro, al Tg3 - Ben venga che il Pd si faccia promotore di un referendum sul nuovo lodo Alfano Costituzionale"

I finiani e il Lodo. Per i finiani Flavia Perina, direttrice del Secolo, puntualizza: "La caccia all'uomo ha regalato a Berlusconi l'opportunità, per molti anni, di cavalcare l'emergenza giudiziaria e lo scudo alle alte cariche è il solo modo per chiudere questa stagione e restituire trasparenza e libertà d'azione al confronto su giustizia, legalità, rispetto delle regole". Getta acqua sul fuoco sulle proteste della base Fli anche Enzo Raisi: "Chi protesta è meglio che si lavi le orecchie. Si andassero a rivedere il discorso di Fini a Mirabello. Su questo punto le sue parole furono molto chiare. Perchè allora nessuno disse nulla?". Ma anche tra i finiani le sfumature sono diverse: "'Anche sulla riforma della giustizia dobbiamo dire la nostra e dobbiamo dirla fino in fondo: non tutto e' risolto" afferma Fabio Granata.

Mpa: "valutiamo". Lodo Alfano sotto esame anche da parte dell'Mpa, e il suo leader, Raffaele Lombardo, sottolinea: "I nostri senatori e i nostri deputati stanno valutando".

(21 ottobre 2010)

 

 

 

L'ANALISI / 1

Il vero obiettivo è azzoppare i pm

di GIUSEPPE D'AVANZO

LA riforma della giustizia è una favola buona per gli ingenui. Nei tre striminziti fogli che il ministro della Giustizia porta in giro, al Quirinale, Montecitorio, Palazzo Madama, Palazzo dei Marescialli, non c'è alcuna traccia di riforma. Nessuna correzione di ciò che è oggi storto. Nessuna cura delle criticità del sistema. "Riforma" è un eufemismo.

Consente all'Eletto di manipolare la Costituzione per rendere innocuo il pubblico ministero, la bestia nera. Il sedicente rinnovamento della giustizia non è altro che questo: l'assalto all'autonomia e all'indipendenza delle procure; il tentativo di fare del pubblico ministero non un "potere" né un "ordine" ma "un ufficio" - sarà così definito - che rappresenta nel processo le fonti di prova raccolte dalle polizie dipendenti da una mano governativa che, a sua volta, deciderà con il ministro di Giustizia "le priorità" nell'esercizio dell'azione penale. Addio articolo 112 della Carta: "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale". Liquidato l'articolo 109: "L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria".

C'è anche altro nel programma del governo: la separazione delle carriere; lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura e l'aumento della quota delle presenze politiche; il principio di responsabilità di giudici e pm; l'Alta Corte di disciplina; l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione; le eccezioni al principio di inamovibilità. Ma l'intero profilo della "riforma" non perde mai d'occhio l'azione penale obbligatoria e ha un unico focus: il pubblico ministero indipendente, che si immagina debba essere diretto per vie oblique dal governo. Sono idee che non restituiranno alcuna efficacia, alcun equilibrio, alcuna ragionevolezza all'amministrazione della giustizia. Di ben altro c'è bisogno, come da anni ripetono gli addetti.

Il catalogo delle necessità è noto. Revisione delle ottocentesche circoscrizioni giudiziarie (sono 165, potrebbero diventare 60). Riduzione dei tribunali (sono oggi 1.292). Introduzione della posta elettronica per l'esecuzione delle notifiche (cinquemila cancellieri ne consegnano brevi manu agli avvocati 28 milioni ogni anno). Depenalizzazione dei reati minori per riservare il processo penale - molto costoso - alle questioni di maggiore allarme sociale. Rinnovamento della professione forense: "più avvocati, più cause" e gli avvocati in Italia sono 230mila, 290 ogni 100 mila abitanti, contro 4.503 magistrati giudicanti in un rapporto avvocato/giudice strabiliante che demolisce il processo civile. Limitazione del ricorso in Cassazione (30 mila sentenze l'anno). E soprattutto la riforma di un processo penale che ibrida tutti i difetti dei possibili modelli (inquisitorio, accusatorio) trasformandolo in un gioco dell'oca interminabile e incoerente. Oggi gli atti dell'indagine non valgono per il dibattimento (in coerenza con la logica del processo accusatorio) però le garanzie del dibattimento sono state estese alle indagini preliminari (in contraddizione con la logica accusatoria). Così l'indagine - e non il processo - è un dibattimento anticipato mentre il rinvio a giudizio, più che essere una valutazione della necessità di un dibattimento, è diventato una sentenza sull'istruttoria (sul lavoro del pubblico ministero). Il processo ne è soffocato. La sovrabbondanza di assillanti formalismi lo disintegrano in una rosa di microprocessi. Giudizio sull'inazione (archiviazione). Giudizio sui tempi dell'azione. Giudizio sulle modalità dell'azione (misure cautelari). Giudizio sulla completezza delle indagini e sul fondamento dell'azione (udienza preliminare). Un processo, in cui ogni atto può generare un microprocesso, che richiede avvisi, notifiche, discussioni, deliberazioni e consente ripetute impugnazioni, non potrà avere mai una "ragionevole durata". Figurarsi se può essere "breve" come vuole, soltanto per amore di se stesso, Silvio Berlusconi. Non lo sarà neanche domani con la sedicente "riforma" che lo conserva labirintico, obeso, avvizzito e lunghissimo, ma vuole addomesticarlo riducendo all'impotenza un pubblico ministero che - si ipotizza nei tre foglietti di Alfano - potrebbe anche essere "elettivo" con la nomina di magistrati onorari alle funzioni di accusatore.

Ci toccherà vedere pubblici ministeri con il fazzolettone verde alla Lega al collo o, nel Mezzogiorno, pubblici ministeri imposti dalle mafie? Probabilmente no. Questa riforma non si farà mai e d'altronde riscrivendo un paio di articoli della Costituzione non si trasforma il pubblico ministero in un burocrate al servizio del governo perché "la Carta non è fatta di norme disarticolate come atomi separati. È un sistema con nessi interni" (Franco Cordero). Alla fine questa favoletta della "riforma della giustizia" servirà soltanto ad avvelenare ancora di più un clima politico già attossicato; ad alzare la posta per rendere "male minore" il via libera all'impunità del premier; a distrarre l'opinione pubblica dai clamorosi fallimenti del governo; a preparare la piattaforma della campagna elettorale del 2011. Ancora una volta e come sempre, necessità dell'Eletto e non degli elettori.

(22 ottobre 2010)

 

 

 

 

 

L'ANALISI / 2

Tutti i dubbi del Quirinale

di MASSIMO GIANNINI

Il nuovo Lodo Alfano pone "una grande questione costituzionale". Una questione che va addirittura al di là dei problemi posti dal principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, previsto dall'articolo 3 della Carta del 1948, e gravemente "vulnerato" dalla retroattività dello scudo giudiziario introdotto dall'emendamento Vizzini a beneficio del presidente del Consiglio.

Una questione che investe l'intero "impianto costituzionale". La pseudo-riforma voluta da Silvio Berlusconi per sfuggire ai suoi processi rischia di stravolgere la "forma di governo parlamentare", sancita dagli articoli 55-69. Di alterare le "prerogative del presidente della Repubblica", fissate dagli articoli 87-91. Di squilibrare i "poteri del governo", disciplinate dagli articoli 92-96. Chi in questi giorni difficili ha avuto occasione di parlare con Giorgio Napolitano, ha potuto toccare con mano la sua grande preoccupazione per questo strisciante sovvertimento del nostro "ordine costituzionale".

Sulla scrivania del Capo dello Stato c'è un dossier sul nuovo Lodo Alfano (allestito e aggiornato quotidianamente dai suoi collaboratori Donato Marra, Salvatore Sechi e Loris D'Ambrosio) in cui sono raccolti gli interventi e i contributi di giuristi e costituzionalisti. E l'attenzione del Quirinale si concentra soprattutto su questo secondo aspetto del disegno di legge che porta il nome del ministro della Giustizia. Gli "effetti costituzionali", prima ancora delle sue implicazioni processuali. Effetti potenzialmente dirompenti, in primo luogo sul piano ordinamentale, e in secondo luogo anche sul piano politico. Perché le nuove norme previste dal Lodo-bis, di fatto, avviano la trasformazione dell'Italia da "Repubblica parlamentare" a "Repubblica presidenziale", attraverso la tappa impropria e intermedia del "premierato elettivo".

Il passaggio cruciale (già segnalato dal Sole 24 Ore di domenica scorsa e descritto su questo giornale da Giuseppe D'Avanzo e Carlo Galli) è la "metamorfosi" del presidente del Consiglio implicita nella riforma costituzionale pretesa dal centrodestra. Con il nuovo Lodo il premier, in forza della legittimazione che gli deriva dall'investitura popolare sancita dall'indicazione del suo nome nella scheda elettorale, viene "elevato" di rango rispetto ai ministri del suo governo (nei cui confronti è "primus" non più "inter", ma "super pares") ed equiparato a tutti gli effetti al presidente della Repubblica. Si introduce così una forma spuria di "dualismo istituzionale" che non ha raffronti in nessun altra democrazia occidentale, e che altera l'intero meccanismo di formazione e di bilanciamento dei poteri.

Il primo Lodo Alfano, varato con legge ordinaria all'inizio della legislatura, prevedeva lo scudo processuale per le cinque "alte cariche" dello Stato: presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, presidenti delle due Camere, presidente della Consulta. La Corte costituzionale lo bocciò, con la sentenza 262 del 2009. E lo fece, sia pure riconoscendo l'interesse repubblicano al "sereno svolgimento" delle funzioni del presidente del Consiglio, stabilendo che lo stesso dovesse comunque restare sullo stesso piano dei suoi ministri, secondo l'interpretazione consolidata dell'articolo 92 della Costituzione: il presidente, organo monocratico nominato dal Capo dello Stato, non essendo definito "primo ministro" né "capo del governo" dalla carta, non è considerato in posizione di supremazia gerarchica o di "preminenza" nei confronti del Consiglio dei ministri. Inoltre, stabilì allora la Consulta, essendo il primo Lodo Alfano una legge ordinaria, non era in alcun modo "idonea a modificare la posizione costituzionale del presidente del Consiglio".

Uscì sconfitta, allora, la tesi opposta sostenuta in giudizio dall'ex avvocato difensore del premier, Gaetano Pecorella: il premier non è "sullo stesso piano dei ministri", poiché la Costituzione e le leggi "gli attribuiscono espressamente rilevantissimi poteri-doveri politici, di cui è il solo responsabile". E la conferma di queste "attribuzioni speciali" sarebbe proprio la legge elettorale vigente, che "collega l'apparentamento dei partiti politici a un soggetto che si candida espressamente per esercitare le funzioni del presidente del Consiglio".

Ora, nel secondo Lodo Alfano, questa volta di rango costituzionale secondo le procedure previste dall'articolo 138, il Pdl recupera e reintroduce nell'ordinamento proprio il "teorema Pecorella". L'esclusione dei ministri dalla copertura processuale, decisa dalla maggioranza il 29 settembre scorso, formalizza e costituzionalizza la "preminenza" del presidente del Consiglio, che lo rende "sovraordinato" rispetto ai suoi ministri (perché eletto dal popolo) e meritevole delle stesse "guarentigie" assegnate al Capo dello Stato (perché ugualmente "speciale" dal punto di vista costituzionale). Questa forzatura delle regole vigenti, bocciata dalla Consulta un anno fa perché tentata con la via semplice della legge ordinaria, diventa adesso possibile con la procedura rinforzata della legge di revisione costituzionale. Se il Lodo Alfano bis fosse approvato dalle Camere con la maggioranza dei due terzi, o se venisse approvato a maggioranza semplice ma poi ratificato dagli elettori con il referendum confermativo, il "delitto" sarebbe perfetto.

La Costituzione sarebbe stravolta, e non ci sarebbe nessuna Consulta e nessun altro organo di garanzia titolato a fermare il "colpevole". Ecco perché Napolitano osserva con una comprensibile inquietudine ciò che sta avvenendo al Senato. L'esito di questo ennesimo strappo berlusconiano è "imprevedibile", da tutti i punti di vista. Sul piano costituzionale, si profila l'avvento di un "premierato elettivo", che è molto più di una "coabitazione all'italiana" tra capo del governo e capo dello Stato. E' in realtà l'anticamera di un presidenzialismo anomalo, in cui convivono e fatalmente confliggono un presidente del Consiglio consacrato dal popolo e un presidente della Repubblica eletto dal Parlamento. E in cui fatalmente, presto o tardi, il primo sostituirà il secondo. O renderà comunque necessario un definitivo e a quel punto forzoso "consolidamento" dei due poteri in uno solo.

Nel frattempo, sul piano politico si profilano conseguenze altrettanto imprevedibili. La nuova "forma di governo" implicita nel Lodo bis, mai vista altrove, giustifica ulteriori preoccupazioni. Si pone un "caso di scuola". Se la pseudo-riforma fosse approvata anche solo dal primo ramo del Parlamento, e se si dovesse arrivare a una crisi di questa maggioranza nella prossima primavera (come qualcuno ipotizza anche dentro il Pdl) chi può escludere che il Cavaliere non userebbe proprio il principio del "premierato elettivo" implicito nel Lodo bis come una "clava" da brandire contro il Quirinale, per impedirgli di affidare l'incarico a chiunque non sia stato "votato dal popolo italiano", e per scongiurare così qualunque ipotesi di "governo tecnico"?

Eccola qui, "l'improvvida e affrettata riforma della Costituzione" denunciata su questo giornale da Carlo Galli, che dà corpo all'idea "erronea, semplificatoria, illusoria oltre che in stridente contrasto con la Costituzione, che il presidente del Consiglio sia eletto direttamente dal popolo". Ed eccolo qui, il "corollario" avvelenato di questa idea: che nella nostra Repubblica sia illegittimo qualunque governo diverso da quello guidato da chi ha ricevuto la sacra unzione operata dalla sola "divinità laica (il popolo sovrano) capace di trasformare qualitativamente l'eletto, e di conferirgli un carisma speciale".

Sembra fanta-politica. Ma non lo è affatto. Per questo, sul Colle si segue passo passo il "percorso del Lodo bis". Napolitano, per usare una formula ciampiana, è "silente ma tutt'altro che assente". La riforma lo chiama in causa direttamente, ma mai come nel caso di una legge di revisione costituzionale il presidente della Repubblica deve limitare il suo ruolo pubblico a quello di "notaio". Si spiega così il comunicato di tre giorni fa, con il quale il Quirinale ha ribadito per la seconda volta (come già aveva fatto il 7 luglio) la sua assoluta e rigorosa estraneità "alla discussione, nell'una e nell'altra Camera, di qualunque proposta di legge e di sue singole norme, specialmente ove si tratti di proposte di natura costituzionale o di iniziativa parlamentare".

Anche in questo caso, com'è ormai prassi consolidata nel settennato di Napoltano, nessuna intromissione e nessuna "moral suasion". Ma questa "neutralità" formale, ovviamente, non significa affatto conformità sostanziale. Al contrario. Sul Colle è in corso una "riflessione profonda" su ciò che sta accadendo a Palazzo Madama, e su ciò che accadrà nelle prossime settimane intorno al Lodo Alfano bis. L'auspicio del Capo dello Stato, in attesa di mettere a fuoco i modi e i tempi di un suo possibile intervento istituzionale sul tema, è che di questa riflessione si facciano carico tutti coloro che hanno a cuore i destini della Repubblica. Sarebbe paradossale se, nell'Italia troppo disincantata e assuefatta di oggi, funzionasse al contrario quello che ai tempi della Costituente, sulle macerie della dittatura fascista, fu definito "il complesso del tiranno".

(22 ottobre 2010)

 

 

Il Cavaliere e gli imbecilli

Nella intervista alla Faz Silvio Berlusconi svela un retroscena che ai più, in queste settimane, era sfuggito: "Il Lodo Alfano? Io non l’ho mai chiesto".

Davanti a questa frase una parte consistente degli italiani – e credo perfino dei lettori tedeschi – avrà l’impulso immediato di sbellicarsi dalle risa. E invece c’è poco da ridere. Perché la frase del Cavaliere, dietro la sua palese assurdità, dimostra tre cose.

Primo: Silvio Berlusconi, capo del governo italiano, considera i suoi concittadini degli imbecilli.

Secondo: tanti dei suddetti concittadini continuano a farsi trattare da imbecilli senza fiatare.

Terzo: tutti quelli che invece trasecolano per l’assurdità proferita dal premier penseranno una volta di più che i milioni che lo votano sono imbecilli.

E questo non solo fa malissimo all’Italia, ma non è neanche vero.

2010-10-21

GIUSTIZIA

Berlusconi: "Riforma pronta, vogliamo accordo"

Lodo Alfano, Bersani: "Barricate in Aula"

Il premier: il tema in Cdm fra una settimana. E poi torna all'attacco sulle intercettazioni: "Non si può più telefonare, dobbiamo rimediare". Alfano: "Nessuna ritorsione nei confronti della magistratura". Ma il Pd si mette di traverso: "Referendum, non risolviamo i problemi del premier"

Berlusconi: "Riforma pronta, vogliamo accordo" Lodo Alfano, Bersani: "Barricate in Aula" Angelino Alfano, ministro della Giustizia

ROMA - "La riforma della giustizia è praticamente pronta, stiamo cercando un accordo con tutte le forze politiche". Un Silvio Berlusconi particolarmente aperto al dialogo annuncia che la settimana prossima i controversi cambiamenti che il governo vuole introdurre nel settore giustizia sono pronti a diventare legge. Il premier dunque accelera dopo il sostanziale accordo con i finiani sul Lodo Alfano ma poi torna all'attacco sulle intercettazioni. "Io - dice a sindacati e Confindustria convocati a Palazzo Chigi per parlare di fisco - vivo con grande difficoltà che non si possa più utilizzare il telefono. E' terribile essere in un Paese in cui non puoi avere la certezza di non essere intercettato. E' qualcosa a cui dovremo rimediare". Ma sul Lodo Alfano costituzionale il Pd annuncia opposizione dura: "E' una legge inaccettabile e fare le barricate vuol dire che noi ci opporremo con tutte le forze che abbiamo in Parlamento e poi andremo al referendum perché noi non siamo disposti a risolvere i problemi di Berlusconi".

E, a proposito di giustizia, il ministro Angelino Alfano, da parte sua, dice: "Stiamo lavorando a una riforma della Costituzione che va scritta con la dovuta ponderatezza, e noi crediamo di poter portare a compimento un buon lavoro che abbia come scopo quello di rendere più giusto il processo italiano, più funzionante la giustizia, più garantiti i cittadini, autonomi e indipendenti i magistrati giudicanti e inquirenti".

Così, il giorno dopo l'approvazione dell'emendamento Vizzini che sospende i procedimenti contro le alte cariche dello Stato anche per i fatti precedenti l'elezione, il ministro risponde alle critiche dell'opposizione, che ieri aveva definito il lodo un "mostro giuridico". "La nostra riforma della giustizia non avrà nessuna istanza di ritorsione nei confronti della magistratura come la sinistra afferma pregiudizievolmente", ha aggiunto Alfano, parlando a margine dell'assemblea nazionale dell'Upi a Catania, dove è stato contestato da alcuni consiglieri provinciali, tutte donne, che hanno alzato un cartello con scritto 'vergogna'. Ma il ministro vedendo il cartello ha incitato i contestatori: "Non vergognatevi ad alzarlo".

La posizione 'coerente' di Futuro e Libertà. "Futuro e Libertà ha tenuto una posizione coerente con ciò che aveva sempre detto, ovvero la tutela e la serenità dello svolgimento delle funzioni di alcune alte cariche, un valore che è anche riconosciuto dalla Corte Costituzionale", ha aggiunto il ministro, commentando il sì dei finiani e le parole del presidente della Camera, che ieri aveva dichiarato di essere disponibile a fare la riforma della giustizia, "ma non vogliamo punire i magistrati", aveva detto Fini, aggiungendo "Non ne voteremo mai una che anziché fare l'interesse generale, si risolva in una mannaia contro di loro".

"Riteniamo di avere seguito la strada che il Parlamento aveva tracciato - ha aggiunto Alfano -, cioè una legge che ha un valore transitorio, la cosiddetta legge del legittimo impedimento, nelle more della quale si potrà approvare una legge costituzionale che affermi un principio presente in tanti altri ordinamenti stranieri".

Bocchino: "Retroattività è falso problema". "Chi ci accusa sul Lodo Alfano non ha approfondito: essendo la norma a tutela della serenità delle funzioni, è un falso problema. La tutela alle alte cariche va data. Noi l'abbiamo sempre detto: dobbiamo garantire la serenità della funzione". Italo Bocchino, capogruppo di Fli alla Camera, ha spiegato così, a "Omnibus" su LA7, le ragioni del 'sì': "Ora guardiamo alle riforme vere - ha continuato - dove trovare una convergenza".

Casini: "Non ci piace, ma quasi inevitabile". Lo scudo retroattivo "non ci piace per nulla, è un errore anche politico, però è un'anomalia italiana per cui realisticamente bisogna prendere atto che la soluzione del Lodo Alfano comportava quasi inevitabilmente questa fattispecie giuridica". Il leader Udc Pier Ferdinando Casini, ospite di '28 minuti' su Radio2, ha spegato le motivazioni che hanno spinto il suo partito ad astenersi dalla votazione. "La nostra astensione - ha aggiunto - è il tentativo di lanciare un ponte tra maggioranza e opposizione per evitare che questa dissennata delegittimazione giudiziaria reciproca continui. Mi auguro che il Lodo Alfano serva a rendere più sereno il clima politico: dei segnali ci sono stati, l'elezione di vietti al Csm col voto unanime di togati e di uomini politici di destra e di sinistra, l'elezione di bongiorno. C'è qualche segnale che anche sulla giustizia si può seguire un'altra strada, una strada di ragionevolezza, di responsabilità e di dialogo reciproco".

(20 ottobre 2010)

 

 

 

IL RETROSCENA

Berlusconi: a gennaio la conta

"Fini non romperà adesso

Il Cavaliere prende tempo: "Si arriva a fine legislatura solo se il governo supera i primi mesi del 2011". Bossi vuole chiarezza: "Così è una palude". In cantiere i "team della libertà" pronti alla campagna elettorale di FRANCESCO BEI

Berlusconi: a gennaio la conta "Fini non romperà adesso

ROMA - "Fini non mi preoccupa: una cosa è Fini, un'altra sono i finiani. La maggioranza del suo gruppo non voterebbe mai contro di me". Silvio Berlusconi torna sulla scena. Dopo dieci giorni di riposo tra Arcore e la Sardegna ("sono stati Marina e Pier Silvio a costringermi, hanno insistito"), il Cavaliere presiede il vertice del Pdl e si riparte sempre da lì, dal rapporto con il presidente della Camera. Berlusconi spera di aver guadagnato tempo: "I conti veri con Fini si faranno a gennaio, quando si capirà se proveranno a fare un governo tecnico. Fino a dicembre non daranno problemi. Ma, se superiamo anche lo scoglio di gennaio-febbraio, possiamo davvero arrivare a fine legislatura".

Gli ultimi passaggi parlamentari hanno convinto infatti il premier che, dopotutto, una temporanea convivenza con Futuro e Libertà sia possibile. E che le elezioni non siano necessariamente dietro l'angolo. "Parlano i fatti: i numeri delle ultime votazioni sull'autorizzazione a procedere per Lunardi e sul collegato Lavoro - nota Sestino Giacomoni, uno dei collaboratori di Berlusconi - ci dicono che il governo sta sopra di una settantina deputati".

A Berlusconi hanno raccontato che almeno 7-8 deputati finiani in realtà mantengono una doppia fedeltà. Formalmente appartengono a Fli, ma il loro cuore batte ancora per Silvio. "E quindi noi andiamo avanti su tutto, partendo dalla riforma del fisco. Non c'è nessuna preoccupazione, stiamo rispettando tabella di marcia". Un

ottimismo che si è un po' appannato ieri, dopo un colloquio telefonico che il Cavaliere ha avuto con Umberto Bossi, quando il Senatur lo ha invitato a uscire rapidamente dalla "palude", altrimenti "non ha più senso andare avanti". Anche tra i parlamentari del Pdl sta crescendo l'area del disagio. Due sere fa, a cena vicino all'Ara Pacis, si sono ritrovati una trentina di senatori. C'erano tra gli altri Lamberto Dini, Ombretta Colli, Andrea Augello, Massimo Baldini, Piergiorgio Massidda. Si è parlato della necessità di una "svolta". Senza nemmeno escludere, in caso di rottura tra il premier e i finiani, un sostegno a un governo tecnico che porti avanti la legislatura. Oggi alcuni rappresentati di questa "area grigia" saranno ricevuti a palazzo Grazioli, ma anche alla Camera tira una brutta aria. Tanto che una decina di deputati Pdl avrebbero iniziato a guardare con interesse a Fli.

Come i giorni che precedono una battaglia, si respira una strana atmosfera di calma irreale. "Abbiamo bisogno anche noi di tempo per scavallare l'anno - si osserva nel quartier generale di Fini -, poi nel 2011 ci divertiamo". Il premier, in ogni caso, non si farà trovare impreparato. "Bisogna sempre essere pronti a combattere", osserva Denis Verdini. Non a caso proprio Verdini ieri ha illustrato la mastodontica macchina da guerra dei "Team della libertà" che sta mettendo in piedi a via dell'Umiltà. Un esercito di venditori porta a porta, che sarà reclutato tra i circa due milioni di persone che, magari una sola volta nella vita, si sono affacciati a un gazebo di centrodestra. Gli ultimi dati sono giunti ieri sul tavolo del Pdl: 70 mila difensori del voto di Mantovani, 40 mila promotori della libertà della Brambilla, 150 mila simpatizzanti della Santanché.

Berlusconi ieri ha citato anche gli ultimi sondaggi di Alessandra Ghisleri. "La mia fiducia è sopra al 60 per cento, quasi un miracolo in questa situazione. Il Pdl è calato sotto il 30 ma dovete tenere conto che è aumentato molto il numero degli indecisi: dal normale 25-27 per cento al 40%. In realtà, con un po' di campagna elettorale, arriveremo al 35%". Ecco, la campagna elettorale. Berlusconi tiene costantemente sotto controllo la forza di Fli. "I focus group dicono che, se a rompere saranno i finiani, noi vinceremmo sicuramente le elezioni". Spazio quindi al suo look da battaglia: "Sono ingrassato - ha scherzato con un amico - mi sento un po' vecchietto. Ma se andremo alle elezioni ti prometto che dimagrirò 10 chili". Anche se la paura che il consenso nei suoi confronti e nei confronti del Pdl non sia più lo stesso, ormai lo perseguita da settimane. Una condizione cui vuole porre rimedio rapidamente.

(21 ottobre 2010)

 

 

 

 

IL CASO

L'Idv denuncia: "Calderoli si dimetta

ha abolito un reato per salvare 36 leghisti"

Secondo Donadi, capogruppo del partito di Di Pietro, il ministro ha mentito "al Parlamento perché in un question time aveva detto che l'estinzione della norma sul reato di associazione militare, di cui erano accusati i militanti del Carroccio, era un errore materiale e lo avrebbe cancellato"

L'Idv denuncia: "Calderoli si dimetta ha abolito un reato per salvare 36 leghisti" Antonio Di Pietro

ROMA - Mozione di sfiducia dell'Italia dei valori per il ministro della Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli, che "ha mentito" sul lodo 'salva Lega', ovvero sulle norme che cancellano il reato di associazione militare per scopi politici, che entrate in vigore lo scorso 8 ottobre hanno determinato l'estinzione del processo a carico di 36 leghisti 1.

"Il 3 ottobre il ministro della Difesa, attraverso il portavoce, - racconta Donadi - rilascia una nota stampa nella quale dice che l'inserimento del reato di associazione militare tra quelli da abrogare è un errore materiale e che il suo ministero si attiverà immediatamente per ottenere la rettifica in Gazzetta Ufficiale". A quel punto l'Idv nella stessa data presenta una richiesta di rettifica, ma arriva l'8 ottobre e il governo non fa nessuna rettifica, per cui la norma entra in vigore e il reato viene abrogato. Il ministro della Difesa è stato perciò politicamente ingannato dal ministro Calderoli".

"Inoltre - continua Donadi - il consigliere Vito Poli, con un documento ufficiale del Consiglio di Stato, fa sapere che nel testo licenziato dalla commissione scientifica da lui presieduta questo reato non c'era, è stato inserito dopo al ministero della Semplificazione. Quindi -secondo il capogruppo Idv- una manina lesta lo ha inserito in un secondo tempo".

"E' una vera 'porcata ministeriale' - denuncia Donadi che annuncia anche la presentazione di un esposto alla magistratura -, Calderoli ha mentito al Parlamento e agli italiani in diretta tv durante il question time alla Camera ed è probabilmente lui la 'manina' o l'ispiratore della manina che ha inserito il provvedimento nel testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e che poi ha bloccato la rettifica che era stata proposta dal ministero della Difesa".

Proprio in ragione della mancata rettifica e, quindi, del cosiddetto 'favor rei', nota Donadi, i leghisti che avevano in corso un processo a Verona "la faranno franca, alla faccia dell'art. 18 della Costituzione che proibisce le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare". Secco il commento del presidente Idv, Antonio Di Pietro: "Non è vero che le leggi ad personam vengano fatte e servano soltanto al presidente del Consiglio, sono fatte e servono anche alla Lega. C'è una vera 'coalizione a delinquere' che ha inventato un nuovo sistema per agire: la via legislativa".

Ma Calderoli replica: "Invito i colleghi dell'Idv ad andarsi a rileggere gli atti parlamentari da cui si evince la mia totale estraneità e non responsabilità rispetto a quanto mi si contesta. Vorrei ricordare a idv che riguardo alle accuse che mi rivolge ho già risposto in maniera esaustiva nel corso dell'ultimo questione time alla camera mercoledì scorso".

(20 ottobre 2010)

 

 

 

IL CASO

Lodo Alfano, rivolta dei finiani sul web

"Che fine ha fatto il tema della legalità?"

I sostenitori di Fli delusi dal doppio voto su "salva premier" e Lunardi. Centinaia di messaggi di protesta su Fb. Presa d'assalto la pagina del direttore di "Farefuturo". Filippo Rossi risponde: "Li capisco tutti, ma i tempi della politica sono diversi da quelli della piazza telematica" di PASQUALE NOTARGIACOMO

Lodo Alfano, rivolta dei finiani sul web "Che fine ha fatto il tema della legalità?" Gianfranco Fini e Angelino Alfano

ROMA - Sarà anche vero, come affermano in queste ore gli esponenti finiani, che il sì al lodo Alfano era già stato annunciato, ma ai sostenitori di Fli il voto a favore 1 nella commissione Affari Costituzionali del Senato non è proprio andato giù. Pesa la norma sulla retroattività inserita nel testo da un emendamento del relatore Vizzini. Pesa anche di più che, sempre ieri, la Camera abbia respinto 2, anche con i voti dei finiani, la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro Lunardi.

Così la delusione dei fan del presidente della Camera ha trovato sfogo su Facebook. I destinatari delle lamentele sono i soggetti che hanno convogliato in questi mesi l'interesse dei sostenitori nei confronti di "Futuro e Libertà": innanzitutto la Fondazione "Farefuturo" (vicina al presidente della Camera), e anche "Generazione Italia", del fedelissimo Italo Bocchino.

La protesta su Farefuturo. Il più bersagliato è Filippo Rossi, direttore del web magazine di "Farefuturo". Sulla sua pagina Facebook si è scatenata da ieri sera la delusione di chi si sente tradito. Centinaia di messaggi con lo stesso filo conduttore. "Che fine ha fatto la questione della legalità?" è la domanda più ricorrente. E ancora: "Che senso ha allora Futuro e Libertà?", "Se Fini appoggia il lodo Alfano retroattivo", scrive allarmato Adriano, "ch'è una bestemmia nel diritto, si gioca tutta la sua credibilità! Siamo al Burlesque!!!". Alcuni sostenitori arrivano a mettere in discussione l'esistenza stessa del nuovo soggetto politico dopo il doppio voto di ieri. "Valeva la pena farsi massacrare per tre mesi sulla casa di Montecarlo per poi cancellare il processo a carico di Lunardi?", scrive Angelo.

La prima risposta di Rossi non spegne le polemiche: "Su Lunardi sono perplesso come Granata. Sul Lodo è quello che i finiani hanno sempre detto. Si può non essere d'accordo e lo capisco. Ma non c'è novità". Le polemiche non si spengono nei 97 commenti che seguono: "Fini è un quaquaraquà", dice Giuseppe, uno dei più delusi, "ma questa non è una novità, è storia". Gli fa eco Alessandro: "Quasi quasi dimenticavo che siete alleati di Berlusconi da vent'anni, e anche tuttora". "Il sogno è durato poco", scrive Antonio, "siete la stessa pasta, solo due marche diverse".

L'editoriale di Rossi. Le proteste continuano anche questa mattina e costringono il direttore di Farefuturo a un editoriale sulla questione. Titolo del corsivo: "Ma il berlusconismo non può finire per via giudiziaria". "Considero il lodo Alfano un atto doveroso (e faticoso)", attacca Rossi, di realismo politico, di responsabilità". "Perché qualsiasi rifondazione", spiega il direttore del webmagazine nel passaggio più delicato, "del sistema politico italiano non può passare per un virtuale ma pericolosissimo 'piazzale Loreto'". Un parallelismo "ardito" tra i guai giudiziari del premier e la fine del regime fascista. In coda poi Rossi riporta alcuni dei commenti più critici per farsi, almeno un po', "portavoce di chi ci segue". Le critiche non si fermano. "La legge non può finire per via berlusconiana", è la risposta per le rime di Giacomo. Quasi incredulo Piero: "Ma stai scherzando??? e l'articolo 3 della costituzione??? lo sospendiamo "senza enfasi"?". Mentre c'è chi la butta sul calcistico: "Lasciamo stare", chiosa Gigi, "ieri è stata una giornata nera, ha pure perso la Roma...". "Li capisco tutti", dice Rossi a Repubblica.it. "Oltre ai messaggi su Facebook abbiamo ricevuto anche molte lettere che stiamo pubblicando, ma a volte i tempi della politica sono più lenti di quelli della piazza telematica".

Polemiche anche su Generazione Italia. Ha il suo daffare anche Gianmario Mariniello, responsabile di "Generazione Italia", per moderare i commenti sulla sua pagina. "Amici", scrive, "sul Lodo Alfano ci eravamo sempre detti favorevoli... E su Lunardi la partita è solo stata rinviata in attesa che in Aula arrivino tutte le carte dal Tribunale...". "Sarà", dice Jodit, "ma insieme sono indigesti, una pesantezza insopportabile". Mentre Matteo scrive: "Avresti dovuto vedere ieri la gente come mi attaccava sulla pagina di Generazione Italia semplicemente dicendo di temporeggiare e di capire bene che cosa fosse stato approvato". Mentre più d'uno con una buona dose di realismo politico scrive: siamo solo alla prima mossa di una partita a scacchi tra Fini e Berlusconi. Sarà anche così, ma l'impressione è che la prima mossa del presidente della Camera non sia piaciuta per niente ai suoi sostenitori.

(20 ottobre 2010)

L'UNITA'

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.unita.it/

2011-08-02

G8, la Camera salva Verdini

su Milanese via libera ai pm

Verdini

Prima della pausa estiva, la Camera chiude una parte della vicenda che riguarda Marco Milanese. L'aula, accogliendo all'unanimità il parere della Giunta per le autorizzazioni, ha detto sì, con due distinte votazioni, all'uso dei tabulati telefonici e all'apertura delle cassette di sicurezza.

I magistrati napoletani potranno quindi verificare il tracciato delle conversazioni fatte dal deputato del Pdl con due schede telefoniche (una Tim e una Wind), entrambe intestate al ministero dell'Economia quando collaborava con Tremonti, per verificare i suoi rapporti con la Guardia di Finanza nel periodo compreso tra il primo gennaio del 2010 e il primo maggio del 2011.

Quanto alle cassette di sicurezza, dislocate in diverse agenzie del Credito Artigiano, il pubblico ministero del Tribunale di Napoli, Vincenzo Piscitelli, nella sua domanda inviata alla Camera lo scorso 7 luglio, ha scritto che "vi è fondato motivo per ritenere" che in esse "possano trovarsi beni e valori di provenienza delittuosa che come tali vanno necessariamente sequestrati".

Milanese oggi è stato alla Camera fin dalla mattina per il voto sulle missioni all'estero. Era seduto tra i banchi del Pdl al momento del voto sul suo caso, dopo il suo intervento in cui si è detto "innocente" e ha annunciato l'intenzione di sporgere querela contro chi lo accusa.

Rimandata a settembre, invece, la questione della richiesta di arresto. La Giunta su questo ancora non si è espressa. L'organismo presieduto da Pierluigi Castagnetti (Pd) tornerà a riunirsi dal 12 settembre e dovrà esprimere un parere entro il 16. Il caso è già stato calendarizzato per l'aula nella terza settimana di settembre, nei giorni tra il 19 e il 23.

Subito dopo il voto della Camera con il quale la procura di Napoli è stata autorizzata all'apertura delle cassette di sicurezza e all'acquisizione dei tabulati telefonici di Marco Milanese, il deputato tramite il suo difensore Bruno La Rosa ha chiesto formalmente al pm di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al 'gruppo Viscionè dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese". L'ex consigliere di Tremonti inoltre, sempre secondo quanto riferito dal difensore, ha anche dato l'immediata disponibilità all'apertura delle cassette di sicurezza. La Camera dei deputati ha invece negato l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni che riguardano Denis Verdini, deputato Pdl, per l'indagine relativa agli appalti del G8. Favorevoli 301, contrari 278, 3 astenuti.

2 agosto 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-30

Tremonti, difesa imbarazzata

"Temevo di essere pedinato..."

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"Io prima di fare il ministro dichiaravo al fisco 5 milioni, 10 miliardi di vecchie lire all'anno. Devo dire che do in beneficenza più di quanto prendo come parlamentare. Non ho bisogno avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani. Non ho casa a Roma non me ne frega niente, non faccio vita di salotti". Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo a Uno mattina. "Forse avrei dovuto essere più attento, ma se devi lavorare in questo modo... Gestire il terzo debito ti impegna abbastanza. Ma se ci sono stati illeciti la magistratura procederà. Se ci sono stati appalti commissariamo tutto, abbiamo già commissariato una società e lo rifaremo se serve".

Errori si', illeciti mai. Cosi' Giulio Tremonti interviene sulla vicenda dell'affitto della casa messa a disposizione a Roma dal parlamentare Marco Milanese, che ha detto di aver ricevuto dal ministro dell'Economia pagamenti di 1.000 euro alla settimana in nero. E lo fa con una lettera al Corriere della Sera di replica all'editoriale di ieri di Sergio Romano.

''Signor direttore, ambasciatore Romano, rispondo in questo modo anche ad una legittima pubblica richiesta di chiarimento'', esordisce il responsabile del dicastero dell'Economia, il quale parlando dell'appartamento offertogli dall'ex consigliere indica che ''in contropartita della disponibilita' di cui sopra, basata su un accordo verbale revocabile a richiesta, come appunto poi e' stato, ho convenuto lo specifico conteggio di una somma a titolo di contributo, pagato via via per ciascuna settimana e calcolata in base alla mia tariffa giornaliera' di ospitalita' alberghiera''.

Tremonti aggiunge che ''all'inizio avevo pensato a un diverso contratto, che ho poi escluso per ragioni personali'', ''la ragione del tutto non era di convenienza economica ma di privacy''. ''Comunque nessun 'nero' e nessuna irregolarita' - sostiene -. Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini - argomenta - non era infatti dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento''.

Riguardo poi alla disponibilita' del contante, il ministro spiega di ricevere in contanti il suo compenso di ministro, pari a circa 2.390 euro al mese che, rispetto ai 4.000 euro dell'affitto mensile comporta una differenza di circa 1.600 euro, della quale puo' disporre perche' percepisce ''un reddito annuale molto elevato''.

''Pur avendo ora interrotto l'attivita' professionale, ho accumulato titolarita' di altri redditi - prosegue -. E' tutto tracciato e tracciabile''. ''Ho commesso illeciti? Per quanto mi riguarda sicuramente no. Ho fatto errori? Si' certamente'', sostiene il numero uno dell'Economia citando il fatto di non aver lasciato prima l'immobile. ''Con il 'senno di poi'- conclude Tremonti - ripeto, ho sbagliato''.

29 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-29

"Ladri di giustizia": 'processo lungo' sì del Senato

Famiglia Cristiana: "La mafia ringrazia"

L'Aula del Senato ha approvato la questione di fiducia posta dal governo sul ddl che prevede l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo in cui è stata inserita la norma sul cosiddetto processo lungo. I sì sono stati 160, i no 139. Il ddl torna ora all'esame della Camera.

PROCESSO 'LUNGO', PROTESTA IN AULA: VIDEO

 

Famiglia Cristiana: "La mafia ringrazia"

"Processo lungo, la mafia ringrazia". Così Famiglia Cristiana titola un editoriale online in cui il magistrato Adriano Sansa commenta l'approvazione al Senato, con la fiducia posta dal governo, del provvedimento che secondo il settimanale cattolico "farà danni agli onesti e un favore alla mafia". "A chi giova? A chi vuole tirare in lungo il processo - scrive Famiglia Cristiana -: finalmente la verità. Il processo breve era una menzogna, perchè significa la morte anticipata della procedura. Qui almeno si dice chiaramente l'obiettivo"

 

Bagarre alla Camera dopo il voto, le opposizioni insorgono. Secondo il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, il provvedimento va "nella direzione opposta rispetto all'Europa". "Il Csm - ha aggiunto Vietti, parlando con i giornalisti stamani a Torino - ha presentato una risoluzione con le proprie valutazione su tali provvedimenti, che sono molto critiche. Abbiamo valutato di non votarlo su richiesta di alcuni componenti laici per consentire un miglior approfondimento; prendiamo atto che il Governo non ha voluto fare lo stesso". Entrando nel merito, Vietti, che ha parlato a margine della cerimonia del cambio del comandante della Legione Carabinieri del Piemonte e della Valle d'Aosta, ha precisato che "le posizioni del Csm nei confronti dei provvedimenti sono molto critiche sotto il profilo delle sue ricadute sulla durata dei processi". "Siamo tutti impegnati in modo prioritario ad accelerarli - ha aggiunto - anche per tenere il passo con l'Europa. Questi provvedimenti - ha concluso - vanno esattamente nella direzione opposta".

COSA PREVEDE IL "PROCESSO LUNGO"?

Il testo sul cosiddetto processo lungo accorpa i due articoli che erano stati messi a punto dalla commissione Giustizia del Senato che aveva inserito, rispetto al testo uscito dalla Camera, le norme bollate dall'opposizione come "ad personam" ossia volte a favorire il premier nelle sue vicende giudiziarie.

Il ddl modifica alcuni articoli del codice di procedura penale (articoli 190, 238 bis, 438, 442 e 495) in materia di giudizio abbreviato e di delitti punibili con la pena dell'ergastolo. La norma pomo della discordia prevede la possibilità per la difesa di presentare lunghe liste di testimoni a testimoniare in un processo e stabilisce che non si può più considerare come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato di un altro procedimento. Anche se il testo del governo precisa che questa norma non vale ad esempio per i processi di mafia e terrorismo. Rimane poi la misura presente già nel testo approvato alla Camera, che dà il nome alla legge.

Si stabilisce che per chi è condannato al carcere a vita non ci sarà più la possibilità, avvalendosi del giudizio abbreviato, di avere la sostituzione dell'ergastolo con la condanna a 30 anni di carcere. Il testo del governo recepisce un emendamento del relatore Roberto Centaro che prevede per i condannati all'ergastolo per reati di strage e per sequestro di persona, qualora vi sia stata la morte del sequestrato, una stretta di quei benefici di cui i condannati potranno usufruire solo dopo aver scontato 26 anni di carcere. Le norme contenute nella legge si applicano ai processi in corso, tranne quelli già chiusi in primo grado. Il testo del governo precisa, a scanso di equivoci, che la legge entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

29 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

Governo, fiducia su processo lungo

Il Pd: "Irresponsabili"

finocchiaro primo piano 304

Il governo ha posto la fiducia sul ddl del 'processo lungo'. Lo ha annunciato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito nell'Aula del Senato al termine della discussione generale sul provvedimento. La seduta è stata immediatamente sospesa per consentire la riunione della Conferenza dei Capigruppo di palazzo Madama.

"Se il governo si assume la grave resopnsabilità di mettere la fiducia su un provvedimento di natura parlamentare come quello sul processo lungo, è necessario che il neoministro della Giustizia Nitto Palma venga subito in Senato a spiegare il perchè. Una decisione del genere, assolutamente ingiustificata, non si spiega se non con la necessità di salvare il Presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del Presidente del Consiglio, Berlusconi". Lo afferma la Presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. E continua: "In una situazione del Paese gravissima, testimoniata anche oggi dalle notizie sulla Borsa in cui servirebbe un clima politico positivo e costruttivo, ci troviamo invece di fronte a un governo e una maggioranza di irresponsabili che, per gli interessi di un premier disperato, ancora una volta umiliano il Parlamento, la Giustizia, il nostro Paese".

Anche il presidente della Repubblica è intervenuto sul tema della giustizia: "La questione del sovraffollamento nelle carceri è un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile", ha dichiarato il capo dello Stato intervenendo al convegno organizzato da Marco Pannella e dai Radicali sul tema delle carceri, che si svolge a Palazzo Giustiniani.

28 luglio 2011

 

 

Milanese, primo sì della Camera

per cassetta sicurezza e tabulati

marco milanese deuptato pdl box

Primo sì dalla Camera alla richiesta dei pm di aprire le cassette di sicurezza sequestrate al deputato del Pdl Marco Milanese e all'utilizzo dei tabulati telefonici per ricostruire i suoi rapporti con la Guardia di finanza.

La Giunta per le auotorizzazioni di Montecitorio ha deciso all'unanimità di proporre all'aula il sì alla richiesta della magistratura napoletana. Il deputato pdl, su cui pende anche una richiesta di arresto, è oggi presente in Giunta per essere ascoltato dall'organismo parlamentare presieduto da Pierluigi Castagnetti.

28 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-21

P4, sì della Camera all'arresto del Pdl Papa

alfonso papa box

MARONI VOTA SI'

Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha votato sì all'arresto di Alfonso Papa, come del resto annunciato dalla Lega. Maroni, seduto tra i banchi del suo gruppo, ha dato modo ai giornalisti che assistevano dall'alto di vedere che il suo dito premeva il tasto sinistro del suo scranno, quello per il sì. Anche altri deputati del Carroccio, ma non tutti, hanno fatto lo stesso gesto, incluso il capogruppo Marco Reguzzoni, che però a tratti ha tenuto la mano davanti alla pulsantiera, in maniera da coprirla.

DEPUTATI PDL IN LACRIME

Alcuni deputati sono usciti dall'aula della Camera in lacrime commentando: "Che schifo che vergogna". Il premier insieme ad alcuni ministri si è riunito nella sala del Governo.

PAPA ESCE DALL'AULA

Ha gelato l'aula della Camera il sì all'arresto di Alfonso Papa. Nessuno, nè dai banchi della maggioranza nè da quelli dell'opposizione, ha proferito parola, nè tantomeno ha applaudito. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha battuto la mano sul tavolo, facendo una smorfia di disappunto. Il primo ad alzarsi in piedi e ad uscire dall'aula è stato proprio il parlamentare del Pdl inquisito, cui è andato incontro il collega Renato Farina, che gli ha messo una mano sulla spalla e lo ha accompagnato fuori dall'aula.

SI' ALL'ARRESTO DI PAPA

Con 319 sì la Camera ha dato il via libera all'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa. I contrari sono stati 293.

FINI: IL VOTO SARA' SEGRETO

L'Aula della Camera voterà a scrutinio segreto sulla richiesta di arresto di Alfonso Papa. Lo ha comunicato all'Assemblea di Montecitorio il presidente Gianfranco Fini.

CICCHITTO CONFERMA VOTO SEGRETO

Il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha respinto la richiesta di rinunciare al voto segreto avanzata da Udc e Pd. "Su questi temi - ha detto - non c'è vincolo di partito. Ogni parlamentare deve essere libero con la sua coscienza". Il suo intervento è stato accolto da una standing ovation di tutto il gruppo del Pdl. Immobile la Lega.

FRANCESCHINI CHIEDE STOP A VOTO SEGRETO

"Chiediamo di ritirare la richiesta di voto segreto. La Lega si associ alla nostra richiesta": lo ha detto nell'Aula della Camera il capogruppo del Pd Dario Franceschini, riferendosi alla votazione sull'arresto di Alfonso Papa. Franceschini si è associato all'analoga richiesta avanzata dal leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini.

CASINI: RITIRATE IL VOTO SEGRETO

Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, ha chiesto al Pdl e ai Responsabili di ritirare la richiesta di voto segreto sull'arresto di Alfonso Papa in Aula alla Camera. "In queste ore - ha detto Casini - fuori da qui siamo definiti da tutti come una casta. Le ragioni di chi voterà sì o no all'arresto hanno eguale dignità. Vorrei solo che questa sera ciascun parlamentare andando via potesse guardare con dignità gli elettori e Papa. Per questo chiedo al capogruppo del Pdl e a Moffa di consentire che il nostro voto non sia sintomo di autotutela della casta ma espressione di libertà e saremo tutti più forti".

PAPA PARLA, IL PREMIER APPLAUDE

Alla fine dell'intervento di Alfonso Papa, nell'Aula della Camera, dove si vota sul suo arresto, Silvio Berlusconi applaude il suo deputato. L'intervento di Papa viene applaudito anche dal Pdl e dai ministri seduti ai banchi del governo. Da segnalare che Roberto Maroni è stato seduto per tutto il tempo tra i banchi della Lega.

BERLUSCONI OSTENTA OTTIMISMO

"Sono ottimista". Risponde così il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, ai cronisti che a Montecitorio gli chiedono un pronostico sul voto dell'aula sulla richiesta d'arresto per Alfonso Papa, deputato del Pdl.

PAPA: HO DETTO AI MIEI FIGLI, POTREI NON TORNARE A CASA

MI affido a giudizio della Camera. Ho spigato ai miei figli che non potrei tornare a casa. Non ritengo dover fare appello alla difesa del Parlamento, perchè sono innocente ed estraneo nel merito a tutte le accuse. Davanti alla mia coscienza, a dio, agli uomini, ritengo che la verità non abbia bisogno di difensori, ma si manifesta da sè nel tempo". Lo ha detto Alfonso Papa (Pdl), parlando in Aula alla Camera. "Mi affido al giudizio dell'Aula", ha affermato.

LA LEGA: VOTIAMO PER L'ARRESTO

"La Lega voterà a favore dell'arresto di Papa". Lo ha detto in aula alla Camera la deputata del Carroccio Carolina Lussana. "Se si è giunti a questo risultato - ha aggiunto l'esponente leghista - è grazie all'atteggiamento della Lega nella Giunta per l'autorizzazione". La Lussana ha anche condannato l'istituto della carcerazione preventiva", lamentando anche la mancanza del 'giusto processò, auspicando "he si vada avanti con le riforme, anche e soprattutto per quanto riguarda la responsabilità civile dei giudici".

VOTO A SCRUTINIO SEGRETO

La votazione sulla richiesta di arresto per Alfonso Papa avverrà a scrutinio segreto. Il presidente dei deputati 'responsabilì, Silvano Moffa, ha infatti annunciato in Aula alla Camera di avere depositato la richiesta in presidenza. L'annuncio è stato accolto dalle proteste dei deputati dell'opposizione che hanno gridato: "Vergogna", "Lo state salvando".

ARRIVA BERLUSCONI

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è giunto alla Camera dove sono iniziateb le dichiarazioni di voto in aula sulla richiesta di arresto preventivo per il deputato Alfonso Papa. Al suo arrivo il premier non si è recato nell'Emiciclo ma si è chiuso nella sala del governo insieme ad alcuni esponenti della maggioranza.

BANCHI DEL GOVERNO SEMIVUOTI

Banchi del governo semivuoti in aula alla Camera, dove si sta esaminando la richiesta di arresto nei confronti di Alfonso Papa, coinvolto nello scandalo P4. Ci sono i ministri Stefania Prestigiacomo, Mara Carfagna, Renato Brunetta e Gianfranco Rotondi, e i sottosegretari Eugenia Roccella, Bruno Cesario, Francesca Martini e Luca Bellotti. Atteso il premier Silvio Berlusconi, ancora a Palazzo Grazioli.

IL PDL: NON CI SONO REQUISITI PER ARRESTO

"Per chi come me è stato ingiustamente in carcere, ospite del 'Grand Hotel Poggiorealè, quella della libertà personale è questione da affrontare con sensibilità e senza urlare. Per me, dopo aver letto tutta la documentazione, non sussistono i requisiti per l'arresto di Papa". Lo ha detto nell'Aula della Camera Amedeo Laboccetta del Pdl.

BOSSI ANCORA NON E' IN AULA

Umberto Bossi assente, Roberto Maroni presente: a quaranta minuti circa dall'avvio del dibattito sulla richiesta di arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa in Aula Camera il leader della Lega non si è ancora palesato tra i banchi del governo mentre il ministro dell'Interno, cui molti ritengono fare capo una nutrita pattuglia di deputati del Carroccio, è arrivato pochi minuti dopo l'inizio della discussione. Maroni tuttavia non si è seduto tra i banchi del governo: ha preso posto nell'Emiciclo, tra i colleghi leghisti.

L'IDV A PAPA: CHIEDI TU IL VOTO PALESE

Italia dei valori ha rivolto in aula alla Camera "un appello" ad Alfonso Papa, "deputato ed ex magistrato", affinchè sia lui stesso a chiedere esplicitamente un voto palese dell'aula sulla richiesta di arresto nei suoi confronti. La richiesta è stata fatta dal portavoce di Idv Leoluca Orlando con un intervento sull'ordine dei lavori, accompagnato da brusii e malumori del centrodestra. E con richiamo del presidente della Camera Gianfranco Fini perchè "intervento di merito non previsto, più che sull'ordine dei lavori". Orlando, seppure confondendo al microfono il voto palese con quello segreto, ha inoltre messo agli atti che in caso di voto segreto il voto dei deputati Idv a favore dell'arresto "sarà comunque riconoscibile". Deputati dipietristi e democratici, infatti, si sono impegnati a votare tutti solo con l'indice della mano sinistra con il quale è impossibile raggiungere il bottone da premere per dire no all'arresto.

FRANCESCHINI: VOTEREMO CON INDICE SINISTRO ALZATO

"I deputati del Pd voteranno con l'indice della mano sinistra". È la tecnica a prova di trasparenza di voto che il capogruppo Pd Dario Franceschini annuncia in vista del voto della Camera sulla richiesta di arresto per il deputato Pdl Alfonso Papa. Votando con l'indice sinistro, mima Franceschini in Transatlantico ai cronisti, è impossibile non schiacciare un unico tasto, quello a favore dell'arresto.

I RESPONSABILI CHIEDERANNO VOTO SEGRETO

Saranno i deputati Rresponsabili a presentare al presidente della Camera, Gianfranco Fini, la richiesta di voto segreto sull'autorizzazione all'arresto di Alfonso Papa (Pdl). La richiesta è pronta e ha in calce le firme dei deputati di Popolo e territorio, più il deputato del gruppo Misto Mario Pepe. Piccolo diverbio, però, sul finale. Uno dei 29 parlamentari Responsabili, Michele Pisacane, ha cancellato la sua firma: "È stata messa da un altro - si lamenta - ma che modo è questo?". La trentesima firma necessaria a presentare la richiesta di voto segreto, comunque, sarebbe in arrivo. "Qualcuno lo troveremo", dice ottimista Pepe.

INIZIA LA SEDUTA, PAPA ARRIVA IN RITARDO

Alfonso Papa è arrivato leggermente in ritardo ed ha preso posto al suo banco da deputato.

È iniziata alla Camera poco dopo le 16 la discussione della richiesta di arresto di Alfonso Papa. La relazione è affidata a Federico Palomba dell'Idv, che ha presentato all'Aula la proposta della giunta per le Autorizzazioni di concedere il via libera alla custodia cautelare. La votazione è attesa dopo le 18. All'inizio della seduta, il presidente Gianfranco Fini ha comunicato che vi sono 66 deputati in missione.

Si avvicina il voto alla Camera sulla richiesta di arresto per il deputato Alfonso Papa, nel pomeriggio, e il clima si fa sempre più incandescente. Lo scontro delle ultime ore è sulla scelta di ricorrere al voto segreto, con l'opposizione che accusa la Lega di avere deciso di "salvare" il parlamentare coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta P4 in cambio del ritiro del contestato decreto sull'emergenza rifiuti a Napoli. Un "patto scellerato" siglato con il Pdl, hanno denunciato Pd e Idv in aula a Montecitorio. A rivolgersi direttamente alla Lega - che nonostante i sì all'arresto alla fine lascerà libertà di voto - è stato il leader democratico Pier Luigi Bersani: ostacoli il voto segreto in Aula sull'autorizzazione all'arresto per Papa e dimostrerà che non c'è stato uno scambio con il rinvio in Commissione del dl rifiuti. Gli ha fatto eco il capogruppo Dario Franceschini: "Dovreste essere voi i primi a dire no al voto segreto che coprirà la vostra ipocrisia, un'ipocrisia che i padani non dimenticheranno. Non potete chiedere ai Responsabili di chiedere il voto segreto per coprire la vigliaccheria dei guerrieri padani". A stretto giro di posta ha replicato il leghista Marco Reguzzoni, che guida i deputati: "È il Pd che sta mettendo le mani avanti: vi preparate a un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto" per evitare l'arresto di Alfonso Papa. "State mettendo le mani avanti - ha accusato Reguzzoni - dopo che siete stati colpiti dall'avviso di garanzia a Penati". "Rivendichiamo il voto segreto in quest'Aula, perchè è giusto che non ci sia un gioco cinico e politico ma è giusto che ogni deputato decida in coscienza", ha ribattuto il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, dopo che il finiano Italo Bocchino aveva bollato come "molto grave" la scelta di ricorrere al voto segreto. Mentre Italia dei valori ha fatto sapere che oggi in aula alla Camera i suoi deputati renderanno "fisicamente chiaro" il loro voto.

20 luglio 2011

 

P4, tutti i reati reati contestati a Papa

alfonso papa box

Corruzione, rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, favoreggiamento personale: sono i reati contestati al parlamentare del Pdl Alfonso Papa, da parte del gip di Napoli Luigi Giordano, che ha inviato alla Camera la richiesta di custodia cautelare in carcere del deputato.

L'inchiesta è quella condotta dai pm Francesco Curcio ed Henry John Woodcock sulla cosiddetta P4, che vede Papa coinvolto insieme al consulente Luigi Bisignani e ad altri.

Papa, secondo l'ordinanza, sfruttava i suoi contatti definiti nell'ordinanza "di altissimo livello" con appartenenti ai servizi segreti, magistrati, esponenti di vertice della Guardia di finanza. In particolare, avrebbe da un lato intimorito alcuni imprenditori finiti al centro di inchieste giudiziarie, prospettando loro la gravità della loro posizione suscettibile anche di arresti; dall'altro lato avrebbe fatto intendere di essere in grado, grazie alla propria rete di amicizie e conoscenze, di garantire il buon esito delle vicende processuali.

Il parlamentare avrebbe così ottenuto, secondo l'accusa, soldi, regali di vario genere (come il pagamento di costosi gioielli o soggiorni in lussuosi alberghi), o favori economici per i propri conoscenti. Papa avrebbe anche acquisito, in violazione del segreto di ufficio, informazioni sui procedimenti penali che avevano coinvolto - tra gli altri - Gianni Letta, Denis Verdini, Nicola Cosentino e Mauro Masi.

I pm contestano a Papa anche altri reati - tra cui associazione per delinquere e associazione segreta - ma per tali accuse il gip non ha ritenuto di applicare la misura cautelare.

20 luglio 2011

 

 

 

 

Scandalo sanità, i reati contestati a Tedesco

alberto tedesco pd 304

Al Senato si voterà sulla richiesta di arresto di Alberto Tedesco, eletto nelle liste del Pd, sospeso da quel partito, indagato per corruzione nello scandalo sanità che ha investito la regione Puglia.

"Non credo proprio" che ci sia uno scambio tra la mia richiesta di arresto e quella nei confronti di Alfonso Papa. "Il Pd alla Camera voterà compattamente per l'arresto di Papa, e allora di quale scambio dovremmo parlare"? Lo dice il senatore Alberto Tedesco alla vigilia del voto dell'Aula del Senato sulla richiesta del tribunale di Bari. "La mia situazione - spiega Tedesco - non è paragonabile a quella di Papa.

Oggi pomeriggio "interverrò in aula per chiedere che ci sia un voto palese per evitare strumentalizzazioni e un sì all'autorizzazione all'arresto" in modo che "non si intralci il lavoro della magistratura e che si vada rapidamente a un processo che mi consenta di difendermi".

20 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

 

Milano, Filippo Penati (Pd)

indagato per corruzione

L'ex presidente della provincia di Milano ed esponente del partito democratico, Filippo Penati, è indagato dalla procura di Monza per corruzione, concussione e illecito finanziamento ai partiti, nell'ambito di un'inchiesta su presunti illeciti commessi nella gestione dell'ex area Falck di Sesto San Giovanni. L'indagine, affidata al pm Walter Mapelli, nasce da quella sulle irregolarità nelle bonifiche del quartiere milanese Santa Giulia.

GUARDA IL VIDEO

Sono una quindicina, tra cui Penati, gli indagati nell'inchiesta della Procura di Monza sull'area Falck di Sesto San Giovanni. Le indagini puntano a ricostruire una serie di procedura amministrative relative a interventi di carattere urbanistico. I reati contestati sono concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Secondo l'accusa, sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio. La Gdf sta perquisendo anche uffici del Comune di Sesto San Giovanni.

20 luglio 2011

 

 

Rai, pressioni su Annozero: Berlusconi indagato

berlusconi camera solo box

Abuso d'ufficio in concorso. Questa l'accusa per cui la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, l'ex commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi e l'ex direttore generale della Rai, Mauro Masi.

Il fascicolo riguarda le pressioni che sarebbero state fatte dal premier nel 2009 affinchè venisse sospesa la trasmissione 'Annozero' di Michele Santoro. I magistrati, una volta ricevuti gli atti dal tribunale dei ministri, che nei giorni scorsi si era dichiarato incompetente, hanno deciso di formalizzare il reato. Gli accertamenti, coordinati dal procuratore capo Giovanni Ferrara, sono seguiti dai pubblici ministeri Ilaria Calò e Roberto Felici.

Il collegio dei giudici di via Triboniano ha restituito l'incartamento, nato a Trani, ed ha ritenuto che Berlusconi, quando telefonava a Innocenzi e Masi, non agiva nelle sue funzioni di presidente del Consiglio. I pm hanno anche preso atto delle conclusioni (benchè non vincolanti) del tribunale, che ha di fatto archiviato le accuse di minacce e concussione attribuite a Berlusconi, unico indagato, con Innocenzi e Masi persone offese.

Secondo il collegio, invece, dall'esame delle intercettazioni, relative a diciotto telefonate, sarebbe configurabile un'ipotesi di abuso d'ufficio per tutti e tre i protagonisti della vicenda. E da questo punto, gli inquirenti di piazzale Clodio, hanno deciso di ripartire. Nei prossimi giorni i magistrati si riuniranno per fare il punto della situazione e decidere se concludere gli accertamenti con il deposito degli atti (passo che in genere prelude a una richiesta di rinvio a giudizio) o con una richiesta di archiviazione.

L'iscrizione nel registro degli indagati arriva dopo la decisione del Tribunale dei Ministri di restituire il fascicolo alla Procura di Roma. Questo perchè secondo i giudici le 18 telefonate all'ex commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi e l'ex dg della Rai Mauro Masi Masi al centro dell'inchiesta sono state effettuate da Berlusconi non nella sua veste di presidente del Consiglio.

Gli inquirenti capitolini hanno preso atto della decisione (non vincolante) del tribunale del ministri: secondo il collegio speciale per reati ministeriali nella condotta di Berlusconi non è prefigurabile la concussione ai danni dell'ex commissario Agcom Giancarlo Innocenzi. Su queste due fattispecie il tribunale ha archiviato la posizione del premier. Per il tribunale dei Ministri è, invece, configurabile l'ipotesi di abuso d'ufficio per tutti e tre i protagonisti della vicenda. A questo punto i pm romani dovranno decidere se concludere l'attività istruttoria con il deposito degli atti, attività che prelude la richiesta di rinvio a giudizio, o formalizzare al gip una richiesta di archiviazione.

19 luglio 2011

 

 

Spidertruman forse non esiste

ma ottiene la sua prima vittoria...

spider truman montecitorio

Spidertruman esiste. Anzi no. Di sicuro c'è che un primo risultato lo ha ottenuto. Un lunghissimo comunicato stampa di Montecitorio prova a rispondere punto per punto alle sue "denunce" sui costi della politica e finisce per inciampare in un infortunio. Si parla di punti Millemiglia. Il presunto ex precario della Camera aveva scritto sulla pagina Facebook "I segreti della casta di Montecitorio" (332 mila likers in pochi giorni, uno dei luoghi più visitati all'interno del social network) che "c'è un agenzia di viaggio all'interno di Montecitorio, alla quale tutti i deputati si rivolgono per fare qualsiasi biglietto aereo (naturalmente gratis) da e per qualsiasi destinazione italiana".

E continua: "La prima volta che sono andato a fare i biglietti, il funzionario parlamentare adibito all'agenzia (7000 euro al mese) mi ha chiesto il codice Millemiglia, che con accortezza il deputato-padrone mi aveva fornito. Cosa ho scoperto: che lor signori non solo si fanno i viaggi gratis, ma con quei viaggi accumulano punti su punti che poi utilizzano per far viaggiare gratis anche mogli, amici e parenti sui voli Alitalia". La Camera risponde, negando l'esistenza di qualsiasi "dipendente di Montecitorio all'interno dell'agenzia", ma ammettendo che in effetti i punti Millemiglia venivano assegnati, e per evitare l'autogol si rifugia in calcio d'angolo: "La Camera, in sede di imminente rinnovo contrattuale con tale società, chiederà di accumulare direttamente le "miglia", al fine di risparmiare sui viaggi richiesti dall'attività parlamentare".

19 luglio 2011

 

 

 

 

Tutte le denunce di Spidertruman

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COME FAR VIAGGIARE AMICI E PARENTI

C'è un agenzia di viaggio all'interno di montecitorio, alla quale tutti i deputati si rivolgono per fare qualsiasi biglietto aereo (naturalmente gratis) da e per qualsiasi destinazione italiana. La prima volta che sono andato a fare i biglietti, il funzionario parlamentare adibito all'agenzia (7000 euro al mese) mi ha chiesto il codice millemiglia, che con accortezza il deputato-padrone mi aveva fornito. Cosa ho scoperto: che lor signori non solo si fanno i viaggi gratis, ma con quei viaggi accumulano punti su punti che poi utilizzano per far viaggiare gratis anche mogli, amici e parenti sui voli alitalia. L'assuefazione alla casta ci può portare qui in Italia anche a sminuire il peso di quest'atteggiamento truffaldino, ma per comprendere il valore di queste azioni, forse è il caso di ricordare lo scandalo "miglia aeree" che ha portato alle dimissioni di tre ministri in Germania, colpevoli di aver fatto quello che da decenni continuano a fare impunemente i deputati italiani.

AUTO BLU E SCORTA PER TUTTI

Quando vedete un autoblu che sfreccia a sirene spiegate, sappiate che a volte dentro c'è solo una signora che va a fare la spesa o accompagna i figli a scuola. Vi spiego qual'è il trucco attraverso il quale gli onorevoli parlamentari si arrogano e si appropriano di questo servizio. Le autoblu a Montecitorio sono solo venti, a disposizione dell'ufficio di presidenza (presidente e vicepresidenti della camera) e dei presidenti delle commissioni parlamentari. E gli altri 600 deputati? Ecco come fanno. Il meccanismo è ormai ben collaudato. Se all'origine era solo uno stratagemma di un giovane deputato democristiano di un paesino del beneventano che l'ha tenuto in piedi per 30 anni di onorato servizio allo stato (e lo tiene tuttora) oggi ormai è dilagato molto tra i frequentatori di montecitorio. Basta trovare una persona fidata che si prenda l'impegno, con le dovute precauzioni di intracciabilità, di inviare una lettera anonima di insulti e minacce, meglio ancora anche verso i familiari, riportando alcuni dettagli della vita privata (il nome della scuola del figlio, ad esempio). Il giorno seguente, mentre lui va ad informare i carabinieri, io sono già a scrivere.....in verità faccio il taglia e incolla di un vecchio comunicato stampa che mi ha passato un altro servo di montecitorio che si chiama minacce.doc che tanto il succo è sempre lo stesso:"profonda indignazione per le minacce ricevute, ma continuerò per la strada delle riforme e del rinnovamento, non ci lasceremo intimidire", chiamo i miei colleghi che anche loro hanno un bel file prestampato solidarieta.doc con il quale il capogruppo, il segretario, ecc.... esprimono solidarietà e vicinanza. Il caso finisce sui giornali, il prefetto chiama al padrone per assicurargli una protezione maggiore. Quel prefetto sà bene che l'avvicinamento, il trasferimento e la promozione dipendono dal ministro degli interni di turno e quindi dipende molto dalle amicizie che si sarà saputo costruire nei suoi anni di carriera prefettizia: nel successivo COMITATO PROVINCIALE PER L'ORDINE PUBBLICO E LA SICUREZZA non mancherà l'ok per concedere la dovuta protezione al padrone-deputato minacciato. E così per magia ecco a voi un auto blu e una squadra di scorta!

LA SCORTA PER ACCOMPAGNARE

LA MOGLIE A FARE LA SPESA

Nel mentre il padrone-deputato svolge le sue interminabili recite teatrali (leggasi incontri pubblici), mi capitava a volte di chiacchierare con alcuni agenti delle forze dell'ordine preposte al "servizio scorte" del Viminale. In tanti esprimevano un forte senso di frustrazione nel dover svolgere mansioni particolare mortificanti. Il mio "amico di sventura", il caposcorta del deputato-padrone, aveva iniziato la carriera nella squadra mobile di Palermo ed era finito ad accompagnare la moglie del deputato a fare la spesa tutte le mattine, mentre la sera gli toccava portare il deputato a casa dell'amante o ai festini in giro per le ville dei Parioli. Un racconto molto simile di un agente "anonimo" venne riportato alcuni mesi fà in quest'intervista : http://www.lettera43.it/attualita/2086/la-scorta-delle-escort.htm Mi chiedevo spesso come e perchè avveniva un simile dispendio di risorse e uomini. Dopo un pò di anni non solo ho scoperto come funzionava il meccanismo, ma ne sono diventato mio malgrado complice e vittima: nel prossimo post vi spiego.

I BARBIERI DI MONTECITORIO

Indovina-indovinello: i 9 barbieri che lavorano nella barberia di montecitorio, guadagnando 11.000 euro al mese sudati tagliando in media 2 o 3 cape gloriose al giorno, come mai parlano tutti lo stesso accento??? e come mai è lo stesso accento dell'allora presidente della camera che li assunse attraverso un bel concorso pubblico trasparente come i suoi capelli??? chi era costui?

17 luglio 2011

 

 

La replica della Camera alle accuse

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Arriva con un lungo comunicato la difesa della Camera alle accuse di 'SpiderTruman' che ancora oggi vengono pubblicate sul social network Facebook. L'ufficio stampa di Montecitorio puntualizza in quasi 100 righe la propria verità su tutti i punti contestati dall'ex-collaboratore di un parlamentare che ha deciso di mettere in rete quelli che definisce i privilegi della 'Castà. Il capo ufficio stampa della Camera, Giuseppe Leone, affronta quindi tutti i temi al centro delle polemiche: dagli affitti dei quattro palazzi Marini, alle polizze assicurative, dagli stipendi dei barbieri, alle richieste di scorte personali o di contestazione di contravvenzioni. La 'difesà della Camera riguarda anche la vicenda relativa all'accumulo dei punti millemiglia di Alitalia (nonostante i viaggi siano gratuiti per i parlamentari), le convenzioni con Tim e Peugeot, fino all'assistenza sanitaria e i 'furtì di presenze grazie ai cosiddetti parlamentari pianisti.

PUNTI MILLEMIGLIA

"Circa il fatto che i deputati, nonostante abbiano il diritto di viaggiare gratuitamente sui voli aerei nazionali, possano comunque accumulare punti mille miglia Alitalia da poter sfruttare successivamente anche a favore dei familiari e che all'interno dell'agenzia di viaggi opererebbe un "funzionario parlamentare", il cui stipendio sarebbe di 7 mila euro mensili, si fa presente che presso tale agenzia di viaggi non operano dipendenti dell'Amministrazione della Camera, ma addetti della società cui il servizio è affidato. Occorre, altresì, sottolineare che l'offerta Millemiglia è stata formulata unilateralmente dall'Alitalia, senza alcun interessamento della Camera, su richiesta dei singoli deputati. La Camera, in sede di imminente rinnovo contrattuale con tale società, chiederà di accumulare direttamente le "miglia", al fine di risparmiare sui viaggi richiesti dall'attività parlamentare.

CONVENZIONI TIM E PEUGEOT

Circa le asserite agevolazioni tanto sul listino per i deputati sulle utenze cellulari TIM quanto sull'acquisto delle autovetture dell'azienda Peugeot, vale il principio per cui le proposte commerciali che le singole aziende avanzano in tal senso nei confronti dei deputati avvengono nell'ambito della loro discrezionalità d'impresa e senza alcun tipo di intermediazione della Camera.

DEPUTATI PIANISTI

In riferimento al cosiddetto fenomeno dei "deputati pianisti", si fa presente che ad inizio di questa legislatura - come ampiamente riportato dagli organi di informazione - è stata adottata alla Camera, su proposta del Presidente Fini, una nuova metodologia di voto basata sul riconoscimento delle cosiddette "minuzie" del parlamentare volta a tutelare al massimo proprio la garanzia della personalità del voto, stroncando così questo fenomeno di malcostume.

ASSISTENZA SANITARIA

Infine, per quanto riguarda l'assistenza sanitaria a favore dei deputati si fa presente che essa è a carico di un apposito fondo di solidarietà alimentato dai contributi versati dai singoli deputati ed è in equilibrio finanziario, come si evince dal relativo bilancio pubblicato anche sul sito internet della Camera in allegato al bilancio consuntivo della Camera medesima.

19 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

P4, Papa prega in chiesa a poche ore dal voto

alfonso papa in chiesa 304

Sceglie di affidarsi a un "religioso silenzio", Alfonso Papa. Nel giorno del voto alla Camera che molto probabilmente deciderà la sua vita, il deputato del Pdl decide di andare a pregare. Volto disteso, a tratti persino sorridente, l'ex magistrato coinvolto nello scandalo della P4 attende così il voto sulla sua richiesta di arresto.

Intanto, la Lega è ancora divisa. Reguzzoni dice: "In Aula darò indicazioni di voto favorevole all'arresto lasciando libertà di coscienza agli altri. Non ci sarà voto segreto". Invece, molto probabilmente, il voto segreto ci sarà e a chiederlo potrebbe essere Scilipoti, anche se oggi ha smentito.

VIDEO SCILIPOTI: NON CHIEDEREMO VOTO SEGRETO

A quel punto, nel segreto dell'urna, ci sarà la sfida finale tra il desiderio dei deputati di preservare il governo, la maggioranza (e se stessi...). E la paura di "perdere" ogni residua credibilità nei confronti dei propri elettori. Paura che agita soprattutto molti dei deputati leghisti che tentennano, ma (almeno pubblicamente) si dicono favorevoli all'arresto di Papa.

"In Aula darò indicazioni di voto favorevole all'arresto per quanto mi riguarda, lasciando libertà di coscienza agli altri". Lo ha detto il capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni, parlando del voto sulla richiesta di custodia cautelare nei confronti di Alfonso Papa, deputato del Pdl coinvolto nell'inchiesta P4. Reguzzoni chiarisce che "non c'è nessuna riunione di gruppo questa sera" e che "la Lega non chiederà il voto segreto".

Nelle stesse ore, nell'altra sede parlamentare (al Senato) ci sarà il voto sull'arresto di un altro parlamentare, il senatore Pd Alberto Tedesco. I democratici fanno emergere tutta la loro diversità dal Pdl e voteranno a scrutinio palese per gli arresti di Tedesco.

"Il gruppo del Senato nella Conferenza dei capigruppo ha chiesto che il Senato si pronunciasse sulla richiesta di arresto per il senatore Tedesco in contemporanea con il voto della Camera sulla richiesta di arresto per l'on. Papa. Ci sembra il modo più trasparente per affrontare un passaggio delicato e per evitare qualsiasi strumentalizzazione. Proporrò al mio gruppo di dire sì, nell'aula di Palazzo Madama, all'autorizzazione a procedere agli arresti domiciliari del senatore Alberto Tedesco. È ovvio che ci opporremo a qualsiasi richiesta di voto segreto perché tutto avvenga pubblicamente e venga fugato ogni dubbio su possibili 'inciuci'" spiega la capogruppo Pd Finocchiaro.

19 luglio 2011

 

 

 

 

 

2011-07-15

Crolla il muro del Pdl: sì all'arresto di Papa

Bossi: andrà in galera. Premier ai suoi: votate no

alfonso papa box

La giunta per le autorizzazione della Camera, approvando una proposta della minoranza, ha detto sì alla richiesta di arresto per il parlamentare del Pdl, Alfonso Papa, inviata alla Camera dalla Procura di Napoli. L'accoglimento della richiesta è passato con i soli voti dell'opposizione: hanno detto sì Pd, Idv e Terzo polo (Fli e Udc). La Lega si è astenuta, non hanno partecipato al voto anche Mario Pepe (Misto) e Elio Belcastro.

"Noi non facciamo processi in aula, sosteniamo il non arresto. La magistratura andrà avanti ma chi è parlamentare deve mantenere il suo incarico", ha detto il premier Silvio Berlusconi, hanno riferito alcuni parlamentari di maggioranza, parlando a Montecitorio con diversi deputati. "Dovete dire ai vostri colleghi che votare a favore dell'arresto di deputati costituisce un precedente pericolosissimo".

Ma Umberto Bossi, parlando con i giornalisti dopo il sì alla manovra, ha detto esplicitamente: "Papa in galera, su Milanese poi ci pensiamo".

LA VOTAZIONE

I rappresentanti del Pdl nella giunta per le autorizzazioni della Camera, hanno abbandonato l'odierna seduta dedicata alla richiesta di arresto avanzata dalla Procura di Napoli per Alfonso Papa, ex magistrato e ora deputato proprio del Pdl coinvolto nello scandalo P4. Dopo aver presentato una proposta di rinvio per mancanza di approfondimento, il relatore Francesco Paolo Sisto, si è visto revocare dal presidente Pierluigi Castagnetti l'incarico di relatore. A quel punto Castagnetti ha messo al voto la proposta di Federico Palomba, dell'Idv che richiedeva l'arresto di Papa. A questo punto i rappresentanti del Pdl per protesta sono usciti dalla Giunta, invocando il "violazione del regolamento". Tutti coloro che sono rimasti in Giunta hanno votato a favore, tranne i leghisti che invece si sono astenuti. Mercoledì si voterà alla Camera il parere oggi espresso dalla Giunta.

PAPA: SI AUTOSOSPENDE DAL GRUPPO PDL

Alfonso Papa si autosospende dal gruppo Pdl della Camera. E lo fa con una lettera inviata al presidente dei deputati berlusconiani Fabrizio Cicchitto.

15 luglio 2011

 

 

 

Caso Romano: il Pd presenta mozione di sfiducia

saverio romano

Il gruppo del partito democratico ha depositato stamane alla camera una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro delle politiche agricole Saverio Romano. Primi firmatari Dario Franceschini e Pierluigi Bersani. "Premesso che: in data 13 luglio 2011 la procura di Palermo -questo il testo della mozione pd-, ottemperando all'ordine di imputazione coatta del competente giudice per le indagini preliminari, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio del ministro Francesco Saverio Romano, imputato, quindi, formalmente di concorso in associazione mafiosa; considerato che: il ministro ha manifestato la volontà di non dimettersi volontariamente, come sarebbe auspicabile per la credibilità dell'azione di governo; per tali motivi: visto l'articolo 94 della costituzione; visto l'articolo 115 del regolamento della camera dei deputati; esprime la propria sfiducia al ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Francesco Saverio Romano.

15 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-10

I due "condottieri" in guerra da trent'anni

di Rinaldo Gianola | tutti gli articoli dell'autore

De benedetti, berlusconi e la guerra di Segrate

Quando Marina Mondadori e il figlio Luca Formenton decisero di lasciare Carlo De Benedetti e di portare le loro azioni della casa editrice di Segrate sotto l’ombrello di Silvio Berlusconi era da pochi giorni caduto il Muro di Berlino. Il 2 dicembre 1989, la sera del "tradimento", Michail Gorbaciov incontrava a Milano gli industriali e i banchieri al Castello Sforzesco: era venuto a chiedere aiuto e fiducia verso la sua perestrojka che stava cambiando, fino a distruggerla, l’Unione Sovietica. Sono passati ventidue anni, il tempo di una generazione. Ne sono trascorsi venti dalla corruzione da parte della Fininvest del giudice Metta che, pagato con 400 milioni di vecchie lire, trasferì indebitamente il controllo della Mondadori a Berlusconi. Oggi siamo qui tutti quanti a raccontare e a commentare la sentenza d’appello civile che ha stabilito in 560 milioni di euro il risarcimento dovuto dalla Fininvest alla Cir di De Benedetti. Ma...

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10 luglio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-07-09

Lodo Mondadori, stangata a Berlusconi

Fininvest dovrà pagare 560 milioni alla Cir di De Benedetti. Perché corruppe dei giudici per avere la Mondadori. Dopo il blitz fallito di inserire - di nascosto - una norma "ad aziendam" nella manovra, l'azienda di Berlusconi dovrà aprire il portafoglio con sentenza immediatamente esecutiva. In teoria, deve pagare subito.

I giudici della seconda corte d'appello di Milano hanno depositato la sentenza civile della causa che vede contrapposte Fininvest e Cir, la holding di Carlo De Benedetti. Oggetto: la vicenda del Lodo Mondadori. Ci fu corruzione nella sentenza emessa a Roma nel 1981 favorevole al gruppo milanese e questa decisione - dicono i giudici milanesi - danneggiò la società di De Benedetti nell'acquisto del principale colosso editoriale italiano. Marina Berlusconi reagisce con una nota di fuoco: è aggressione contro mio padre. E preannuncia il prevedibile ricorso. Ma la sentenza è chiara e, nonostante il suo amor filiale, coinvolge direttamente il premier: "È da ritenere ... ai soli fini civilistici del presente giudizio, che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della vicenda corruttiva per cui si procede".

La guerra Mondadori: le tappe

Marina Berlusconi: "Aggresione forsennata a mio padre"

I giudici hanno condannato Fininvest a risarcire Cir per la vicenda del Lodo Mondadori per 540 milioni circa di euro, più interessi e spese. La cifra quindi arriverebbe intorno ai 560 milioni di euro. Gli esperti da giorni dicono comunque che l'esborso non porterà particolari sconquassi alla Fininvest.

I 560 milioni sono una cifra nettamente inferiore ai 750 disposti in primo grado dal giudice Raimondo Mesiano. A tanto ammontava la condanna emessa nell'autunno del 2009, nel primo round della battaglia di una guerra legale lunga vent'anni.

Si tratta del risarcimento per i danni causati dalla corruzione giudiziaria che nel 1991 inquinò la fine del braccio di ferro tra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori.

"La sentenza Metta fu ingiusta", sostengono i giudici della seconda sezione civile del tribunale di Milano che hanno condannato oggi la Fininvest. "Con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato". Il riferimento è al 24 gennaio del 1991 quando la Corte d'Appello di Roma stabilì nulli gli accordi precedenti tra la famiglia Formenton e la stessa Cir riconsegnando così la Mondadori a Berlusconi.

La Cir subì un danno immediato e diretto dalla sentenza con cui i giudici della Corte d'Appello di Roma presieduto da Vittorio Metta, la cui corruzione è stata accertata in sede penale, stabilirono che il Lodo Mondadori era nullo. È quanto sostengono nelle circa 300 pagine di motivazioni i giudici del tribunale civile di Milano che hanno condannato la Fininvest a risarcire 560 milioni, compresi gli interessi legali alla Cir. Questa tesi è diversa da quella prospettata dal giudice di primo grado, Raimondo Mesiano, il quale invece parlò di 'perdita di chance', nel senso che la sentenza frutto della corruzione indebolì la posizione negoziale di Cir nei confronti di Fininvest. La trattativa poi si concluse con il gruppo Espresso e Repubblica alla Cir, mentre a Mondadori andarono i settori dei libri e dei quotidiani e il gruppo di De Benedetti dovette versare un conguaglio.

I giudici hanno ridimensionato il risarcimento perché hanno escluso il danno di immagine imprenditoriale per il gruppo De Benedetti.

9 luglio 2011

 

 

La guerra per Mondadori: le tappe

mondadori segrate box

Fininvest che deve risarcire 560 milioni: una sorta di sconto a quanto deciso nell'autunno del 2009, quando il giudice Mesiano aveva inidcato in 750 milioni di euro il risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti da parte di Fininvest.

Il risarcimento è conseguenza in sede civile di un procedimento penale finito nel 2007 con le condanne definitive, confermate dalla Cassazione, per corruzione in atti giudiziari, del giudice Vittorio Metta, degli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico.

L'inchiesta avviata dalla procura di Milano aveva preso spunto nel pieno di Tangentopoli: la vicenda penale era nata dalle rivelazioni della teste Stefania Ariosto che aveva raccontato ai pm milanesi dell'amicizia tra Metta e Previti e di aver sentito l'avvocato di Fininvest parlare di tangenti versate ai magistrati romani che nel 1991 avevano emesso sentenza d'appello sfavorevole a De Benedetti nelle cosiddetta 'battaglia di Segrate'.

Le indagini meneghine ipotizzavano che la sentenza d'appello del 1991 fosse stata 'comprata', corrompendo il giudice Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti dai conti esteri di Fininvest. Nel 2001 era seguita l'assoluzione per tutti, perché "il fatto non sussiste", ma la procura aveva impugnato la sentenza. Mentre nel novembre dello stesso anno Silvio Berlusconi veniva prosciolto per prescrizione in modo irrevocabile, sei anni, nel 2007, dopo sarebbero arrivate per gli altri le condanne definitive.

Nell'aprile del 2004 si avvia la causa civile che il 3 ottobre del 2009 è arrivata al giudizio di primo grado. Cir "ha diritto", ha stabilito il giudice Mesiano, al risarcimento da parte di Fininvest "del danno patrimoniale da perdita di chance di un giudizio imparziale". La cifra quantificata due anni fa: 749 milioni 995 mila euro circa, escluse le spese del giudizio e gli onorari, due milioni di euro circa.

LA BATTAGLIA PER L'ACQUISTO DI MONDADORI

Nel 1989 la Mondadori aveva acquistato l'Editoriale L'Espresso e il controllo di Repubblica, di una catena di quotidiani locali e di settimanali come Panorama, L'Espresso, Epoca. Il lodo arbitrale sul contratto Cir-Formenton è del 20 giugno 1990. La decisione fu presa dai tre arbitri, Carlo Maria Pratis (Presidente), Natalino Irti (per Cir) e Pietro Rescigno (per la famiglia Formenton), incaricati di dirimere la controversia tra De Benedetti e Formenton per la vendita alla Cir della quota di controllo della Mondadori, promessa a De Benedetti e poi venduta all'asse Silvio Berlusconi/Leonardo Mondadori.

Il lodo è favorevole alla Cir e dà a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate. Berlusconi perde la presidenza, da poco conquistata, che va al commercialista Giacinto Spizzico, uno dei quattro consiglieri espressi dal Tribunale, gestore delle azioni contestate. Nel luglio del 1990 la famiglia Formenton fa ricorso. Il 24 gennaio 1991, la Corte d'Appello di Roma, presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati Vittorio Metta e Giovanni Paolini, dichiara che, dato che una parte dei patti dell'accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir era in contrasto con la disciplina delle società per azioni, era da considerarsi nullo l'intero accordo e, quindi, anche il lodo arbitrale. La Mondadori sembra così tornare nelle mani di Berlusconi.

Dopo alterne vicende legali, nell'aprile 1991, con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, Fininvest e Cir-De Benedetti raggiungono un accordo: la transazione in sostanza attribuisce la casa editrice Mondadori, Panorama ed Epoca alla Fininivest di Berlusconi, che riceve anche 365 miliardi di conguaglio, mentre il quotidiano La Repubblica, il settimanale l'Espresso e alcune testate locali vanno a Cir-De Benedetti.

Questa transazione è al centro del risarcimento chiesto in sede civile (complessivamente un miliardo) da parte della holding della famiglia De Benedetti alla luce della sentenza penale arrivata nel 2007 con la condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari del giudice Vittorio Metta, dell'avvocato di Fininvest Cesare Previti e degli altri due legali Giovanni Acampora e Attilio Pacifico.

9 luglio 2011

 

 

Ristrutturata gratis

la casa usata da Tremonti

di Massimiliano Amato | tutti gli articoli dell'autore

campo marzio roma casa marco milanese per tremonti box

Nessuna fattura, non un effetto di pagamento: gli uomini della Digos di Napoli sono tornati indietro a mani vuote. Ma, una volta tanto, l’assenza di riscontri documentali sembra quasi fatta apposta per appesantire anziché alleggerire il quadro indiziario. Caricando di altri elementi molto inquietanti la vicenda della casa di via Campo Marzio che Marco Milanese, deputato e vicecoordinatore campano del Pdl, "pagava" a Giulio Tremonti. Spediti a Roma dal pm Vincenzo Piscitelli, titolare dell'inchiesta sulla presunta "vendita" di nomine pubbliche da parte di Milanese, i poliziotti napoletani hanno eseguito tre perquisizioni: nella sede della Sogei, società che gestisce l’anagrafe tributaria per conto del ministero di via XX Settembre, in quella della Edil Ars srl, e nell’abitazione privata del costruttore Angelo Proietti, che non è tra gli indagati di questa inchiesta, amministratore unico della Edil Ars srl.

Perché questi tre accessi? È presto detto: nel corso delle indagini coordinate dal pm Piscitelli è venuto fuori che, prima di entrare nella disponibilità di Giulio Tremonti, la cinquecentesca dimora nel cuore della Capitale, data in locazione a Milanese (per la cifra di 8500 euro al mese) dal Pio Sodalizio dei Piceni, fu sottoposta a lavori di ristrutturazione per un importo di circa 200mila euro. E la ditta che li avrebbe eseguiti sarebbe stata proprio la Edil Ars srl di Proietti, da circa un anno nel mirino della Procura di Roma per una serie di incarichi, relativi a interventi di manutenzione e ristrutturazione di immobili, ricevuti proprio dalla Sogei. La mancanza di riscontri contabili fa ritenere che i lavori di ristrutturazione in via Campo Marzio furono eseguiti a titolo gratuito, imponendo agli inquirenti napoletani un approfondimento d’indagine sui rapporti tra la società del ministero dell’Economia e l’impresa edile di Proietti. Un filone, questo, che finirà inevitabilmente con incrociarsi con l’inchiesta della Procura capitolina, nata da un blitz della Guardia di Finanza nella sede della Sogei.

In quell’occasione le Fiamme gialle sequestrarono tutta la documentazione relativa ai lavori assegnati alla Edil Ars srl: appalti per più di 10 milioni di euro nel periodo 2002 - 2005, per 3,1 milioni nel 2009, per 2,3 milioni nel 2008, per 1,6 milioni nel 2007, per 1 milione nel 2006. In un’interrogazione a risposta scritta rivolta circa un mese fa al titolare dell’Economia, il senatore di Italia dei Valori Elio Lannutti arriva a fare una radiografia abbastanza precisa degli appalti Sogei vinti dalla Edil Ars negli ultimi dodici mesi: lavori di manutenzione e impiantistici per circa 6,2 milioni di euro, di cui circa 5,3 milioni (pari all’86,6%) affidati a trattativa diretta. Fra questi, lavori per circa 2 milioni e mezzo di euro sono stati assegnati con procedura secretata. "Per quanto risulta - scrive Lannutti - il regime di secretazione sarebbe stato applicato solo per appalti affidati a trattativa diretta alla Edil Ars srl. Le attività di manutenzione straordinaria - continua il parlamentare dipietrista - sono state affidate frazionando il fabbisogno in ben 6 confronti concorrenziali, per un valore complessivo di circa 822 mila euro".

Presunte anomalie contrattuali nei rapporti con l’impresa di Proietti, che può vantare tra i suoi clienti diversi ministeri e perfino l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, sarebbero evidenziate anche in due relazioni di internal auditing della stessa società informatica controllata dal ministero, risalenti al mese di dicembre del 2006 e a quello di giugno del 2008. Entrambe le relazioni sono state acquisite dalla Procura di Roma, che sta indagando anche su un’altra vicenda ritenuta molto sospetta: l’assunzione in Sogei di una figlia di Proietti, avvenuta all’inizio del 2010. Ombre, sospetti, a cavallo tra due inchieste. Nei prossimi giorni gli inquirenti napoletani procederanno all’interrogatorio di Milanese, il cui caso potrebbe essere discusso dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera addirittura a settembre: in fila, prima di lui, ci sono l’ex magistrato Alfonso Papa e l’ex coordinatore del Pdl Denis Verdini.

9 luglio 2011

 

 

Mafia, imputazione coatta

per il ministro Romano

saverio romano al cellulare

Il gip Giuliano Castiglia non ha accolto la richiesta di archiviazione, presentata dalla procura, dell'indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del ministro delle Politiche agricole Saverio Romano, e ha avanzato richiesta di imputazione coatta (che, appunto, si ha quando il giudice rigetta la richiesta di archiviazione).

A questo punto i pm entro dieci giorni dovranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio.

Il ministro Romano: "Sono sconcertato..."

"Questo procedimento mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l'indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni".

"Il fallimento del sistema giudiziario - prosegue il ministro - vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l'epilogo sarà quello da me auspicato". Per Romano "sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l'infamante reato di concorso con Cosa Nostra. Purtroppo ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all'approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito". "Sono addolorato e sconcertato - conclude - con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell'imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento".

8 luglio 2011

 

 

 

2011-07-04

Fininvest-Cir, nella manovra norma salva Silvio

tremonti, industriali

Berlusconi non ci dorme la notte. Il lodo Mondadori, e il possibile risarcimento di 750 milioni di euro che Fininvest dovrebbe dare a Fininvest gli tolgono il sonno. E così, confermando 16 anni di leggi ad personam, cerca vie di scampo. Questa volta ha pensato bene di approfittare della manovra per provare a risolvere i suoi problemi. Poche righe, riportate in coda al capitolo della manovra dedicato alla giustizia, ma di grande effetto: si tratta di due nuove norme del codice civile, già battezzate 'sospendi-risarcimentì, che potrebbero aver presto un impatto significativo sulla complessa vicenda del Lodo Mondadori. Se, infatti, la Corte d'appello di Milano confermerà la condanna di Fininvest a risarcire di 750 milioni la Cir di De Benedetti (o ridurrà la condanna ad una cifra comunque superiore a 20 milioni di euro), proprio una delle due nuove norme potrebbe correre in soccorso della holding della famiglia Berlusconi, sospendendo l'esecuzione della sentenza fino al definitivo pronunciamento della Cassazione.

"Un insulto al Parlamento" per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. L'ennesima dimostrazione che sono "senza vergogna" per Donatella Ferranti, capogruppo democratica nella commissione Giustizia della Camera.

"Se dovesse essere confermata - dice il presidente dell'Anm, Luca Palamara - si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe un'iniqua disparità di trattamento, e che sarebbe, quindi, incostituzionale".

Ma in cosa consistono le nuove norme previste dalla manovra? Le due modifiche riguardano gli articoli 283 e 373 del codice civile. Il primo articolo (283), nella sua attuale formulazione, prevede la possibilità per il giudice civile - in presenza di "gravi e fondati motivi" - di sospendere, in tutto o in parte, l'esecuzione della sentenza di primo grado, con o senza cauzione. Con la manovra, viene previsto un secondo comma dell'articolo, con il quale si stabilisce che la sospensione dell'esecuzione della sentenza di primo grado '"è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro" se la parte ricorrente "presenta idonea cauzione".

L'articolo 373 stabilisce che "il ricorso per cassazione non sospende l'esecutività della sentenza" di secondo grado, lasciando tuttavia al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata - "qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno" - la facoltà di disporre "che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione". Con la modifica dell'articolo introdotta con la manovra, viene meno il potere discrezionale del giudice per le condanne di importo superiore a 20 milioni di euro. La sospensione - dice la nuova norma - "è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a 20 milioni" se la parte presta "idonea cauzione". Per tornare al Lodo Mondadori, dunque, in caso di conferma o di riduzione della condanna di Fininvest ad una cifra comunque superiore a 20 milioni di euro, la Corte d'appello di Milano, sezione civile, su istanza dei legali di Fininvest, sarebbe obbligata a disporre la sospensione dell'esecuzione della sentenza, a condizione che la stessa Fininvest presti un'"idonea cauzione".

4 luglio 2011

 

 

Crac Cirio: condannati Cragnotti e Geronzi

Cragnotti 304

La sentenza è stata emessa dopo una lunghissima camera di consiglio dai giudici della prima sezione del tribunale di Roma presieduta da Giuseppe Mezzofiore. Nessuno degli imputati eccellenti è presenti in aula. Trentacinque gli imputati accusati, a seconda delle posizioni, di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, oltre chè di truffa. Tra le persone condannate ci sono il genero di Cragnotti, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi) ed i figlio dell'ex patron del gruppo agroalimentare: Andrea (4 anni la pena), Elisabetta (3 anni) e Massimo (3 anni). Il processo era cominciato il 14 marzo 2008.

I RISARCIMENTI

Duecento milioni di euro in via provvisionale. A tanto ammonta la somma che Unicredit, in qualità di responsabile civile, e gli imputati riconosciuti colpevoli al processo Cirio dovranno versare, come risarcimento, all'amministrazione straordinaria del gruppo agroalimentare.

ASSOLUZIONE PER FIORANI E MOGLIE CRAGNOTTI

Il Tribunale di Roma ha assolto Giampiero Fiorani, ex amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, e la moglie di Sergio Cragnotti, Flora Pizzichemi, per "non aver commesso il fatto" nell'ambito del processo per il crac Cirio. Nei loro confronti la Procura di Roma aveva chiesto una condanna a sei anni di reclusione.

4 luglio 2011

 

"Venti anni ai vertici dell'Eternit"

Amianto, le richieste della Procura

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Il pubblico ministero di Torino Raffaele Guariniello ha chiesto una condanna a 20 anni per Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga di 89 anni, i due alti dirigenti della multinazionale dell'amianto Eternit, nella cinquantesima udienza del maxi-processo per migliaia di morti in corso a Torino. Le accuse loro contestate sono di disastro ambientale doloso (per l'inquinamento e la dispersione delle fibre-killer) e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. L'accusa ha chiesto anche tre pene accessorie: l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l'interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni.

Guariniello: mai visto una tragedia così

"In tanti anni non avevo mai visto una tragedia come questa": lo ha detto il pubblico ministero Raffaele Guariniello durante la parte finale della sua requisitoria conclusasi con la richiesta di pene per i due imputati, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne. "Prima di pensare a quali pene chiedere - ha spiegato il pm - ho voluto rileggere le pene inflitte per i casi più gravi di disastri o di morti, tra cui i tanti morti nelle aziende amiantifere della nostra zona e anche i sette della ThyssenKrupp. Una tragedia come questa, però, non mi era mai capitata: ha colpito regioni diverse nel nostro paese, popolazioni di lavoratori e di cittadini. Continua a seminare morte e continuerà a farlo chissà per quanto".

Il più grande processo per amianto d'Europa

Quello ai vertici della Eternit è il più grande processo per amianto d'Europa. La Procura di Torino procede per migliaia di persone morte o ammalate a causa dell'amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetica: Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). I fatti contestati vanno dal 1952 al 2008. Le parti civili ammesse dal Tribunale sono oltre seimila, principalmente ammalati (di asbestosi, tumori e altre patologie) o parenti di vittime. Proprio i loro legali inizieranno a parlare a partire dalla prossima udienza del processo, in programma lunedì. Visto il grande numero, il presidente del tribunale Giuseppe Casalbore ha previsto che ognuno di essi potrà intervenire per non più di un quarto d'ora.

4 luglio 2011

 

 

2011-04-18

Ultimatum di Napolitano: "Giustizia, toccato limite"

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Napolitano strilla Silvio 304

in una lettera inviata al vice presidente del CSM Michele Vietti e resa nota dal Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha annunciato la decisione di dedicare la celebrazione della Giornata delle vittime del terrorismo e delle stragi, prevista il 9 maggio prossimo al Quirinale, "in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro -sottolinea Napolitano -, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche". "La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - afferma Napolitano - costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia", per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo. Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle BR, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".

 

QUI SOTTO IL TESTO DELLA LETTERA DI NAPOLITANO A VIETTI

18 aprile 2011

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Allegati

* Lettera del Presidente Napolitano al Vice Presidente del CSM, Vietti

 

Berlusconi: Lassini ha sbagliato, ma politicamente...

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Ufficialmente i manifesti che accomunano i pm ai brigatisti vanno condannati e il responsabile, Roberto Lassini, deve dimettersi. Ma, in privato, Silvio Berlusconi non nasconde con alcuni interlocutori che l'iniziativa politicamente è giusta, perchè va al nocciolo della questione, e cioè ci sono magistrati e, in particolare, pubblici ministeri, che fanno della giustizia un uso improprio, sono politicizzati e hanno come unico scopo quello di farmi fuori. Il premier pare inoltre riconoscersi anche personalmente in una vicenda giudiziaria come quella di Lassini. Riferiscono fonti parlamentari del Pdl che il premier non avrebbe accolto positivamente l'affissione dei manifesti sui muri di Milano, proprio a ridosso di un voto considerato delicato e che potrebbe assumere una valenza nazionale. Ma, nei suoi ragionamenti, il capo del Governo avrebbe condiviso il senso di quei manifesti, ossia la denuncia di procure che non risparmiano colpi al governo e al presidente del Consiglio, e che sono pronte a ricorrere all'arma giudiziaria pur di raggiungere il loro obiettivo. Del resto, viene fatto osservare dalle stesse fonti, è stato lo stesso premier, una decina di giorni fa, in una riunione, a denunciare il 'brigatismo giudiziariò messo in atto nei suoi confronti da parte di una certa magistratura. Non parole pronunciate pubblicamente, ma mai nemmeno smentite. Frutto di un ragionamento non nuovo da parte del premier: l'azione di certi magistrati è politica, mira a far cadere il governo, sovvertendo così la volontà popolare. Vogliono solo infangarmi e delegittimarmi è il ragionamento più volte espresso dal cavaliere in pubblico e in privato. E quei manifesti di Milano, dunque, vanno al nocciolo di quella che Berlusconi considera la vera questione: per questo devo difendermi - è il refrain - non posso lasciare il Paese in mano ai comunisti e a certi pm.

18 aprile 2011

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Scritte anti-pm: tre indagati, anche il candidato Pdl Lassini

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manifesti anti-pm

Roberto Lassini, l'ideatore del manifesto che equipara le Procure alle Br comparso venerdì scorso a Milano, è indagato per vilipendio dell'ordine giudiziario dalla Procura di Milano. "Sono stato io", ha confessato ieri in una intervista al Giornale. Oltre a lui, il pm Armando Spataro, che coordina l'indagine, ha iscritto nel registro degli indagati altre due persone, Lassini, che è candidato consigliere del Pdl a Milano, si era assunto la responsabilità del poster nei giorni scorsi, i qualità di presidente dell'Associzione dalla parte della democrazia, firmataria del manifesto.

Letizia Moratti: "Via da lista..."

Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, di sponda con il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, avrebbe avviato un pressing sul coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani per convincere l'autore dei manifesti anti-pm Roberto Lassini a rinunciare alla sua candidatura nella lista del Pdl alle prossime comunali. A quanto si è appreso nel corso di una riunione politica nella sua abitazione milanese il primo cittadino avrebbe prospettato a Mantovani l'intenzione di firmare una lettera di dissociazione dalla candidatura di Lassini nel caso non ci fosse stato un suo passo indietro dalla corsa elettorale a Milano. A sostenere Letizia Moratti si sarebbe speso in prima persona anche Lupi che avrebbe rinnovato la sua condanna sui manifesti già dichiarata pubblicamente ieri a margine della convention nel capoluogo lombardo con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Visto che le liste sono già state depositate, l'unica strada percorribile per placare la bufera sarebbe la rinuncia di Lassini alla propria candidatura. Dal canto suo Mantovani ha lasciato la riunione a casa del sindaco Moratti senza rilasciare dichiarazioni ai cronisti. Alle insistenti domande su quanto potrebbe ora succedere, il coordinatore del Pdl si è limitato a dire: "Lo stabiliremo presto".

18 aprile 2011

 

Minetti molla Fede-Mora: escort venivano con loro

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lele mora

Il consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti ha depositato oggi, tramite il suo legale, l'avvocato Daria Pesce, una memoria difensiva di 12 pagine nell'ambito del filone di inchiesta appena chiuso sul caso Ruby in cui l'ex igienista dentale di Silvio Berlusconi è indagata insieme a Emilio Fede e a Lele Mora di induzione e favoreggiamento della prostituzione di 32 ragazze maggiorenni e della minorenne Ruby.

La memoria difensiva, poche pagine, riguarda solo il secondo capo d'imputazione, cioè il favoreggiamento della prostituzione di Ruby. Nicole Minetti respinge tale contestazione e "scarica" le responsabilità su Emilio Fede e Lele Mora, suoi co-indagati nell'inchiesta già chiusa e che porterà ai primi di maggio la Procura a chiedere il processo. Nella memoria degli avvocati di Nicole Minetti si ripercorre il contenuto delle intercettazioni. L'obiettivo del documento è soprattutto quello di difendersi dall'accusa di prostituzione minorile in vista dell'udienza preliminare.

Visto il deposito della memoria difensiva, appare evidente che la consigliere regionale non si sottoporrà ad alcun interrogatorio previsto in questa fase dell'inchiesta.

Immediata la risposta di Emilio Fede: "Ho letto una sintesi della memoria difensiva di Nicole Minetti assistita dall'avv. Daria Pesce - dichiara in una nota il direttore del Tg4 - L'unico elemento mancante è che entrambe avrebbero bisogno dell'assistenza di uno psichiatra".

Gli ha risposto la consigliere regionale Nicole Minetti: "Il mio legale Daria Pesce - ha detto - ha presentato oggi una memoria difensiva da cui si evince che non ho portato Ruby ad Arcore. In questa memoria, ci tengo a sottolinearlo, non accuso nè Emilio Fede nè Lele Mora".

"Il pesce, anzi la Pesce in questo caso, di solito butta l'amo. E oggi Emilio Fede ha abboccato". È questo il commento di Lele Mora, in diretta a 'La Zanzarà a Radio 24, in merito alla memoria difensiva presentata oggi da Nicole Minetti e dal suo avvocato Daria Pesce ai pm di Milano. "Ambra e Chiara (le ultime due ragazze che avrebbero parlato ai pm degli incontri a Villa San Martino) Arcore l'hanno visto solo in tv - ha aggiunto Lele Mora - loro non sono mai state nella residenza del Presidente del Consiglio. La stessa Minetti l'ho vista solo qualche volta e non ho neanche il suo numero di telefono".

18 aprile 2011

 

Milano, crac Parmalat:

assolte tutte le banche estere

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Parmalat

I giudici della Seconda sezione penale di Tribunale di Milano hanno assolto con formula piena le 4 banche al centro del processo milanese Parmalat. Il reato contestato agli istituti di credito Citibank, Morgan Stanley, Bofa, Deutsche Bank era aggiotaggio, per aver finanziato il gruppo alimentare di Collecchio fino alla vigilia del default avvenuto sette anni fa.

Dopo la lettura della sentenza, prima in aula si è sentito un brusio poi è scoppiata la gioia dei legali. Due addirittura, fuori dall'aula, gremita di persone, si sono abbracciati dicendo 'Non è successo niente'.

"Era una indagine doverosa". Così si limitano a commentare in Procura. Al quarto piano del Palazzo di giustizia milanese si osserva anche di "non essere forse riusciti a trovare elementi sufficienti per dimostrare la responsabilità" di alcuni degli imputati. Inoltre si è però ricordato che in precedenza sia Nextra che Ubs con alcuni loro manager avevano accettato di patteggiare con ciascuna una sanzione amministrativa di 500 mila euro e una confisca di 1 milione di euro.

I pm Eugenio Fusco e Carlo Nocerino avevano chiesto pesanti condanne pecuniare fino a 900 mila euro e il sequestro di beni tra i 5,9 ai 30 milioni di euro. Assolti anche i 6 funzionari dei colossi bancari "perchè il fatto non sussiste". I pm avevano chiesto fino ad un anno e mezzo di reclusione per Carlo Pagliani e Paolo Basso di Morgan Stanley, Paolo Pragga e Tommaso Ziborghi di Deutsche Bank, Paolo Botta di Citibank. Assolto anche Giaime Cardi, funzionario di Credit Suisse per cui il pm Fusco aveva chiesto il non luogo a procedere.

Nel ramo principale dell'inchiesta sul colosso alimentare, a Parma, Callisto Tanzi è stato condannato a 18 anni di reclusione per bancarotta. Il patron di Parmalat è stato anche condannato a 10 anni a Milano per aggiotaggio, ostacolo in vigilanza e false comunicazioni ai revisori.

18 aprile 2011

 

 

2011-04-17

Tettamanzi: molti ingiusti

non vogliono essere giudicati

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Nel giorno in cui il premier lancia di nuovo la sua crociata contro i giudici, l'opposizione e la stampa colpevoli di volerlo distruggere, l'arcivescovo di Milano pone una domanda forte. - "Perchè molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni?". È questo il breve passaggio della sua Omelia pronunciata oggi nel Duomo in occasione della domenica delle Palme.

Tettamanzi ha parlato di giustizia, ma anche di guerra e immigrazione nella sua Omelia della Domenica delle Palme. "Perchè ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come guerra le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? - ha detto il presule - Perchè molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perchè tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?".

Tettamanzi dopo la lettura del Vangelo secondo Giovanni che presenta un Gesù come re "umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace", ha analizzato "la nostra situazione storica".

"Come sono oggi i giorni che viviamo? Potremmo definirli 'giorni stranì - spiega Tettamanzi - I più dotti potrebbero definirli 'giorni paradossalì". Tettamanzi interrogandosi ancora sulla attualità ha spiegato: "Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti. È un criterio caratterizzato da dominio superbo, subdolo, violento, oppure è un criterio contraddistinto da attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene?" "Siamo allora chiamati a interrogarci sull'unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti - ha aggiunto l'Arcivescovo di Milano - la vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sè, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita".

17 aprile 2011

 

Berlusconi, avviso ai pm: "Non mi farete fuori"

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Berlusconi e lo spot per Letizia

"Letizia Moratti ha illustrato il suo programma per i prossimi 5 anni per Milano - ha detto il presidente del Consiglio prendendo la parola al Teatro Nuovo del capoluogo lombardo, per la campagna elettorale di Milano. "Dobbiamo essere tutti fieri della nostra giunta - ha detto Berlusconi - per quello che ha fatto per la nostra città. Milano ha l'acqua che costa meno, non ha la tassa di soggiorno. Milano, mentre tutte le altre grandi città hanno imposto nuove imposte, Milano ha fatto il contrario".

"I passeri tossiscono..."

"Sono dovuto ritornare a scrivere le lettere d'amore. Milano fantastica che abbiamo dentro il cuore, una città unica. Da noi i passeri tossiscono, in altre città cinguettano. Milano è la nostra Inghilterra".

La canzone in milanese

Ha fatto anche un intervento canoro il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel suo intervento a una manifestazione per le elezioni comunali a Milano, in cui ha ricordato la sua vita in città e anche gli anni durante la guerra in cui è andato in Svizzera. Proprio lì ha detto che mamma Rosa gli faceva cantare quasi come un inno nazionale 'Nustalgia de Milan'. "La conoscete?" - ha detto - intonandone le prime parole e facendole cantare a tutti.

Avviso alle procure: "Non mi farete fuori"

"Mando un avviso ai naviganti delle procure - dice il premier intervenendo a Milano - faremo la riforma della giustizia anche se riusciranno a fami fuori perchè abbiamo la maggioranza nel Paese e in Parlamento. Ma sono sicuro che non riusciranno a fare fuori Berlusconi".

 

Un errore abrogare l'immunità parlamentare

La Corte costituzionale "ha abrogato il lodo Schifani, il lodo Alfano e poi il legittimo impedimento" e in questo modo "il presidente del Consiglio è stato dato in pasto ai pm di sinistra". Questo uno dei passaggi del discorso di Silvio Berlusconi alla convention a sostegno di Letizia Moratti a candidato sindaco di Milano. Il presidente del Consiglio ha quindi ribadito il suo giudizio sull'abolizione dell'immunità parlamentare: "È stato un errore gravissimo. Riguardo alla sua vicenda giudiziaria, ha sottolineato di essere stato oggetto di "oltre 20 processi che sono finiti con l'assoluzione. I pm di sinistra mi accusano ma per fortuna poi ci sono anche dei giudici che riconoscono che i fatti non sussistono".

"Il berlusconismo non tramonta"

"Quelli della sinistra dicevano che era il tramonto del Popolo della libertà, che non avremmo raggiunto i 53mila voti come l'ultima volta. Ma noi supereremo i 53mila voti", ha detto il premier.

"Amo tanto la famiglia, tanto che ne ho due.. "

"Amo tantissimo la famiglia, nonostante quel che dice Bersani, talmente tanto che ne ho due": così ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, aggiungendo che le sue due famiglie gli hanno "dato grandi soddisfazioni: ho cinque figli uno più bravo dell'altro e anche cinque nipoti. Ne mancano sei e poi è la squadra del Milan".

"Senza Fini e riformeremo archietettura Stato, giustizia e fisco"

Silvio Berlusconi rilancia le riforme della giustizia, dell'architettura istituzionale e tributaria. Il premier ha ribadito che queste riforme sono possibili anche grazie all'uscita di Fini dalla maggioranza. Il premier attacca ancora una volta il presidente della Camera sul presunto patto con la magistratura. Il leader di Fli replica duro: "L'escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile. Anche oggi, e per l'ennesima volta, il presidente del Consiglio ha detto di avere le prove di un patto scellerato che avrei sottoscritto con la magistratura per impedire le riforme della giustizia. Lo sfido a dimostrare quel che dice: dica il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà, cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna".

"Amministrative sono test nazionale per il governo"

La vittoria a Milano renderà più forte l'esecutivo, dice Berlusconi. "Le amministrative - spiega - sono un test nazionale per il governo". Avviso ai naviganti della procura: Berlusconi non risuciranno a farlo fuori

. 17 aprile 2011

 

 

L'Anm: i ministri fermino

lo scempio giustizia

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L'Associazione nazionale magistrati ha fatto appello ai ministri dell'Interno, della Giustizia e degli Esteri affinchè blocchino gli attacchi del premier Silvio Berlusconi ai giudici.

"L'anomalia più grave è il fatto che si assista a questo spettacolo, uno scempio delle istituzioni senza che si reagisca", ha detto il segretario Giuseppe Cascini a In 1/2 ora.

"Si sente l'opposizione protestare, ma non si vede da chi ha responsabilità istituzionali all'interno del centrodestra la sensibilità di dire 'oltre questo limite non si può andarè", ha spiegato. "Penso al ministro della Giustizia, degli Interni, degli Esteri, sono ministri che hanno anche cariche istituzionali importanti perchè hanno la responsabilità del funzionamento degli uffici giudiziari, dei corpi di polizia".

Il fatto che chi ha queste responsabilità "non si ribelli di fronte a queste cose se la prende con il candidato al Consiglio comunali che attacca i manifesti ma non dice nulla sulle e analoghe espressioni del presidente del Consiglio è particolarmente grave e preoccupante, e ci dice del degrado delle istituzioni", ha concluso.

17 aprile 2011

 

 

 

2011-04-15

Berlusconi rilancia: ora bavaglio e legge elettorale

di Ninni Andriolo | tutti gli articoli dell'autore

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berlusconimhm

È lo spettro della "vittoria zoppa alle politiche" quello che agita Palazzo Grazioli, al netto delle ostentazioni di forza sul processo breve e dell'urgenza di rilanciare a tambur battente sulle intercettazioni e sulla giustizia.

"Berlusconi ne è consapevole spiega uno dei consiglieri più ascoltati con questa legge elettorale e con il Terzo polo in campo l'attuale maggioranza potrebbe vincere alla Camera ma non al Senato". Nuove regole entro la legislatura, quindi, "per avere la certezza di una vittoria piena ". È il Terzo polo l'incognita del Cavaliere. Al capogruppo dei responsabili, Luciano Sardelli, che ieri ha partecipato al pranzo convocato convocato a Palazzo Grazioli, il premier ha dato un mandato preciso: pescare nuovi adepti tra finiani, rutelliani e casiniani, oltre "i 6 che hanno votato a scrutinio segreto per il processo breve", per "togliere l'acqua dove nuotano i pesci centristi ". I Responsabili, nella concezione di Silvio, dovranno diventare "terzo polo" oltre che "terza gamba ". Più che Sardellli...

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15 aprile 2011

 

 

Processo breve, Napolitano: "Valuterò"

di Marcella Ciarnelli | tutti gli articoli dell'autore

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napolitano a budapest

Arrivano fino a Praga, dove il presidente della Repubblica è in visita di Stato, gli echi delle polemiche seguite all'approvazione da parte della Camera del processo breve che è tornato alla valutazione del Senato, nel segno di un tormentato iter parlamentare fatto di utili silenzi e accelerazioni improvvise. Il Capo dello Stato preferisce non intervenire su vicende interne quando si trova all'estero. Però ha voluto ancora una volta rassicurare quanti gli hanno fatto pervenire le loro preoccupazioni, a cominciare dai familiari delle vittime di Viareggio che da parte sua non mancherà un’attenta valutazione delle norme, stando a quelle che sono le sue prerogative fissate dalla Costituzione e dalle quali non intende in alcun modo, come ha sempre fatto fin qui, derogare. "Valuterò i termini di questa questione quando saremo vicini al momento dell'approvazione definitiva in Parlamento" ha detto il presidente rispondendo ad una domanda che puntava ad avere "una valutazione" sul testo appena licenziato a Montecitorio. I tempi sono quelli. Non si può intervenire prima anche se a chiederlo sono tante persone toccate negli affetti più cari nelle più drammatiche occasioni e che temono il veder annullata almeno la possibilità di avere giustizia dopo tanto dolore. Non sono questi i tempi per farlo poiché qualunque giudizio andrebbe ad interferire con il lavoro che ancora deve essere portato avanti in Parlamento. Dalla maggioranza, che ha il dovere dell'ascolto. Dall'opposizione cui tocca fino in fondo il compito di apportare modifiche. Le parole di Napolitano, interpretate come il preannuncio di un possibile protagonismo, hanno provocato una prevedibile fibrillazione. Dal Quirinale è stato dunque necessario precisare che il presidente esaminerà la legge sul cosiddetto "processo breve" al momento previsto, ovvero alla fine dell'iter parlamentare, quando toccherà a lui dire l'ultima parola per la promulgazione.

15 aprile 2011

 

 

 

 

 

2011-04-14

La Cei stronca il processo breve: "Non serve"

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"Non chiamiamolo processo breve". Anche la Conferenza episcopale italiana, con un editoriale in prima pagina del suo quotidiano Avvenire, boccia senza appello la legge scandalo. I vescovi non approvano dunque il provvedimento del Governo approvato dalla Camera e ora all'esame del Senato abbrevia la prescrizione agli incensurati nei processi di primo grado di cui il Berlusconi potrà avvalersi nel processo Mills.

"Al di là delle partigianerie – scrive nell'articolo Danilo Paolini- i nodi della giustizia non saranno sciolti". Perché come tali "non vanno intese le urgenze del Presidente del Consiglio di risolvere i propri guai con taluni da magistrati di Milano". A giudizio del quotidiano, si possono anche considerare "vere" tanto le tesi a favore della nuova legge espresse dalla maggioranza e dal Governo quanto quelle contrarie espresse dalle opposizioni parlamentari. "Tuttavia sarebbe meglio chiedersi a che cosa non servirà questa legge definita solo per convenzione sul 'processo breve'. Perché la risposta, purtroppo, è che non servirà affatto ad accorciare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi già presentati in passato, si limiterà alla fotografia e non alla cura del male. Perché di volta in volta si potrà soltanto prendere atto del fallimento di uno Stato che non garantisce in tempi ragionevoli ai processi di arrivare a sentenza".

14 aprile 2011

 

 

 

Anm: "Prescrizione breve non passerà la costituzionalità"

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berlusconi arrabbiato processo mediaset milano

Il taglio della prescrizione per gli incensurati, inserito nella proposta di legge sul processo breve approvata stasera alla Camera, "difficilmente potrà reggere al vaglio di costituzionalità". Lo ha affermato il segretario dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini, ospite di 'Otto e mezzo' su La7. Cascini ha ricordato il "vincolo internazionale" cui l'Italia è legata avendo sottoscritto la Convenzione Onu contro la corruzione, con la quale "lo Stato italiano si impegna a garantire la persecuzione di tali reati".

Secondo Cascini il secondo problema è che "l'esigenza di circoscrivere l'applicazione ottenendo gli effetti sul singolo processo porta con sé un fatto grave, la violazione del principio di eguaglianza". Il fatto di limitare gli effetti della prescrizione breve escludendo i procedimenti già andati a sentenza di primo grado riproduce una norma inserita nella legge Cirielli "già dichiarata incostituzionale. L'insidia di questa legge - ha chiarito il segretario dell'Anm - è questa qui: siccome gli interventi della Corte costituzionale possono essere fatti solo a favore e non contro l'imputato, risultato di una eventuale pronuncia sarà di estendere a tutti i benefici di questa prescrizione breve, compresi i recidivi. Perché il tentativo di ritagliare quasi come un abito su misura la legge contrasta palesemente con l'articolo 3 della Costituzione".

13 aprile 2011

 

 

 

 

 

2011-04-12

Processo breve, Letta: giorni difficili e amari

Il 'trucco' Pdl per risparmiare i risarcimenti

di Claudia Fusani | tutti gli articoli dell'autore

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Berlusconi in tv

La rabbia per una giustizia negata. E la beffa del danno economico. C’è un aspetto della prescrizione breve che sfugge al dibattito di queste settimane. La leggina, come si sa, aiuterà il premier a farla franca ancora una volta. Addio processo Mills che verrà sepolto definitivamente a giugno. Bye bye processo sui diritti tv dove ieri è comparso per trasformare il Tribunale in un palcoscenico politico e che sarà archiviato nei primi mesi del 2012. Ma la leggina contiene una serie di effetti collaterali che vanno oltre la prescrizione di 15mila procedimenti (stima del Csm) e colpiscono direttamente e ancora una volta i cittadini. Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in Commissione Giustizia, lo va dicendo da settimane: "Oltre all’umiliazione anche la beffa per il mancato incasso dei danni da parte delle parti civili".

In sostanza, a norma approvata, succederà che le parti civili dei processi penali che si avviano alla cancellazione senza aver raggiunto la sentenza di condanna almeno di primo grado, non avranno più diritto al risarcimento del danno che invece sarebbe loro comunque garantito con la sola sentenza (di condanna) di primo grado e anche se il processo si prescrivesse prima della Cassazione. Solo soldi, si dirà. Cosa saranno mai di fronte a un verdetto di colpevolezza quando si è subìto un torto, un lutto, un danno grave. Solo soldi, è vero, ma anche quelli contano e pesano quando si chiede giustizia.

"Farla sporca- farla breve- farla lunga- farla franca" diceva ieri mattina un cartello, uno dei pochi sopravvissuti alla convention azzurra organizzata sotto le finestre del tribunale di Milano. Sintesi magnifica dell’obbrobrio che domani avrà il via libera della Camera e che il premier vuole legge entro la fine di maggio. "Che assurda perdita di tempo" ha ripetuto ieri nei numerosi comizi improvvisati dentro e fuori l’aula dove è imputato. Comizi che hanno avuto un unico ritornello: "Sono una vittima dei giudici, 2.566 udienze, le ho contate e mai una condanna: sono qui per sottolinearlo". Ovazioni. Tutto serve per creare la mistificazione necessaria per far dire alle persone: "Poveretto, è un perseguitato, è normale che debba essere tutelato con leggi speciali".

Sul rischio prescrizione anche il pm De Pasquale fa una sorta di appello al Tribunale in aula. Mette in guardia, cerca di accelerare i tempi, chiede e ottiene di ridurre la lista testi delle difese (ne restano 25 su una richiesta di 78) perché "il tempo sta mangiando le accuse". Mills, imputato nel processo sui diritti tv per riciclaggio, è ad esempio vicino alla prescrizione. Questo sarà "un suo problema" gli fa presente l’avvocato Virga (Confalonieri). È uno dei pochi argomenti a cui il premier lì seduto in prima fila mostra interesse.

Berlusconi è stato categorico, anche ieri sera in una cena a Milano con politici e parlamentari locali: voglio quella legge, la maggioranza deve tenere e magari allargarsi. Benedizioni di varia natura si stanno materializzando in queste ore nelle mani degli irrequieti Responsabili. La prescrizione breve, la norma Paniz, è un ricatto che varie parti di questa sconquassata maggioranza possono agitare e subire. Le votazioni cominciano oggi (ore 15). Ci sono 140 emendamenti da votare entro mercoledì pomeriggio quando è prevista la diretta tv e la votazione finale. Il premier non vuole scherzi. Meno che mai ulteriori ritardi per debolezze e protagonismi come quelli del ministro La Russa che hanno fatto slittare il voto dalla scorsa settimana. Ha fretta di liberare l’agenda da quei noiosi impegni del lunedì a Milano.

12 aprile 2011

 

 

 

 

 

2011-04-05

Rubygate, alla Camera sì al conflitto di attribuzione

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ruby televisione

L'aula della Camera, per 12 voti, ha approvato la richiesta di sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni sul caso Ruby. Lo ha detto il presidente Gianfranco Fini al termine della votazione. La richiesta della maggioranza, avanzata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili, Fabrizio Cicchitto, Marco Reguzzoni e Luciano Sardelli è stata approvata dunque, con dodici voti di scarto.

"Oggi si è consumata un'altra pagina davvero vergognosa: con i banchi del governo pieni, è straordinario vedere il ministro degli Esteri che in piena crisi internazionale passa le sue giornate in aula a votare processi verbali, sospensive e oggi il conflitto di attribuzione che evidentemente ritiene più importante di tutto il resto". lo ha affermato il presidente dei deputati democratici Dario Franceschini

I banchi del governo erano al gran completo nell'Aula della Camera. Per la votazione a c'erano praticamente tutti i ministri tranne il presidente del Consiglio: alla poltrona da lui usualmente occupata c'era la ministro Michela Vittoria Brambilla, tra i ministri Umberto Bossi e Franco Frattini. I banchi erano talmente pieni di ministri e sottosegretari che i ministri La Russa e Meloni non hanno trovato posto ed hanno dovuto accomodarsi ai banchi da deputato.

Dura la reazione del Pd. Il provvedimento sul conflitto di attribuzioni è "totalmente privo dei requisiti di legittimità" perchè non è vero che nel caso Ruby si sia di fronte ad un comportamento ministeriale. lo ha detto il democratico Pierluigi Castagnetti intervenendo alla Camera per dichiarazione di voto del Pd sul conflitto di attribuzioni. "Non è vero -ha affermato- che Berlusconi ha agito nell'interesse dello Stato. ad Arcore c'è stato di tutto e di più ma non attività di interesse dello Stato".

Sul perchè la maggioranza ha voluto il voto sul conflitto di attribuzioni, Castagnetti ha sostenuto che si vuole "assecondare la strategia dei difensori" di Berlusconi, dal punto di vista politico, ha aggiunto, "voi create un incidente per creare una condizione di conflitto permanente" con la magistratura. e "sperate che in qualche modo si possa trasferire il procedimento al tribunale dei ministri per poi potere negare l'autorizzazione a procedere e fare finire il processo" in modo che Berlusconi possa dire di essere stato assolto". "Voi -ha affermato Castagnetti- volete far credere che Ruby era la nipote di Mubarak! è una follia! c'è un limite a tutto: quello del buon senso e della responsabilità".

5 aprile 2011

 

 

Democrazia day, lungo Tricolore a Montecitorio

di Maria Zegarelli | tutti gli articoli dell'autore

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Tre parole d’ordine: Costituzione, resistenza, unità. Tre parole d’ordine e una bandiera, il tricolore, la stessa del 12 marzo, lunga 60 metri, per dire "no" alle leggi ad personam, al Parlamento piegato alle esigenze di un presidente del Consiglio che ormai da anni è concentrato soltanto a trovare il modo di non farsi processare, di non far partire o uccidere nella culla i procedimenti contro di lui.

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Democrazia day e poi notte bianca per la democrazia: è questa la risposta che arriva dalla società civile ai deputati della maggioranza che proprio oggi a Montecitorio ricominceranno da lì, ossessione eterna, i loro lavori: dalla prescrizione breve per cercare di fermare il processo Mills dove Berlusconi è imputato come corruttore, per passare poi al conflitto di attribuzione sul caso Ruby, alla vigilia dell’inizio del processo a Milano per le notti hard del premier con una minorenne.

Nel frattempo i fedelissimi del presidente del Consiglio stanno pensando ad un’altra leggina da far ingoiare ai parlamentari: l’ improcedibilità nei confronti del premier, così da eliminare all’origine qualunque problema. Possono farcela, perché hanno i voti - sono maggioranza - e allora è la piazza il luogo nevralgico e simbolico della protesta. Popolo Viola, Articolo 21, Giustizia e Libertà, esponenti di Pd, Idv e Fli, saranno in piazza, per dire "no" mentre Pdl e Lega, con la complicità dei Responsabili faranno del tutto per dire "sì" in Parlamento.

Un sit- in davanti a Montecitorio a partire dalle 14 e poi dalle 20 alle 24 in piazza Santi Apostoli mentre alle 18 il Pd si incontra al Pantheon. "Questo è il momento della mobilitazione e della responsabilità. Chiediamo alle forze politiche di opposizione intransigenza nella loro funzione di opposizione", rilancia Gustavo Zagrebelsky dal sito di Libertà e Giustizia, dove i commenti sono tantissimi. Gianfranco Mascia, del Popolo Viola commenta: "Siamo convinti che queste mobilitazioni di cittadini siano indispensabili per dare un segnale chiaro: in Italia la maggioranza degli elettori vuole che il Parlamento si occupi dei problemi reali e non degli interessi del capo".

"Solo una tappa di un percorso comune verso la legalità repubblicana. Un percorso che vogliamo condividere con uno schieramento il più ampio possibile" dicono Sandra Bonsanti, di Giustizia e Libertà e Beppe Giulietti di Articolo 21. Tantissime le adesioni tra cui Roberto Zaccaria, Vincenzo Vita, Antonio Di Pietro, Fabio Granata e Filippo Rossi, (Fli), Giovani per la Costituzione, il Comitato "il nostro tempo è adesso" Sofia Sabatino per la Rete degli studenti medi; Giorgio Paterna per l’Unione Universitari, Radio Articolo 1, Ottavia Piccolo. Stasera a partire dalle 20 in piazza Santi Apostoli ci saranno artisti, attori, musicisti e politici, un vero e proprio happening, 5 minuti a intervento, che vedrà alternarsi al microfono Dario Vergassola, Giobbe Covatta, Valerio Mastrandrea, Dario Fo, Franca Rame e Moni Ovadia, Rosy Bindi, Antonio Di Pietro, Angelo Bonelli, Paolo Cento e Oliviero Diliberto.

La "Dies Irae. resistenza musicale permanente" canterà l’Inno nazionale e il Va’ Pensiero. A Firenze alcuni attivisti suoneranno "la sveglia della democrazia" mentre a Perugia si parlerà dei costi della corruzione e a Padova si allestiranno banchetti per spiegare la riforma della Giustizia secondo il ministro Angelino Alfano.

Collegamento Aquila-Roma, annuncia Stefano Corradino di Articolo 21 che oggi sarà in Abruzzo, per costruire "un "ponte" in diretta telefonica con la manifestazione di Roma auspicando che a l’Aquila il 6 aprile ci siano anche numerosi media per risarcire quei territori che furono usati per la propaganda e in molti casi cancellati quando hanno cominciato a rivendicare i loro diritti".

"Sarà una grande festa - assicura Gianfranco Mascia del Popolo Viola - davanti ad un luogo simbolico, la Prefettura di Roma. Noi crediamo nella legalità e tra i difensori di quest'ultima ci sono i prefetti. La difesa della Costituzione deve essere una cosa gioiosa, non come le tristi iniziative organizzate dal centrodestra dove pagano le persone per farle partecipare". Ma ancora una volta motore prezioso per la circolazione delle informazioni e delle idee è il web, dove non si contano gli appelli, la raccolta di firme, i commenti le sollecitazioni a partecipare alla protesta e a non rassegnarsi.

5 aprile 2011

 

 

Toghe, altolà del Colle: "Rispettare divisione poteri"

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giorgio napolitano

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nell'auspicare "un più sereno clima istituzionale, ha ribadito il convincimento che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Così al termine dell'incontro tra il Capo dello stato e la Giunta dell'Anm in una nota diffusa da Quirinale. "Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - si legge in una nota del Quirinale - ha oggi ricevuto al Quirinale la Giunta esecutiva centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati che gli ha espresso preoccupazioni e perplessità sul testo del disegno di legge costituzionale in tema di riforma della giustizia approvato l'11 marzo 2011 dal Consiglio dei Ministri, peraltro non ancora trasmesso al Capo dello Stato per la presentazione alle Camere. Sono state manifestate altresì vive preoccupazioni per le gravi ricadute sul sistema giustizia che potrebbero avere recenti iniziative di legge ordinaria e in generale per il continuo rinnovarsi di polemiche indiscriminate nei confronti della magistratura nel suo complesso. Nel corso dell'incontro - si prosegue nella nota - il Presidente Napolitano, nell'auspicare un più sereno clima istituzionale, ha ribadito il convincimento che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto".

"Il Capo dello Stato ha quindi espresso la convinzione che l'apertura di un confronto su proposte di modifica del Titolo IV della Costituzione possa costituire terreno di impegno per tutte le forze politiche e culturali e in particolare per tutte le componenti del mondo della giustizia : ferma restando la necessità che un tale confronto avvenga senza pregiudiziali e con la massima disponibilità all'ascolto e alla considerazione delle diverse impostazioni e proposte. In termini più generali il Capo dello Stato ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948 : rimodulazione che in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia". "Nel richiamare le regole fissate nell'articolo 138 della Carta, il Presidente della Repubblica - conclude la nota - ha infine sottolineato come esse siano ispirate al principio della ricerca di un'ampia condivisione, che deve comprendere anche la definizione di puntuali orientamenti per le leggi ordinarie attuative della riforma costituzionale".

5 aprile 2011

 

Anm: "Rinfrancati da Napolitano"

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"Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato". Lo dicono i vertici dell'Associazione Nazionale Magistrati, che oggi sono stati ricevuti dal capo dello Stato al quale hanno espresso tutte le loro preoccupazioni per le riforme che riguardano la giustizia.

I principi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura saranno "fortemente alterati se si dovesse approvare la riforma costituzionale della giustizia",. È quanto hanno fatto presente i vertici dell'Associazione Nazionale Magistrati nel corso del colloquio con il capo dello Stato. "Da parte nostra - ha spiegato il presidente dell'Anm, Luca Palamara parlando con i giornalisti alla fine dell'incontro - non c'è una chiusura corporativa ma la volontà di mantenere fermi questi principi che sono capisaldi dello stato di diritto e che sono a garanzia dei cittadini".

5 aprile 2011

 

Democrazia day, in piazza per uscire dal buio

di Maria Zegarelli | tutti gli articoli dell'autore

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bersani piazza montecitorio box

Tre parole d’ordine: Costituzione, resistenza, unità. Tre parole d’ordine e una bandiera, il tricolore, la stessa del 12 marzo, lunga 60 metri, per dire "no" alle leggi ad personam, al Parlamento piegato alle esigenze di un presidente del Consiglio che ormai da anni è concentrato soltanto a trovare il modo di non farsi processare, di non far partire o uccidere nella culla i procedimenti contro di lui.

Democrazia day e poi notte bianca per la democrazia: è questa la risposta che arriva dalla società civile ai deputati della maggioranza che proprio oggi a Montecitorio ricominceranno da lì, ossessione eterna, i loro lavori: dalla prescrizione breve per cercare di fermare il processo Mills dove Berlusconi è imputato come corruttore, per passare poi al conflitto di attribuzione sul caso Ruby, alla vigilia dell’inizio del processo a Milano per le notti hard del premier con una minorenne.

Nel frattempo i fedelissimi del presidente del Consiglio stanno pensando ad un’altra leggina da far ingoiare ai parlamentari: l’ improcedibilità nei confronti del premier, così da eliminare all’origine qualunque problema. Possono farcela, perché hanno i voti - sono maggioranza - e allora è la piazza il luogo nevralgico e simbolico della protesta. Popolo Viola, Articolo 21, Giustizia e Libertà, esponenti di Pd, Idv e Fli, saranno in piazza, per dire "no" mentre Pdl e Lega, con la complicità dei Responsabili faranno del tutto per dire "sì" in Parlamento.

Un sit- in davanti a Montecitorio a partire dalle 14 e poi dalle 20 alle 24 in piazza Santi Apostoli mentre alle 18 il Pd si incontra al Pantheon. "Questo è il momento della mobilitazione e della responsabilità. Chiediamo alle forze politiche di opposizione intransigenza nella loro funzione di opposizione", rilancia Gustavo Zagrebelsky dal sito di Libertà e Giustizia, dove i commenti sono tantissimi. Gianfranco Mascia, del Popolo Viola commenta: "Siamo convinti che queste mobilitazioni di cittadini siano indispensabili per dare un segnale chiaro: in Italia la maggioranza degli elettori vuole che il Parlamento si occupi dei problemi reali e non degli interessi del capo".

"Solo una tappa di un percorso comune verso la legalità repubblicana. Un percorso che vogliamo condividere con uno schieramento il più ampio possibile" dicono Sandra Bonsanti, di Giustizia e Libertà e Beppe Giulietti di Articolo 21. Tantissime le adesioni tra cui Roberto Zaccaria, Vincenzo Vita, Antonio Di Pietro, Fabio Granata e Filippo Rossi, (Fli), Giovani per la Costituzione, il Comitato "il nostro tempo è adesso" Sofia Sabatino per la Rete degli studenti medi; Giorgio Paterna per l’Unione Universitari, Radio Articolo 1, Ottavia Piccolo. Stasera a partire dalle 20 in piazza Santi Apostoli ci saranno artisti, attori, musicisti e politici, un vero e proprio happening, 5 minuti a intervento, che vedrà alternarsi al microfono Dario Vergassola, Giobbe Covatta, Valerio Mastrandrea, Dario Fo, Franca Rame e Moni Ovadia, Rosy Bindi, Antonio Di Pietro, Angelo Bonelli, Paolo Cento e Oliviero Diliberto.

La "Dies Irae. resistenza musicale permanente" canterà l’Inno nazionale e il Va’ Pensiero. A Firenze alcuni attivisti suoneranno "la sveglia della democrazia" mentre a Perugia si parlerà dei costi della corruzione e a Padova si allestiranno banchetti per spiegare la riforma della Giustizia secondo il ministro Angelino Alfano.

Collegamento Aquila-Roma, annuncia Stefano Corradino di Articolo 21 che oggi sarà in Abruzzo, per costruire "un "ponte" in diretta telefonica con la manifestazione di Roma auspicando che a l’Aquila il 6 aprile ci siano anche numerosi media per risarcire quei territori che furono usati per la propaganda e in molti casi cancellati quando hanno cominciato a rivendicare i loro diritti".

"Sarà una grande festa - assicura Gianfranco Mascia del Popolo Viola - davanti ad un luogo simbolico, la Prefettura di Roma. Noi crediamo nella legalità e tra i difensori di quest'ultima ci sono i prefetti. La difesa della Costituzione deve essere una cosa gioiosa, non come le tristi iniziative organizzate dal centrodestra dove pagano le persone per farle partecipare". Ma ancora una volta motore prezioso per la circolazione delle informazioni e delle idee è il web, dove non si contano gli appelli, la raccolta di firme, i commenti le sollecitazioni a partecipare alla protesta e a non rassegnarsi.

5 aprile 2011

 

DIRETTA Democrazia Day

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popolo viola montecitorio monetine

LA DIRETTA

 

 

GIUSTIZIA, TESTO DI RIFORMA

TRASMESSO AL QUIRINALE

Il testo del ddl del Governo di riforma costituzionale della giustizia è stato trasmesso al Quirinale ed entro oggi sarà al vaglio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lo si apprende in ambienti del ministero della Giustizia, le quali specificano che il provvedimento approvato dal Cdm il 10 marzo scorso, è stato trasmesso da via Arenula ieri sera a Palazzo Chigi, che a sua volta ha provveduto a trasmetterlo al Quirinale in mattinata con una nota di accompagnamento. In una nota diffusa stamattina dopo l'incontro con i vertici dell'Anm, era stato proprio il Quirinale a dare notizia della mancata trasmissione del ddl al capo dello Stato "per la presentazione alle Camere".

MONTECITORIO BLINDATO

AL VIA LA MANIFESTAZIONE

Con il sit-in a Montecitorio ha preso il via la 'giornata della democrazia', mobilitazione contro il processo breve che si sta votando alla Camera e contro le leggi ad personam. La manifestazione è stata organizzata dal Popolo viola.

Poi il Pd manifesterà al Pantheon e dalle 20 a mezzanotte un happening in piazza Santi Apostoli. Piazza Montecitorio è blindata: la gente sta iniziando ad affluire. Dal palazzo è sceso il leader dell'Idv Antonio Di Pietro che ha appena preso la parola.

DI PIETRO: MANIFESTAZIONI FORSE

DIVENTERANNO RIVOLTA

"Prima che si passi dalla manifestazione alla rivolta vera e propria, invito i cittadini a dare seguito ad un referendum politico che metta con le spalle al muro il presidente del Consiglio e indichi, al presidente della Repubblica, la dicotomia ormai esistente tra una maggioranza numerica in parlamento e una maggioranza politica che non c'è più". Così Antonio Di Pietro davanti alla transenne di piazza Montecitorio mentre affluiscono i manifestanti che si sono dati appuntamento davanti al Parlamento per contestare i provvedimenti del governo sulla giustizia. Il leader dell'Idv lancia l'allarme sulla possibilità che le manifestazioni, per ora pacifiche, si possano trasformare in qualcosa di più violento. I manifestanti per ora si mantengono dietro le transenne, dove già sventolano le bandiere del movimento dei lavoratori di Marco Ferrando.

5 aprile 2011

 

 

 

 

 

2011-04-04

Giustizia, il Pd domani in piazza per la democrazia

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bersani 304

Domani in piazza per la democrazia. Tutto è pronto per la mobilitazione che si svolgerà domani a Roma, in concomitanza con il ritorno in Aula del processo breve.

Da Montecitorio a piazza Sant'Apostoli, molti i presidi e gli happening fino alla "notte bianca" previsti dal comitato promotore - Popolo Viola, Articolo 21, Libertà e Giustizia e MoveOn.

Si inizierà alle 14.30 con un presidio permanente in Piazza Montecitorio e alle 20.00 ci si sposterà in Piazza Sant’Apostoli dove fino a mezzanotte si alterneranno artisti, rappresentati della società civile, dei partiti, del mondo delle associazionismo in un happening dedicato alla democrazia all’insegna del tricolore e della costituzione, senza simboli di partito.

In piazza anche il Pd

In piazza ci sarà anche il Partito democratico. Lo ha detto il segretario Pier Luigi Bersani, in un'intervista a "Repubblica". Bersani critica Alfano "ministro impastato di arroganza e servilismo" che "tradisce il suo mestiere e ha uno stile sartoriale perché adatta sempre i suoi provvedimenti ai voleri del capo". La riforma costituzionale, prosegue, "ha un punto essenziale che è inaccettabile: dà alla politica un potere improprio nell'esercizio della giustizia. Contro questo e contro le leggi ad personam combatteremo in Parlamento e nelle piazze".

Le adesioni

Hanno già aderito: Antonio Di Pietro (Presidente IDV), Roberto Zaccaria (Deputato PD), Vincenzo Vita (Senatore PD), Leoluca Orlando (Portavoce Idv), Fabio Grananata (Deputato Fli), Marco Miccoli (segretario PD Roma), Vincenzo Maruccio (segretario IDV Lazio), Giovani per la Costituzione, Fulvio Fammoni (Comitato per la Libertà e il Diritto all'Informazione, alla Cultura e allo Spettacolo) Roberto Morrione (libera informazione) Comitato "il nostro tempo è adesso", Sofia Sabatino (Rete degli Studenti Medi) Giorgio Paterna (Unione degli Universitari), Radio Articolo1, Gianmario Gillo (direttore della rivista Confronti) Ottavia Piccolo, Flavio Lotti (tavolo della pace), Ennio Remondino(giornalista), Shukri Said (associazione migrare) "DIES IRAE - resistenza musicale permanente" che si esibirà nel canto dell'Inno Nazionale e del Va Pensiero.

Mobilitazioni e manifestazioni sono previste in tutto il Paese Sotto il titolo "Le strade e le piazze della democrazia" continua la campagna informativa di Libertà e Giustizia che a partire da Padova il 5 aprile, allestisce banchetti per spiegare la riforma della giustizia articolo per articolo con il testo affronte della costituzione. Sempre il 5 aprile a Perugia si parla dei costi della corruzione, di riforma della giustizia il 14 aprile a Torino e del collasso della riforma Brunetta il 15 a Milano.

4 aprile 2011

 

 

2011-04-03

Giustizia, Alfano invoca la piazza sulla riforma

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"Ci batteremo per far passare la riforma della giustizia nelle piazze". Lo ha detto il ministro Angelino Alfano parlando di giustizia al convegno di Rete Italia a Riva del Garda. "Sarà necessario l'impegno di un grande partito come il nostro, guidato da Berlusconi", ha tra l'altro detto.

"Io chiederò a Rete Italia - ha aggiunto il ministro Alfano - il sostegno culturale, pratico e materiale della militanza, perchè noi dobbiamo batterci per far passare quella che in altri Paesi è un'ovvietà e purtroppo è il limite del nostro Paese". "Dobbiamo batterci - ha proseguito - contro il pregiudizio dei Soloni del diritto che ritengono che noi non siamo idonei culturalmente a proporre una riforma costituzionale della giustizia. Dobbiamo batterci contro il pregiudizio di chi ritiene di rappresentare la virtù anche dal punto di vista della interpretazione costituzionale e dobbiamo batterci contro il pregiudizio doloso di chi sposa le ragioni dei magistrati a prescindere dai loro meriti e dai loro demeriti".

2 aprile 2011

 

 

 

 

 

2011-04-02

Il ministro Alfano alza i toni: "Faremo

passare riforma giustizia nelle piazze"

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"Ci batteremo per far passare la riforma della giustizia nelle piazze". Lo ha detto il ministro Angelino Alfano parlando di giustizia al convegno di Rete Italia a Riva del Garda. "Sarà necessario l'impegno di un grande partito come il nostro, guidato da Berlusconi", ha tra l'altro detto.

"Io chiederò a Rete Italia - ha aggiunto il ministro Alfano - il sostegno culturale, pratico e materiale della militanza, perchè noi dobbiamo batterci per far passare quella che in altri Paesi è un'ovvietà e purtroppo è il limite del nostro Paese". "Dobbiamo batterci - ha proseguito - contro il pregiudizio dei Soloni del diritto che ritengono che noi non siamo idonei culturalmente a proporre una riforma costituzionale della giustizia. Dobbiamo batterci contro il pregiudizio di chi ritiene di rappresentare la virtù anche dal punto di vista della interpretazione costituzionale e dobbiamo batterci contro il pregiudizio doloso di chi sposa le ragioni dei magistrati a prescindere dai loro meriti e dai loro demeriti".

2 aprile 2011

 

 

2011-03-30

Prescrizione breve, bagarre alla Camera

A La Russa saltano i nervi: "Affan..." in aula

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Davanti alla Camera ci sono stati momenti di tensione. Soprattutto quando è arrivato La Russa: slogan da manifestanti contro il ministro. Che poi in aula ha attaccato l'opposizione. Ma Franceschini ribatte: ministro sceso apposta tra manifestanti. E, guarda caso, il servizio d'ordine non era quello standard per Montecitorio.

FRANCESCHINI: PROVVEDIMENTI PER "AFFANCULO" DI LA RUSSA

"Un ministro della Difesa che ad un normale intervento manda 'affanculò il presidente della Camera o, come ha chiarito dopo, il capogruppo dell'opposizione richiede provvedimenti importanti". Così, al termine della seduta sospesa per la bagarre in Aula, il capogruppo del Pd Dario Franceschini condanna il comportamento del ministro, aggiungendo che "almeno La Russa è riuscito nell'intento di far rinviare la seduta, facendo inconsapevolmente ostruzionismo".

 

RAINEWS: SERVIZIO D'ORDINE INFERIORE STANDARD MONTECITORIO

Rainews: servizio d'ordine inferiore agli standard di Montecitorio. Probabilmente dare queste notizie attirerà strali (oppure offensive dietro le quinte) contro la testata diretta da Mineo.

 

SOSPETTO DI FRANCESCHINI: LA RUSSA NON PER CASO TRA MANIFESTANTI

Franceschini avanza il sospetto che i manifestanti siano fatti lasciare arrivare davanti a Montecitorio non per caso e non per caso ma per provocare sia passato di lì (e non da un portone laterale) La Russa. Il ministro della Difesa parla di contestazione premeditata e organizzata. Lo scambio di battute è al calor bianco. Scappa un "vaffa" rivolto al presidente della Camera.

 

BAGARRE IN AULA, SEDUTA SOSPESA

Bagarre alla Camera in aula. Fini alle 18.40 interrompe la seduta. La Russa dà di violenti all'opposizione e attacca con toni pesanti. Si è sentito qualcuno urlare "fascista". Fini ha dovuto sospendere la seduta.

 

BERSANI ALLA PIAZZA: CI OPPONIAMO IN TUTTI I MODI, UNITI CE LA FAREMO

Con l'aiuto di una scaletta, Pier Luigi Bersani prende il microfono in piazza Montecitorio all'altezza delle transenne che delimitano lo spazio antistante la Camera dei deputati. Davanti a lui circa mille persone, che sventolano bandiere del Pd, dell'Idv, degli altri partiti della sinistra e del Popolo viola. "Grazie di essere qui - attacca il segretario democratico- a manifestare contro un colpo di mano del governo messo in piedi per salvare Berlusconi". I manifestanti applaudono. Il segretario del Pd spiega: "non è accettabile che il ministro della Difesa, quello degli Esteri, con tutto quello che accade a livello internazionale, oggi siano presenti in Parlamento con la maggioranza. E martedì prossimo porteranno anche il conflitto di attribuzione per far dire al Parlamento che Ruby è la nipote di Mubarak". La gente in piazza apprezza e quando Bersani ribadisce che il Pd "sarà presente in Aula per opporsi in tutti i modi" alle forzature della maggioranza, un singolo manifestante grida: "E speriamo che ci sarete tutti questa volta", ma viene sommerso dai fischi della piazza. Bersani rivolge un appello "a non diffondere solo rabbia ma anche fiducia e speranza. Bisogna avere tenuta, unità - conclude - e ce la faremo".

 

ROSY BINDI: TOGLIETE ASSEDIO A MONTECITORIO

"Togliete l'assedio a Montecitorio" chiede il presidente del Pd Rosy Bindi mentre dei manifestanti contro la prescrizione breve - Popolo Viola insieme a militanti del Pd e Idv - continuano a gridare: "Buffoni, buffoni, fuori, fuori". Rosy Bindi ha chiesto - garbatamente - ai manifestanti di "togliere l'assedio" a Montecitorio, per tenere alta la bandiera della battaglia contro il processo breve. E definisce "molto grave" che la maggioranza cerchi di far passare questa "ennesima legge ad personam". Secondo la parlamentare - lo dice tramite un microfono ai manifestanti, "dobbiamo mantenere un comportamento corretto, fare sit in permanenti, proposte serie con un comprotamento ineccepibile, no a monetine. Contro questa che è la dittatura della maggioranza".

 

MONETINE CONTRO LA RUSSA

Momenti di tensione davanti Montecitorio dove il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è stato duramente contestato da un gruppo di manifestanti del popolo Viola e del Pd che si erano radunati davanti a Montecitorio per un sit in contro la legge sul processo breve. La Russa è uscito dalla Camera e si è avvicinato ai manifestanti che l'hanno raggiunto gridandogli: "Vergogna, mafiosi, fascista" e gli hanno tirato delle monetine. La Russa è stato protetto da un cordone di carabinieri che lo hanno fatto rientrare a Montecitorio. Duramente contestato anche il sottosegretario Daniela Santanchè apostrofata con "bugiarda".

 

BLITZ DELLA MAGGIORANZA ALLA CAMERA

Blitz della maggioranza alla camera dei Deputati sul processo breve. Il Pdl ha chiesto l'inversione dell'ordine dei lavori alla Camera per portare già oggi all'esame dell'Aula il provvedimento sul processo breve e il Pd ha protestato, parlando di "pagina nera per la storia della Repubblica". Ma l'Aula ha votato sì alla richiesta di Pdl e Lega. Le opposizioni hanno votato contro. Il sì alla richiesta di inversione dell'ordine del giorno è passato per 15 voti di scarto. Slitta quindi l'esame, previsto oggi, della legge Comunitaria nella quale è stato inserito il contestato emendamento che amplia la responsabilità civile dei magistrati. Norma che proprio in queste ore è oggetto di 'ripensamenti' che potrebbero portare ad una riformulazione del testo, e sulla quale il Csm si prepara ad intervenire con un parere decisamente critico.

È stato Simone Baldelli, Pdl, in apertura di seduta a chiedere l'inversione dell'ordine del giorno. Subito dopo, ha preso la parola il capogruppo Pd Dario Franceschini, lamentando la violazione dell'articolo del regolamento della Camera che riserva all'opposizione uno spazio dei lavori dell'Aula per le proprie proposte di legge. "Vergognatevi", ha detto il capogruppo Pd. "La proposta del Pdl su cui esprimiamo parere contrario è un'altra pagina inedita di violenza parlamentare e abuso della maggioranza", ha continuato Franceschini denunciando la richiesta del Pdl. "Voi- attacca- volete fare subito, perchè volete questo provvedimento vergognoso che ha l'unica motivazione di fermare il processo Mills" di Silvio Berlusconi. Per l'ex segretario democratico "questo provvedimento ha come conseguenza immediata la prescrizione per migliaia di processi: un imputato di violenza carnale, se incensurato- dice- avrà la prescrizione breve grazie alla vostra norma". Poi, si rivolge al ministro Bossi, seduto in Aula, e con toni alti accompagnati dalle proteste dei deputati di maggioranza, dice: "Cosa andrete a dire ai popoli padani a cui parlate di sicurezza? Che quando riguarda il presidente del Consiglio non contano violenze e rapine? Siete pronti, come dei servitori fedeli, a votare a favore del presidente del Consiglio". Franceschini, poi, conclude: "Oggi il presidente del Consiglio è corso a Lampedusa con a seguito giornalisti e tv: quella visita non è per aiutare la popolazione, ma perchè volete coprire il processo breve, è l'ultima delle vergogne. Almeno provate vergogna per un'altra pagina nera nella storia della Repubblica". La risposta dai banchi della maggioranza è stata: "Buffoni, buffoni!".

Gianfranco Fini replica al Pd che denuncia che non si può invertire l'ordine del giorno dei lavori dell'assemblea se questo pregiudica l'esame di un provvedimento in quota opposizione. Prendendo la parola in aula dopo la richiesta del Pdl di accelerare sul processo breve con dentro la prescrizione breve, il presidente della Camera spiega che ci sono deliberazioni della Giunta del regolamento che fin dal 1998 precisano che le richieste di inversione di ordine del giorno, così come le richieste di rinvio in commissione di un ddl, "non incidono" sul provvedimento in discussione ma sulla "procedura" dell'esame. La decisione di far votare l'aula, aggiunge Fini, "spetta al presidente della Camera che chiama l'assemblea a pronunciarsi". Le richieste di inversione dell'odg, quindi, "non possono essere contestate" e non sono "connesse ad alcuna conseguenza definitiva sul merito". A Erminio Quartiani (Pd), che interviene anche dopo le parole di Fini, la terza Carica dello Stato replica: "Io non ho il potere di verificare ciò che è più opportuno" sul merito di un ddl "ma solo di far mettere in votazione" le richieste di invertire l'ordine dei lavori.

30 marzo 2011

 

Caso Ruby, conflitto

di attribuzione martedì alla Camera

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Ruby

La Camera voterà martedì 5 aprile sulla richiesta della maggioranza di sollevare il conflitto di attribuzione sul caso Ruby, sempre che per quella data sia stato licenziato il disegno di legge sul processo breve. In sostanza la discussione potrebbe slittare se l'aula non avrà terminato l'esame del ddl sul processo breve, che contiene la prescrizione breve. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio fissando la discussione alle 15, con diretta televisiva degli interventi su richiesta del Partito democratico.

"Quali che siano le conclusioni cui perverrà l'Ufficio di Presidenza, l'Assemblea deve essere comunque chiamata a pronunciarsi sulla questione secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo": lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, durante l'Ufficio di Presidenza di Montecitorio, riferendosi al conflitto di attribuzione della Camera sul caso Ruby.

Della questione del conflitto di attribuzione si sta occupando l'Ufficio di Presidenza di Montecitorio. Aprendo i lavori il presidente Fini ha illustrato lo stato dell'arte, ricordando i pareri espressi dalle Giunte per le Autorizzazioni e per il Regolamento, elencando i precedenti. Secondo quanto si apprende, visto che la riunione è ancora in corso,

La vicenda del conflitto di attribuzione da parte della Camera sul caso Ruby "presenta aspetti speciali ed unici": è quanto, secondo quanto si apprende, avrebbe detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, durante l'Ufficio di presidenza di Montecitorio. Nella sua relazione, Fini ha detto, fra l'altro, che la composizione dell'Ufficio di presidenza vede di fatto la prevalenza numerica delle opposizioni rispetto alla maggioranza, il che costituisce un fatto di "assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che ha citato. Peraltro, aggiunge Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all'Aula. "Nella presente circostanza- ha puntualizzato Fini - la decisione dell'Ufficio di presidenza in merito all'elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell'organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi".

30 marzo 2011

 

2011-03-25

L'Anm: "Processo breve è un'offesa agli onesti"

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L'Associazione nazionale magistrati definisce il cosiddetto processo breve un'offesa per gli onesti: "Gli incensurati resteranno tali per sempre". E denuncia: "Non era mai successo che l'attività legislativa venisse piegata in maniera così esplicita a interessi particolari". Lo scrivono in un documento i vertici dell'Anm affrontando gli emendamenti sulla responsabilità civile e sulla prescrizione inseriti in due disegni di legge all'esame del parlamento. L'accusa è molto dura.

"La riduzione dei termini di prescrizione è un'offesa per tutti i cittadini onesti di questo paese" e "rischia solo di determinare l'impunità per autori di gravi delitti": così recita una lunga nota firmata dal presidente Luca Palamara, dal vice presidente Antonello Ardituro e dal segretario generale Giuseppe Cascini.

"Già nel 2005, con la cosiddetta legge ex Cirielli, i termini di prescrizione dei reati - sottolineano i magistrati - sono stati drasticamente ridotti, con il risultato che nel 2009 il numero dei reati estinti per prescrizione è stato di oltre 140mila. In un solo anno più di 140mila persone accusate di un reato hanno beneficiato della scappatoia della prescrizione".

Per il sindacato delle toghe "è evidente che un'ulteriore riduzione dei termini di prescrizione, in assenza di qualsiasi intervento diretto ad assicurare un migliore funzionamento del sistema giudiziario, determinerà soltanto un significativo incremento del numero dei processi destinati alla prescrizione. Gli unici processi che potranno essere portati a termine saranno quelli nei confronti dei recidivi, mentre gli incensurati avranno ottime probabilità di restare tali per sempre. La differenziazione del regime di prescrizione del reato in ragione della personalità dell'imputato appare palesemente in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza".

Secondo Luca Palamara, Antonello Ardituro e Giuseppe Cascini, invece, "è impensabile che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti di un incensurato si estingua, mentre debba proseguire quello per una truffa da cinque euro commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato"

25 marzo 2011

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Anm: "Responsabilità civile è aggressione magistrati"

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Far pagare ai magistrati eventuali errori, così come lo prevede la riforma della giustizia del ministro Alfano, è "un'aggressione" verso i magistrati. L'Anm non nutre dubbi. La modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, inserita con un emendamento nella legge comunitaria 2010, "appare talmente assurda e disorganica da potersi spiegare soltanto come atto di aggressione nei confronti della Magistratura, diretto ad influenzarne la serenità di giudizio".

Arriva, puntuale, la difesa dalla maggioranza. Stavolta attraverso Jole Santelli, vicepresidente dei deputati del Pdl: "In democrazia ad ogni potere corrisponde una responsabilità. Assurdo che chi come i magistrati è abituato a giudicare gli altri non accetta di essere a propria volta giudicato. Ritenere un'aggressione ciò che è una garanzia per i cittadini significa difendere i privilegi di casta".

I vertici dell'Anm ricordano che "l'interpretazione della legge e la valutazione del fatto e delle prove rappresentano il cuore dell'attività giudiziaria: pensare di sottoporre a censura tale attività con la generica e incomprensibile formula della 'manifesta violazione del diritto' è davvero irragionevole prima ancora che profondamente sbagliato".

25 marzo 2011

 

 

 

2011-03-22

Processo breve, sì

a prescrizione più rapida

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E' passato l'emendamento Paniz quattro-bis che premia chi ha la fedina pulita e allunga i tempi della prescrizione per chi è recidivo. La norma non si applica ai procedimenti in cui è già stata pronunciata sentenza di primo grado. Hanno votato contro Pd, Udc, Idv e Fli. Sì dal Pdl, Lega e Responsabili.

L'emendamento del relatore Maurizio Paniz, del Pdl, riduce da un quarto a un sesto il tempo necessario alla prescrizione per gli incensurati. E' passato oggi pomeriggio alla Commissione giustizia della Camera e riguarda il cosiddetto processo breve.

22 marzo 2011

 

 

2011-03-19

Giustizia, Anm: Stato d'agitazione

Da Napolitano il 5 aprile prossimo

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Proclamare lo "stato di agitazione", di fronte a una riforma che "rischia di minare in radice l'indipendenza e l'autonomia" della magistratura. È la proposta che il presidente dell'Anm, Luca Palamara sottopone al comitato direttivo centrale del sindacato delle toghe, riunito oggi a Roma. L'idea di Palamara, è quella di fissare una nuova riunione del 'Parlamentinò dopo l'incontro, previsto per il 5 aprile, con il capo dello Stato, per "deliberare forme di protesta".

Rinviare, dunque, qualsiasi ipotesi compresa quella dello sciopero, mantenendo invece lo stato di agitazione, con l'invito "ai colleghi - ha detto Palamara - ad una generale mobilitazione per diffondere informazioni sullo stato della giustizia ai cittadini", valutando di deliberare "ulteriori incontri istituzionali e la proclamazione di un'assemblea straordinaria".

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riceverà una delegazione della giunta dell'Associazione nazionale magistrati il prossimo 5 aprile. "È chiaro che questa convocazione - ha osservato il leader della magistratura associata - è un dato da non trascurare, anche tenendo conto dello stato di agitazione della categoria". Palamara quindi, pur confermando la proposta della proclamazione dello stato di agitazione, ha manifestato l'intenzione di "fissare una nuova riunione nel Cdc dopo il 5 aprile per deliberare le forme di protesta".

Palamara ha invitato "anche i colleghi di Magistratura Indipendente (la corrente di minoranza che non fa parte della giunta dell'Anm, ndr) a indicare un nominativo che possa partecipare all'incontro con il capo dello Stato". Poi ha sottolineato la necessità di "invitare i colleghi a una mobilitazione generale sugli effetti della riforma che mette a rischio l'indipendenza e l'autonomia della magistratura anche diffondendo in ambito locale le schede pubblicate sul sito dell'Anm". Secondo Palamara sarà necessario "deliberare ulteriori incontri con le massime autorità istituzionali del paese e, in data da concordare, un'assemblea straordinaria" delle toghe.

A giudizio del presidente dell'Anm la convocazione al Quirinale "rappresenta il riconoscimento della linea scelta dalla giunta del pieno rispetto dei percorsi istituzionali". Pur senza citare direttamente le polemiche che hanno investito anche ieri il sindacato dei magistrati dopo le dichiarazioni del suo segretario nazionale, Giuseppe Cascini, Palamara ha rivendicato nuovamente la scelta della giunta di "non esprimere valutazioni prima di conoscere il testo della riforma costituzionale", ma di aver coerentemente espresso "profondo dissenso nel merito della riforma".

Ieri il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini, ha definito la maggioranza di governo non legittimata, moralmente e culturalmente, a proporla. Palamara ha ricordato che la presentazione della riforma è stata preceduta da un "clima di dileggio e offese" nei confronti della magistratura. "Quando parliamo di riforma punitiva - ha proseguito Palamara - ci riferiamo anche al metodo e alla tempistica non disgiunta, evidentemente, da tutte le vicende giudiziarie accadute in questi mesi". Palamara ha ricordato che a novembre "il ministro Alfano ci disse che non sarebbero state fatte riforme ma sarebbero stati soltanto ritoccati gli aspetti organizzativi del funzionamento della giustizia, affermazioni che sono state del tutto smentite".

19 marzo 2011

 

 

 

 

 

2011-03-18

Anm: maggioranza non ha

legittimità per riforma giustizia

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Il segretario dell'Anm, Giuseppe Cascini, torna ad attaccare l'ipotesi di riforma della giustizia presentata dal ministro Angelino Alfano: "Non c'è legittimità storica, politica, culturale e morale perché questa maggioranza possa affrontare una riforma della giustizia legittimamente".

Cascini, intervenendo a un convegno organizzato da Sel, ha anche spiegato che "l'ipotesi di riforma costituzionale è una sorta di distrazione di massa" nei confronti di quanto sta avvenendo in Parlamento, ovvero la battaglia sul processo breve e "l'idea diffusa anche a sinistra secondo cui Berlusconi un pò di ragione in fondo ce l'abbia, denota una subalternità culturale e politica a un tema declinato dalla destra.

Dalla sinistra - ha concluso Cascini - vorrei una risposta realmente di sinistra". Per il futuro, infine, l'invito di Cascini è a "non farsi intrappolare dall'idea che dire no significhi essere conservatori".

18 marzo 2011

 

 

2011-03-16

Processo breve, emendamento Pdl

Il Pd: premier ha scoperto le carte

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Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz ha presentato in commissione Giustizia della Camera un emendamento che di fatto riscrive completamente il progetto di legge. "Per gli incensurati - spiega lo stesso Paniz - il trattamento dovrà essere completamente diverso dai recidivi. L'interruzione della prescrizione per gli uni comporterà l'aumento di un sesto del tempo necessario a prescrivere, di un quarto per gli altri". "Non è giusto che un incensurato sia trattato come un recidivo", spiega Paniz. "L'interruzione della prescrizione per gli incensurati - spiega - può comportare l'aumento di più di un sesto del tempo necessario a prescrivere", di un quarto per i recidivi.

La novità più importante della riscrittura dell'articolo 5 del provvedimento riguarda l'obbligo di segnalazione al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, da parte dei capi dell'ufficio giudiziario, del magistrato che non ha concluso il

processo nei tempi stabiliti dalla legge.

"È caduta la maschera, il processo breve era solo il titoletto per nascondere all'opinione pubblica le vere intenzioni della maggioranza: far scappare Berlusconi dai suoi processi", dice la capogruppo del

pd nella commissione giustizia della camera, Donatella Ferranti. L'emendamento Paniz è sconcertante perché attraverso un cavilloso meccanismo interviene per ridurre i termini massimi della prescrizione del reato per gli incensurati. Guarda caso, proprio quello che chiedeva il collegio difensivo del presidente del consiglio".

14 marzo 2011

 

 

2011-03-14

Comizio di Ferrara al Tg1, attacco alle toghe

Un milione in "piazza Italia" per la Costituzione

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GLI ITALIANI SCENDONO IN PIAZZA

E "ADOTTANO" LA COSTITUZIONE

Sul palco di Roma, la testimonianza del magistrato Antorio Ingroia. E Poi il messaggio inviato dal presidente dell'Anm, Palamara, e letto alla piazza (vedi la cronaca della giornata). E il Pdl subito attacca, chiedendo le dimissioni, mentre il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, dice: "Figuriamoci se inizio un provvedimento disciplinare contro il pm Ingroia. Per quanto mi riguarda non esiste, non chiederei mai a un magistrato di dimettersi". Il ministro ha risposto così alle domande di Lucia Annunziata alla trasmissione in mezz'ora. "Il dottor Ingroia - ha proseguito - ha scelto di scendere in piazza in una manifestazione contro il Governo. E questo attiene alla considerazione che ha di se stesso e del suo ruolo di magistrato. Il Presidente della Repubblica e quello della Cassazione hanno sempre detto che i magistrati devono essere indipendenti oltre che apparirlo".

Ferrara comizio al Tg1

"Io penso che non si possano fare comizi se si indossa una toga, sia di pm sia di giudice, che sia urgente una riforma ma che sia anche importante che il Presidente della Repubblica, per esempio Giorgio Napolitano, che è un galantuomo, che presiede il Csm, dica qualcosa, faccia qualcosa, si muova". È l'affondo di Giuliano Ferrara. "Se i magistrati fanno comizi, allora i parlamentari possono emettere le sentenze. C'è l'anarchia in un Paese civile, democratico, moderno, non possono fare i comizi", ha detto il direttore del Foglio, intervistato al Tg1 delle 20 per parlare del suo programma, che andrà in onda da domani sera: una 'striscia' quotidiana di pochi minuti con la quale torna il titolo di 'Radio Londra', dal lunedì al venerdì, proprio dopo il Tg dell'ora di cena.

Ferrara stasera ha parlato in particolare della giustizia, sottolineando che "in genere in tv si vedono magistrati che dicono la loro, ho visto che un magistrato addirittura ha fatto un comizio in piazza. Io dirò questo: che i magistrati sono soggetti alla legge, c'è scritto nella Costituzione, quindi è difficile difendere la Costituzione e contemporaneamente fare dei comizi in piazza contro una legge all'esame del Parlamento. I magistrati - ricorda - sono addetti alla legge, per quello sono indipendenti, altrimenti sarebbero dei tiranni, degli arbitri delle nostre vite; vincono un concorso, nessuno li elegge e sono indipendenti. Sono indipendenti perchè sono la bocca della legge, come diceva Piero Calamandrei".

La replica del pm siciliano

"Un magistrato ha il diritto e anche il dovere nei confronti dei cittadini per le funzioni che svolge di esprimere le proprie opinioni, anche critiche, per quei progetti di riforma che possono incidere sull'assetto costituzionale della giustizia e sui diritti fondamentali degli stessi cittadini". Lo dice il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, difendendo il proprio intervento, ieri a Roma, al "Costituzione-day" e annuncia azioni legali nei confronti dei giornali che lo hanno attaccato.

Sul ministro Angelino Alfano, che ha escluso di voler chiedere un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato e le sue dimissioni, Ingroia dice: "Il ministro ha manifestato rispetto per le persone e per le funzioni che esercitano. Analogo rispetto purtroppo non si vede nelle dichiarazioni di altri politici e negli articoli di alcuni giornali. Conseguentemente darò mandato ai miei legali di promuovere azioni legali laddove le critiche nei miei confronti si trasformino in offesa e diffamazione".

Il racconto della piazza di Luciana Cimino

"Bisogna essere degni del popolo italiano", scriveva Sandro Pertini. E chi sa cosa avrebbero pensato oggi lui, Umberto Terracini e gli altri padri costituenti a vedere sfilare per le vie di Roma una moltitudine di persone con la Costituzione in mano. A brandirla per difenderla, dopo 63 anni dalla sua promulgazione e dopo che i diritti che vi sono in essa con chiarezza sanciti si credevano definitivamente acquisiti. E invece no, tocca tornare in piazza. E snoccialare uno per uno gli articoli, mandarli a memoria, come insegnamento morale ed etico per sè e per gli altri.

Un milione di persone nelle piazze d’Italia dicono gli organizzatori (Popolo Viola, da Articolo 21, Valigia blu e Libertà e giustizia) della giornata "A difesa della Costituzione". Nessuna bandiera di partito ma tanti tricolori, quello gigante, 60 metri, che apre il corteo capitolino e quelli che entusiasti vengono sventolati quando sul palco di piazza del Popolo si affaccia Roberto Vecchioni, con le sue canzoni che sono inni civili alla speranza. "Io festeggio i 150 dell’Unità d’Italia difendendo la Costituzione – dice Valentina, che indossa una bandiera italiana – e la festeggio rimanendo qui a lottare per questo paese, senza fuggire all’estero, una in più che fa capire a Berlusconi che aver avuto la maggioranza dei voti non significa aver trasformato i cittadini in sudditi". In moltissimi portano al collo cartelli sui quali hanno vergato gli articoli da "adottare".

Lucia, impiegata di 51 anni ha adottato il 33 e il 34, sul diritto allo studio e la libertà d’insegnamento, "ma sono in pericolo anche i principi di uguaglianza e gli articoli che riguardano la giustizia, il governo sta calpestando tutto – dice – io credo che la Costituzione possa essere modificata ma non nei principi fondamentali e non da chi si compra i parlamentari". D’accordo Andrea, avvocato di 28 anni: "i principi fondamentali non si toccano; chi oggi propone di modificarla non ne ha la legittimazione morale". Lui difende l’art.3, "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge", "il premier dice che con la sua riforma della giustizia tangentopoli non ci sarebbe mai stata, è aberrante".

Elisabetta, 38enne precaria, ha adottato invece il 9, sullo sviluppo della cultura e commenta che "sarebbe proprio un bel paese se questa splendida Costituzione venisse attuata appieno anziché continuamente picconata". Anche Fabio, studente di lettere di 24 anni, pensa "il Governo della Costituzione ne ha fatto carta straccia": "L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? I cittadini sono eguali davanti alla legge? La scuola pubblica è valorizzata?", domanda, e poi dice "proprio perché sono giovane non potevo stare zitto e sono venuto in piazza, fosse per me metterei le tende come hanno fatto i miei coetanei in Egitto".

Mario è un’insegnante, giura che in piazza ci sono anche tutti i suoi studenti, ai quali ha letto passi di Calamandrei. Porta al collo un cartello con scritto art.138, "perché è il punto più delicato dell’impianto costituzionale, colpire i magistrati è colpire uno dei poteri che Illuminismo, Risorgimento e Resistenza hanno creato a tutela dei cittadini". "Siamo qui - aggiunge – nella stessa piazza della manifestazione del 13 febbraio delle donne per dire che siamo cittadini sotto attacco e tutto questo si sintetizza difendendo la Costituzione". Franca, 56 anni, ha partecipato ad entrambe le manifestazioni e annuncia che prenderà parte anche alle prossime "la società è qua in piazza, mi auguro che l’opposizione riesca a cogliere questo vento che soffia"...

 

 

Arrivano 50 milioni per rendere la giustizia sempre più digitale

di Claudio TucciCronologia articolo14 marzo 2011

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Argomenti: Giustizia | Corte d'Appello | Renato Brunetta | Angelino Alfano

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 13:49.

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Alfano e BrunettaAlfano e Brunetta

Risorse fino a 50 milioni di euro per l'attuazione del piano straordinario per la digitalizzazione della giustizia, che parte "immediatamente" e sarà completato in 18 mesi: lo hanno annunciato, in conferenza stampa, a palazzo Chigi, i ministri della Funzione pubblica, Renato Brunetta e della Giustizia, Angelino Alfano. Obiettivo: fare on line atti, notifiche e pagamenti dei processi. "Stiamo per inviare una e mail a 800 uffici con la scheda di adesione al piano", ha detto Brunetta e al termine dell'operazione contiamo di "liberare" dalla funzione del camminamento "4-5mila persone, inclusi i carabinieri" (pari al 12% di tutto il personale) che ogni anno sono impiegate in 28 milioni di notifiche (20 milioni nel civile e 8 milioni nel penale).

Processi più veloci

Atti, notifiche e pagamenti on line accelereranno del 30% la durata del processo e avvieranno un processo virtuoso perché, ha sottolineato Alfano, la digitalizzazione coinvolge "gli atti dei processi: milioni e milioni di atti che oggi giacciono presso gli uffici giudiziari". "Per rendere efficiente il sistema giustizia servono riforme ordinarie e non costituzionali. Queste ultime - ha detto Alfano servono invece a rendere il processo giusto. Con l'organizzazione e la digitalizzazione puntiamo a renderlo veloce". Il ministro non ha voluto rispondere sul processo breve e sulla riforma costituzionale della giustizia, ma si è limitato a dire che "manterrà l'impegno preso ieri 13 marzo" di chiedere il ritiro della norma transitoria al processo breve.

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* L'affondo di Berlusconi: con la riforma della giustizia eviteremo la dittatura dei giudici

Le tre tappe del piano

"Il piano per la digitalizzazione della giustizia si articola in tre linee di intervento", hanno spiegato i due ministri: "la digitalizzazione degli atti, le notifiche online e i pagamenti online" ed è rivolto a 58 tra corti d'Appello e procure generali, 165 procure della Repubblica, 165 tribunali ordinari, 52 tribunale e procure per i minori, e 26 tribunali di sorveglianza, per un totale di 466 uffici. "Entro ottobre sarà completata la fase 1 che prevede la raccolta di adesione di almeno il 60% degli uffici, l'attivazione dei servizi nei 58 uffici giudiziari dei capoluoghi, l'attivazione in almeno altri 84 uffici", ha assicurato Brunetta. "La fase 2 si chiuderà entro aprile 2012, con l'attivazione del servizio in almeno il 70% degli uffici". Infine: "la fase 3, da portare a completamento entro ottobre 2012, con l'adesione di almeno il 95% degli uffici e l'attivazione dei servizi nel 100 per cento degli uffici". La "rivoluzione" coinvolgerà anche gli avvocati, per le notifiche e i pagamenti online degli atti: "La pec è obbligatoria già da un anno e mezzo e sono 26mila gli avvocati che l'hanno attivata", ha rivelato Brunetta. "Entro 18 mesi - ha ammonito - dovranno farlo anche tutti gli atri".

Alfano: giustizia, "azienda" che ha assunto di più negli ultimi due anni

Il guardasigilli Alfano ha ricordato poi come la giustizia sia "l'azienda italiana che ha assunto di più negli ultimi due anni". "Da quando sono diventato ministro - ha spiegato Alfano - ho messo a concorso 713 posti di magistrato: visto che attualmente quelli in servizio sono meno di 9mila, ho bandito posti per circa l'8% del totale. Se si mettono in conto anche i magistrati assunti in virtù dei concorsi precedenti, superiamo la soglia del 10%. Ditemi quale azienda italiana, pubblica e privata, ha avuto negli ultimi due anni un incremento di personale superiore", ha concluso il ministro.

 

 

 

Per ogni "conciliatore" oltre 2mila liti l'anno

Andrea Maria CandidiCronologia articolo14 marzo 2011

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Argomenti: Giustizia | Piemonte | Camera di Commercio | Angela Tripodi | Task Force | Lombardia | Corte Costituzionale | Lazio | Luciano Panzani

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 06:37.

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A pochi giorni dal debutto del 20 marzo la conciliazione delle liti civili fa i conti con i numeri. E "scopre" che per questa tranche della riforma – quella che rende obbligatorio il passaggio dal mediatore prima del tribunale, almeno per un pacchetto di materie – ogni organismo di mediazione sarà chiamato a sciogliere circa 2mila cause l'anno.

Mentre l'intero meccanismo potrebbe incepparsi su uno stop imposto dal Tar del Lazio – di cui si attende la decisione –, è questo il primo risultato dell'indagine del Sole 24 Ore sulla distribuzione territoriale delle strutture conciliative e del carico di fascicoli che li attende. L'indagine mostra poi le lacune nella copertura: sono infatti 14 le province prive di sportelli di mediazione (Ascoli Piceno, Cremona, Enna, L'Aquila, Livorno, Lodi, Mantova, Medio Campidano, Nuoro, Ogliastra, Olbia-Tempio, Oristano, Pistoia, Sondrio).

A oggi, infatti, sono 160 gli organismi accreditati dal ministero della Giustizia, ai quali vanno sommate 264 sedi secondarie: in totale 424 enti, gran parte dei quali nel Sud (63 in Campania, 56 in Puglia e altrettanti nel Lazio). Dai contratti alle locazioni, la task force dovrà affrontare una parte, tra il 30 e il 40%, di quel milione di liti ordinarie che ogni anno si distribuisce tra tribunali e giudici di pace (solo tra un anno toccherà alle cause condominiali e sui danni provocati dagli incidenti stradali).

A ogni organismo spetta una media tra 1.600 e 2.100 fascicoli l'anno, ma il carico cambia se si scende nei dettagli. E spuntano le sorprese. Se consideriamo quello degli organismi di mediazione come un business – e senza dubbio lo è – ci si accorge che il baricentro punta verso il Mezzogiorno. È infatti in Campania, Calabria e Puglia che gli enti si divideranno le fette più grandi della torta: in Campania il doppio della media (tra 3.200 e 4.300 mediazioni l'anno).

Prima tra le regioni settentrionali è il Piemonte, che ospita quattro sedi principali. Poche. Tanto che il presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, ha convocato i responsabili degli organismi locali, dai quali ha avuto ampie rassicurazioni. Gli enti torinesi, pronti a dedicarsi a tempo pieno alla partita, hanno garantito di poter gestire fino a 200 "prime comparizioni" al giorno, il primo contatto tra le parti in causa e il mediatore.

Nel corso di queste sedute, peraltro, probabilmente verrà consumata una buona parte del contenzioso. È qui, infatti, che dovrebbero esaurirsi tutti i casi in cui non c'è spazio per trovare un accordo. In questi casi la prima comparizione si trasforma in una mera formalità in cui il "paciere" deve limitarsi a redigere il verbale per consentire alle parti di andare davanti al giudice per la causa ordinaria.

I mediatori del Lazio, grazie al record di 30 sedi principali, avranno un carico ben al di sotto degli standard nazionali. La Lombardia, invece, è allineata con la media. Domenica Angela Tripodi, amministratore unico di "Meco - Mediazione-conciliazione srl" di Monza, organismo che conta venti mediatori, avvocati e dottori commercialisti, conferma che la previsione di poco più di 2mila fascicoli l'anno per gli enti lombardi è verosimile: "è la stima che ci ha fatto la camera di commercio nello studio di fattibilità sulla nostra start up".

Il tutto – come detto – sempre che il ricorso presentato al Tar Lazio dall'Organismo unitario dell'avvocatura non risulti vincente. Due i punti all'ordine del giorno: l'annullamento del regolamento ministeriale e/o il rinvio alla Corte costituzionale delle disposizioni che prevedono l'obbligatorietà della conciliazione in determinati settori e che consentono a professionisti non esperti in materie giuridiche ed economiche di rivestire il ruolo di mediatore. Un rebus non solo per l'infelice tempistica, ma anche per i diversi scenari giuridici. Perché se, ad esempio, venisse bocciato il solo regolamento, tornerebbero in vita i precedenti decreti ministeriali che disciplinano la mediazione nel diritto societario, il cui contenuto tamponerebbe il buco creato dalla bocciatura fino all'adozione di un nuovo regolamento.

a.candidi@ilsole24ore.com

 

 

 

 

 

 

2011-03-13

Berlusconi: "Io eroico e matto...

I pm? Se sbagliano, pagano"

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"Sono coraggioso, temerario, anche un po' eroico e forse un po' matto". Lo ha detto Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente ad una convention del Pdl a Torino, a sostegno della candidatura di Michiele Coppola, riferendosi alla decisione di varare la riforma della giustizia. "Ho detto variamo subito questa importante riforma e lo abbiamo fatto", ha affermato il premier.

 

"Le carriere separate dei giudici e dei magistrati esistono in tutto il mondo . Sono la regola. E l'autonomia dell'azione penale significa solo che anche i Pm sono cittadini come gli altri e devono rispettare le norme e le priorita", ha continuato Berlusconi. Così come in tema di responsabilità civile, ha aggiunto Berlusconi, i magistrati "se sbagliano devono pagare". "E questo è il minimo richiesto in uno stato di diritto" ha sottolineato ancora il premier. "Non c'è nulla di questa riforma che possa far gridare allo scandalo o suscitare indignazione" ha poi concluso Silvio Berlusconi.

13 marzo 2011

 

Bersani: "Dialogo? Parola fumosa

Se devo...fumo un "toscano""

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bersaniserio

Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi "cerca sempre lo scontro" ma il Paese, ha dichiarato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani "non ha più bisogno di ring ma di riforme".

Da Abano Terme (Padova), dove ha partecipato alla chiusura della Scuola di Politica del Pd, Bersani ha sottolineato: "Lui cerca sempre lo scontro per mettersi al centro del ring e non stare all'angolo cerca lo scontro. Scontro con l'opposizione, coi magistrati, coi giudici, con la Costituzione, la corte costituzionale, ma questo Paese non ha più bisogno di ring ma di riforme e sono dieci anni da che governa Berlusconi, che noi di riforme non ne abbiamo".

Tornando alla riforma della giustizia proposta dal governo, Bersani ha osservato che "se ne parla da quando lui è in campo tutti i giorni, la giustizia è ancora ferma al palo. I cittadini non hanno visto un minimo di cambiamento, così come non hanno visto nessuna riforma in campo sociale ed economico, cosa di cui nessuno parla - ha concluso - in una situazione di crisi molto seria".

 

NUCLEARE

Il Pd è e sarà "contro il piani nucleare del governo", dice Bersani. "In questo momento - ha sottolineato Bersani riferendosi al terremoto in Giappone e al rischio nucleare - rivolgiamo un pensiero a quegli eroi che stanno cercando di contenere i danni e mettere sotto controllo le centrali. Quanto a noi siamo stati, siamo e saremo contro il piano nucleare del governo".

Sullo stop agli incentivi alla rinnovabili del governo, Bersani ha replicato: "Quella è un'apocalisse dal punto di vista della prospettiva delle imprese, di famiglie che stavano allestendo i loro impianti, dal punto di vista dello sviluppo di un settore che sta dando occupazione".

 

17 MARZO

Pier Luigi Bersani usa parole di soddisfazione in vista dei festeggiamenti per il 150esimo dell'Unità d'Italia: "Il 17 marzo, per la prima volta, un partito andrà all'Altare della Patria. È il nostro omaggio al nostro Paese. Metteremo fuori le bandiere italiane e ci ricorderemo, lo dico anche ai miei, che la parola patriota è sempre stata legata ai ribelli, ai riformatori, mai legata ai conservatori". Parlando ad Abano Terme, il segretario Pd aggiunge: "Quindi voglio che il Pd sia un partito di patrioti, di autonomisti veri e di riformatori".

13 marzo 2011

 

 

GIUSTIZIA

Berlusconi: "I pm che sbagliano paghino"

Fini: "Nessuna dittatura dei magistrati"

Il premier torna a parlare della riforma: "Spiegatela, testo organico ed equilibrato". E ancora: " Io eroico, temerario e un po' matto". Il presidente della Camera replica al Cavaliere. Cauta apertura al testo del governo ("Non è ad personam") ma ribadisce il no al processo breve e dice: "Non si cambia a colpi di maggioranza". Bersani: "Dialogo è parola fumosa. Noi siamo in Parlamento"

Berlusconi: "I pm che sbagliano paghino" Fini: "Nessuna dittatura dei magistrati"

ROMA - Sulla giustizia "non faremo forzature, ci sarà invece l'impegno ad adeguare il nostro Paese a quanto avviene negli Usa, in Francia, in Gran Bretagna". Silvio Berlusconi torna a parlare della riforma varata dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi, e lo fa intervenendo per telefono ad una convention del Pdl in corso a Torino. "Non è una riforma ad personam nè una riforma contro i magistrati - sottolinea il premier- è una riforma necessaria negli interessi degli italiani", e, ricorda, "non si applica ai processi in corso". I pm, dice ancora il premier, sono cittadini come gli altri: "Se sbagliano, è giusto che paghino".

Berlusconi: "Spiegare la riforma, testo organico ed equilibrato". Il presidente del Consiglio si dice sereno. "Fin dal primo momento che decidemmo di scendere in campo, nel 1994, quindi prima che cominciasse la persecuzione giudiziaria nei miei confronti eravamo convinti che la riforma della giustizia fosse una componente fondamentale di quella rivoluzione liberale che avevamo in mente", spiega il premier. "Il centrodestra è più coeso e determinato a rispettare il contratto con gli elettori: si è liberato di una minoranza statalista, laicista, giustizialista che - continua Berlusconi - aveva come primo obiettivo quello di bloccare la nostra azione riformatrice".

Invita i suoi a spiegare la riforma agli italiani, perché, dice, "prevedo che ci sia un'offensiva intensissima

da parte di tutti i magistrati di sinistra" e da parte "di tutta la gente di sinistra per far credere agli italiani che questa sia una riforma contro i giudici e a favore di Berlusconi": è questo l'appello lanciato. E ribadisce: "E' un testo equilibrato che toglie ogni alibi a chi, nell'opposizione, ha già, come al solito, pronunciato il no preventivo prima ancora di leggere questo testo. Voglio dirlo con chiarezza, non c'è alcuna norma 'ad personam', salva Berlusconi. E' una riforma organica, in un sistema che ha mostrato molti difetti di funzionamento, così come ha più volte certificato anche l'Ue". Sulla responsabilità civile, tema caldissimo del dibattito in corso, attacca: "I pm sono cittadini come gli altri, se sbagliano devono pagare".

Il Cavaliere si autoelogia: "Sono coraggioso, temerario, forse anche un po' eroico e matto e ho detto 'variamo subito questa importante riforma e lo abbiamo fatto nel Consiglio dei ministri di giovedì".

L'opposizione? Sconsolante. Ed è "piazza continua". E non risparmia attacchi all'opposizione: sull'emergenza immigrazione, in un momento come questo, "con alle porte un possibile esodo biblico dal nord Africa verso di noi e verso l'Europa, ci sarebbe bisogno di una forte coesione nazionale e invece le nostre opposizioni stanno davvero offrendo ancora una volta uno spettacolo sconsolante". La sinistra, poi, ha coniato lo slogan 'Piazza continua'. "Passano da una manifestazione all'altra. Sperano di dare la spallata al Governo che non sono riusciti a dare in Parlamento", dice, intervenendo questa volta, sempre per telefono, a una manifestazione della Dc del sottosegretario Giuseppe Pizza.

Fini: "Nessuna dittatura di giudici o magistrati". Sulla "dittatura della magistratura" citata da Berlusconi - che ieri parlando di riforma della giustizia ha riferito un'espressione di Tocqueville per spiegarne lo spirito - si esprime anche Gianfranco Fini. In Italia "non c'è una dittatura né dei giudici né magistrati", ha detto il presidente della Camera, commentando a Skytg24 le dichiarazioni del premier. Il leader di Fli ha stigmatizzato anche la riflessione del presidente del Consiglio secondo il quale se la riforma varata dal Cdm giovedì scorso fosse stata fatta nel '94 non ci sarebbe stata Tangentopoli: "Che significa? che un sistema di corruzione non sarebbe stato svelato? È evidente che se per Tangentopoli si intende un sistema diffuso di corruzione, voglio trovare qualcuno che dica che sarebbe stato meglio tenerlo nascosto. Se invece si intende che alcuni imputati sono stati poi assolti questa è un'altra cosa".

Fini ha quindi spiegato che sono certe espressioni del premier, insieme ad alcuni punti ancora poco chiari del provvedimenti, ad indurre alla "cautela" sulla riforma della giustizia. Anche se il presidente della Camera fa in qualche modo un'apertura al testo Alfano: "Non è ad personam il testo uscito dal Consiglio dei ministri ed è la ragione per cui io condivido la posizione di chi ha detto in Parlamento, senza pregiudizi, si discuta e vediamo di che cosa si tratta". Respinge invece l'ipotesi del processo breve, quella sì una norma ad personam per salvare il premier dai suoi processi: "La norma transitoria del processo breve è una norma ad personam - ha detto Fini - perché cancellando i processi in essere favorisce Silvio Berlusconi. La riforma va fatta per tutelare le parti lese, non gli imputati".

Quanto al dibattito sulla modifica della Costituzione, dopo aver espresso apprezzamento per le manifestazioni di ieri in tutta Italia, il leader di Fli avverte: "Io non sono tra quelli che dicono che la Costituzione è intangibile. Chi lo dice non conosce i lavori dell'Assemblea Costituente. La Costituzione può essere modificata. Il problema è se cambiarla a colpi di maggioranza. La mia opinione è nota: occorre uno sforzo per avere maggioranze condivise. Il che non vuol dire unanimità, o potere di veto dell'ultimo partito".

Bersani e il dialogo "fumoso". "Sento parlare di dialogo, ma dialogo è una parola fumosa, e se devo fumare fumo il 'toscano'". Così risponde Pierluigi Bersani alle proposte di dialogo di Berlusconi sulla giustizia. "Io dico una cosa precisa - ha sottolineato -, e cioè che c'è il Parlamento, noi siamo lì e discutiamo lì ". Il leader del Partito Democratico ha detto di non essere d'accordo "sui contenuti di questa riforma per un motivo molto semplice: perché porta in mano alla maggioranza e al governo un pezzo essenziale dell'esercizio della giustizia, e questo non va bene".

Casini al Pd: "Trattate a viso aperto". "E' un errore dare un alibi a Silvio Berlusconi. Se il premier vuole fare pasticci o approvare provvedimenti ad personam non possiamo togliergli le castagne dal fuoco, ma abbiamo il compito di andare a vedere cosa c'è nella riforma della giustizia". Lo ha detto Pierferdinando Casini rispondendo a una domanda dei giornalisti che gli chiedevano di commentare la battuta di Pierluigi Bersani. "Quando parliamo di responsabilità dei magistrati o di separazione delle carriere - ha aggiunto il leader dell'Udc - tanti italiani sono d'accordo. Anche per questo se il Pd prende cappello e va sull'Aventino commette un errore politico".

Ma il giudizio del leader dell'Udc sulla riforma è severo: "è una grande operazione di depistaggio politico messa in campo da un ex governo, da un esecutivo che sta vivacchiando, che punta sulla publicità", ha detto Casini. "Abbiamo il dovere di verificare se le carte di Berlusconi sono truccate", continua il leader Udc. "Deve essere però chiaro che la riforma costituzionale della giustizia non consente alla maggioranza di portare avanti parallelamente leggi ad personam su un altro tavolo".

"Naturalmente - ha proseguito Casini - rispetto anche chi fa errori politici, ma il nostro comportamento sarà diverso. Se poi vediamo in corso d'opera che Berlusconi usa la giustizia solo per risolvere i problemi suoi, come del resto è possibile, saremo noi a prendere cappello. A lui l'onere della prova. Noi non possiamo non discutere un provvedimento generale sulla giustizia che sta a cuore - ha concluso - anche a molti italiani che non votano Berlusconi".

(13 marzo 2011)

 

 

GIUSTIZIA

Berlusconi: "I pm che sbagliano paghino"

Fini: "Nessuna dittatura dei magistrati"

Il premier torna a parlare della riforma: "Spiegatela, testo organico ed equilibrato". E ancora: " Io eroico, temerario e un po' matto". Il presidente della Camera replica al Cavaliere. Cauta apertura al testo del governo ("Non è ad personam") ma ribadisce il no al processo breve e dice: "Non si cambia a colpi di maggioranza". Bersani: "Dialogo è parola fumosa. Noi siamo in Parlamento"

Berlusconi: "I pm che sbagliano paghino" Fini: "Nessuna dittatura dei magistrati"

ROMA - Sulla giustizia "non faremo forzature, ci sarà invece l'impegno ad adeguare il nostro Paese a quanto avviene negli Usa, in Francia, in Gran Bretagna". Silvio Berlusconi torna a parlare della riforma varata dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi, e lo fa intervenendo per telefono ad una convention del Pdl in corso a Torino. "Non è una riforma ad personam nè una riforma contro i magistrati - sottolinea il premier- è una riforma necessaria negli interessi degli italiani", e, ricorda, "non si applica ai processi in corso". I pm, dice ancora il premier, sono cittadini come gli altri: "Se sbagliano, è giusto che paghino".

Berlusconi: "Spiegare la riforma, testo organico ed equilibrato". Il presidente del Consiglio si dice sereno. "Fin dal primo momento che decidemmo di scendere in campo, nel 1994, quindi prima che cominciasse la persecuzione giudiziaria nei miei confronti eravamo convinti che la riforma della giustizia fosse una componente fondamentale di quella rivoluzione liberale che avevamo in mente", spiega il premier. "Il centrodestra è più coeso e determinato a rispettare il contratto con gli elettori: si è liberato di una minoranza statalista, laicista, giustizialista che - continua Berlusconi - aveva come primo obiettivo quello di bloccare la nostra azione riformatrice".

Invita i suoi a spiegare la riforma agli italiani, perché, dice, "prevedo che ci sia un'offensiva intensissima

da parte di tutti i magistrati di sinistra" e da parte "di tutta la gente di sinistra per far credere agli italiani che questa sia una riforma contro i giudici e a favore di Berlusconi": è questo l'appello lanciato. E ribadisce: "E' un testo equilibrato che toglie ogni alibi a chi, nell'opposizione, ha già, come al solito, pronunciato il no preventivo prima ancora di leggere questo testo. Voglio dirlo con chiarezza, non c'è alcuna norma 'ad personam', salva Berlusconi. E' una riforma organica, in un sistema che ha mostrato molti difetti di funzionamento, così come ha più volte certificato anche l'Ue". Sulla responsabilità civile, tema caldissimo del dibattito in corso, attacca: "I pm sono cittadini come gli altri, se sbagliano devono pagare".

Il Cavaliere si autoelogia: "Sono coraggioso, temerario, forse anche un po' eroico e matto e ho detto 'variamo subito questa importante riforma e lo abbiamo fatto nel Consiglio dei ministri di giovedì".

L'opposizione? Sconsolante. Ed è "piazza continua". E non risparmia attacchi all'opposizione: sull'emergenza immigrazione, in un momento come questo, "con alle porte un possibile esodo biblico dal nord Africa verso di noi e verso l'Europa, ci sarebbe bisogno di una forte coesione nazionale e invece le nostre opposizioni stanno davvero offrendo ancora una volta uno spettacolo sconsolante". La sinistra, poi, ha coniato lo slogan 'Piazza continua'. "Passano da una manifestazione all'altra. Sperano di dare la spallata al Governo che non sono riusciti a dare in Parlamento", dice, intervenendo questa volta, sempre per telefono, a una manifestazione della Dc del sottosegretario Giuseppe Pizza.

Fini: "Nessuna dittatura di giudici o magistrati". Sulla "dittatura della magistratura" citata da Berlusconi - che ieri parlando di riforma della giustizia ha riferito un'espressione di Tocqueville per spiegarne lo spirito - si esprime anche Gianfranco Fini. In Italia "non c'è una dittatura né dei giudici né magistrati", ha detto il presidente della Camera, commentando a Skytg24 le dichiarazioni del premier. Il leader di Fli ha stigmatizzato anche la riflessione del presidente del Consiglio secondo il quale se la riforma varata dal Cdm giovedì scorso fosse stata fatta nel '94 non ci sarebbe stata Tangentopoli: "Che significa? che un sistema di corruzione non sarebbe stato svelato? È evidente che se per Tangentopoli si intende un sistema diffuso di corruzione, voglio trovare qualcuno che dica che sarebbe stato meglio tenerlo nascosto. Se invece si intende che alcuni imputati sono stati poi assolti questa è un'altra cosa".

Fini ha quindi spiegato che sono certe espressioni del premier, insieme ad alcuni punti ancora poco chiari del provvedimenti, ad indurre alla "cautela" sulla riforma della giustizia. Anche se il presidente della Camera fa in qualche modo un'apertura al testo Alfano: "Non è ad personam il testo uscito dal Consiglio dei ministri ed è la ragione per cui io condivido la posizione di chi ha detto in Parlamento, senza pregiudizi, si discuta e vediamo di che cosa si tratta". Respinge invece l'ipotesi del processo breve, quella sì una norma ad personam per salvare il premier dai suoi processi: "La norma transitoria del processo breve è una norma ad personam - ha detto Fini - perché cancellando i processi in essere favorisce Silvio Berlusconi. La riforma va fatta per tutelare le parti lese, non gli imputati".

Quanto al dibattito sulla modifica della Costituzione, dopo aver espresso apprezzamento per le manifestazioni di ieri in tutta Italia, il leader di Fli avverte: "Io non sono tra quelli che dicono che la Costituzione è intangibile. Chi lo dice non conosce i lavori dell'Assemblea Costituente. La Costituzione può essere modificata. Il problema è se cambiarla a colpi di maggioranza. La mia opinione è nota: occorre uno sforzo per avere maggioranze condivise. Il che non vuol dire unanimità, o potere di veto dell'ultimo partito".

Bersani e il dialogo "fumoso". "Sento parlare di dialogo, ma dialogo è una parola fumosa, e se devo fumare fumo il 'toscano'". Così risponde Pierluigi Bersani alle proposte di dialogo di Berlusconi sulla giustizia. "Io dico una cosa precisa - ha sottolineato -, e cioè che c'è il Parlamento, noi siamo lì e discutiamo lì ". Il leader del Partito Democratico ha detto di non essere d'accordo "sui contenuti di questa riforma per un motivo molto semplice: perché porta in mano alla maggioranza e al governo un pezzo essenziale dell'esercizio della giustizia, e questo non va bene".

Casini al Pd: "Trattate a viso aperto". "E' un errore dare un alibi a Silvio Berlusconi. Se il premier vuole fare pasticci o approvare provvedimenti ad personam non possiamo togliergli le castagne dal fuoco, ma abbiamo il compito di andare a vedere cosa c'è nella riforma della giustizia". Lo ha detto Pierferdinando Casini rispondendo a una domanda dei giornalisti che gli chiedevano di commentare la battuta di Pierluigi Bersani. "Quando parliamo di responsabilità dei magistrati o di separazione delle carriere - ha aggiunto il leader dell'Udc - tanti italiani sono d'accordo. Anche per questo se il Pd prende cappello e va sull'Aventino commette un errore politico".

Ma il giudizio del leader dell'Udc sulla riforma è severo: "è una grande operazione di depistaggio politico messa in campo da un ex governo, da un esecutivo che sta vivacchiando, che punta sulla publicità", ha detto Casini. "Abbiamo il dovere di verificare se le carte di Berlusconi sono truccate", continua il leader Udc. "Deve essere però chiaro che la riforma costituzionale della giustizia non consente alla maggioranza di portare avanti parallelamente leggi ad personam su un altro tavolo".

"Naturalmente - ha proseguito Casini - rispetto anche chi fa errori politici, ma il nostro comportamento sarà diverso. Se poi vediamo in corso d'opera che Berlusconi usa la giustizia solo per risolvere i problemi suoi, come del resto è possibile, saremo noi a prendere cappello. A lui l'onere della prova. Noi non possiamo non discutere un provvedimento generale sulla giustizia che sta a cuore - ha concluso - anche a molti italiani che non votano Berlusconi".

(13 marzo 2011)

 

 

2011-03-12

Il premier cita Tocqueville:

"No a dittatura dei giudici"

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"Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso nel tentativo di ostacolare ed evitare questa riforma. Ma sappiamo di avere argomenti molto validi per ribattere ad ogni critica e ripeto, una maggioranza coesa e determinata in Parlamento. Noi siamo un grande partito riformatore che si deve confrontare con una opposizione conservatrice che non fa l'interesse del Paese per fare il male di Berlusconi".

È quanto afferma il premier Silvio Berlusconi, in un messaggio ai Promotori della Libertà.

Dal '94 la volontà era quella di mettere mano a una riforma della giustizia " ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perchè una componente della maggioraanza, Fini e i suoi, sono rimasti giustizialisti e statalisti e si sono messi sempre di traverso in accordo esplicito delle correnti si sinistra della magistratura".

"Se questa riforma fosse stata fatta per tempo, la storia recente dell'Italia sarebbe stata diversa. Non ci sarebbe stata quella esondazione della magistratura dagli argini costituzionali che ha portato ad annullare un'intera classe di governo nel 1992-93, che ha causato l'abbattimento del nostro primo governo nel 1994, che ha determinato anche la caduta di un governo di sinistra a causa della loro improvvida proposta di riformare la giustizia avanzata dal ministro Mastella, così come non si sarebbe potuto portare avanti il tentativo tuttora in corso di eliminare il governo in carica per via giudiziaria", aggiunge il Presidente del Consiglio in un messaggio rivolto ai promotori delle libertà. "Da parte nostra invece c'è soltanto l'obbiettivo di lavorare per il bene dell'Italia, e di eliminare finalmente una anomalia, anzi una patologia grave della nostra democrazia", aggiunge.

"Non è una legge ad personam, non è una riforma per una persona o contro una persona, perchè non si applica ai processi in corso e quindi l'opposizione non potrà dire che si applica ai miei processi. È una riforma per gli italiani, è rispettosa dei principi costituzionali, ha come obiettivo - come ho appena detto e lo ripeto - il giusto processo e una giustizia finalmente giusta nell' interesse dei cittadini". Così il premier Silvio Berlusconi, in un messaggio ai Promotori della Libertà, difende la riforma della giustizia.

 

"Il grande Alexis de Tocqueville diceva: 'Tra tutte le dittature la peggiore è quella dei giudici". Ecco con questa riforma noi cercheremo di evitare che questo ci accada e voi dovete darci una mano per spiegarlo a tutti gli italiani". Con questo messaggio il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha concluso il suo audiomessaggio ai 'Promotori della libertà' dedicato alla riforma della giustizia approvata due giorni fa dal governo.

12 marzo 2011

 

 

 

2011-03-10

Giustizia, governo approva la riforma copri-Ruby

L'ira dell'Anm: è per punire i giudici

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VENDOLA: RIFORMA "EPOCALE" PERCHE' SE NE DISCUTE DA EPOCHE

Per il presidente della Regione Puglia e leader di Sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola, "è una riforma che minaccia alcuni fondamenti della nostra civiltà giuridica, che lancia un'ipoteca sull'autonomia e l'indipendenza dei pubblici ministeri. È epocale nel senso che è da un epoca intera che avanza questa riforma, dal 1994 tutta la politica italiana è paralizzata da annunci di riforme epocali che servono a coprire cose un po' meno epocali come le incombenze giudiziarie del premier".

 

DI PIETRO: RIFORMA CHE OFFENDE DEMOCRAZIA

Per Antonio Di Pietro "è una riforma che offende la democrazia e umilia lo stato di diritto". Secondo il leader dell'Idv la riforma "mette in capo al Parlamento la scelta di quali reati, anno per anno, il magistrato deve indagare e perseguire. Scommetto - ha sottolineato - che i reati saranno quelli dei poveri cristi, magari il clandestino di turno, ma mai il reato di corruzione piuttosto che di approfittamento della casta dei soldi dello Stato. E infatti al secondo punto c'è un'altra norma incredibile, quella che prevede che a indagare sui reati dei magistrati debba essere un apposito consiglio di disciplina di nomina parlamentare".

 

ALFANO: NON INTEDIAMO METTERE I PM SOTTO ESECUTIVO

Il Guardasigilli Alfano cerca di replicare alle critiche: "Noi diciamo con franchezza che non intendevamo, non intendiamo, nè intenderemo mettere i pm sotto l'esecutivo. Per ragioni di virtù e per ragioni di calcolo". La sola idea, afferma, "ci atterrisce". Il guaio è che invece è quel che accadrà. Dall'Associazione nazionale dei magistrati "critiche precotte", commenta il ministro della Giustizia.

 

D'ALEMA: DISCUTERE DI GIUSTIZIA SOLO CON DIMISSIONI BERLUSCONI

"È difficile aprire qualsiasi discussione seria sulla giustizia se non è preceduta dalle dimissioni di Berlusconi". Lo ha detto Massimo D'Alema a margine di un convegno sulla Cina presso la sede del Cnel a Roma. "In questi anni Berlusconi è stato il principale ostacolo a qualsiasi riforma della giustizia". Per il presidente del Copasir "ogni discussione sulla giustizia è viziata dalla condizione del presidente del Consiglio che rende scarsamente credibile la fonte della proposta".

 

FOLLINI, PD: SU RIFORMA NON ARROCCHIAMOCI

Per Marco Follini, senatore del Pd, "sulla riforma della giustizia penso che il Pd non si debba arroccare. Non mi convince il progetto del governo ma dobbiamo entrare nel merito. Scegliere il no come la nostra bandiera è un regalo che Berlusconi non si merita".

 

CASCINI, ANM: RIFORMA METTE GIUSTIZIA SOTTO POTERE POLITICO

Il segretario generale dell'Anm, Giuseppe Cascini, spiega perché allarma questa riforma della giustizia: "Il cardine del progetto costituzionale è quello di una complessiva riduzione del principio di indipendenza della magistratura e soprattutto una drastica riduzione dell'indipendenza del pubblico ministero". Lo ha detto a Sky Tg24 Pomeriggio. A proposito del ridisegno del Consiglio superiore della magistratura, Cascini ha spiegato: "La composizione sarà per metà con eletti dalla politica e metà eletti dalla magistratura. Così si passa dall'autogoverno del nostro modello costituzionale invidiato da quasi tutti i paesi del mondo, a un sistema in cui il governo della magistratura, e in particolare del pm, è affidato al potere politico. In sostanza - ha concluso - si vuol poter telefonare al procuratore della Repubblica e dirgli quello che deve fare".

 

BERSANI: RIFORMA SU PRIORITA' BERLUSCONI, NON DEL PAESE

Bersani boccia la riforma berlusconiana della giustizia: "Come al solito questo Paese è sempre sulle priorità politico-personali di Berlusconi e mai sulle priorità vere. La gente - prosegue il segretario Pd a Montecitorio - non ha bisogno di questa riforma costituzionale di cui si discuterà a vuoto per due anni. Avevamo bisogno di una giustizia che servisse ai cittadini, mentre questo è un diversivo su un testo che è più che criticabile, soprattutto sul punto che rimanda ad un ruolo diretto del Governo sui pm" e sull'obbligatorietà dell'azione penale.

 

FINOCCHIARO: VOGLIONO ALTERARE EQUILIBRIO FRA POTERI

Il Partito democratico dice no alla riforma costituzionale della giustizia varata oggi dal Governo: "Ci confronteremo in Parlamento - commenta in una nota la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro - ma questa è una non riforma e non mi sembra che sia utile a far funzionare meglio la giustizia italiana".

 

ANM: RIFORMA PUNITIVA, ALTERA EQUILIBRIO POTERI STATO

Una dichiarazione brevissima che suona come una bocciatura secca: è la prima reazione dei vertici dell'Associazione nazionale magistrati al via libera del Consiglio dei ministri alla riforma costituzionale della giustizia. "È una riforma punitiva - commentano in una nota congiunta il presidente dell'Anm Luca Palamara e il segretario generale Giuseppe Cascini - il cui disegno complessivo mina l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato". Secondo Palamara e Cascini quella varata oggi dal Governo "è una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini".

BERLUSCONI, NOMINE IN SPA STATO? "STIAMO LAVORANDO"

C'è l'accordo sulle nomine per le principali Spa partecipate dallo Stato?. Alla domanda, posta durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi sulla riforma della giustizia, Silvio Berlusconi risponde: "Stiamo lavorando".

 

 

FRANCESCHINI(PD),NOSTRA OPPOSIZIONE SARÀ DURA

"La nostra opposizione a questa riforma della giustizia sarà dura e intransigente. La faremo in Parlamento con tutti gli strumenti che abbiamo, ma mi auguro che anche la società civile si mobiliti". Lo ha detto il capogruppo del Pd alla Camera Dario Franceschini in una conferenza stampa sulla riforma costituzionale della giustizia approvata oggi dal Consiglio dei Ministri.

 

BERLUSCONI:SARÒ PRESENTE AI PROCESSI, SARÀ UNA SODDISFAZIONE

"Ho governato più a lungo di chiunque e il numero delle udienze a cui i miei avvocati hanno dovuto presenziare supera il numero dei giorni in cui sono stato premier. È una cosa risibile dire che non mi sono difeso nei processi". Lo ha affermato Silvio Berlusconi durante una conferenza stampa.

 

LIBIA: BERLUSCONI, CI SCHIEREREMO CON UE E NATO

La posizione della Francia per il riconoscimento degli insorti libici "è la posizione di un singolo Paese". Lo afferma il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "È meglio sentire la posizione di tutti i Paesi - prosegue Berlusconi - domani si riunirà il Consiglio Europeo e l'Italia si schiererà con la Ue e con la Nato".

 

BERLUSCONI, MAGGIORANZA LIBERA DA GIUSTIZIALISTI

"I ministri che mancano" nel governo, "mancano per un fatto preciso che non dipende dalla nostra volontà, ma dalla diaspora nella maggioranza" da parte di una componente "statalista e giustizialista" che impediva, anche nelle precedenti legislature, riforme importanti come quella della giustizia. Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, con chiaro riferimento a Futuro e Libertà di Gianfranco Fini e, presumibilmente, all'Udc.

 

BERLUSCONI, GIUSTO PROCESSO È DIRITTO DEI CITTADINI "Il giusto processo non solo deve essere portato a termini in tempi ragionavoli, deve garantire un contradditorio tra le parti e deve essere garantito da una parità tra accusa e difesa. È questa la filosofia principale della riforma. Il giusto processo è un diritto dei cittadini". Lo ha affermato Silvio Berlusconi in conferenza stampa a palazzo Chigi. "Questa riforma innalzerà il grado di civiltà del nostro Paese", dice il premier.

 

BERLUSCONI, DA ORA PM DA GIUDICI CON CAPPELLO IN MANO DOVRANNO COMPORTARSI COME L'AVVOCATO DELLA DIFESA

Con la riforma della giustizia è prevista la "separazione delle carriere con due ordini separati e anche uffici diversi. Il pm per parlare con il giudice deve comportarsi come l'avvocato della difesa: fissare un appuntamento, entrare con il cappello in mano nel suo ufficio e magari dargli del lei". Lo afferma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri.

 

ALFANO, OCCASIONE PER PAESE E PER PARLAMENTO "Stiamo fornendo un'occasione al Paese e al Parlamento. Siamo consapevole che non sarà un percorso facile, ma tutti saranno chiamati ad un'assunzione di responsabilità". Lo ha affermato Angelino Alfano in una conferenza stampa a palazzo Chigi. "Si capirà - ha spiegato il Guardasigilli - chi vuole combatte una sacra guerra per mantenere lo 'status quò e chi vuole riformare il sistema".

BERLUSCONI INCEROTTATO: MI SCUSO PER IL MIO ASPETTO...

Il vistoso cerotto per i postumi delloperazione di lunedì compare ancora sul volto di Silvio Berlusconi, che aprendo la conferenza stampa a palazzo Chigi sulla riforma della giustizia dice con un sorriso: "Mi scuso per l'aspetto esteriore cui sono sottoposto".

 

ALFANO,CARDINE RIFORMA DIVISIONE GIUDICI-PM

Il cardine della riforma della giustizia è la divisione tra giudici e Pm. Lo afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano presentando la riforma costituzionale in una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

 

ALFANO,RIFORMA NO PER PROCESSI IN CORSO

Nell'articolo di chiusura del ddl costituzionale della giustizia si dice che le modifiche alla Carta "non si applicano ai procedimenti penali in corso proprio per mantenere la purezza di questo impianto e di questo disegno che ha una sua nobiltà storica". Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano

BERLUSCONI, RIFORMA STORICA E CONVINCENTE

"Per la prima volta nella storia della Repubblica" è stato elaborato "un testo di riforme costituzionali completo, organico, chiaro e convincente: lo portiamo all'attenzione del Parlamento che lo discuterà e che lo approverà". Così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi, ha annunciato il via libera del Cdm alla riforma costituzionale della giustizia.

BERLUSCONI,PRONTE 10 LEGGI ATTUATIVE RIFORMA

"Questa forma costituzionale avrà bisogno di dieci leggi di attuazione che noi presenteremo al parlamento. Le abbiamo già pronte". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi, a fianco del Guardasigilli Angelino Alfano.

BERLUSCONI, RIFORMA NULLA A CHE FARE CON ME ++ NON È CONTRO QUALCUNO, MA È NELL'INTERESSE GENERALE DEL PAESE

La riforma della giustizia è un punto qualificante della nostra azione di governo, una riforma organica, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso. È il ragionamento svolto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso del Consiglio dei ministri, secondo quanto riferito da fonti governative. Il Cavaliere ha in sostanza negato che si tratti un provvedimento 'ad personam' e sottolineato che non è contro qualcuno ma va nell'interesse generale del paese.

 

BERLUSCONI, MAGGIORANZA SOLIDA, ARRIVEREMO A QUOTA 330

Abbiamo una maggioranza solida e contiamo di arrivare a 330 deputati a Montecitorio. È il ragionamento svolto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso del Consiglio dei ministri, secondo quanto riferito da fonti governative.

 

DDL RIFORMA, 2 CSM E SEPARAZIONE CARRIERE

Il ddl costituzionale di riforma della giustizia contiene la separazione delle carriere fra giudici e pm nonchè due Csm separati. Lo dichiara il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, al termine del Consiglio dei Ministri.

 

CDM, RIFORMA APPROVATA ALL'UNANIMITÀ

Il Consiglio dei ministri ha salutato con un applauso l'approvazione della riforma messa a punto dal Guardasigilli Angelino Alfano. Il testo varato dal Cdm è esattamente quello proposto dallo stesso ministro.

 

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L'articolo di Claudia Fusani

Sedici articoli che rivoluzionano l’assetto dello Stato. Che buttano all’aria quel perfetto bilanciamento tra i tre poteri studiato parola dopo parola nei 137 articoli della Costituzione. "Sarà una riforma epocale": per una volta ha ragione il presidente del Consiglio. Quella che viene approvata stamani dal Consiglio dei ministri è qualcosa di "epocale" sul fronte della giustiziamache, ancora una volta, nulla fa per risolvere il vero problema: la lentezza della giustizia.

Il succo dei sedici articoli - che intervengono sul titolo IV della Carta e, dal 101 al 113 - è che i pubblici ministeri, quella parte della magistratura che fa le indagini ed è la pubblica accusa nei processi, viene declassata a "ufficio" con scarsi poteri di indagine e se sbaglia, deve anche pagare di tasca propria.

E’ la "punizione" invocata dal premier all’indomani del rinvio a giudizio per il caso Ruby. La bozza finale del ddl di riforma costituzionale è stata vista ieri intorno all’ora di pranzo dal premier Berlusconi, nel pomeriggio è stata illustrata al Presidente della Repubblica e in serata allo stato maggiore del pdl a palazzo Grazioli. Nonostante questo il Guardasigilli ieri sera ha voluto ancora ripetere: "Il testo? lo scriviamo domani".

I CSM DIVENTANO DUE Uno per i giudici e uno per ipmed entrambi saranno presieduti dal Capo dello Stato. Cade quindi l'ipotesi che a capo del Csm dei pm vada il Procuratore generale della Cassazione eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione del Csm.

E CAMBIA LA COMPOSIZIONE Nel Csm dei giudici ci sarà di diritto il primo presidente della Corte di Cassazione. Gli altri componenti saranno per il 50% scelti dai giudici tramite sorteggio degli eleggibili (un modo per ridurre il potere delle correnti della magistratura); per l'altra metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università di materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio. Il vicepresidente del Csm dei giudici sarà scelto tra i componenti laici. Durano in carica 4 anni e non sono rieleggibili. Nel Csm dei pm avrà posto di diritto il procuratore generale della Cassazione. Ancora in forse la composizione: metà esatta tra laici e togati o 1/3 laici e 2/3 togati. I Csm poi (art.105) "non possono adottare atti di indirizzo politico". E’ il bavagli o ai pareri.

L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA La sezione disciplinare, che dovrà giudicare le toghe, non sarà più una sezione del Csm. Ma un organo a parte. E diviso in due, uno per i giudici e uno per i pm. I componenti di ciascuna sezione saranno al 50%laici e50%togati. Presidente e vicepresidente saranno eletti dai laici. E’ assicurata "l'autonomia e l'indipendenza della Corte di disciplina" (art.105 bis). Ma il potere sarà in mano alla parte politica delle Corti.

AZIONE PENALE OBBLIGATORIA MA... Oggi l’articolo 112 della Carta dice: "Il pm ha l’obbligo di esercitare l’azione penale". Quello nuovo invece aggiunge: "... secondo i criteri stabiliti dalla legge". Un legge ordinaria che detterà le priorità. E’ un grosso limite.

IL PM PAGA "I magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato ". L’articolo 113 bis introduce un vecchio cavallo di battaglia di Berlusconi: la responsabilità civile dei magistrati. "Nei casi di ingiusta detenzione la legge regola la responsabilità civile dei magistrati" la quale "si estende allo Stato". Risultato: se il pm sbaglia qualcosa nel suo lavoro, dovrà pagare di tasca sua. ...

E NON HA PIÙ LA POLIZIA Se finora il pm dispone direttamente della pg (art.109), d’ora in poi sarà una legge ordinaria a stabilirne "le forma di utilizzo".

10 marzo 2011

 

 

 

 

 

2011-03-03

Giallo sulla "prescrizione breve"

Ghedini: proposta verrà ritirata

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È giallo sulla "prescrizione breve". "La proposta depositata dall'onorevole Vitali è di sua esclusiva iniziativa e non concordata con la Consulta Giustizia del Pdl", ha detto in una nota Niccolò

Ghedini. "Chiederemo all'onorevole Vitali di ritirare immediatamente quella parte di ddl che potrebbe offrire strumentali polemiche in particolare per ciò che riguarda la prescrizione", ha aggiunto il deputato e avvocato del premier.

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dice di non sapere nulla del provvedimento: "Non ne so nulla", risponde infatti il premier ai giornalisti all'uscita da palazzo Grazioli. A chi gli chiede se si tratti comunque di una iniziativa del Governo, il Cavaliere risponde ribadendo: "Davvero non ne so nulla".

Nella proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Luigi Vitali c'è infatti la norma che prevederebbe che il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età, sia obbligato ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Con conseguente riduzione dei tempi di prescrizione del reato. Le attenuanti, poi, dovranno sempre considerarsi prevalenti rispetto alle aggravanti quando "per effetto della diminuzione della pena il reato risulti estinto per prescrizione". Il giudice (anche se si fosse nella fase delle indagini preliminari) dovrà pronunciare in camera di consiglio una "sentenza inappellabile di non doversi procedere".

La proposta di legge, spiegava lo stesso Vitali, è in realtà il frutto di un lavoro fatto dai tecnici della giustizia di Forza Italia nel 2001 che ora la maggioranza vuole riproporre. Anche per accelerare i tempi. In 44 articoli, oltre ad introdurre la prescrizione breve, si riforma di fatto buona parte del codice di procedura penale. Tra le novità che il Pdl punta ad inserire nell'ordinamento, anche l'ipotesi che a pronunciarsi su tutti i reati commessi dai magistrati (come ad esempio la violazione del segreto istruttorio) sia sempre la Corte d'Assise visto che ogni collegio può contare su due 'togatì e 6 giudici popolari. E sempre la Corte d'Assise sarà chiamata ad occuparsi di un maggior numero di reati tra cui anche quelli contro la Pubblica Amministrazione. Ma c'è anche un'altra norma destinata a far discutere: quella che rende inutilizzabili tutti gli atti di indagine nel caso in cui il Pm non abbia esercitato l'azione penale o non abbia richiesto l'archiviazione per tempo, cioè senza rispettare il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. È questa una misura, commenta l'opposizione, che cancellerebbe di fatto il processo sul caso Ruby. L'iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi, infatti, è avvenuta qualche tempo dopo quella degli altri imputati coinvolti nella vicenda. Quindi, si introduce il 'legittimo sospettò tra le cause di rimessione del processo e si estendono i casi in cui il giudice abbia l'obbligo di astenersi prevedendo, tra l'altro, l'ipotesi del magistrato che abbia avuto "comportamenti o manifestazioni di pensiero" o abbia aderito a movimenti o ad associazioni che determinino fondato sospetto di recare pregiudizio all'imparzialità del giudice". Nella proposta di legge firmata da Luigi Vitali si prevede anche la proroga da uno a sei mesi di tutti i termini per la difesa.

3 marzo 2011

 

 

Spunta un ddl su prescrizione breve per incensurati e over 65. Ghedini: iniziativa non concordata

Cronologia articolo3 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 18:22.

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Il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età è obbligato ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Con conseguente riduzione dei tempi di prescrizione del reato. È questa una delle norme contenute nella proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Luigi Vitali. Le attenuanti, poi, dovranno sempre considerarsi prevalenti rispetto alle aggravanti quando "per effetto della diminuzione della pena il reato risulti estinto per prescrizione". Il giudice (anche se si fosse nella fase delle indagini preliminari) dovrà pronunciare in camera di consiglio una "sentenza inappellabile di non doversi procedere".

La proposta di legge, spiega lo stesso Vitali, è in realtà il frutto di un lavoro fatto dai tecnici della giustizia di Forza Italia nel 2001 che ora la maggioranza vuole riproporre. Anche per accelerare i tempi. In 44 articoli, oltre ad introdurre la prescrizione breve, si riforma di fatto buona parte del codice di procedura penale. Tra le novità che il Pdl punta ad inserire nell'ordinamento, anche l'ipotesi che a pronunciarsi su tutti i reati commessi dai magistrati (come ad esempio la violazione del segreto istruttorio) sia sempre la Corte d'Assise visto che ogni collegio può contare su due togati e 6 giudici popolari. E sempre la Corte d'Assise sarà chiamata ad occuparsi di un maggior numero di reati tra cui anche quelli contro la Pubblica Amministrazione.

A rischio il processo sul caso Ruby

Ma c'è anche un'altra norma destinata a far discutere: quella che rende inutilizzabili tutti gli atti di indagine nel caso in cui il Pm non abbia esercitato l'azione penale o non abbia richiesto l'archiviazione per tempo, cioè senza rispettare il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. È questa una misura, commenta l'opposizione, che cancellerebbe di fatto il processo sul caso Ruby. L'iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi, infatti, è avvenuta qualche tempo dopo quella degli altri imputati coinvolti nella vicenda.

Quindi, si introduce il legittimo sospetto tra le cause di rimessione del processo e si estendono i casi in cui il giudice abbia l'obbligo di astenersi prevedendo, tra l'altro, l'ipotesi del magistrato che abbia avuto "comportamenti o manifestazioni di pensiero" o abbia aderito a movimenti o ad associazioni "che determinino fondato sospetto di recare pregiudizio all'imparzialità del giudice". Nella proposta di legge firmata da Luigi Vitali si prevede anche la proroga da uno a sei mesi di tutti i termini per la difesa.

Ghedini: iniziativa personale, Vitali la ritiri

"La proposta depositata dall'on. Vitali è di sua esclusiva iniziativa e non concordata con la Consulta Giustizia del Pdl". Lo precisa in una nota Niccolò Ghedini aggiungendo che "chiederemo all'on. Vitali di ritirare immediatamente quella parte di ddl che potrebbe offrire strumentali polemiche in particolare per ciò che riguarda la prescrizione".

Berlusconi: non ne so nulla, credetemi

"Non ne so nulla". Risponde così il premier Silvio Berlusconi lasciando Palazzo Grazioli ai cronisti che gli chiedevano notizie sulla proposta del Pdl sulla prescrizione breve.

Rispondendo ad una domanda sulla possibilità che la proposta sia condivisa dal governo, il Cavaliere ha ribadito: "Mi dovete credere, non ne so nulla".(

Di Pietro: "In Parlamento solo norme che servono a salvare Berlusconi"

Antonio Di Pietro ha stigmatizzato le norme sulla giustizia presentate dalla maggioranza. "In questi giorni in Parlamento si esaminano tutte quelle norme che servono a salvare Berlusconi dai processi e non a migliorare il sistema giustizia", ha dichiarato in una nota.

"Si discute su come limitare l'uso delle intercettazioni, della prescrizione ad hoc per il presidente del Consiglio, del finto processo breve, della riforma della Corte Costituzionale e della riforma dell'azione penale e non dei problemi reali dei cittadini", ha ricordato.

"Insomma invece di dare al comparto sicurezza mezzi e procedure che permettano di snellire realmente i processi e a far funzionare la macchina, il governo, come al solito, pensa agli affari suoi: vergogna!", ha concluso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RIFORMA

Giustizia, 10 marzo il cdm straordinario

il Pdl punta sulla prescrizione breve

La norma obbliga il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età, ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Il ministro Guardasigilli Angelino Alfano illustrerà il progetto di riforma, anche costituzionale, del sistema giudiziario

Giustizia, 10 marzo il cdm straordinario il Pdl punta sulla prescrizione breve

ROMA - È stato fissato per giovedì 10 marzo alle 9,30 un Consiglio dei ministri straordinario sulla giustizia, durante il quale il ministro Guardasigilli Angelino Alfano illustrerà la riforma, anche costituzionale, del sistema giudiziario. Nel frattempo la maggioranza insiste sulla prescrizione breve. Una delle norme contenute nella proposta di legge presentata alla Camera dal deputato del Pdl Luigi Vitali, obbliga il giudice, in presenza di un imputato incensurato o che abbia superato i 65 anni di età, ad applicare sempre e comunque le attenuanti generiche. Con conseguente riduzione dei tempi di prescrizione del reato. Le attenuanti, poi, dovranno sempre considerarsi prevalenti rispetto alle aggravanti quando "per effetto della diminuzione della pena il reato risulti estinto per prescrizione". Il giudice (anche se si fosse nella fase delle indagini preliminari) dovrà pronunciare in camera di consiglio una "sentenza inappellabile di non doversi procedere".

Cdm. La data è arrivata dopo che Alfano ha riferito sugli aggiornamenti fatti al ddl di riforma costituzionale nel corso di incontri avuti sia con la Lega sia con i 'tecnici' della giustizia del Pdl riuniti ieri alla Camera. Separazione delle carriere di giudici e Pm; Csm diviso in due (uno per i Pm l'altro per i giudici); Alta Corte di disciplina esterna a Palazzo dei Marescialli; principio di responsabilità dei magistrati in Costituzione; inappellabilità delle sentenze di assoluzione: questi i capisaldi

della riforma confermati nel corso delle riunioni di questa settimana.

"Nessuna mano pesante". Rispetto a ipotesi più radicali circolate negli ultimi giorni, il Guardasigilli ha ieri assicurato che su alcuni punti non si interverrà con mano pesante: l'obbligatorietà dell'azione penale resterà ("non c'è alcuna possibilità che l'articolo 112 della Costituzione sia cancellato") anche se - ha aggiunto - "stiamo valutando se intervenire con legge ordinaria per regolamentarne le modalità"; nessun intervento sulla Corte Costituzionale o su eventuali maggioranze qualificate cui aveva fatto riferimento lo stesso premier Berlusconi per dichiarare l'illegittimità di una legge ("non se ne è parlato e - ha specificato Alfano - non faceva parte della mia relazione"). Infine, niente presidenza del Csm dei Pm affidata al ministro della Giustizia ("da parte mia questa è un'ipotesi esclusa") ma la possibilità che questa vada al Procuratore generale della Cassazione o al Presidente della Repubblica, oppure a un procuratore generale 'ad hoc' votato dal Parlamento.

Alcuni nodi devono essere ancora definitivamente sciolti prima del Cdm della prossima settimana. Le diverse ipotesi in campo che per Alfano "hanno tutte diritto di cittadinanza" riguardano in particolare la composizione dei due Csm (un terzo 'togati' e due terzi 'laici' oppure metà e metà?) e la maggiore partecipazione del popolo all'amministrazione della giustizia richiesta dalla Lega. Su quest'ultimo punto si sta valutando la modifica dell'art. 106 della Costituzione in modo da prevedere la nomina elettiva di magistrati onorari alle funzioni di pm, ma anche l'eventuale elezione dei capi degli uffici giudiziari, sempre per andare incontro alle richieste del Carroccio

(03 marzo 2011)

 

 

 

 

 

 

 

2011-02-22

Bossi: "Sono contrario

al ritorno dell'immunità"

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"Io sono contrario a far ritornare l'immunità parlamentare". Lo dice il leader della lega Nord, Umberto Bossi, conversando con i giornalisti a Palazzo Madama. Certo, aggiunge, "la gente pensa che Berlusconi sia un pò perseguitato e quindi sull'immunità per lui sarebbe d'accordo, ma non per tutti i parlamentari".

FEDERALISMO

La fiducia alla Camera sul federalismo fiscale? "Io la metterei. Spero di sì". Lo ha detto il ministro delle riforme, Umberto Bossi, conversando con i giornalisti al Senato. Ma questo potrebbe bloccare il dialogo con l'opposizione, gli fanno notare i giornalisti. "Per vincere le elezioni devi venire a casa nostra - ha risposto il Senatur - al posto dell'opposizione, io sarei più furbo". Secondo Bossi, "per i Comuni è importante quello che si decide oggi" al Senato; "se non passa il federalismo, i Comuni non riescono più a chiudere i bilanci".

22 febbraio 2011

 

 

 

 

 

2011-02-21

Le farfalline di Iris spaventano Silvio

di Claudia Fusani | tutti gli articoli dell'autore

iris berardi 3

Nuove intercettazioni. Nuove letture sui dettagli di come veniva organizzato il giro delle feste di Arcore: reclutamenti delle ragazze, ingaggi dell’harem , premi, regali e ricompense per le ospiti del sultano. Saranno depositate in settimana, al più tardi all’inizio della prossima. Roba che al confronto le 800 pagine che costituiscono lo stralcio del Rubygate in cui è imputato il Cavaliere con l’accusa di concussione e prostituzione minorile sembreranno dettagli irrisori.

Anche per questo il Presidente del Consiglio non perde occasione per attaccare giornali e magistrati e brandire l’arma del bavaglio (stop alle intercettazioni) contro chi lo "spia". La procura di Milano deciderà oggi come procedere con il filone principale dell’inchiesta, quello in cui sono indagati il direttore del Tg4 Emilio Fede, l’impresario delle starlette Lele Mora e il consigliere regionale Nicole MInetti per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione anche minorile. In procura sembra prevalare l’impostazione per cui si procederà all’avviso di chiusura indagini per i tre principali indagati (possibile l’archiviazione per i due indagati minori), l’atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio. Per il filone madre dell’inchiesta, aperto in settembre, si procederà con rito ordinario - deposito, udienza preliminare - con tutto quello che ne consegue per la pubblicità degli atti che diventano - in base alla legge - divulgabili. Gli annunci e i vittimismi del premier suonano quindi come azioni preventive per distogliere l’attenzione dal vero problema: la miseria di un giro di prostituzione organizzato in favore di un capo del governo che combatte la prostituzione nelle strade ma la favorisce in casa sua.

Dalle carte, intanto, si definisce sempre di più la lista dei regali e delle ricompense per le preferite del premier: soldi, case, Mini e Smart, abiti e gioielli. A casa di Iris Berardi, l’altra minorenne brasiliana ammessa all’harem, sono stati sequestrati, oltre le migliaia di euro, 7 collier, 12 anelli, 15 bracciali "tutti - ha detto Iris - omaggi del premier per le mie partecipazioni e feste e ricevimenti". Spesso quei gioielli sono decorati con farfalline di brillanti e pietre preziose. E’ il ciondolo preferito da Berlusconi. Lo raccontò per prima Noemi Letizia. Era l’aprile 2009. Era già tutto scritto, due anni fa.

21 febbraio 2011

 

"Intercettazioni indispensabili"

Corte dei Conti contro il ddl

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La Corte dei Conti boccia il ddl sulle intercettazioni del governo perchè non è indirizzato "a una vera e propria lotta alla corruzione". Il procuratore generale della magistratura contabile, Mario Ristuccia, in occasione della sua relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011 della Corte dei Conti, ha sottolineato che le intercettazioni "costituiscono uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo (lotta alla corruzione)".

Corruzione e frode aggliggono la P.A.

La frode e la corruzione sono patologie "che continuano ad affliggere la pubblica amministrazione", ha sottolineato il procuratore generale della Corte dei Conti. In particolare, Ristuccia fa riferimento ai fenomeni di corruzione e di frodi "in materia di aiuti e contributi nazionali e dell'unione europea". e, aggiunge, "i dati al riguardo non consentono ottimismi". Una situazione, quindi, prosegue Ristuccia, "di cattiva amministrazione che, nonostante i progressi pur conseguiti in termini di efficienza, continuano a caratterizzare in negativo l'immagine complessiva dell'apparato amministrativo, generando nel comune sentire dei cittadini, soprattutto nei tempi presenti di diffusa difficoltà economica, una forte attesa di contrasto ad opera degli organi a tale compito preposti dall'ordinamento".

Nel settore pubblico, sottolinea ancora nella sua relazione Ristuccia, "continuano a sussistere elementi di criticità e di malfunzionamento, che assumono particolare rilievo proprio dal punto di vista dell'esercizio della funzione giurisdizionale in materia di responsabilità amministrativa". Secondo la magistratura contabile, "un primo profilo è il progressivo mutamento delle regole dell'azione pubblica, da quelle dell'ordinamento contabile a quelle di diritto comune, sia per previsione legislativa di carattere generale, sia quale effetto dell'adozione di modelli privatistici per la struttura organizzativa dei soggetti pubblici, sia per la disposta non applicabilità delle regole di diritto pubblico in ragione di situazioni di urgenza ed emergenza. Tale mutamento, in linea di principio fisiologico, in quanto da ascriversi all'obiettivo del conseguimento di migliori livelli di economicità, efficienza e tempestività dell'attività amministrativa - osserva la Corte dei Conti - non ha peraltro evitato il prodursi di anomalie e distorsioni, quali i casi di trasformazione delle privatizzazioni ed esternalizzazioni, da efficace strumento per lo svolgimento di servizi e addirittura funzioni pubbliche a mezzo di mera elusione delle regole della contabilità pubblica o della gestione clientelare del potere politico-amministrativo; ovvero di trasformazione del regime di emergenza in sistema ordinario, con conseguente sostanziale riduzione delle garanzie di impiego delle pubbliche risorse".

22 febbraio 2011

 

 

 

 

 

2011-02-21

Giustizia, Alfano: riforma

Consulta si farà, vedremo come

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La riforma della Corte Costituzionale si farà. Non resta che aspettare di sapere in che modo. Lo spiega il ministro della Giustizia, Angelino

Alfano, che, durante la registrazione di Porta a Porta ha detto: "Faremo la riforma della Corte Costituzionale che è parte dell'assetto delle garanzie. Siccome noi avvieremo anche la riforma della forma di Stato e di Governo, nei prossimi giorni avremo delle riunioni per decidere se inserire questa riforma all'interno di quella della giustizia o di quella della forma di Stato. Tra gli impegni assunti non c'è solo la riforma della Giustizia, ma anche quella della forma di Stato e di Governo". Sul tema più generale della riforma della Giustizia,

Alfano ha spiegato: "Riteniamo che nel nostro Paese la pubblica accusa e il cittadino che viene messo sotto accusa non siano pari. Bisogna affermare che giudici e pm sono parti separate perchè se l'accusa e il giudice sono collegati non c'è parità".

21 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

2011-02-19

Berlusconi ci vuole tutti zitti, subito legge bavaglio

di Ninni Andriolo | tutti gli articoli dell'autore

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Avanti tutta sulla giustizia: carriere separate per giudici e pm, doppio Csm, immunità parlamentare, alta corte di disciplina per le toghe e chi più ne ha più ne metta. "Non ci faremo intimidire", replica il presidente dell’Anm, Palamara, al Presidente del Consiglio.

Ma per servire la sua vendetta, dopo il caso Ruby, il Cavaliere può giocare solo sull’effetto annuncio. Per la Lega, infatti, ogni diversivo - tipo grande riforma della giustizia - suonerebbe come atto di guerra: prima il federalismo, poi si parla d’altro. Il patto tra Silvio e Umberto (una riforma a te e una legge ad personam a me) regge.

Il voto contrario dei ministri leghisti alla festa nazionale per l’Unità d’Italia del 17 marzo non la scalfisce. Il rilancio in grande stile della legge bavaglio, la responsabilità civile dei magistrati, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento costituiscono ingredienti della rivoluzione liberale che il Cavaliere rispolvera nel tentativo di ridare smalto al suo governo.

Ma le priorità di Bossi non coincidono con quelle di Berlusconi che, per mostrare i muscoli a Napolitano, a Fini, all’opposizione, ai magistrati e via elencando - ostentazione di forza indispensabile per sedurre nuovi "responsabili" - deve affidarsi ad una relazione e no ad un concreto provvedimento. All’elenco di intenti illustrato ieri dal delfino Alfano e approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. I disegni di legge? Verranno dopo. "Presto", promette Silvio, ma non dice quando.

In attesa della "riunione straordinaria" del governo che dovrebbe approvare la riforma, il premier - intanto - insedia un comitato tecnico formato da ministri e da esperti che si dovrebbe riunire già martedì prossimo. I "tempi rapidi" che minaccia il presidente del Consiglio? Tornano in mente gli annunci del 6 ottobre 2010.

L’ENNESIMO ANNUNCIO All’indomani della prima fiducia post strappo di Fini il premier mise in calendario consigli dei ministri a raffica per varare una miriade di grandi riforme. "Il prossimo riguarderà la giustizia", spiegò Silvio, da Palazzo Grazioli, durante la conferenza stampa di quel tardo pomeriggio.

Quattro mesi dopo il premier riformula l’annuncio. Troppa carne al fuoco, però, sembra messa lì apposta per annebbiare gli obiettivi salva-premier che si nascondono tra le maglie della rivoluzione "di civiltà" promessa sulla giustizia.

19 febbraio 2011

 

 

Anm: riforme punitive, non ci intimidiscono

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"È un copione già visto: ogni volta che emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti, poi seguono iniziative legislative punitive per i magistrati".

Lo dichiara Luca Palamara, presidente dell'Anm, interpellato in merito alla discussione, in Consiglio dei ministri, sul pacchetto di riforme della giustizia. "Noi non ci faremo intimidire - aggiunge il leader del sindacato delle toghe - e continueremo ad applicare la legge con serenità, imparzialità e in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero".

 

Basta attacchi ed aggressioni da parte di ministri contro la magistratura. A chiederlo è Luca Palamara, presidente dell'Anm, interpellato sulle polemiche degli ultimi giorni sul caso Ruby. "Ciò che più preoccupa in questa fase - osserva Palamara - sono le posizioni di ministri in carica, Istruzione, addirittura Esteri e persino Giustizia, che partecipano senza alcuna remora, che pure sarebbe doverosa per la carica istituzionale ricoperta, alla sistematica aggressione nei confronti dei magistrati".

18 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

 

2011-01-14

Caso Ruby, Berlusconi indagato. Invito a comparire

berlusconi dorme 1

La procura di Milano ha iscritto il nome del premier Silvio Berlusconi nel registro degli indagati per i reati di concussione e prostituzione minorile, per l'inchiesta nata dal fermo dell'allora minorenne Karima Ruby el Mahroug, fuggita da una comunità di minori, fermata per furto e rilasciata dopo una telefonata del premier alla questura e affidata alla consigliera regionale lombarda del Pdl, Nicole Minetti. Perquisizioni sono in corso questa mattina, nell'ambito dell'indagine sul caso Ruby, nell'abitazione e negli uffici del consigliere regionale Nicole Minetti, indagata, insieme con il premier Berlusconi, a Lele Mora ed Emilio Fede, nell'inchiesta della procura di Milano.

 

LA DIRETTA

Ruby: concluisa perquisiszione in ufficio Minetti

È durata circa un'ora la perquisizione nell'ufficio della consigliera regionale Nicole Minetti, coinvolta nell'inchiesta milanese sulla vicenda di Ruby Rubacuori, la 18enne marocchina che fu fermata l'estate scorsa e portata in Questura per essere poi rilasciata e affidata alla stessa Minetti.

La Procura: Berlusconi indagato dal 21 dicembre

A Silvio Berlusconi, indagato dal 21 dicembre 2010 nell'ambito dell'inchiesta sul caso Ruby, è stato notificato oggi un invito a comparire dalla procura di Milano. È quanto emerge da una nota diffusa in tarda mattinata dal procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati che ha tenuto a precisare alcuni elementi dell'inchiesta "in relazione a parziali e frammentarie notizie che sono state diffuse, al fine di una puntuale informazione e nel rispetto del principio costituzionale di non colpevolezza".

 

Il questore: no comment

Il questore di Milano Alessandro Marangoni non conferma e non smentisce il coinvolgimento di personale della questura nell'inchiesta sul caso Ruby in cui Š indagato il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. "Non commento in alcun modo - ha detto il questore Alessandro Marangoni, che non ha nè smentito nè confermato indagato le indiscrezioni di possibili indagati tra le forze dell'ordine - e lascio agli inquirenti, se lo riterranno opportuno, precisare lo stato delle indagini"

 

Di Pietro: è Berlusconi che perseguita se stesso

"Invece di telefonare, come presidente del Consiglio, al questore di Milano per dire che una minorenne è la nipote di Mubarak, Berlusconi potrebbe andare in tribunale e spiegare come stanno le cose". Antonio Di Pietro commenta con una battuta le novità che arrivano da Milano sul caso Ruby: "Berlusconi dice che le procure lo perseguitano? Non sarà che invece è Berlusconi che perseguita se stesso?".

Tra mezz'ora comunicato della Procura

"Tra mezz'ora emetteremo un comunicato sulla vicenda". Così il Procuratore Capo di Milano Edmondo Bruti Liberati.

 

Emilio Fede "Lo apprendo dai giornali, non so nulla. Non ho ricevuto nessun atto formale da parte dei magistrati, nè ho subito alcuna perquisizione". Lo ha detto il direttore del Tg4, Emilio Fede.

 

Daniele Capezzone paral invece di "consueto e logoro copione, fatto di fughe di notizie e di accuse inverosimili", davanti al quale "i cittadini possono ancora una volta scegliere se indignarsi o sbadigliare". "Sono certo - dice il portavoce Pdl - che una sempre più vasta maggioranza di italiani abbia ben compreso cosa sia in gioco e si stringerà a sostegno del Presidente del Consiglio".

14 gennaio 2011

 

 

 

Ven 14 gennaio, aggiornato ore 11:48

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Legittimo impedimento, il premier: no conseguenze

di Claudia Fusani | tutti gli articoli dell'autore

berlusconi manette

''Devo dire che non mi aspettavo nulla di diverso, anche perche' il legittimo impedimento non l'ho chiesto io, ma e' frutto dell'iniziativa dei nostri parlamentari'', e' stata la premessa del premier. ''La sentenza - ha aggiunto - non ha demolito l'impianto della legge'', ma anzi ''ha riconosciuto che il legittimo impedimento e' giusto, esiste ed e' necessario per chi svolge attivita' di governo, ma che dovranno essere i giudici di volta in volta a giudicare se un impedimento presentato dal capo del governo in un suo processo sia valido o meno''.

''Vorrei ricordare - ha sottolineato Berlusconi - che il legittimo impedimento rinvia la discussione del processo e fa saltare qualche udienza, ma sospende il calcolo dei tempi della prescrizione: quindi non e' nulla di traumatico, tiene soltanto conto del fatto che il presidente del Consiglio non puo' trovare il tempo di preparare le udienze'', di presenziare in aula e di svolgere la sua attivita' di governo, ma ripeto non e' ''nulla di traumatico o favorevole e c'e' nelle democrazie piu' avanzate''.

Per Berlusconi, infine, la decisione della Consulta ha in alcuni casi addirittura migliorato il testo: ''Sono stati 'tipizzati''', alcuni tipi di impedimento, ''cioe' si e' indicato nella legge come per esempio presiedere il Consiglio dei ministri sia un impedimento legittimo, cosi' come presiedere una riunione internazionale. Quindi da questo punto di vista la sentenza ha migliorato la situazione precedente''.

13 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-01-13

Legittimo impedimento, bocciato in parte

Premier: no comment, Pd: Costituzione confermata

berlusconi manette

LA DIRETTA

Bindi: Da Consulta decisione equilibrata

''Da parte della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento c'e 'stata una decisione equilibrata''. Lo ha detto Rosy Bindi nel corso della registrazione della puntata di Porta a Porta che verra' trasmessa stasera. Il Presidente del Pd ha negato che nella riunione della Direzione del partito ci siano stati ''particolari applausi'' quando e' arrivata la notizia della decisione della Consulta. ''La Corte Costituzionale ha ammesso - ha aggiunto Bindi - la validita' dell'azione di governo come impedimento per partecipare ad un'udienza. Ma noi avevamo contestato l'automatismo contenuto nella legge. Il fatto che la Corte Costituzionale abbia restituito al giudice la valutazione nel merito ha ristabilito - ha concluso Bindi - un equilibrio tra i poteri''.

Alfano: la Corte conferma la funzione del Governo

"È una sentenza che conferma il principio, contenuto nella legge, che l'esercizio della giurisdizione deve tenere conto della funzione di governo''. Cosi' il ministro della Giustizia Angelino Alfano commenta la sentenza della sentenza della Consulta. ''Vi sono, infatti, casi specifici e tipici in cui chi Š chiamato a governare può legittimamente far prevalere gli impegni di governo rispetto al processo cui sarebbe chiamato. Ciò - sottolinea il ministro - senza estinguere il processo stesso o fare decorrere il tempo della prescrizione''.

Palazzo Chigi: no comment di Berlusconi

Palazzo Chigi ha diramato una nota ufficiale: Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non intende commentare. È quindi infondata la precendente notizia che riportava le parole del premier.

Premier: compromesso accettabile

Guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Cosi' il premier Silvio Berlusconi, a quanto riferiscono i suoi piu' stretti collaboratori, ha commentato la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato parzialmente il legittimo impedimento, definendola ''un compromesso accettabile''. Il presidente del Consiglio, spiegano le stesse fonti, si attendeva un esito di questo tipo e ha ribadito che la decisione non influenzera' in alcun modo l'esecutivo: sono tranquillo, andiamo avanti, avrebbe detto il Cavaliere.

Il Pd: "Riconfermati puntualmente i principi costituzionali"

''Altro che sovvertiti, direi invece riconfermati puntualmente i principi costituzionali a cui deve ispirarsi il legislatore''. Lo afferma il senatore del Pd Francesco Sanna, che critica le affermazioni del ministro Bondi sulla sentenza della Consulta. ''Lo si legge - sottolinea - in modo chiaro e sintetico nel comunicato della Corte, quando indica nella violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione i motivi della illegittimita' dell'impedimento 'automatico' del Presidente del Consiglio a partecipare ai processi penali. Uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (articolo 3), ma anche riaffermazione, con il richiamo all'articolo 138, della necessita' di una norma di rango costituzionale per fondare nuove prerogative o immunita'''. Secondo il senatore del Pd che fa parte della commissione Affari Costituzionali ''si leggono in queste motivazioni argomenti abbondantemente presenti nel dibattito parlamentare sul legittimo impedimento e alla base delle ragioni della ferma opposizione del Partito Democratico''.

Di Pietro: Consulta lascia scappatoia, referendum

"La sentenza della Consulta sul legittimo impedimento ha lasciato in piedi un comma che deve essere abbattuto con il referendum altrimenti dal giudice Berlusconi non ci andrà mai". Lo dice il leader dell'Idv Antonio Di Pietro commentando con i giornalisti alla Camera la decisione della Corte Costituzionale che ha in parte bocciato la legge sul legittimo impedimento. Avendo riconosciuto "che costituisce legittimo impedimento qualsiasi attività preparatoria e consequenziale, nonchè ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo - spiega l'ex pm - è stata lasciata una scappatoia al premier, la Consulta ha fatto rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta da parte della Corte stessa". "Conoscendo Berlusconi - ha attaccato Di Pietro - anche quando andrà in bagno dirà che è un'attività consequenziale a quella di governo" e "da parte del giudice è invalutabile se l'attività è davvero preparatoria e coessenziale". "Insomma - ha concluso - si va a referendum".

Lega: Sentenza non blocca azione Governo

"La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del Governo. Il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi già stabiliti e per la Lega non cambia nulla. Dalla Corte Costituzionale non c'era da aspettarsi altro: sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c'è sentenza della magistratura che può bloccare l'azione dell`esecutivo". Lo dichiarano in una nota congiunta i capigruppo della Lega di Camera e Senato, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo.

Bondi: la sentenza della Consulta rovescia i cardini dell'ordine democratico

''Oggi la Consulta ha stabilito la superiorità dell'ordine giudiziario rispetto a quello democratico, rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all'esercizio della responsabilità politica e istituzionale''. Lo afferma il ministro Sandro Bondi, coordinatore del Pdl. ''Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico'', conclude.

Bocciata certificazione P.Chigi e rinvio udienza fino a 6 mesi

La Consulta avrebbe bocciato la certificazione di Palazzo Chigi sull'impedimento e l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza fino a sei mesi, dichiarando illegittimo il comma 4 dell'art.1 della legge 51 del 2010. E avrebbe bocciato in parte il comma 3, affidando al giudice la valutazione del 'legittimo impedimento'.

"Il giudice valuti su impegni premier"

La Consulta avrebbe inoltre fornito una interpretazione del comma 1, ritenendolo legittimo solo se, nell'ambito dell'elenco di attività indicate come impedimento per premier e ministri, il giudice possa valutare l'indifferibilità della concomitanza dell'impegno con l'udienza, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra esigenze della giurisdizione, esercizio del diritto di difesa e tutela della funzione di governo, oltre che secondo un principio di leale collaborazione tra poteri.

La Consulta: bocciato in parte legittimo impedimento

I 15 giudici hanno deciso: un giudizio arrivato dopo una discussione durata l'intera mattinata e ripresa nel pomeriggio.

Il popolo Viola e con lo spumante "Stappiamo l'Italia"

ll popolo viola esulta dopo la diffusione della notizia di una parziale bocciatura della legge sul legittimo impedimento. Il leader del movimento Gianfranco Mascia stappa una bottiglia di spumante con l'etichetta 'stappiamo l'Italia': "credo che questa parziale bocciatura sia un fatto positivo - dice Mascia - noi intanto festeggiamo e in ogni caso poi ci sarà il referendum".

Consulta sospende camera di consiglio

La camera di consiglio della Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità della legge in materia di legittimo impedimento, ha sospeso i lavori. La seduta della Consulta riprenderà alle 15.30.

Sentenza forse già nel primo pomeriggio

I giudici della Corte costituzionale sono riuniti in camera di consiglio dalle 9,30 per decidere sulla costituzionalità della legge sul 'legittimo impedimentò. Ai cronisti che attendono davanti a Palazzo della Consulta un addetto fa sapere che la Corte continuerà la discussione fino a circa l'ora di pranzo e che dopo una breve pausa tornerà a riunirsi nuovamente alle 16. La sentenza potrebbe uscire anche subito dopo.

 

Urso, Fli: rispettare la sentenza

"Per remare tutti dalla stessa parte occorre innanzitutto non lacerare il Paese. Qualunque sia la sentenza della Corte costituzionale mi auguro che sia rispettata. Lo ha detto il coordinatore di Futuro e libertà Adolfo Urso, ospite della trasmissione Omnibus, su La7.

 

Bonaiuti: decisione non influirà su stabilità governo

La decisione della Consulta sul legittimo impedimento "non influirà sulla stabilità del governo". Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, ospite della trasmissione Omnibus su La7. Nel caso in cui la Corte costituzionale dovesse bocciare il legittimo impedimento, ha aggiunto Bonaiuti, "non scatta la campagna elettorale perchè c'è un sacco di riforme ancora da fare e il Paese sta uscendo da questa crisi".

 

*******

I quindici giudici della Consulta sono entrati da pochi minuti in camera di consiglio per decidere sulla costituzionalita' del 'legittimo impedimento', la legge che almeno fino all'ottobre prossimo mette al riparo il premier Silvio Berlusconi dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade). Secondo i giudici di Milano lo 'scudo' violerebbe l'art.138 della Carta (necessita di una legge costituzionale) e 3 (principio di parita', e irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione).

La decisione della Corte dovrebbe arrivare in giornata. Ieri la Consulta ha dichiarato ammissibile, tra gli altri, il referendum promosso dall'Idv per cancellare 'in toto' il 'legittimo impedimento' (legge 51 dell'aprile 2010). Ma il destino della consultazione popolare sul quesito promosso dal partito di Di Pietro dipendera' dalla decisione che oggi la Corte prendera' sulla legittimita' della legge. Se infatti la Consulta dovesse bocciarla del tutto, allora niente referendum, che invece ci sarebbe senz'altro in caso di sentenza interpretativa di rigetto oppure di un verdetto di inamissibilita' o infondatezza dei ricorsi. Il voto sarebbe in forse se la Consulta bocciasse lo 'scudo' solo in parte: in questo caso spetterebbe all'Ufficio centrale della Cassazione valutare se sussista ancora l'interesse alla consultazione referendaria.

Il palazzo della Consulta e' off limits a giornalisti, operatori tv e fotografi che - come accadde nell'ottobre del 2009, quando la Corte Costituzionale boccio' il 'lodo Alfano' - hanno cominciato a radunarsi davanti al portone principale gia' da stamattina presto. Nel primo pomeriggio, verso le 15, sempre nelle vicinanze del palazzo adiacente al Quirinale, e' previsto un presidio del Popolo Viola che si e' dato appuntamento pronto a ''festeggiare - dicono - nel caso finalmente si decida che il principio 'la legge e' uguale per tutti' valga anche per Berlusconi''.

13 gennaio 2011

 

 

Legittimo impedimento, bocciato in parte

Premier: no comment, Pd: Costituzione confermata

berlusconi manette

LA DIRETTA

Bindi: Da Consulta decisione equilibrata

''Da parte della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento c'e 'stata una decisione equilibrata''. Lo ha detto Rosy Bindi nel corso della registrazione della puntata di Porta a Porta che verra' trasmessa stasera. Il Presidente del Pd ha negato che nella riunione della Direzione del partito ci siano stati ''particolari applausi'' quando e' arrivata la notizia della decisione della Consulta. ''La Corte Costituzionale ha ammesso - ha aggiunto Bindi - la validita' dell'azione di governo come impedimento per partecipare ad un'udienza. Ma noi avevamo contestato l'automatismo contenuto nella legge. Il fatto che la Corte Costituzionale abbia restituito al giudice la valutazione nel merito ha ristabilito - ha concluso Bindi - un equilibrio tra i poteri''.

Alfano: la Corte conferma la funzione del Governo

"È una sentenza che conferma il principio, contenuto nella legge, che l'esercizio della giurisdizione deve tenere conto della funzione di governo''. Cosi' il ministro della Giustizia Angelino Alfano commenta la sentenza della sentenza della Consulta. ''Vi sono, infatti, casi specifici e tipici in cui chi Š chiamato a governare può legittimamente far prevalere gli impegni di governo rispetto al processo cui sarebbe chiamato. Ciò - sottolinea il ministro - senza estinguere il processo stesso o fare decorrere il tempo della prescrizione''.

Palazzo Chigi: no comment di Berlusconi

Palazzo Chigi ha diramato una nota ufficiale: Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non intende commentare. È quindi infondata la precendente notizia che riportava le parole del premier.

Premier: compromesso accettabile

Guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Cosi' il premier Silvio Berlusconi, a quanto riferiscono i suoi piu' stretti collaboratori, ha commentato la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato parzialmente il legittimo impedimento, definendola ''un compromesso accettabile''. Il presidente del Consiglio, spiegano le stesse fonti, si attendeva un esito di questo tipo e ha ribadito che la decisione non influenzera' in alcun modo l'esecutivo: sono tranquillo, andiamo avanti, avrebbe detto il Cavaliere.

Il Pd: "Riconfermati puntualmente i principi costituzionali"

''Altro che sovvertiti, direi invece riconfermati puntualmente i principi costituzionali a cui deve ispirarsi il legislatore''. Lo afferma il senatore del Pd Francesco Sanna, che critica le affermazioni del ministro Bondi sulla sentenza della Consulta. ''Lo si legge - sottolinea - in modo chiaro e sintetico nel comunicato della Corte, quando indica nella violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione i motivi della illegittimita' dell'impedimento 'automatico' del Presidente del Consiglio a partecipare ai processi penali. Uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (articolo 3), ma anche riaffermazione, con il richiamo all'articolo 138, della necessita' di una norma di rango costituzionale per fondare nuove prerogative o immunita'''. Secondo il senatore del Pd che fa parte della commissione Affari Costituzionali ''si leggono in queste motivazioni argomenti abbondantemente presenti nel dibattito parlamentare sul legittimo impedimento e alla base delle ragioni della ferma opposizione del Partito Democratico''.

Di Pietro: Consulta lascia scappatoia, referendum

"La sentenza della Consulta sul legittimo impedimento ha lasciato in piedi un comma che deve essere abbattuto con il referendum altrimenti dal giudice Berlusconi non ci andrà mai". Lo dice il leader dell'Idv Antonio Di Pietro commentando con i giornalisti alla Camera la decisione della Corte Costituzionale che ha in parte bocciato la legge sul legittimo impedimento. Avendo riconosciuto "che costituisce legittimo impedimento qualsiasi attività preparatoria e consequenziale, nonchè ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo - spiega l'ex pm - è stata lasciata una scappatoia al premier, la Consulta ha fatto rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta da parte della Corte stessa". "Conoscendo Berlusconi - ha attaccato Di Pietro - anche quando andrà in bagno dirà che è un'attività consequenziale a quella di governo" e "da parte del giudice è invalutabile se l'attività è davvero preparatoria e coessenziale". "Insomma - ha concluso - si va a referendum".

Lega: Sentenza non blocca azione Governo

"La sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del Governo. Il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi già stabiliti e per la Lega non cambia nulla. Dalla Corte Costituzionale non c'era da aspettarsi altro: sapevamo benissimo che la maggioranza dei giudici della Corte ha un atteggiamento ostile nei confronti dei provvedimenti voluti da questo governo. Ma non c'è sentenza della magistratura che può bloccare l'azione dell`esecutivo". Lo dichiarano in una nota congiunta i capigruppo della Lega di Camera e Senato, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo.

Bondi: la sentenza della Consulta rovescia i cardini dell'ordine democratico

''Oggi la Consulta ha stabilito la superiorità dell'ordine giudiziario rispetto a quello democratico, rimettendo nelle mani di un magistrato la decisione ultima in merito all'esercizio della responsabilità politica e istituzionale''. Lo afferma il ministro Sandro Bondi, coordinatore del Pdl. ''Siamo di fronte al rovesciamento dei cardini non solo della nostra Costituzione, ma dei principi fondamentali di ogni ordine democratico'', conclude.

Bocciata certificazione P.Chigi e rinvio udienza fino a 6 mesi

La Consulta avrebbe bocciato la certificazione di Palazzo Chigi sull'impedimento e l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza fino a sei mesi, dichiarando illegittimo il comma 4 dell'art.1 della legge 51 del 2010. E avrebbe bocciato in parte il comma 3, affidando al giudice la valutazione del 'legittimo impedimento'.

"Il giudice valuti su impegni premier"

La Consulta avrebbe inoltre fornito una interpretazione del comma 1, ritenendolo legittimo solo se, nell'ambito dell'elenco di attività indicate come impedimento per premier e ministri, il giudice possa valutare l'indifferibilità della concomitanza dell'impegno con l'udienza, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra esigenze della giurisdizione, esercizio del diritto di difesa e tutela della funzione di governo, oltre che secondo un principio di leale collaborazione tra poteri.

La Consulta: bocciato in parte legittimo impedimento

I 15 giudici hanno deciso: un giudizio arrivato dopo una discussione durata l'intera mattinata e ripresa nel pomeriggio.

Il popolo Viola e con lo spumante "Stappiamo l'Italia"

ll popolo viola esulta dopo la diffusione della notizia di una parziale bocciatura della legge sul legittimo impedimento. Il leader del movimento Gianfranco Mascia stappa una bottiglia di spumante con l'etichetta 'stappiamo l'Italia': "credo che questa parziale bocciatura sia un fatto positivo - dice Mascia - noi intanto festeggiamo e in ogni caso poi ci sarà il referendum".

Consulta sospende camera di consiglio

La camera di consiglio della Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità della legge in materia di legittimo impedimento, ha sospeso i lavori. La seduta della Consulta riprenderà alle 15.30.

Sentenza forse già nel primo pomeriggio

I giudici della Corte costituzionale sono riuniti in camera di consiglio dalle 9,30 per decidere sulla costituzionalità della legge sul 'legittimo impedimentò. Ai cronisti che attendono davanti a Palazzo della Consulta un addetto fa sapere che la Corte continuerà la discussione fino a circa l'ora di pranzo e che dopo una breve pausa tornerà a riunirsi nuovamente alle 16. La sentenza potrebbe uscire anche subito dopo.

 

Urso, Fli: rispettare la sentenza

"Per remare tutti dalla stessa parte occorre innanzitutto non lacerare il Paese. Qualunque sia la sentenza della Corte costituzionale mi auguro che sia rispettata. Lo ha detto il coordinatore di Futuro e libertà Adolfo Urso, ospite della trasmissione Omnibus, su La7.

 

Bonaiuti: decisione non influirà su stabilità governo

La decisione della Consulta sul legittimo impedimento "non influirà sulla stabilità del governo". Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti, ospite della trasmissione Omnibus su La7. Nel caso in cui la Corte costituzionale dovesse bocciare il legittimo impedimento, ha aggiunto Bonaiuti, "non scatta la campagna elettorale perchè c'è un sacco di riforme ancora da fare e il Paese sta uscendo da questa crisi".

 

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I quindici giudici della Consulta sono entrati da pochi minuti in camera di consiglio per decidere sulla costituzionalita' del 'legittimo impedimento', la legge che almeno fino all'ottobre prossimo mette al riparo il premier Silvio Berlusconi dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade). Secondo i giudici di Milano lo 'scudo' violerebbe l'art.138 della Carta (necessita di una legge costituzionale) e 3 (principio di parita', e irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione).

La decisione della Corte dovrebbe arrivare in giornata. Ieri la Consulta ha dichiarato ammissibile, tra gli altri, il referendum promosso dall'Idv per cancellare 'in toto' il 'legittimo impedimento' (legge 51 dell'aprile 2010). Ma il destino della consultazione popolare sul quesito promosso dal partito di Di Pietro dipendera' dalla decisione che oggi la Corte prendera' sulla legittimita' della legge. Se infatti la Consulta dovesse bocciarla del tutto, allora niente referendum, che invece ci sarebbe senz'altro in caso di sentenza interpretativa di rigetto oppure di un verdetto di inamissibilita' o infondatezza dei ricorsi. Il voto sarebbe in forse se la Consulta bocciasse lo 'scudo' solo in parte: in questo caso spetterebbe all'Ufficio centrale della Cassazione valutare se sussista ancora l'interesse alla consultazione referendaria.

Il palazzo della Consulta e' off limits a giornalisti, operatori tv e fotografi che - come accadde nell'ottobre del 2009, quando la Corte Costituzionale boccio' il 'lodo Alfano' - hanno cominciato a radunarsi davanti al portone principale gia' da stamattina presto. Nel primo pomeriggio, verso le 15, sempre nelle vicinanze del palazzo adiacente al Quirinale, e' previsto un presidio del Popolo Viola che si e' dato appuntamento pronto a ''festeggiare - dicono - nel caso finalmente si decida che il principio 'la legge e' uguale per tutti' valga anche per Berlusconi''.

13 gennaio 2011

 

 

2011-01-12

Referendum, sì a due sull'acqua e uno sul nucleare

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La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei quattro referendum contro la 'privatizzazione' dell'acqua e uno sul nucleare.

I giudici hanno rigettato il quesito promosso da Di Pietro per abrogare parte del decreto Ronchi-Fitto e quello promosso dal Comitato 'Siacquapubblica' per cancellare le norme del precedente governo Prodi in materia di ambiente sulle forme di gestione e sulle procedure di affidamento delle risorse idriche.

Ammesso anche il quesito sul nucleare promosso dall'Idv di Di Pietro per cancellare circa 70 norme contenute nei provvedimenti che con il governo Berlusconi hanno riaperto la strada a nuove centrali.

Via libera invece della Consulta agli altri due quesiti del Comitato 'Siacquapubblica' che raccoglie giuristi quali Stefano Rodota' e Gaetano Azzariti: uno per l'abrogazione delle norme del decreto Ronchi-Fitto sulle modalita' di affidamento con gara a privati dei servizi pubblici di rilevanza economica, l'altro intende cancellare le norme del governo Prodi sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito.

12 gennaio 2011

 

 

 

Legittimo impedimento, il giorno del giudizio

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Il giorno del giudizio per le norme sul 'legittimo impedimento' è giovedì: i 15 giudici della Consulta si ritrovano alle 9.30 in camera di consiglio per pronunciarsi sulla costituzionalità dello 'scudo' processuale a premier e ministri. È la risposta a tre ricorsi firmati dai giudici di Milano.

Sit in del Popolo viola davanti alla Corte Costituzionale

L'esito è incerto. E naturalmente influirà sull'eventuale referendum conrto questa legge accolto dai togati.

Un accordo tra i giudici della Corte Costituzionale sulla soluzione sembra lontano. Né le parole di Berlusconi da Berlino avrebbero rasserenato gli animi delle alte toghe, alle prese con una pronuncia che potrebbe incidere sul percorso del governo. Il premier inizialmente ha ostentato distacco: è una legge che "non ho mai richiesto", "sono totalmente indifferente al fatto che possa esserci un fermo o meno dei processi che considero ridicoli", non c'è alcun "pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l'esito della Consulta".

Poi però è stato un crescendo di accuse culminate con un durissimo attacco alle toghe: "Spiegherò agli italiani di cosa si tratta, della patologia di un organismo giudiziario che si è trasformato in potere giudiziario esorbitando dal suo alveo costituzionale".

I numeri alla Consulta oscillano continuamente, ma nelle ultime ore sembrano confermare che la bilancia continua a pendere dalla parte di chi non intende salvare quella legge così com'è: troppo generica nel prevedere i 'legittimi impedimenti' che consentono al premier di non presentarsi ai processi, con i giudici costretti a ratificare un'autocertificazione proveniente da Palazzo Chigi. Due nodi segnalati dallo stesso relatore, il giudice Sabino Cassese, che nell'udienza di ieri ha chiesto: "I fatti ed eventi individuati come ipotesi di legittimo impedimento sono indicati in modo specifico o generico? Residuano poteri di controllo del giudice?". Due domande alle quali domani i giudici costituzionali dovranno rispondere.

12 gennaio 2011

 

 

 

Referendum, sì a due

sull'acqua e uno sul nucleare

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La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei quattro referendum contro la 'privatizzazione' dell'acqua e uno sul nucleare.

I giudici hanno rigettato il quesito promosso da Di Pietro per abrogare parte del decreto Ronchi-Fitto e quello promosso dal Comitato 'Siacquapubblica' per cancellare le norme del precedente governo Prodi in materia di ambiente sulle forme di gestione e sulle procedure di affidamento delle risorse idriche.

Ammesso anche il quesito sul nucleare promosso dall'Idv di Di Pietro per cancellare circa 70 norme contenute nei provvedimenti che con il governo Berlusconi hanno riaperto la strada a nuove centrali.

Via libera invece della Consulta agli altri due quesiti del Comitato 'Siacquapubblica' che raccoglie giuristi quali Stefano Rodota' e Gaetano Azzariti: uno per l'abrogazione delle norme del decreto Ronchi-Fitto sulle modalita' di affidamento con gara a privati dei servizi pubblici di rilevanza economica, l'altro intende cancellare le norme del governo Prodi sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito.

12 gennaio 2011

 

 

 

 

IL DOCUMENTO

Legittimo impedimento, il testo della legge

LEGGE 7 aprile 2010, n. 51

Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza. (10G0076) (GU n. 81 del 8-4-2010)

 

Art. 1

1. Per il Presidente del Consiglio dei Ministri costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali, quale imputato, il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo.

2. Per i Ministri l'esercizio delle attività previste dalle leggi e dai regolamenti che ne

disciplinano le attribuzioni, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo, costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali quali imputati.

3. Il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza.

4. Ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi.

5. Il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio, secondo quanto previsto dell'articolo 159, primo comma, numero 3), del codice penale, e si applica il terzo comma del medesimo articolo 159 del codice penale.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Art. 2

1. Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonché della disciplina attuativa delle modalità di partecipazione degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dall'articolo 96 della Costituzione, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

(11 gennaio 2011)

2011-01-05

Blocco dei tribunali, parte il duello Alfano-Tremonti

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L'Anm (associazione nazionale magistrati) annuncia il "rischio di paralisi totale della Giustizia" a causa del blocco informatico causato dai tagli imposti dal ministero dell'Economia a quello della Giustizia. La colpa, secondo il sindacato delle toghe, questa volta non sarebbe però del Guardasigilli Angelino Alfano, ma del collega Giulio Tremonti. Alfano risponde al presidente e al segretario dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara e Giuseppe Cascini, spiegando di "aver chiesto aiuto a Tremonti, senza averlo finora ricevuto".

Si consuma così l'ennesimo strappo tra colui che è considerato da molti il delfino, il successore naturale di Berlusconi, stiamo parlando di Alfano, e colui che al momento ne è considerato l'antagonista, Tremonti, pronto a farsi strada al posto del premier.

Il Guardasigilli sulla questione blocco informatico però non cede al pessimismo e annuncia sibillino: "Non dispero - spiega riferendosi a un intervento del ministro dell'Economia - perché conosco la sua sensibilità per l'informatizzazione. Intanto faccio da solo. Farò l'impossibile e confido proprio di riuscirci, anche se i margini di manovra sono strettissimi". "Salveremo il servizio. Siamo al lavoro e ci riusciremo", assicura Alfano, e intanto chiede all'Anm di collaborare: "Se l'Anm dà una mano d'aiuto invece di strumentalizzare le difficoltà fa un buon servizio ai cittadini e non al governo".

Dal canto suo, il sindacato dei magistrati incalza e denuncia l'eccessiva durezza dei tagli: a fronte di un bilancio che assegnava l'anno scorso al dicastero di via Arenula 80 milioni di euro per i costi informatici, quest'anno ne sono stati stanziati soltanto 27,9, circa il 50% in meno rispetto alla soglia minima necessaria per l'assistenza ai pc. "I tribunali - denunciano quindi a una voce Palamara e Cascini - chiuderanno" e ci sarà il blocco sia della giustizia penale che di quella civile, con gravissime ripercussioni sulla vita del Paese.

Nonostante Luigi Britteri, capo del Dipartimento Organizzazione del ministero non nasconda che "l'allarme è più che giustificato" ma tenti di "rassicurare tutti sull'impegno del Ministro per la soluzione del problema in tempi assai brevi", le toghe annunciano la mobilitazione. "Magistratura Democratica - dice il segretario Piergiorgio Morosini, gip a Palermo - è pronta ad una forte mobilitazione con forme di protesta anche clamorose". "La politica del governo fatta di annunci e conferenze stampa mostra scarsa percezione dei veri problemi della giustizia. Il ministro non può parlare di processo breve e poi negare le risorse minime per i sistemi informativi automatizzati".

"Senza un provvedimento immediato di ripristino della assistenza informatica - avverte il leader di Md - torniamo indietro di vent'anni, con danni irreparabili alle indagini, ai rapporti tra polizia e procure e ai processi civili; diventa impossibile la ragionevole durata dei processi. A pagare il prezzo di tutto questo sono i cittadini. Senza rimedi urgenti sarebbe un fallimento per il paese".

5 gennaio 2011

 

 

A fuoco masseria del gip Forleo

Gli inquirenti: è un attentato

forleo clementina

L'incendio che è gravemente danneggiato la masseria di proprietà del giudice Clementina Forleo, sulla strada tra Francavilla Fontana (brindisi) e Sava (Taranto), da due anni in affitto a un imprenditore agricolo di Manduria, è di quasi sicuramente di natura dolosa. Ne sono convinti gli investigatori che in queste ore stanno indagando sul rogo divampato la notte scorsa.

Allo stesso imprenditore, sempre la scorsa notte, è stata incendiata anche l'azienda che si trova vicino alla masseria. Un elemento questo che fa ritenere agli inquirenti che la vittima di quello che si prefigura come un attentato sia l'imprenditore pugliese. A Francavilla Fontana, negli ultimi tre mesi si sono registrati tre omicidi. Lo scorso 27 dicembre il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano ha presieduto un vertice delle forze dell'ordine sulla situazione nella cittadina brindisina.

Una riunione che si è svolta quasi in contemporanea al duro colpo inferto alla criminalità organizzata brindisina con una maxi operazione della questura su iniziativa della Dda di Brindisi con 28 arresti che di fatto ha decapitato alcuni gruppi criminali operanti nel brindisino.

5 gennaio 2011

 

 

2010-12-10

Legittimo impedimento,

udienza rinviata a gennaio

De Siervo corte costituzionale

La Corte Costituzionale rinviera' l'udienza (e quindi non solo la decisione) sul 'legittimo impedimento' il prossimo gennaio, in origine fissata il 14 dicembre, per ''giudicare in un clima piu' tranquillo'' vista la concomitanza con il voto di fiducia al governo in Parlamento. Lo ha detto il neopresidente della Consulta, Ugo De Siervo, in conferenza stampa.

10 dicembre 2010

 

 

2010-11-28

Il ministro Alfano fischiato dai "colleghi" avvocati

di fe.fan.tutti gli articoli dell'autore

"Crociera" amara per Angelino Alfano. A Genova per il 30esimo congresso nazionale forense, ospitato sulla nave ribattezzata Law Boat, il Guardasigilli lascia la sala furioso al termine del suo intervento, inseguito dai fischi dei "colleghi" avvocati.

I quali sono furibondi per due motivi. Lo sgarbo del Guardasigilli, atteso ma assente all'inaugurazione di ieri. E nel merito, per la procedura di conciliazione obbligatoria delle liti (senza la presenza di legali) voluta dal governo che – dicono – toglierà lavoro a loro e farà perdere tempo inutilmente ai clienti.

Così 2500 avvocati imbarcati nella stiva della nave bombardano di fischi il discorso del ministro. Applaudito, ma senza enfasi, solo per alcune critiche alla magistratura e nel passaggio sulla liberalizzazione di Bersani. Certo: un segnale di categoria. Ma anche un segnale politico all'esecutivo e alla sua azione sulla giustizia.

E un fatto inedito. Prima di Alfano, l'unico ministro della Giustizia contestato in questi modi dall'avvocatura era stato il leghista Castelli. Ma quello era l'ingegnere: le contestazioni a un "collega", un moderato, un giovane avvocato targato Forza Italia, non se le aspettava nessuno. E da quelle parti hanno lasciato tutti a bocca aperta...

26 novembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

L'Anm: "Da maggioranza attacchi e insulti quotidiani" Fini: politica sostenga le toghe

"Abbiamo assistito, a una serie di interventi episodici e contingenti dettati dall'esigenza di risolvere situazioni legate a singole vicende processuali e sempre mirati a limitare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura".

Dal palco del 30/mo congresso dell'Associazione nazionale magistrati il presidente Luca Palamara mette sotto accusa la politica della giustizia del governo. Nel mirino c'è non solo l'annunciata riforma costituzionale ma anche i "non meno insidiosi progetti di legge ordinaria in materia di intercettazioni, processo breve e polizia giudiziaria svincolata dal pm".

La giustizia è "al collasso". . E restano "gravi" le conseguenze che la situazione di disservizio determina sulla cittadinanza italiana". tant'è che l'Italia nella clasiffica dei Paesi in cui è conveniente investire è all'80/o posto e "Zambia, Mongolia, Ghana, Ruanda continuano a precederci". A fornire il tragico quadro è il presidente dell'Anm Luca Palamara. "I ritardi costano alle imprese 2,3 miliardi di euro:una "tassa occulta" di circa 371 euro per azienda che ricade su imprenditori, fornitori, clienti, consumatori".

E la giustizia ritardata - aggiunge Palamara ,ricordando tra l'altro i 5,5 milioni di processi pendenti nel civile e il milione e mezzo pendente nel penale - "è un costo anche per lo Stato", visto che per le richieste di indennizzo per violazione del termine di ragionevole durata del processo si spendono 250 milioni di euro". Non dobbiamo e non possiamo rassegnarci a questo stato di cose", sostiene ancora il leader dell'Anm, che propone "il taglio dei tribunali", accorpando gli uffici giudiziari di piccole dimensioni, 'e quello 'delle cause, e delle spese inutili". E ricorda che oggi lo Stato spende per la giustizia solo lo 0,04% del proprio bilancio, mentre i costi di questo servizio potrebbero essere coperti dalle sue stesse "entrate",: "tra spese processuali liquidate e sanzioni pecuniarie inflitte, le 'entrate potenziali' dell'amministrazione giudiziaria si aggirano attorno a 1 miliardo di euro per anno, mentre le percentuali di recupero sono particolarmente basse".

Napolitano accolto da un grande applauso

Tutti in piedi e ad applaudire: così i magistrati dell'Anm, riuniti in occasione del 30/mo congresso del sindacato delle 'toghè, hanno accolto l'ingresso nella sala del Teatro Capranica del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In sala sono presenti anche Massimo D'Alema, numerosi componenti del Csm, il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso. È indispensabile che, in una fase difficile come l'attuale, il cittadino recuperi fiducia nel sistema giudiziario "anche attraverso un corretto rapporto tra magistratura e politica". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a margine del XXX Congresso dell'Anm.

Il messaggio di Fini

"Viviamo come è noto un fase politico-istituzionale assai delicata. Compito delle istituzioni democratiche e di tutte le forze politiche del Paese, senza distinzione di parte, è quello di sostenere costantemente l'operato della magistratura la cui azione riveste un ruolo centrale per la salvaguardia del principio di legalità". È quanto afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini in un messaggio inviato al presidente dell'Anm Luca Palamara in occasione del 30/o congresso dell'Associazione.

26 novembre 2010

 

2010-11-17

L'Antimafia con Saviano: "Cosche al Nord" Il tg di Mediaset col Viminale. Arrestato il boss Iovine

La Direzione investigativa antimafia rilancia l'allarme sulla penetrazione della 'ndrangheta nel Nord Italia. "In Lombardia le emergenze info-investigative - si legge nella Relazione presentata al Parlamento e relativa al primo semestre 2010 - hanno confermato la progressiva e costante evoluzione della 'ndrangheta che, ben radicata da tempo nel territorio, interagisce con gli ambienti imprenditoriali lombardi". Questa interazione, spiega la Dia, si muove "su due sostanziali filoni di penetrazione: quelli del consenso e dell'assoggettamento. Queste tattiche di coinvolgimento -spiega ancora la Dia - da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall'altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione che possano favorirne i disegni economici".

Dal Piemonte al Veneto, passando per la Liguria, l'Emilia Romagna e anche la Toscana, la 'Ndrangheta ha ramificazioni in buona parte delle regioni settentrionali: cosche che godono di una certa autonomia ma che per le decisioni strategiche dipendono sempre dalla casa madre calabrese. Ecco nel dettaglio come le cosche si sono infiltrate nelle regioni più produttive del paese.

PIEMONTE

Si registra, scrive la Dia, una "qualifica presenza di soggetti riconducibili alle 'ndrine del vibonese, della locride, dell'area ionica e tirrenica della provincia di Reggio Calabria". Cosche che "attraverso imprese controllate" hanno i loro interessi prevalentemente nel settore degli appalti pubblici dove, spesso, operano attraverso i subappalti. Un altro "settore primario" dei gruppi 'ndranghetisti è rappresentato dal traffico di droga, per gli elevati profitti che consente. Tra le operazioni portate a termine nel primo semestre di quest'anno, la Dia ricorda il sequestro di beni a due fratelli residenti a Tortona, figli di un noto esponente della 'Ndrangheta reggina ucciso nell'ambito della faida che negli anni '70 contrappose i Facchineri ai Raso-Albanese-Gullace.

LIGURIA

Nella regione "è tradizionalmente radicata - scrive la Dia - la presenza di note espansioni di 'ndrine a Genova, nel ponente ligure e nella riviera di levante". Traffico di stupefacenti, estorsioni, usura, gioco d'azzardo, controllo dei locali notturni per lo sfruttamento della prostituzione "costituiscono i maggiori settori dell'arricchimento" per le cosche. E "non meno importante è la significativa presenza, attraverso capitali di incerta provenienza, nei campi dell'imprenditoria edile e dello smaltimento dei rifiuti".

VENETO

Si registrano "segnali di interesse" della 'Ndrangheta verso i settori dell'economia locale e vi è una "significativa incidenza percentuale delle segnalazioni per operazioni finanziarie sospette effettuate nella regione" tanto da indurre la Dia a svolgere controlli più persuasivi.

EMILIA ROMAGNA Le cosche sono operative nelle province di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma dove vi è una presenza "diretta" della cosca Grande Aracri e vi sono personaggi riconducibili alle 'ndrine dei Barbaro, Strangio, Nirta e dei Bellocco. Sono inoltre in corso tentativi da parte delle varie famiglia di allargare il raggio d'azione anche nelle altre province della regione.

TOSCANA

La regione è diventata "territorio di elezione di alcune qualificate propaggini della 'Ndrangheta". E anche se attualmente i processi di radicamento nel tessuto socio, economico ed imprenditoriale della regione "non hanno svelato sostanziali soluzioni di continuità", indicano comunque "l'esigenza di una realistica presa d'atto sulla rinnovata pericolosità delle presenze di elementi riconducibili alle cosche mafiose calabresi".

17 novembre 2010

 

 

Camorra, preso il boss dei Casalesi: Antonio Iovine

Jole Santelli chiede la parola in aula alla Camera e annuncia l'arresto del capo dei casalesi Antonio Iovine: "Una vittoria per la sicurezza e per la parte buona di questo paese", dice la vicepresidente dei deputati del Pdl. Parole che sono accolte da un applauso bipartisan. "Si aggiunge un altro successo delle forze dell'ordine e di questo governo e del ministro Maroni", sottolinea. Poco prima il Tg di Mediaset aveva rilanciato con enfasi tutto l'elenco degli arresti del Viminale. Solo un caso?

ALFANO: "FIRMO SUBITO PER IL 41 BIS"

"Firmerò subito la richiesta di 41 bis". Lo ha affermato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlando con i giornalisti a Montecitorio dell'arresto del camorrista Antonio Iovine. "Una ulteriore conferma - aggiunge - che la squadra Stato vince e l'antimafia giocata batte quella parlata".

IL BOSS DELLA CAMORRA

Una perquisizione è in corso nella casa di Casal di Principe in cui è stato arrestato dalla polizia Antonio Iovine. Il boss è stato bloccato all'interno dell'abitazione e non in un nascondiglio, ma gli investigatori vogliono comunque accertare se nell'edificio vi siamo dei bunker o siano stati nascosti documenti o armi. Secondo quanto si apprende, l'appartamento di proprietà di una persona frequentata dal boss dei Casalesi, si trova in via Cavour.

17 novembre 2010

 

 

Saviano, Iovine arrestato: aspettavo questo giorno

"Aspettavo questo giorno da quattordici anni. L'arresto di Antonio Iovine 'Ò Ninno, rappresenta un passo fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata". Lo dice lo scrittore Roberto Saviano all'agenzia Ansa.

"Iovine è un boss imprenditore, in grado di gestire centinaia di milioni di euro. Ora - continua Saviano - spero che si possa fare pulizia a 360 gradi. Come dimostrato dalla relazione della Dia di oggi, bisogna aggredire il cuore dell'economia criminale, la Lombardia, dove le mafie fanno affari e influenzano la vita economica, sociale e politica".

Antonio Iovine è tra i boss della camorra di cui racconta Roberto Saviano in "Gomorra". Lui, come il boss Michele Zagaria e il più celebre Francesco Schiavone, hanno mal tollerato il fatto che il libro abbia esposto i loro traffici all'attenzione nazionale. I clan hanno accusato la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, nella Casal di Principe che negli anni '90 aveva il record di omicidi. Lo scrittore, nel settembre 2006, si presentò sul palco della cittadina casertana, insieme all'allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, a un'iniziativa di mobilitazione anticamorra e chiamò i padrini per nome. "Iovine, Schiavone, Zagaria, non valete nulla - disse - Loro poggiano la loro potenza sulla vostra paura, se ne devono andare da questa terra".

 

17 novembre 2010

 

 

 

 

2010-11-12

Nuove minacce a Ciancimino Jr. La vedova di Vito: vide Berlusconi

Epifania Scardino, vedova di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, a domanda diretta, stamattina, ha risposto senza esitazione: il marito tra il '73 e il '75 vide l'allora imprenditore Silvio Berlusconi tre volte. E a due incontri partecipò anche lei.

Nello stesso giorno gli agenti che tutelano il figlio di 5 anni Vito Andrea, recentemente vittima di minacce, hanno trovato una pistola calibro 9 carica nel vano contatore dell'androne dell'abitazione palermitana della famiglia di Massimo Ciancimino. "La mia è una battaglia persa - ha commentato Ciancimino che sta svelando i retroscena della trattativa tra mafia e Stato - Spero solo che non facciano del male ai miei".

Una scoperta inquietante nel giorno in cui la vedova di don Vito aveva rincarato la dose rispetto a quanto rivelato ai pm Nino Di Matteo e Paolo Guido a luglio e settembre, ribadendo che i colloqui tra Berlusconi e l'alter ego politico del clan dei corleonesi, già in quegli anni bollato dall'accusa di mafiosità da una relazione di minoranza della commissione Antimafia che portava la firma del deputato Pci Pio La Torre, ci furono. In due occasioni, che la donna colloca tra il '73 e il '75, ai colloqui tra l'imprenditore, ancora lontano dalla scena politica, e Ciancimino, assistette anche lei. In un ristorante vicino piazza Diaz, Berlusconi e il sindaco avrebbero parlato anche di affari e degli investimenti di Milano 2. L'interrogatorio è stato secretato.

12 novembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

2010-11-10

Ruby, pm minori contro Maroni: "Non dice il vero, andrò al Csm"

Il Pm dei Minori Anna Maria Fiorillo si rivolgerà al Csm "in quanto le parole del ministro Maroni che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso". Il Pm è lo stesso magistrato che si occupò quella notte della vicenda della marocchina Ruby, portata in questura.

GIUSTIZIA E LEGALITA' CALPESTATE "Io non dico più niente e parlerò eventualmente dopo, quando il Csm sarà intervenuto. Ma penso che sia importante il rispetto delle istituzioni e della legalità, cose a cui ho dedicato la mia vita e in cui credo profondamente. proprio per questo, quando vedo calpestate rispetto, legalità e giustizia parlo, perchè altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio". Così il pm dei minori di Milano, Anna Maria Fiorillo, spiega, ma senza entrare nel merito delle dinamiche, la sua decisione di ricorrere al Csm per quel che riguarda la ricostruzione dell'affidamento di Ruby da parte del ministro dell'Interno, Roberto Maroni e del procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati. Ricostruzione che, "per la conoscenza personale del caso" Anna Maria Fiorillo contesta.

MARONI: "VICENDA CHIUSA"

"La mia posizione è la stessa del procuratore capo di Milano. Per quanto mi riguarda la vicenda è chiusa", così il ministro dell'Interno Roberto Maroni commenta così la decisione del pm del Tribunale dei minori di Milano, Anna Maria Fiorillo, di rivolgersi al Csm sul caso Ruby.

LA LETTERA DEL PM AL CSM

"Chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita". È quanto ha scritto il pm dei minori, Annamaria Fiorillo in una lettera inviata oggi al Csm con riferimento alle dichiarazioni rese ieri dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e nei giorni scorsi dal procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, sul caso Ruby.

10 novembre 2010

 

 

 

 

 

 

2010-11-09

Benigni show: Ruby e lo swing 'Silvio tutto mio' Saviano: governo caduto ma c'è paura fango

 

Duetto Fazio-Saviano:

Vado via perché preferisco i paesi dove ci si può annoiare

Resto qui perché non ho castelli ad Antigua.

Resto qui per scoprire chi è stato.

Vado via perché non voglio più chiedermi cosa c'è sotto.

Resto qui per vedere lo Stato conquistare il sud.

Vado via per non voglio vedere le mafie comandare.

Resto qui perché non voglio le mafie comandare.

Vado via perché non sopporto gli applausi ai funerali.

Resto qui perché mi hanno fatto un regalo Benigni e Abbado.

Resto qui perché mi hanno fatto un regalo tanti e ho fame.

Vado via perché non voglio veder crollare altri pezzi di Pompei.

Saviano (con la bandiera italiana in braccio): l'unità d'Italia, un sogno per un paese libero

Chi pensa di spaccare il nostro destino distrugge un grande sogno: vedere da Friuli a Calabria in un'unica lingua la possibilità di disegnare un destino diverso.

Il paese ha voglia di fare, vuole smettere di pensare che i più bravi arrivano ultimi ma pensare che arriveranno primi. Di fronte al fango e alle baggianate dei siti, rispondere a tutto questo non ci importa. Andiamo avanti: costruire questa Italia significa essere eredi dell'Italia,

Ho sangue del sud e del nord, ho antenati repubblicani e mazziniani. Quei giovani credevano che l'unità per un paese libero. Mi piacerebbe recitare questo giuramento della Giovine Italia.

 

23.04 riprende a parlare Saviano

Ha la 'prima bandiera italiana': è più di un simbolo. Da meridionale mi piace ricordare che è traccia di un sogno e non è retorico quello che dico. L'Italia unita, di Mazzini, Pisacane, di pensatori repubblicani, non era solo l'unità di regioni vicine né intese di aristocrazie, per loro l'unità era l'unica condizione per emancipare il popolo italiano dall'ingiustizia. L'unità non può che essere quella strada.

Spaccare il paese: è un discorso insostenibile.

Abbado conclude: la cultura è come la vita e la vita è bella. Dov'è Roberto?

La cultura è un bene comune primario come l'acqua, i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti.

Il musicista ricorda di aver assistito a un concerto quando era bambino. Non pensavo di fare direttore, né adesso – sorride – mi piaceva l'idea di ricreare la musica.

Come la cultura aiuta concretamente? Abbado cita il sistema Abreu delle orchestre venezuelane che strappano bambini alle strade e annuncia un suo concerto con loro a Roma.

Fazio esemplifica i danni alla cultura, al paese, mostrando le foto della casa crollata di Pompei.

Claudio Abbado: la cultura ci salva

Alle 23 arriva il direttore d'orchestra. Dice: "La cultura arricchisce sempre, permette di superare tutti i limiti, siamo riusciti a fare la Jugend Mahler Orchestra, chi ama la cultura si batte ogni razzismo, quando abbiamo fatto la Mozart o la Luzern musicisti da tutti i paesi. La cultura permette di distinguere tra bene e male, di giudicare chi ci governa, salva, i miei figli e la cultura mi hanno aiutato a guarire dalla malattia. Fazio chiede perché. Il loro affetto mi hanno aiutato dal lato umano e moralmente, racconta il direttore d'orchestra in maglione blu. Mi sono trovato a vivere".

Fazio vuole ringraziare Benigni. E dice a Saviano che uno degli uomini di scorta dello scrittore aveva lacrime agli occhi. Annuncia Claudio Abbado. Dopo gli spot pubblicitari.

Benigni esce di scena tra gli applausi

Lo show di Benigni continua. Dice che "Vieni via con me" la conosceva era di Paolo Conte. Canta il ritornello "Wonderful" della canzone. Balla. Si inchina. Esce.

Benigni inneggia a Saviano

Al nostro presidente del consiglio dico: quando si scrive del male e si va a fondo, si impara, si impara dalle favole, dai sogni, dalla fantasia. Le fiabe dicono male. Non dicono che esistono i draghi ai bambini, lo sanno, ma che i draghi possono essere sconfitti ed è quello che fa lui (indica Saviano): noi sappiamo che c'è la camorra e il male: è una cosa straordinaria.

Tra le poche cose dette di sbagliate da Silvio. chi scrive sulla Camorra e sul male fa male. Invece Dante: ha scritto cose terribili, e chi ricordava di chi ha scritto lui? Bisogna guardare in faccia il male

 

Finito lo show solista di Benigni, l'attore si ritrova con Saviano e Fazio. Sullo scrittore dice: è felice di lavorare per la giustizia, diffidiamo degli infelici. L'ho conosciuto, ero con Abbado, è bello. Andiamo a cena. Dietro lo sguardo si muovevano tanti di quei mondi. Questo ragazzo qua, che gli voglio bene, gli voglio cantare una canzone napoletana, 'era di maggio'... chissà che diranno a Casal di Principe.

Scrivi un libro pure te. Mai si uccide. Anche per un ideale non si raggiunge mai nulla, si ammazza una persona e se stessi.

Come diceva Leone, un uomo con una pistola che incontra uno con la penna (nei film del regista si diceva il fucile, ndr) è un uomo morto.

 

Benigni: poveretto, mignotte vendetta della mafia

L'attore resta in camicia, se la toglie quasi, balla.

Benigni intona uno swing -rock: è mio Confalonieri e il Giornale, fra tre anni il Quirinale. E' tutto mio, faccio sul serio, Palazzo Chigi, Grazioli, Madama. E' tutto mio, Minzolini, Rosy Bindi, e sono mie le poesie di Sandro Bondi. Le barzellette. E' tutto mio, ma quanto costa questo cazzo di pianeta. Poi compro io, sarebbea dire me stesso.

Bindi, devi sacrificarti, ti travesti e salvi la nazione. Qui si va al manicomio. Ghedini, ti voglio bene, vedo la fatica. Poveraccio. La fatica. Niccolò, Angelino, perché non vi riposate un po': fare leggi per lui, potremmo andare insieme ai suoi castelli ad Antigua, ci liberiamo, ci facciamo uno spinellone con una parrucca rasta. (se la mette).

Bindi, vai da lui. Poi se ti beccano dici che sei la socera di Zapatero.

Ha ragione Bersani: batterlo politicamente, non con queste storie, la prossima volta va beccato con una minorenne del Pd. O Rosy: sacrificati, tu gli garbi.

Ruby, non si capisce tutto questo ingranaggio. Ha ragione Bersani. Basta. Ma lui ha detto che non sapeva che era minorenne. La D'Addario: non sapeva che era una escort. Lei è andata da lui, è rimasta, andata a letto con lui, poi lui gli ha datto mille euro, e lui si è chiesto ma che mestiere farà questa? Guardate che è difficile.

Ruby non si capisce, dice che l'ha portata Fede. Emilio da te non me lo aspettavo. Fede, denunciato per sfruttamento prostituzione, lo dicevo da anni, Fede lo vedo, sfruttato da anni.

Ruby minorenne d'Egitto, Silvio ha pensato subito a Mubarak. Silvio sai che ti vogliamo bene, dimettiti, scherzo. Tutte queste storie di donne sono montature dei giornali.

Ho studiato il caso Mills. Intricatissimo. Mills corrotto da uno che lavora per Berlusconi ma non si capisce chi è il mandante: è difficile. Sarà la Carrà.

Il Giornale: sta dimostrando che la Costituzione è gay. Silvio devi tirarti su , ci sono cose belle. Ora con questa Ruby non si capisce niente.

Lui dice tutti ce l'hanno con lui, pensa fosse di sinistra, anche la Costituzione, se lo fosse anche il Pd come s'arrabbierebbe.

Poi ricordate le notizie di questa estate? Al telefono intercettati parlavano di Cesare. Quando hanno parlato di Piercesare i magistrati hanno capito.

B. ha detto che questa cosa è una vendetta della mafia. Saviano, tu che hai ogni sera la sfilata delle miss? Ora si vendicano così. Ora torna a casa e trovi tre escort in bagno. Ho il terrore. Immagina il terrore del caposcort: quattro escort in cucina, maledetto Provenzano. Due mignotte in bagno. Poi in giardino. C'è Bossi? Ancora dietro il cespuglio. La mafia quando si vendica fa cose tremende. Mafiosi vendicatevi, siete bestie, sterco, vendicatevi con me, fate schifo maledetti mafiosi. Vi do l'indirizzo non fatemi trovare due brasiliane.

Parlo solo di politica, Ruby

Fini detto la crisi, Bossi dietro il cespuglio. C'è questa crisi micidiali: Silvio non ci abbandonare, io , Santoro, l'Unità, Repubblica, non si lavora più, Ghedini tornerebbe ai film horror, tieni duro.

Questa Ruby: se queste notizie venissero confermato ma io non credo. Questa minorenne, una minorenne marocchina, se queste notizie venissero confermate ma io non ci credo, dice che c'è un presidente del consiglio che è stato con una minorenne che per ragioni di età non date generalità del presidente.

"Io sono stato l'iniziatore degli elenchi, ne ho uno anch'io: le donne di Berlusconi, non bastano due ore...

Masi: gli ospiti vengono gratis, abbiamo brindato, lui portato bicchiere, io bottiglia champagne. Ma lui non prende stipendio. Un lavavetri mi ha dato un euro.

Arriva Benigni, musica felliniana

Fazio: si dice che è meglio amare le ragazze che essere gay. Vendola: è molto meglio essere felici

La serata si poggia sugli elenchi. Come 'exempla', classificazioni. Dell'amore omosex. Vendola: sono infiniti gli elenchi del silenzio e del dolore. E cita Oscar Wilde:

Saviano legge cose che etichettano come gay dalle sue parti, il caseratno: dal limone nella birra all'ombrellone da spiaggia, scarpette sugli scogli a farsi punture da sdraiate. L'ombrello - Fazio stupisce - e il fior di fragola, il caffè macchiato, tirare di coca, i mocassini. Gli esempi fioccano. Vendola si dice confuso: ma, così non so più cos'è un omosessuale.

Vendola legge

Pederasta, buggiarone, ricchione, buco, bucaiolo, onanista, finocchio, culo, fregagnolo, checca, checca fracica, isterica, persa, criptochecca, culattone. Alcuni degli epiteti letti dal leader di Sel.

Ore 21.50, si riparte

Ore 21.46, finisce la prima parte

Il monologo di Saviano

Il governo è già caduto ma non si fa passo avanti perché si ha paura della macchina del fango.

Rievoca l'attentato di Capaci. Falcone guida al posto dell'autista, sovrappensiero stacca le chiavi, l'auto si inchioda, scoppia il tritolo. Tutti diventano grandi amici di Falcone. Ma c'è un ricordo di Ida Boccassini: non c'è stato uomo in Italia che ha accumulato più sconfitte di Falcone. Bocciato anche al Csm. Eppure si celebra la sua esistenza come se fosse stata premiata. La sua fiducia è stata tradita con malignità.

Saviano cita Il Resto del Carlino che gli dice: non sei bravo, solo famoso. Ma il pool, annota Saviano, sapeva comunicare, e non glielo hanno perdonato, quelle storie che arrivavano a tutti voleva dire che le cose cambiavano.

Il programma manda uno spezzone: Falcone da Santoro e Costanza in un programma uniti. E c'è chi dice al magistrato che l'aria gli fa male e lo accusa di mancanza di indipendenza. Falcone si difende, e chi lo contesta è un avvocato, gli dice che non apprezza che il magistrato sia nei palazzi. Quest'accusa, di mancata purezza, registra Saviano, veniva anche dalla sinistra.

Saviano racconta di Falcone chiamato a Roma e Andreotti. Il magistrato ha fiducia nelle istituzioni, più forti per lui della politica. E allora vuole permettere allo Stato di costruire un ufficio contro la mafia.

A un programma da Augias, una ragazza gli chiede se è vivo chi lo protegge? Falcone dice: se non muori in questo paese la colpa è tua. Infatti in questo paese, chiosa Saviano, accade proprio così. Con toni pacati e teatralmente scanditi lo scrittore inquadra come il magistrato fu isolato mediaticamente. Anche Sciascia, dice Saviano, ci cadde. E altri scrissero in leggere anonime: Falcone era un opportunista e per questo è diventato procuratore. Lui invece veniva messo da parte, doveva fare anticamera per ore per aspettare di essere accolto dal procuratore. E questo comunica che il magistrato non contava più, indica Saviano.

Falcone - narra lo scrittore - fu "cacciato" per invidia per il suo talento. Uno stillicidio. Una borsa di tritolo trovata dov'era in vacanza. Ma tutti, politici e non solo, dicono, che la mafia non sbaglia.

Racconta della guerra al pool per delegittimarli.

Grazie al pool l'Italia scopre Cosa nostre ma le scorte dei loro magistrati "pesano" e una signora scrive una lettera a un giornale. Tutti i giorni la mattina e la sera vengo assalita da sirene della polizia che scortano i giudici. È mai possibile che non si possa riposare o un programma televisivo? (legge la Finocchiaro). Perché - scrive la signora - non si costruiscono villette ai margini della città?

Mi rivolgo ai giovani. Mi piacerebbe raccontare di una persona che ha una macchina del fango gigantesca. E questa persona non è stata possibile fermarla con il fango: è Falcone.

Cita il caso Boffo: l'omosessualità usata per "punire".

L'obiettivo della macchina del fango è dire: è tutto la stessa cosa. E se criticate il vostro privato divenrterà pubblico.

Se qualcuno di fotografo al bagno, tutti ci andiamo, perdi credibilità. Tutti ricorderanno quella foto. Eppure non c'è nulla di male. Ma ci sono limiti e sono i fondamenti della democrazia. Una cosa è la privacy, una è scegliere le proprie amiche da candidare. O finire nelle mani di estorsori.

 

Ho l'ossessione della macchina del fango, la democrazia è in pericolo se ti poni contro certi poteri e contro questo governo parte la macchina del fango sulla tua vita privata. C'è differenza tra inchiesta, che si basa su più informazioni possibile, e diffamazione che usa un solo fatto e lo usa contro la persona.

 

 

Fabio Fazio elenca definizioni di Saviano: autore di successo, eroe, pazzo, impostore, vile, porco professionista dell'antimafia, infame, fascista, comnista, simbolo, sex simbolo, paladino ebrei, noto millantatore, una merda, una speranza per tutti, un papa straniero, un intellettuale, uno che meno male che c'è.

Fazio legge elenco prostitute a Pompei prima eruzione

Quelle per le strade di campagne, quelle nelle taverne, le passeggiatrice, le 'galline', quelle che vendevano anche dolcetti allusivi, le lupe che attiravano clienti.

Angela Finocchiaro legge elenco inviato da una 80enne al sito, ex operaia ed ex contadina con 500 euro di pensione che spera ancora in un'Italia più giusta.

Una suora dice perché a Torino va eretta una moschea. Il programma indica subito quali traiettorie e valori intende prendere.

Una neolaureata legge i suoi infiniti lavori

Applausi, inizia il programma. Fondo rosso, Fazio legge:

Niente sigla, Fabio legge e fa pensare ai nostri governanti "L'italiano ha un tale culto della furbizia che ammira chi è furbo". Cita Churchill, Mussolini, Flajano sui parenti e cognati, gli italiani fatti così, vogliono che qualcuno pensi per loro.

 

Si va in onda

 

PRIMA DI ANDARE IN ONDA

Restare in Italia o andare via? È questo il tema della prima puntata di "Vieni via con me", il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano di cui va in onda su RaiTre stasera il primo di quattro appuntamenti. A poche ore dall'inizio del programma Fazio osserva: "Chiunque non sia un mistificatore sa che questo è diventato un paese invivibile. Il disagio è diffuso, andarsene può essere un segno di resa, oppure l'unica via di uscita". Ma non è un invito a gettare la spugna. "Il nostro è un programma patriottico, quando si ama si dice la verità".

Quattro puntate, in cui si racconterà dell'Italia di oggi: delle sue contraddizione, dei suoi problemi e delle speranze per cambiare questo Paese.

Quasi nulla trapela sull'annunciato monologo, di 30 minuti circa, di Roberto Benigni: "Farà sbellicare dalle risate. Non ha provato nulla, viene gratuitamente", si limita a dire Fazio "e quindi sarà ancora più libero del solito". Poi dice: "Ho un grande entusiasmo verso questo programma. Lavoro per la Rai e ho sempre riconosciuto a chi la dirige il diritto di decidere se fare o meno qualcosa. Se però si decide di fare, allora si fa. A un certo punto, per poter andare avanti, ci siamo molto aiutati da soli".

E su Saviano: "Il servizio pubblico ha senso perché manda in onda una persona come lui. Rappresenta l'idea della legalità, è giusto che oltre alla protezione fisica goda della protezione morale della tv di Stato".

Nell'arena di un anfiteatro greco che è lo studio di Raitre, al fianco di Fazio ci sarà Roberto Saviano, Roberto Benigni, Claudio Abbado, Nichi Vendola, Angela Finocchiaro, Daniele Silvestri, altri esponenti della società civile e persone comuni.

Con andamento teatrale porteranno il loro contributo di monologhi, di storie ma anche degli "elenchi" che la trasmissione chiede a tutti di raccontare nel sito, piccoli frammenti di storie quotidiane per un grande progetto. Il governatore della Puglia farà un elenco sui modi di dire gay.

Intanto lo scrittore napoletano interviene oggi con una dura requisitoria contro i vertici Rai per dire, "vorrei rivolgermi ai giovani stasera per spiegare che la macchina del fango non è nata oggi ma lavora da tempo". In altri termini: "se ti poni contro certi poteri questi risponderanno sempre con un'unica strategia: delegittimare" il rivale agli occhi dell'opinione pubblica.

Una "disinformazione che è più sottile della semplice calunnia". E insomma, sottolinea Saviano, "la macchina del fango è il tema della prima puntata". A cominciare a quanto pare dai meccanismi Rai: Saviano parte con un j'accuse alla dirigenza relativo alle difficoltà che hanno circondato l'avvio del programma. "Se fossimo stati in silenzio accettando le condizioni che la Rai di Masi ci stava dando" scrive Saviano, avrebbero realizzato un programma che non era quello che avevano in mente. E parla del "nuovo meccanismo della censura": "Porre difficoltà alla realizzazione di un progetto, ma nell'ombra" e "poi far parlare i fatti": andate male, non vi guarda nessuno, avete fatto ascolti da terza serata".

Il sistema secondo Saviano prevede "togliere i mezzi perché la qualità si affermi, ridurre luce perchè resti in ombra il discorso, questo il nuovo modo per far morire in televisione tutto ciò che può essere cultura". E la requisitoria prosegue parlando delle "balle sui compensi dette in un Paese come il nostro, che campa con stipendi da fame". E ancora: in ultimo "le prove durante le quali, per quanto blindate, cercano di ficcarsi persone pronte a riportare il minimo dettaglio". E conclude: "È per questo che siamo qui, per provare a raccontare quella parte del paese, che è la più grande, che ha voglia di ridisegnare questa terra".

08 novembre 2010

 

 

 

2010-10-30

L'indagine frena il lodo Alfano

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Un nuovo incubo attraversa la strada del premier e la sopravvivenza del governo. Nel giorno in cui la maggioranza all’improvviso rallenta la corsa sul Lodo Alfano, da Milano rimbalzano voci minacciose di una nuova inchiesta in cui sarebbero coinvolte fanciulle minorenni, Lele Mora l’ex parruchiere diventato manager di talenti da spettacolo e infine lui, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Una storia di sesso e notti brave nella movida milanese arricchita di modelle e starlette giovanissime disposte a tutto per una parte in tivù, diventare famose e possibilmente ricche. Quella di ieri è una giornata che va inquadrata in due scene. Diverse e lontane. La prima è al Senato. In Commissione Affari costituzionali doveva essere il giorno della conta. Invece alle quattro meno un quarto maggioranze ed opposizioni lasciano l’aula e rinviano tutto alla prossima settimana. Il presidente Carlo Vizzini (Pdl) fissa per domani (ore 16) il termine per gli emendamenti e aggiorna la seduta a martedì. Quando non è escluso che scattino nuovi rinvii per i subemendamenti. Eppure tra venerdì, il giorno della lettera del Colle con le "forti perplessità" sul testo del Lodo, e domenica quando Fini ha calato l’aut aut sulla reiterabilità, le due parti della maggioranza hanno avuto il tempo di calibrare i testi degli emendamenti. Ieri invece nessuno ha presentato nulla. Tutto di nuovo in alto mare.

E a parte Pd, Idv e Udc che fanno quanto previsto - ritiro del testo e rinvio sine die dello scudo - tra i banchi di Fli e del pdl è scena muta, compreso il sottosegretario Casellati. Anzi, Fli e Pdl votano insieme, compatti, nell’unica votazione della giornata, quella in cui Enzo Bianco e Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd, chiedono la cancellazione del lodo. Richiesta bocciata per un voto, quello del finiano Saia. "Dobbiamo mettere a punto con calma alcune questioni con il presidente Bongiorno" dice Saia lasciando l’aula e confermando che la linea prevede di cancellare la reiterabilità dello scudo. Silenzio sul fronte del Pdl che tiene i big Quagliariello e Gasparri, i veri papà del Lodo, lontani dall’aula della Commissione. Una frenata, quindi. Eppure il conto alla rovescia per il 14 dicembre, giorno in cui la Consulta si pronuncerà sul legittimo impedimento col rischio che il premier debba tornare in aula per il processo Mills, scorre implacabile. Ufficiosamente i berluscones veicolano il messaggio che non ci sono problemi, che il Lodo resta "la priorità" e che semmai "si prende tempo in cerca della più ampia sinergia con Fli". Lo dicono gli stessi che fino a 24 ore prima giudicavano l’intervento del Quirinale e lo stop di Fini la prova "di un asse e di un accanimento politico". Leoni che diventano agnelli. In politica succede spesso.

Sotto traccia, invece, si sta muovendo altro che rinvia alla seconda scena, a Milano, procura della Repubblica. Il Fatto Quotidiano ieri mattina ha dato conto di un’inchiesta della procura meneghina, una storia a luci rosse in cui sarebbero coinvolti anche Berlusconi, Lele Mora e una giovane ragazza marocchina all’epoca dei fatti minorenne. Il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha subito smentito anche un po’ infastidito. In serata invece la conferma ufficiosa: l’inchiesta c’è e sarebbe assai vasta e complessa. Il titolare è il pm Antonio Sangermano già responsabile di numerose inchieste sullo sfruttamento della prostituzione. Protagonista della storia una ragazza marocchina, all’epoca dei fatti minorenne, a cui gli investigatori sarebbero arrivati sulla base di alcune intercettazioni telefoniche. La ragazza è stata rintracciata, portata in procura e qui convinta a parlare e a raccontare. I suoi verbali sono rigorosamente in cassaforte. Notti brave a base di sesso e droga e senza scrupoli. Non si tratta della denuncia di una parte bensì di un atto di indagine autonomo in cui la giovane è teste chiave. La ragazza, adesso maggiorenne, vive da tempo sotto protezione per tutelare la sua incolumità. Nel pieno dell’estate la movida milanese finì già sui giornali per l’inchiesta in cui furono coinvolti l’Hollywood e The Club, locali esclusivi frequentati da calciatori, modelle e starlette. Ai tempi dello scandalo di Casoria e di Noemi (aprile 2009) Veronica Lario, oggi ex signora Berlusconi, già accennava a figure di vergini che si offorno al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica". Poi arrivarono Patrizia d’Addario, le notti a palazzo Grazioli e le feste a villa Certosa con Berlusconi vestito di bianco, unico uomo a una tavolata di fanciulle, maschera tragica tra comparse ancora più tragiche.

27 ottobre 2010

 

 

Pd, Bersani dà il via alla campagna "porta a porta" "Abbiamo bisogno di te per un risveglio italiano"

di Jolanda Bufalinitutti gli articoli dell'autore

Un berlusconismo al tramonto ma che può essere aggressivo e pericoloso. Una crisi politica e sociale che produce anche rabbia e disaffezione, sfiducia nella politica e nella sua capacità di affrontare i problemi che attanagliano la vita delle persone normali, dei cittadini. Pier Luigi Bersani, nella lettera con cui si rivolge ai democratici, segnala i rischi del tempo e dell’avvitamento in cui Berlusconi ha fatto precipitare la vita pubblica. Presentare in Parlamento una mozione di sfiducia sarebbe un boomerang, poiché si rischierebbe di non avere i numeri per mandare a casa il premier ma stare fermi non si deve. Bersani ripete lo slogan che campeggia nei manifesti del Pd: "la pazienza è finita". E lancia la campagna d’autunno con il viatico che gli viene anche da Romano Prodi: il segretario del Pd ha i numeri per essere il candidato dell’alternativa. Prodi apprezza, anche, "la disciplina in più" che nota nella vita del partito, "quando non c’è disciplina non hai forza, lo dico per esperienza diretta". Il partito democratico, spiega Bersani, "ha critiche chiare e forti da fare alla destra". Vuole parlare al paese dei problemi che lo travagliano e dei rischi che corre "l’assetto costituzionale" ma, soprattutto vuole ascoltare. Perché "i problemi reali dei cittadini non trovano voce". Le anticipazioni del libro di Bruno Vespa danno, intanto, alimentano la discussione del Pd. Il segretario aveva risposto, nel libro, alla domanda se si possa creare un gruppo unico fra Pd, Idv e Sel, senza chiudere. "Verificheremo", indicando la via "non di un patto occasionale ma di un percorso strutturale". Idea che non piace a Marco Follini. "Una follia che snaturerebbe il Pd", dice Follini mentre per Beppe Fioroni "è ora di finirla con l’angoscia di perdere voti a sinistra". Da Parma il segretario risponde: "È una questione seria, non voglio fare l’Unione ma, una volta che c’è un patto di governo, non voglio un liberi tutti". Bersani rivendica, nella lettera all’elettorato democratico, "l’impegno per un progetto economico e sociale nuovo, una alternativa che rinsaldi la democrazia costituzionale". E chiama quello stesso popolo che si è messo in fila per votare alle primarie ad essere presente nei fine settimana di novembre per ritirare e far circolare il materiale con le proposte del Pd. Non c’è una data per le elezioni, spiega il responsabile dell’organizzazione Pd Nico Stumpo, è, dunque, il tempo giusto, "per ragionare con i cittadini, metabolizzare e organizzare ciò loro stessi ci diranno. Vogliamo raccogliere la volontà di cambiamento che c’è nel paese". Non c’è tempo da perdere nel costruire le risposte ai disagi, alla precarietà, alle piccole imprese che soffrono, allo smantellamento delle politiche sociali, ai problemi delle scuole e delle università.

 

Il testo integrale della lettera di Bersani ad elettori e iscritti

Oggi in edicola tutti i dettagli sull'inizativa

30 ottobre 2010

 

 

Bossi avverte la Lega: "A gennaio nasce governo tecnico"

Il leader della Lega Umberto Bossi. Ministro in carica per le Riforme, è "molto irritato" con il Premier Silvio Berlusconi di cui è rimasto il principale alleato di Governo. E ieri in via Bellerio, riferiscono oggi diversi quotidiani, il Senatur ha riunito lo stato maggiore del suo partito per dare sfogo alla "forte insoddisfazione" del Carroccio per la scarsa attività del Governo a forte degli impegni presi da Berlusconi (un Consiglio dedi ministri a settimana per realizzare le cinque riforme dei cinque punti) al termine della verifica parlamentare di settembre a cui Bossi avrebbe preferito elezioni anticipate a novembre.

"Dobbiamo preparaci, il Governo tecnico è alle porte - è la frase che 'Repubblica' attribuisce a Bossi nel corso della riunione con ministri e capigruppo leghisti- e noi andremo all'opposizione. Per certi versi è pure un bene. Il redde rationem ci sarà a gennnaio: Silvio cadrà e noi andremo all'opposizione e ci resteremo. Mi parlano anche di un Governo Tremonti: non esiste. Il Governo tecnico durerà poco e a noi stare un po' all'opposizione prima di tronare ad elezioni ci potrà anche servire: ci rigenererà".

Bossi, riferiscono, avrebbe spiegato la convinzione che l'esperienza di Governo Berlusconi sia al tramonto non solo e non tanto per il caso Ruby e il costume di vita del Premier (al quale non avrebbe perlatro mancato di lesinare critiche e attacchi per la gestione del caso della minortenne marocchina a partire dalla telefonata in Questura per aiutarla) ma soprattutto per la convinzione che l'accelerazione Fini sulla costruzione del nuovo partito di centrodestra e della triangolazione sempre più stetta fra Presidente della Camera, Casini, vertici del Pd siano il segno che a breve Fli staccherà la spina. E che sta a ora alla Lega valutare se le conviene attendere quel momento o giocare d'anticipo e prendere lei una qualche iniziativa con Berlusconi.

30 ottobre 2010

 

 

Napolitano sul Lodo Alfano: "Credo accolta la mia richiesta"

Giorgio Napolitano, in partenza per rientrare in Italia dopo una settimana in Cina, non vuole sbilanciarsi troppo sul Lodo Alfano costituzionale all'esame del Parlamento in un testo su cui, alla vigilia della partenza ha segnalato un punto che a suo avviso diminuirebbe il ruolo del capo dello Stato. Ma, sia pure in attesa della presentazione formale dell' emendamento annunciato dalla maggioranza, il presidente della Repubblica qualcosa dice. Visto che ''si parla di eliminare la specie dell' autorizzazione e di tornare alla sospensione automatica prevista dalla legge Alfano, che io promulgai, e' evidente - afferma - che si va in quella direzione''.

Napolitano non ha voluto esprimere alcun parere, invece, sulla cosiddetta reiterabilita' dell' immunita' prevista dal Lodo Alfano, ovvero sulla possibilita' che sia ripetibile dopo il termine del mandato in una delle cariche previste. Questa questione e' stata sollevata dalle opposizioni e da parti della maggioranza, ma non dal Quirinale.

Quanto all' immunita' per il capo dello Stato, il presidente della Repubblica, che stasera stessa fara' rientro al Quirinale, ha precisato: ''Non mi imbarco in una discussione su cio' che trovo a Roma, perche' ho l'abitudine di leggere le carte. So che si parla di un emendamento che sara' presentato solo mercoledi'. Certamente in quella lettera che ho inviato al presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, ho sollevato il problema della diminuzione del ruolo del capo dello

Stato e anche della condizione di disagio in cui avrebbe potuto trovarsi di fronte al Parlamento se fosse stata proposta una questione di procedibilita' nei suoi confronti da decidere con un voto a maggioranza semplice delle Camere''. ''Dal momento che si parla di eliminare quella fattispecie dell' autorizzazione e di tornare alla sospensione automatica, che era prevista dalla Legge Alfano che io promulgai, e' evidente che quell'emendamento va in quella direzione (da me auspicata, ndr), se l'emendamento ci sara' e quando ci sara'''. Napolitano ha concluso con una battuta scherzosa: ''E' giusto che i giornalisti corrano avanti e i politici non devono essere troppo in ritardo. Ma voi siete troppo in anticipo. Non e' necessario che corrano anche i politici, e tanto meno quando si trovano all'estero''.

30 ottobre 2010

 

 

 

 

 

 

2010-10-29

Giustizia, il premier minaccia: accordo o vado in Parlamento

Visti tutti i fallimenti per far passare il Lodo Alfano, ora il premier torna a minacciare: "Se sulla riforma della giustizia non ci sarà accordo in Parlamento allora produrrò un intervento in Parlamento in cui, togliendo ogni infingimento ed ogni ipocrisia, dirò agli italiani partendo dal Parlamento qual è la situazione della giustizia e della magistratura italiana", dice Silvio Berlusconi al termine del consiglio europeo, in una conferenza stampa.

"Non so il momento, so che c'è sicuramente dietro una volontà precisa", dice il premier. Berlusconi inquadra anche il caso Ruby nel complicato dossier della giustizia e delle ricadute sull'azione del suo governo. Le domande sui due temi fioccano e il presidente del Consiglio non si sottrae. Anzi, anticipa che il suo intervento in Parlamento sullo stato della giustizia in Italia sarà una sorta di messaggio agli italiani, è a loro infatti che puntualizza di voler parlare in quella occasione, e lascia intravedere una regia politica dietro i colpi di scena di questi giorni.

In realtà, l'intervento alle Camere e la trattativa in corso sui dossier giustizia si tengono strettamente, come spiega quando dice: "Non ho ancora deciso quando fare questo intervento e spiego perché. Stiamo trattando con le altre forze politiche per una riforma della giustizia e quindi non voglio anticipare un mio forte intervento rispetto a possibili accordi che potrebbero farci arrivare a una conclusione positiva sulla possibilità di una riforma globale della giustizia". "Se questo non dovesse succedere - è la subordinata - allora io farò un intervento in Parlamento in cui, togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia dirò agli italiani, partendo dal Parlamento, quale secondo me è oggi la situazione della giustizia e della magistratura italiana".

29 ottobre 2010

 

 

 

 

 

2010-10-26

Berlusconi: "Con questi pm è indispensabile il Lodo Alfano"

"Ritengo che una legge che sospenda i processi delle più alte cariche dello Stato mentre adempiono alle loro funzioni istituzionali sia opportuna ed anzi, vista la magistratura con cui abbiamo a che fare, assolutamente indispensabile". Silvio Berlusconi, in una conversazione con Bruno Vespa per il nuovo libro del conduttore di Porta a Porta, spiega così di non aver cambiato idea sul Lodo Alfano.

"Proprio a causa di questi comportamenti dei magistrati politicizzati i nostri parlamentari sono in procinto di chiedere una Commissione parlamentare d'inchiesta. Penso che questa iniziativa sia largamente condivisa e debba far luce su una infinità di processi clamorosi, come quelli, tra i tanti, contro Calogero Mannino, contro il generale Ganzer e l'ex Capo della Polizia De Gennaro.

È un'iniziativa a difesa dei cittadini, ma anche delle migliaia di giudici per bene che lavorano seriamente e che per colpa di pochi vedono diminuire la fiducia degli italiani anche nei loro confronti". Lo afferma il premier Silvio Berlusconi in un'anticipazione dell'ultimo libro di Bruno Vespa.

 

"Ancora una volta è scattato l'uso politico della giustizia per cercare di denigrare il presidente del Consiglio". Silvio Berlusconi commenta nel libro di Bruno Vespa "Il cuore e la spada" l'invito a comparire ricevuto nei giorni scorsi dalla magistratura romana in uno spezzone dell'inchiesta milanese sui diritti televisivi. "Sono amareggiato soprattutto per Pier Silvio - dice Berlusconi - che in Mediaset non si è mai occupato e non si occupa di questioni fiscali. Viene contestata un'evasione inferiore a un milione di euro, quando quell'anno, il 2004, il mio gruppo versò all'erario imposte per 448 milioni. Ci si aspetterebbe il conferimento di una medaglia d'oro in premio. In un contesto siffatto nessuna persona sana di mente rischierebbe di evadere un quattrocento ottantesimo delle imposte pagate! Mi assicurano che la contestazione sarebbe frutto di una diversa interpretazione delle norme tra i commercialisti e l'Agenzia delle entrate. Proprio per evitare questi casi la riforma fiscale dovrebbe far chiarezza su tanti punti controversi che mettono in difficoltà tanti professionisti e imprenditori. Il mio coinvolgimento? Ero Presidente del Consiglio e dal 1994 non mi occupavo, come non me ne occupo tuttora del gruppo Fininvest e di Mediaset. Mi lasci dire - conclude - che ancora una volta è scattato l'uso politico della giustizia per cercare di denigrare il presidente del Consiglio".

26 ottobre 2010

 

 

Corruzione, Transparency: Italia scende 67° posto, dopo il Ruanda

L'Italia scende ancora nella classifica di Transparency International (Ti) sulla percezione della corruzione nella pubblica amministrazione, che quest'anno la vede al 67esimo posto a livello mondiale con 3,9 punti, dopo il Ruanda (66esimo con 4 punti) e immediatamente prima della Georgia (68esima con 3,8 punti). Rispetto al 2009, quando era al 63esimo posto con 4,3 punti, l'Italia perde così quattro posizioni.

Il 'Transparency International Corruption Perceptions Index' (CPI) - l'edizione 2010 è stata presentata stamattina a Berlino - è la graduatoria "più credibile e accurata della corruzione nella pubblica amministrazione" come fa notare il Guardian nell'edizione online. Il Cpi attribuisce ai paesi un punteggio da 0 a 10, dove lo '0' indica massimi livelli di corruzione e il '10' i più bassi. Non desta sorpresa che i paesi più corrotti siano anche quelli con governi più instabili, spesso teatro di conflitti.

Afghanistan e Myanmar per esempio, quest'anno condividono il penultimo posto nella classifica dei 178 paesi esaminati con un punteggio di 1,4; mentre la Somalia è ultima con 1,1 punti. In testa alla graduatoria ci sono - a pari merito - Danimarca, Nuova Zelanda e Singapore, tutte con 9,3 punti, seguite da Finlandia e Svezia (9,2).

26 ottobre 2010

 

 

 

2010-10-24

Lodo Alfano, Napolitano: espresse perplessità, no a deduzioni politiche

In merito al Lodo Alfano ''il Parlamento tenga conto anche di questo aspetto (la non reiterabilita', ndr) non solo di quello giusto rimarcato ieri dal Capo dello Stato. Futuro e liberta' si impegnera' per la presentazione di emendamenti che non rendano possibile reiterare il Lodo'' perche' si tratta ''di tutela della funzione e non di una nuova legge ad personam''.

Lo afferma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo ai 'Dialoghi Asolani'. "La polemica che vi è stata dopo (il sì di Fli alla retroattività, ndr) sembra francamente una polemica politica realizzata da chi vuole fare a gara su chi è più legalitario, ma non credo che ci si possa meravigliare della nostra coerenza".

Lo afferma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso dei 'Dialoghi Asolani'. La Terza carica dello stato ribadisce "ciò che già dissi a Mirabello". "Non si può dar corso ad alcun intervento che garantisca l'impunità o pensare a forme di immunità ma si deve valutare l'opportunità di tutelare la funzione e non una persona, in questo caso la funzione di presidente del Consiglio. La tutela della funzione deve o può prevedere la sospensione dei procedimenti con l'esclusione di eventuali co-imputati senza la sospensione delle indagine anche se si tratta di procedimenti avviati prima dell'assunzione della funzione come avvenne ad esempio per il presidente francese Chirac".

NAPOLITANO: "STOP A DEDUZIONI POLITICHE"

Le "conseguenze politiche" annunciate dopo l'intervento del capo dello Stato sul Lodo Alfano "sono del tutto estranee agli intendimenti del presidente della Repubblica", che puntano "sempre a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale".

Lo sottolinea una nota del Quirinale, all'indomani della lettera inviata da Napolitano al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Vizzini, sullo scudo processuale per premier e presidente della Repubblica. In quella lettera, precisa il Colle, Napolitano "ha ritenuto di dover manifestare le sue 'profonde perplessità' su un punto specifico - tale da incidere sullo status del Presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato".

"Le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera apparse in diversi commenti di stampa, così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre - evidenzia il Quirinale - sono del tutto estranee agli intendimenti del Presidente della Repubblica, sempre volti a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale".

23 ottobre 2010

 

 

Lodo Alfano, l'alt di Napolitano: "Profonde perplessità"

di Marcella Ciarnellitutti gli articoli dell'autore

Retroattività. Reiterabilità. Sospensione. Dal Senato che lavora a porte chiuse, nonostante la richiesta Pd di rendere pubbliche le sedute della Commissione, prende forma il cosiddetto Lodo Alfano costituzionale che in buona sostanza assume sempre più le sembianze di uno scudo ad personam per Berlusconi. Passato. Presente. Futuro. Nella legge si fa riferimento al Capo dello Stato e al presidente del Consiglio. E il presidente della Repubblica non ci sta. Giorgio Napolitano non ha celato neanche un po’ il suo fastidio nel vedersi continuamente coinvolto ed ha così affidato i suoi netti rilievi e le sue preoccupazioni ad una lettera inviata al presidente della Commissione Affari Costituzionali, Carlo Vizzini. Il testo non lascia spazio ad interpretazioni di parte.

L’articolo 90

"Ritengo di dover esprimere profonde perplessità sulla conferma da parte della Commissione della scelta di innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il presidente della Repubblica, previsione che non era del resto contenuta nella legge Alfano del 23 luglio da me promulgata". Napolitano non ha mancato di riaffermare, l’ultima volta l’aveva fatto tre giorni fa, la sua "intenzione di rimanere estraneo nel corso dell’esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché, come in questo caso, riguardino proposte d’iniziativa parlamentare e di natura costituzionale". Però è evidente che non ha voluto mancare di richiamare l’attenzione di chi sta esaminando il testo al Senato sulle conseguenze che le decisioni finora assunte possano avere sull’esercizio delle funzioni del Capo dello Stato. E allora nessuna interferenza. Questo è certo. Ma è meglio puntualizzare. Dunque "non posso fare a meno di rilevare che la decisione assunta dalla Commissione da lei presieduta -continua così la lettera a Vizzini- incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni. Infatti tale decisione, che contrasta con la normativa vigente risultante dall’articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale, appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi da quelli previsti dall’articolo 90". Ed invece "questa possibilità è esclusa dalla normativa costituzionale vigente e dalla costante prassi applicativa, possibilità che non era contemplata nelle precedente legge Alfano". Nascono così i dubbi e l’allarme per una possibile riduzione dell’indipendenza del Capo dello Stato, chiunque sia perché non può essere questione personale, ed anche per l’ardita iniziativa che porterebbe ad equiparare il ruolo dell’inquilino del Colle a quello di chi svolge il suo impegno a Palazzo Chigi. C’è un equilibrio che nessun interesse, tanto meno personale, può mandare in frantumi. Va rispettato, anche se non piace.

La nota Pdl

Il fermo richiamo di Napolitano, la lettera è stata inviata al presidente del Senato e per conoscenza anche a quello della Camera, dal senatore Vizzini è stato accolto senza commenti. "Ritengo non sia opportuno farne nè sul contenuto, nè sul metodo". Poi, a chiarire la posizione del Pdl è arrivata una nota congiunta dei senatori Gasparri e Quagliariello in cui si afferma che "le osservazioni del presidente della Repubblica non troveranno indifferente il nostro gruppo parlamentare" anche se non mancano di sottolineare quello che per loro è "un apprezzabile eccesso di sensibilità" da parte del Capo dello Stato che per loro ha diritto anche di rinunciare allo protezione che gli viene da uno scudo pensato evidentemente per un altro soggetto. Che è quello che a loro interessa. Comunque "implicitamente" per il capogruppo Pdl e il suo vice "le osservazioni del Presidente confortano il principio ispiratore della proposta di legge: ovvero, l'importanza di evitare che l'azione delle alte cariche istituzionali possa essere soggetta a strumentalizzazioni e a indebite pressioni".

23 ottobre 2010

 

 

Berlusconi parla di ritiro

"Non cambia nulla con l'intervento del presidente della Repubblica. A questo punto io chiederò che quella legge costituzionale venga ritirata. Il lodo Alfano porta con sè un meccanismo farraginoso per l'approvazione e in questo modo serve soltanto a dare fiato alle polemiche strumentali dell'opposizione". È quanto afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interpellato telefonicamente dal 'Corriere della Serà. "Questa legge - aggiunge - non è stata una mia iniziativa, ma una proposta del mio partito. Io non sono più interessato a portarla avanti. Non voglio che si dica che faccio leggi ad personam, leggi vergogna. Altro che leggi vergogna! Sono sedici o diciassette anni che vengo perseguitato dai magistrati per fatti già chiariti". "Ho giurato sui miei cinque figli e sui miei nipoti - prosegue il premier - che non sono responsabile di nessuno dei fatti che mi vengono attribuiti". Discorso diverso per la riforma della giustizia messa a punto dal Guardasigilli Alfano: "È un progetto che interessa e non si fermerà, ma ripeto: senza il Lodo che invece verrà ritirato".

23 ottobre 2010

 

 

 

2010-10-22

Ue azzeccagarbugli e Putin-Jessica Rabbit Silvio alla Faz le spara grosse

Un'intervista-fiume, quella rilasciata dal presidente del Consiglio al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Una conversazione in cui il premier spazia sull'universo mondo e racconta la "sua" versione dei fatti. Fino a sfiorare la gaffe: come quando, ad esempio, dice che l'Unione europea è come "un azzeccagarbugli".

Magistratura, i soliti cattivoni

"Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela. Il mio partito ha presentato un disegno di legge in base al quale durante il mandato vengono sospesi i processi contro il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio; anche i termini di prescrizione vengono sospesi durante il mandato. Una legge del genere esiste in molti Paesi". Per il premier i tre punti più importanti per riformare la giustizia sono "la separazione delle carriere di procuratore della Repubblica e di giudice; l'accelerazione dei processi; e, terzo, il rafforzamento dei diritti civili. Nessuno dei tre punti riguarda me direttamente". Alla domanda sul fatto che vi sia comunque un "dibattito su leggi 'ad personam' a suo favore", sostiene: "Non sono io che le ho chieste. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia. Per dirlo con parole chiare: sulla nostra democrazia grava un macigno. Nella magistratura abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando di procedere contro chi e' stato eletto legalmente dal popolo''.

Mi ricandido (che novità)

Se ci dovessero essere elezioni anticipate si candiderà? "Mi candiderò comunque. In caso di elezioni, vedremo se il programma del partito di Fini sarà tale da consentire di renderlo parte integrante della coalizione".

"Intanto, però, l'Italia continua a essere un Paese con una guida politica stabile e un esecutivo forte che poggia sul consenso

della grande maggioranza degli italiani. Dopo il 2008, il mio partito ha prevalso in tutte le elezioni. Mi sono presentato pochi giorni fa alle Camere con un programma per i prossimi tre anni, sul quale ho ottenuto la fiducia. Suppongo che il partito di Fini continuerà a sostenere il Governo", conclude.

Sondaggio, amore mio

Non immagina un ''nuovo centro in grado di formare un Governo'', il premier Silvio Berlusconi. E cita i sondaggi, per avvalorare la sua tesi. ''Secondo i sondaggi - spiega - un'alleanza elettorale di tutti i partiti del centro otterrebbe soltanto tra il dieci e il dodici per cento dei voti. Negli ultimi anni, sotto la mia guida, l'Italia ha fatto un passo importante verso il ''bipolarismo'', verso una democrazia con governi che si alternano. Non credo che sia facile abbandonare cosi' facilmente questo schema''.

Frode fiscale, non c'entro niente. E' colpa dei miei figli

Le accuse di evasione fiscale? "I giornali parlano di irregolarità fiscali commesse nel 2003 a Roma. In quel periodo come Presidente del Consiglio non avevo più niente a che fare con il gruppo Mediaset presieduto da mio figlio e mia figlia. Si accusa l'azienda di aver evaso 1,9 milioni di euro nel 2003, quando per lo stesso periodo ha pagato 450 milioni di tasse". E' quanto afferma in un'intervista alla Faz il premier Silvio Berlusconi, secondo il testo dell'intervista diffuso in italiano.

"Nel 2004 l'impresa ha pagato imposte equivalenti a 450 milioni e viene accusata di aver evaso la somma relativamente infima di 800 000 euro. E comunque, non mi sono mai occupato di questioni tributarie relative al mio gruppo aziendale", prosegue.

Quanto ai processi nei quali è stato imputato, Berlusconi riporta i suoi numeri: "Ho già avuto 104 istruttorie; più di mille procuratori della Repubblica si sono occupati di me e delle mie aziende. Ho speso più di 300 milioni per gli avvocati. Ciononostante, non sono mai stato condannato. La gran parte dei giudici è seria. Per lo più si parla di influenza sui media. In

concreto, però, le accuse sono risibili".

Putin? Non è cattivo, sono gli altri che lo disegnano così (come Jessica Rabbit)

''Putin, come persona, e' il contrario di come viene dipinto dalla stampa occidentale. E' sensibile, aperto, ha il senso dell'amicizia, ha rispetto per tutti, soprattutto per le persone umili, e una profonda comprensione della democrazia''. ''La transizione dal totalitarismo alla democrazia - prosegue Berlusconi - e' lunga e difficile. Tuttavia sono convinto che la leadership russa e' animata dalle migliori intenzioni. E' una fortuna, per la Russia e per noi, che vi siano Medvedev e Putin.

Conosco a fondo tutti e due''.

L'Ue è un azzeccagarbugli

"L'Unione finora ha fatto ancora troppo poco per migliorare la propria immagine tra la popolazione. Non si mostra tanto come garante della pace e del benessere, piuttosto come un azzeccagarbugli intento apparentemente solo a stilare cataloghi di criteri e vincoli. La Commissione deve presentarsi meglio alla gente. Il punto è che ogni Commissario parla e ogni portavoce dichiara. Così viene a mancare una chiara rotta". E sul Trattato di Lisbona aggiunge: "Ancora non è in vigore da tempo sufficiente per poterne dare un giudizio definitivo. C'è un po' di confusione tra le funzioni del Presidente della Commissione e del Presidente del Consiglio Europeo. È quello che si nota durante le riunioni dei Capi di Stato e di Governo".

Gli immigrati non hanno diritti assoluti ma anche doveri

"Per troppo tempo l'argomento dell'immigrazione clandestina è stato ignorato da alcuni Stati membri, mentre è un problema che tocca tutti, non solo i Paesi comunitari del Mediterraneo".

"Tra l'altro nei Trattati è stabilito che la gestione delle frontiere e le questioni inerenti al diritto di asilo e all'immigrazione sono materie di interesse comune per le quali siamo chiamati a prenderci la responsabilità a livello comunitario in base a criteri condivisi. Il problema dell'immigrazione legale è particolarmente intenso in Germania e Francia mentre da noi, il numero di stranieri è inferiore: 3,5 milioni di immigrati legali".

"L'Italia conduce una politica mirata a contrastare l'immigrazione clandestina. Ho allacciato contatti con tutti gli Stati mediterranei del Nord Africa e abbiamo stipulato accordi per un controllo maggiore delle frontiere", sottolinea, aggiungendo sull'integrazione: "Per me è un argomento importante. I diritti degli immigrati non sono assoluti, devono comportare anche dei doveri. È una questione centrale della politica liberale di integrazione. Non basta tutelare la libera circolazione. Qualsiasi Stato europeo ha anche il diritto e il dovere di esigere dalle persone che liberamente attraversano i suoi confini il rispetto delle leggi. Ciascuno deve rispettare le regole del luogo nel quale si trasferisce e deve procacciarsi onestamente i mezzi per vivere".

E' l'immigrazione il motivo principale per il rafforzamento del populismo in Europa? "Nel Nord Europa, senz'altro, meno da noi".

Angela Merkel? Una perfezionista

Mi e' stato rimproverato di essere stato scortese nei suoi confronti durante il vertice Nato di Strasburgo del 2009, perche' ero al telefono invece di ascoltarla. In realta' stavo telefonando perche' tutti i partner volevano che convincessi il premier turco Erdogan del fatto che Rasmussen sarebbe stato un buon Segretario Generale della Nato. La Cancelliere Merkel mi faceva solo segno di voler sapere come stesse andando la telefonata. Tutto li'". L'intervista alla Faz offre anche l'occasione per una messa a

punto sui rapporti tra Silvio Berlusconi e Angela Merkel. E' del Cancelliere tedesco, infatti, che il presidente del Consiglio parla, aggiungendo che "i rapporti politici sono eccellenti". "Stimo molto il Cancelliere Merkel come persona. Ha senso di responsabilita', lavora in modo concreto e mirata, preparandosi coscienziosamente su ciascun dossier, quasi da perfezionista", dice ancora Berlusconi che inquadra cosi' i rapporti bilaterali: "I rapporti sono eccellenti. Le nostre economie sono complementari e per molti aspetti interdipendenti. L'interscambio italo-tedesco e' maggiore di quelli italo-francese e italo-britannico messi insieme".

Iran, approccio avvolgente

Silvio Berlusconi non crede nella possibilita' di risolvere a colpi di sanzioni i rapporti con l'Iran e si dice a favore di "un approccio piu' avvolgente e cauto" per il quale candida "la Cina e la Russia". "Proprio la scorsa settimana - rivela il presidente del Consiglio - ho pregato il premier cinese Wen Jiabao di intervenire in tale direzione". "Quanto a Israele - osserva Berlusconi - possiamo solo sperare che la minaccia nucleare non venga percepita in maniera cosi' forte da indurre Israele a un intervento militare nei confronti dell'Iran". Integrare il regime iraniano nella comunita' internazionale, sfida possibile? "Quanto meno - osserva - dobbiamo provarci. E' questo l'unico vero modo di tirare fuori l'Iran dal suo vicolo cieco".

22 ottobre 2010

 

 

Lodo Alfano, si può reiterare Silvio "immune" a vita

di Marcella Ciarnellitutti gli articoli dell'autore

Salvare Berlusconi. Ieri, oggi e domani. Questo l’ordine di scuderia. E così la Commissione Affari Costituzionali ha bocciato uno degli emendamenti al Lodo Alfano presentato dall’opposizione ampliando a dismisura l’ombrello a difesa del premier. La modifica stabiliva la non reiterabilità della sospensione dei processi per il capo dello Stato o il presidente del Consiglio e recitava: "la sospensione dei processi per il presidente del Consiglio e per il presidente della Repubblica opera solo nel primo biennio e non è reiterabile". Non è andata. La bocciatura fa sì che la sospensione sia legata alla carica e scatta di nuovo se il presidente del Consiglio viene rieletto nella sua carica o viene eletto presidente della Repubblica. Restano da votare altri emendamenti sulla stessa materia che è presumibile sia destinati anch’essi ad essere rinviati al mittente da una maggioranza che anche nell’occasione rilevante qual è una riforma costituzionale non trova di meglio che negare la seduta pubblica ma, piuttosto, di convocarne in notturna in modo da fare il più presto possibile. La richiesta di rendere pubbliche le sedute della Commissione era stata avanzata già in giugno dalla presidente del gruppo Pd, Anna Finocchiaro al presidente del Senato chiamato in causa anche ieri. Ma il regolamento è il regolamento. E non si va in deroga. Specialmente quando non conviene. Il senatore del Pd Francesco Sanna per sventare il fatto paradossale che "una riforma della Costituzione si faccia in modo clandestino" non esclude di offrire, con il collega Stefano Ceccanti, "una diretta Facebook scrivendo qualcosa tra un intervento e l'altro" nei giorni della prossima settimana in cui riprenderanno i lavori. Che hanno subito un’accelerazione. Infatti martedì e mercoledì, oltre alle sedute negli orari previsti ce ne saranno anche due straordinarie, in notturna. "La diretta dei lavori è una questione democratica" ha detto il senatore del Pd, Felice Casson. Ma il presidente della Commissione, Carlo Vizzini, piccato ha di nuovo rispolverato il regolamento. La questione della reiterabilità sembra però aver infastidito molto anche l’Udc, finora disposta all’estensione. Ci ripenseranno? Il referendum Compiuto il lungo iter tra Camera e Senato, una volta approvato, il Lodo Alfano sarà soggetto a referendum seguendo le indicazioni della Carta Costituzionale che ne indica gli esatti confini. Lo ha ricordato l’altro giorno Pier Luigi Bersani annunciando "le barricate" in Parlamento e poi l’intenzione di ricorrere al referendum. Al movimentista Di Pietro che si sente in qualche modo titolare dello strumento referendario non è piaciuto essere anticipato e si è detto sorpreso "dell’improvvisa folgorazione del segretario del Pd" che gli ha risposto: "Non mi sono appropriato di niente". Poi Di Pietro ha fatto una relativa marcia indietro. "Faremo con il Pd una battaglia di civiltà" Anche perché il senatore Pd Zanda aveva provveduto a ricordare che "solo il Pd ha i numeri per chiedere il referendum".

22 ottobre 2010

 

 

Giustizia, Fini ascolta la base. "Tre "no" alle riforme del Pdl"

di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore

Una controffensiva nel merito, ma anche nella comunicazione. Per mettere per tempo i paletti sulla riforma della giustizia prossima all’approdo in consiglio dei ministri, ma anche per restituire a Futuro e libertà una linea chiara, compatta, e non schiacciata sulle posizioni berlusconiane: entrambe le esigenze, del resto, hanno la forma rotonda del no. Per questo ieri, dopo due giorni di scompiglio sul settore giustizia dovuto al combinato disposto del sì alla retroattività del Lodo e al "congelamento" della posizione processuale del ministro Lunardi, scompiglio che ha scontentato anche la base di Fli (centinaia di proteste via web), Gianfranco Fini cambia, intitolandolo alla giustizia l’ordine del giorno della riunione dei vertici del partito (doveva essere dedicata alla organizzazione della due giorni di Perugia). E affida il compattamento interno e l’esplicitazione della linea del partito sulla bozza della riforma (in gestazione tra via Arenula e Palazzo Grazioli) a Giulia Bongiorno, alla sua competenza sul settore della giustizia, e ai niet per i quali è nota anche presso il Cavaliere. È lei, infatti, che in tre quarti d’ora di riunione nella sede di Farefuturo, illustra ai parlamentari le bozze "ovviamente provvisorie" finora elaborate dai consigliori di Berlusconi, è lei che spiega i sì e i no, è lei che poi si incarica di stendere e diffondere il breve comunicato: Fli ritiene "condivisibili" alcuni "principi già noti, come la separazione delle carriere e del Csm", tuttavia "sono stati introdotti nuovi principi che non possiamo condividere. In particolare, non possiamo condividere le nuove funzioni e la composizione a maggioranza laica del Csm, i nuovi poteri conferiti al ministro della Giustizia e la nuova collocazione della polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura". L’ordine del giorno Fissare il "recinto di principi sui quali non possiamo essere favorevoli", spiegano dall’interno, è "strategico". Serve parlare per tempo, perché, ha spiegato Fini, "non stiamo parlando di una leggina ma di modificare pezzi della Costituzione", perché le bozze ormai circolano, e perché Berlusconi vorrebbe chiudere in una settimana. Dopodiché, certo, tutto resta aperto: "Da qui al consiglio dei ministri dobbiamo decidere come comportarci. Questa è solo una bozza, ne passeranno altre dieci". Ma l’atteggiamento col Pdl non è di rottura: si tratta anzi del tentativo di un dialogo, che trova sponda nella risposta accomodante dello stesso Guardasigilli ("Mi pare che la strada principale sia spianata. Occorre ora lavorare sui viali collaterali", dice Alfano). E dunque fissare i no adesso, sulla base delle bozze provvisorie – dopo che per giorni i finiani tutti, Fini compreso, avevano accuratamente evitato di pronunciarsi nel merito proprio perché "sono soltanto bozze" - è un cambio di passo che serve ad evitare di tirarsi addosso l’eventuale accusa (berlusconiana) di voler far saltare tutto all’ultimo, tenendo però ferma una linea diversa dal Pdl e confermando che "sulla giustizia non facciamo sconti". Basta anarchia Sul fronte interno di Fli, invece, chiarire la linea serve ad evitare che si proceda in ordine sparso: esattamente come si è fatto sia sul caso Lunardi che sul sì alla retroattività del Lodo Alfano. Quanto all’ultimo punto, le perplessità sulla "nostra coerenza" che anche ieri sono serpeggiate nella riunione hanno trovato muro nell’irritazione dello stesso Fini: "Se non capite bene di cosa si parla evitate di parlare, perché sul Lodo non abbiamo mai cambiato posizione". Quanto alla comunicazione, infine, i tre no alla riforma della giustizia servono a rispondere alle violente proteste che il "popolo" di Fli ha fatto in questi giorni, accusando i finiani di aver chinato la testa al Cav. Che l’intento sia questo lo conferma la soddisfazione con la quale persino Fabio Granata, il più attento al fronte "giustizialista" di Fli, commenta la riunione: "La riunione di oggi è importantissima perché certifica che Fli non ha intenzione di far venir meno la difesa di valori fondamentali ". Importantissima, però, anche sul fronte del dialogo con il Pdl: con quali esiti, lo si vedrà nei prossimi giorni.

22 ottobre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

Bersani: "Sul Lodo Alfano le barricate, poi il referendum"

di Maria Zegarellitutti gli articoli dell'autore

Il Lodo Alfano retroattivo "è una legge inaccettabile e fare le barricate vuol dire che noi ci opporremo con tutte le forze che abbiamo in Parlamento e poi andremo al referendum perché noi non siamo disposti a risolvere i problemi di Silvio Berlusconi". Pier Lugi Bersani ieri ha annunciato che il partito democratico sosterrà il referendum sullo scudo per il premier se dal parlamento la legge costituzionale non uscirà con il quorum previsto dalla Costituzione, spiegando anche quel termine "barricate" che aveva suscitato qualche perplessità. Ostruzionismo in Parlamento, unica possibilità per l’opposizione di mettere i bastoni fra le ruote a quella che è evidentemente una delle priorità del governo e del Presidente del Consiglio. l’incontro al Colle Bersani ne ha parlato anche con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante un incontro al Colle avvenuto poco prima di pranzo e andato avanti per circa mezz’ora. Un colloquio a due, voluto dal segretario Pd, dunque non soltanto uno dei normali incontri che il Capo dello Stato ha abitualmente con leader politici o i rappresentanti delle istituzioni, quanto piuttosto la volontà del Pd di illustrare a Napolitano la propria "strategia d'autunno". Si è parlato ampiamente dell’agenda politica dei democratici per il paese dei democratici, in vista della sessione di Bilancio, a partire anche dalle proposte su Fisco e lavoro deliberate nell’ultima Assemblea nazionale a Varese. Napolitano ha raccomandato "la necessaria attenzione per rilanciare i temi del lavoro", ma è stato inevitabile soffermarsi anche sulla giustizia e il Lodo Alfano: il segretario ha ribadito il suo impegno ad attenersi "alla via maestra indicata nell’articolo 138 della Costituzione", laddove si prevede la possibilità di ricorrere al referendum e dunque ad una mobilitazione dei partiti fuori dal Parlamento. Il percorso tracciato dalla Carta costituzionale è chiaro: "le leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali". E dentro questo solco intende muoversi il Pd: "Fare le barricate vuol dire dare battaglia in Parlamento, fare ostruzionismo ma essere pronti subito dopo a mobilitarci per il referendum", ha ripetuto ai suoi il segretario aggiungendo che il Pd "è pronto a spostare questa battaglia nella società civile perché questa è una legge che riguarda una sola persona e non il Presidente del Consiglio in generale". Parlando a SkyTg 24 ha aggiunto che se "non fosse retroattiva non se ne vedrebbe il significato e la retroattività disvela l’intenzione, che non è quella di imbarcarsi in una astrattissima norma costituzionale: vogliono risolvere il problema di Berlusconi e noi non siamo disposti a fare leggi costituzionali per risolvere i suoi problemi". L’idv e l’Udc Anche Antonio Di Pietro l’altro giorno ha evocato il referendum e ha cercato di chiamare in causa il Colle. È possibile che Bersani, ieri, annunciando di sostenere il referendum abbia voluto togliere la carta in mano all’Idv e in questo modo tutelare il Capo dello Stato. Il Quirinale, d’altro canto, sia la scorsa estate, sia l’altro ieri, con una nota ufficiale ha ribadito di essere del tutto estraneo all'elaborazione di leggi e soluzioni di scudi giudiziari per le alte cariche.Bersani mette anche nel conto che su questo fronte le posizioni dell’Udc sono altre: Casini ha annunciato l’astensione in parlamento e difficilmente sosterrà la consultazione popolare. Sull’altro fronte anche Fini qualche problema ce l’ha: la base di Fli non ha gradito il voto al Lodo Alfano.

21 ottobre 2010

 

2010-10-21

Bersani: "Sul Lodo Alfano le barricate, poi il referendum"

di Maria Zegarellitutti gli articoli dell'autore

Il Lodo Alfano retroattivo "è una legge inaccettabile e fare le barricate vuol dire che noi ci opporremo con tutte le forze che abbiamo in Parlamento e poi andremo al referendum perché noi non siamo disposti a risolvere i problemi di Silvio Berlusconi". Pier Lugi Bersani ieri ha annunciato che il partito democratico sosterrà il referendum sullo scudo per il premier se dal parlamento la legge costituzionale non uscirà con il quorum previsto dalla Costituzione, spiegando anche quel termine "barricate" che aveva suscitato qualche perplessità. Ostruzionismo in Parlamento, unica possibilità per l’opposizione di mettere i bastoni fra le ruote a quella che è evidentemente una delle priorità del governo e del Presidente del Consiglio. l’incontro al Colle Bersani ne ha parlato anche con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante un incontro al Colle avvenuto poco prima di pranzo e andato avanti per circa mezz’ora. Un colloquio a due, voluto dal segretario Pd, dunque non soltanto uno dei normali incontri che il Capo dello Stato ha abitualmente con leader politici o i rappresentanti delle istituzioni, quanto piuttosto la volontà del Pd di illustrare a Napolitano la propria "strategia d'autunno". Si è parlato ampiamente dell’agenda politica dei democratici per il paese dei democratici, in vista della sessione di Bilancio, a partire anche dalle proposte su Fisco e lavoro deliberate nell’ultima Assemblea nazionale a Varese. Napolitano ha raccomandato "la necessaria attenzione per rilanciare i temi del lavoro", ma è stato inevitabile soffermarsi anche sulla giustizia e il Lodo Alfano: il segretario ha ribadito il suo impegno ad attenersi "alla via maestra indicata nell’articolo 138 della Costituzione", laddove si prevede la possibilità di ricorrere al referendum e dunque ad una mobilitazione dei partiti fuori dal Parlamento. Il percorso tracciato dalla Carta costituzionale è chiaro: "le leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali". E dentro questo solco intende muoversi il Pd: "Fare le barricate vuol dire dare battaglia in Parlamento, fare ostruzionismo ma essere pronti subito dopo a mobilitarci per il referendum", ha ripetuto ai suoi il segretario aggiungendo che il Pd "è pronto a spostare questa battaglia nella società civile perché questa è una legge che riguarda una sola persona e non il Presidente del Consiglio in generale". Parlando a SkyTg 24 ha aggiunto che se "non fosse retroattiva non se ne vedrebbe il significato e la retroattività disvela l’intenzione, che non è quella di imbarcarsi in una astrattissima norma costituzionale: vogliono risolvere il problema di Berlusconi e noi non siamo disposti a fare leggi costituzionali per risolvere i suoi problemi". L’idv e l’Udc Anche Antonio Di Pietro l’altro giorno ha evocato il referendum e ha cercato di chiamare in causa il Colle. È possibile che Bersani, ieri, annunciando di sostenere il referendum abbia voluto togliere la carta in mano all’Idv e in questo modo tutelare il Capo dello Stato. Il Quirinale, d’altro canto, sia la scorsa estate, sia l’altro ieri, con una nota ufficiale ha ribadito di essere del tutto estraneo all'elaborazione di leggi e soluzioni di scudi giudiziari per le alte cariche.Bersani mette anche nel conto che su questo fronte le posizioni dell’Udc sono altre: Casini ha annunciato l’astensione in parlamento e difficilmente sosterrà la consultazione popolare. Sull’altro fronte anche Fini qualche problema ce l’ha: la base di Fli non ha gradito il voto al Lodo Alfano.

21 ottobre 2010

 

 

 

Berlusconi, incubo intercettazioni "Dovremo rimediare"

Taci, qualcuno t'ascolta. Berlusconi è letteralmente ossessionato. "Io vivo con grande difficoltà che non si possa più utilizzare il telefono. È terribile essere in un Paese in cui non puoi avere la certezza di non essere intercettato. È qualcosa a cui dovremo rimediare". Lo promette Silvio Berlusconi al tavolo sul fisco con governo e parti sociali al ministero dell'Economia (cioè dove si discute di tutt'altro). Già che c'è annuncia che la riforma della giustizia "è praticamente già completata con un suo articolato" e sarà presentata al Consiglio dei ministri la settimana prossima. "È stata sottoposta a tutte le forze politiche presenti in Parlamento per trovare un accordo definitivo". Lo ha detto il premier, Silvio Berlusconi, aprendo il tavolo con le parti sociali sulla riforma fiscale al Ministero dell'Economia.

Dato l'appuntamento, la riforma fiscale, il premier ha anche annotato che "l'evasione fiscale fa sì che ogni anno 40 miliardi di euro non entrino nella casse dello Stato".

"Al tavolo sul fisco Berlusconi parla di giustizia e intercettazioni. Non c'è proprio niente da fare, incassato il sì della sua maggioranza, finiani compresi, alla retroattività dello scudo che lo dovrebbe proteggere dai processi, il presidente del Consiglio mentre apre il tavolo con le parti sociali al ministero dell'Economia in cui dovrebbe porre l'attenzione sul cosiddetto "nuovo codice" promesso un anno fa, torna a parlare dei fatti suoi, anzi dei suoi interessi. E, se proprio dev'essere costretto a parlare di fisco torna sull'inchiesta romana che lo vede accusato di evasione. Questo è un conflitto d'interesse fatto premier" . Così commenta Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati del Pd.

20 ottobre 2010

 

 

Giustizia, la riforma berlusconiana anti-pm

Nella riforma della Giustizia descritta dalle agenzie al primo punto c'è la separazione dei giudici dai pm. A entrambi sarà garantita – sostiene il ministero - "autonomia ed indipendenza", ma mentre i giudici verrebbero definiti esplicitamente come un "potere" dello Stato, i Pm non sarebbero neanche un ordine, ma un "ufficio" organizzato secondo le norme dell'ordinamento giudiziario e chiamato ad esercitare l'azione penale in base a priorità stabilite dalla legge.

La riforma della giustizia per via costituzionale che il Guardasigilli Angelino Alfano ha illustrato a grandi linee prima al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e ieri ai presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, sta prendendo corpo in bozze di articolato che verranno poi sottoposte a Fli e Lega. Prima di dare il loro 'placet' i finiani chiedono di vedere il testo. Fini dice che non accetteranno "norme controverse" tali da comportare un'"ingerenza del potere esecutivo su quello giudiziario". Alfano parla di "dovuta ponderatezza" su un testo che sta subendo aggiustamenti anche sostanziali: la previsione di un quorum qualificato per le pronunce di illegittimità della Consulta è caduta, lo stesso può accadere per la nomina elettiva di magistrati onorari per le funzioni di Pm che piace tanto alla Lega, ma non ai finiani. Alfano sostiene che l'autonomia e l'indipendenza di giudici e Pm non saranno toccate ma, se possibile,"rafforzate", Alfano dovrà però convincere i finiani.

Ecco, in sintesi, i principali punti della riforma allo studio diffusi tramite agenzie di stampa.

GIUDICI E PM SEPARATI

I magistrati si distinguono in giudici e Pm e la legge assicura la separazione delle loro carriere, con concorsi diversi. I primi - nelle bozze dei tecnici del Pdl - sono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti solo alla legge. L'ufficio del Pm è invece organizzato secondo le norme sull'ordinamento giudiziario che ne assicura l'autonomia e l'indipendenza ed esercita l'azione penale secondo le priorità stabilite dalla legge.

PRINCIPIO DI RESPONSABILITÀ

Giudici e Pm sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti. L'accertamento delle loro responsabilità sarà stabilito con legge ordinaria.

POLIZIA GIUDIZIARIA

L'uso della pg da parte dell'autorità giudiziaria non avverrà più indiscriminatamente, ma "secondo modalità stabilite dalla legge".

DUE CSM, FORSE 50% DI NOMINA PARLAMENTARE

Scartata l'ipotesi di un Csm dei giudici e uno dei pm in cui la componente "togata" sia in minoranza, si sta pensando di portare al 50% la quota dei membri di nomina parlamentare con lo scopo di ridurre il peso delle correnti della magistratura. Entrambi i Csm sarebbero presieduti dal Capo dello Stato (ma la questione è mai aperta). E potranno operare con dei paletti: divieto di adottare atti di indirizzo politico e obbligo di fornire pareri su ddl solo su richiesta del ministro.

ALTA CORTE DI DISCIPLINA

In un organismo ad 'hoc', probabilmente di nove membri eletti tra i componenti dei Csm delle magistrature, confluiranno i procedimenti disciplinari di tutte le toghe (ordinarie, contabili e amministrative).

PIÙ POTERI A MINISTRO GIUSTIZIA

Riferirà ogni anno alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine. Potrà partecipare alle riunioni dei Csm senza diritto di voto. La sua funzione ispettiva verrà specificata in Costituzione. Concorrerà col Csm alla formazione di giudici e Pm.

INAPPELLABILI SENTENZE DI ASSOLUZIONE

Contro la sentenza di condanna sarà sempre ammesso l'appello, mentre le assoluzioni diventerebbero appellabili nei casi previsti dalla legge.

PARTECIPAZIONE DEL POPOLO

Si ipotizza di precedere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari alle funzioni di pm.

20 ottobre 2010

 

 

Il popolo web non perdona finiani

Il popolo della rete vicino a Fli non ha gradito la norma del Lodo Alfano che prevede la sospensione dei processi cominciati prima del conferimento del mandato. Il profilo di Filippo Rossi, direttore di Farefuturo web magazine, su Facebook è stato preso d’assalto da simpatizzanti che hanno attaccato l'appoggio di Fli alla norma. Alle iniziali critiche giunte, anche sul voto che nega l’autorizzazione contro Lunardi, Rossi ha tentato di rispondere: "Su Lunardi sono perplesso come Granata. Sul Lodo è quello che i finiani hanno sempre detto. Si può non essere d’accordo e lo capisco. ma non c’è novità".

Evidentemente la spiegazione non è parsa sufficiente: "Filippo - scrive aggressivo Giuseppe - Fini è un quaquaraqua…! Ma questa non è una novità, è storia". Gli fa eco Alessandro: "quasi dimenticavo che siete alleati di Berlusconi da vent’anni, e anche tutt’ora". "Il sogno è durato poco... siete la stessa pasta, solo di due marche diverse...ma cambia solo quella", ha scritto Antonio. Più rispettosi ma non meno delusi tutti gli altri commenti. "Non ci siamo lo stesso, Filippo. No, non, no!!!" (Costantino); "Non vorrei che l'eccesso di prudenza e di tattica facesse morire il bambino in culla. Se l'idea era quella di dare voti come quello odierno su Lunardi e di appoggiare il Lodo Alfano retroattivo che senso avevano certe roboanti dichiarazioni di principio?" (Paolo).

"È pazzesco. Se poi uniamo a ciò anche la non autorizzazione a procedere nei confronti di Lunardi. La verità è che tutti cercano di pararsi le terga per quanto possono. Non è una novità, ma dispiace sempre" (Maria Angela); "Filippo scusa ma oggi è una pagina triste della politica. Così non va bene" (Angelo); "E si...era il momento mediatico migliore per fare questa scelta. Scommetto che da domani il movimento ha perso il 2%. Chi è il genio che cura la comunicazione di FLI? Bisogna ascoltare la base del movimento e la direzione che sta prendendo invece di tenere la giacchetta agli indegni" (Alessandro); "sono deluso e senza parole, e lo dico da convinto giovane di destra" (Simone); "complimenti vivissimi" (Vanni); "peccato che Fini faccia 'furia francese e ritirata spagnola', e non è la prima volta! Non ha ancora saputo interpretare il vero umore della gente" (Antonella); "qua speravo in una svolta alla legalità, mentre stanno tenendo una tecnica che neanche i democristiani avrebbero osato tanto" (Giancarlo).

20 ottobre 2010

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.ilsole24ore.com/

2011-08-02

 

 

 

 

L'aula di Montecitorio autorizza l'uso dei tabulati telefonici e l'apertura delle cassette di sicurezza di Milanese

Cronologia articolo

2 agosto 2011

L'Aula di Montecitorio ha autorizzato l'acquisizione di tabulati telefonici e l'apertura di cassette di sicurezza - da parte della procura di Napoli - appartenenti a Marco Milanese, deputato del Pdl ed ex consigliere del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. L'Assemblea ha dunque confermato il pronunciamento a favore dato la scorsa settimana dalla Giunta per le autorizzazioni.

Una fronda garantista ha detto no

Una fronda garantista Pdl e Popolo e territorio (ossia i Responsabili), in dissenso dalle indicazioni di gruppo, non ha votato per l'acquisizione dei tabulati telefonici e l'apertura delle cassette di sicurezza del collega di maggioranza Marco Milanese, a cui l'aula della Camera. Sui tabulati telefonici i voti contrari sono stati 28, mentre i sì sono stati 538 e 5 astenuti. Sulle cassette di sicurezza i no sono stati 23, mentre i sì 545, e 4 gli astenuti.

Milanese: imperdonabile non chiedersi cosa c'è dietro la macchina del fango

"È imperdonabile" per tutti non chiedersi cosa c'è dietro "la macchina del fango" che sta attaccando i partiti, ha detto in aula Marco Milanese, prima del voto sulla richiesta di autorizzazione ad acquisire i suoi tabulati telefonici e a perquisire le sue cassette di sicurezza. Subito dopo il voto della Camera con il deputato tramite il suo difensore Bruno La Rosa ha chiesto formalmente al pm di disporre anche l'acquisizione dei tabulati di tutti i telefoni riconducibili al "gruppo Viscione" dal 2009 a tutto il 2010. "Vi è infatti agli atti qualcosa più di un sospetto - ha detto il legale - che Viscione potesse avere notizie riservate da altri soggetti piuttosto che dall'onorevole Milanese". L'ex consigliere di Tremonti inoltre, sempre secondo quanto riferito dal difensore, ha anche dato l'immediata disponibilità all'apertura delle cassette di sicurezza".

video

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Sulla richiesta di arresto si vota la terza settimana di agosto

Il voto sulla richiesta di arresto nei confronti di Marco Milanese, invece si terrà, nell'aula della Camera, tra il 19 e il 23 settembre. Lo ha stabilito la capigruppo di Montecitorio, confermando le anticipazioni dei giorni scorsi che indicavano la terza settimana del prossimo mese. Oggi pomeriggio, intanto, l'assemblea si occuperà del voto sull'acquisizione dei tabulati telefonici e per la perquisizione delle cassette di sicurezza del deputato del Pdl, su cui la giunta per le autorizzazioni ha già detto sì. Sull'arresto invece la giunta si deve ancora pronunciare.

 

 

Verdini, la Camera nega l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni

Cronologia articolo

2 agosto 2011

L'aula della Camera ha respinto con il voto dei deputati della maggioranza di centrodestra, la richiesta dei magistrati che indagano sugli appalti del G8 e su quelli per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo di poter utilizzare le intercettazioni nei confronti del coordinatore del Pdl, Denis Verdini. La proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio di dire no alla magistratura è stata approvata con 301 voti a favore e 278 contrari e 3 astenuti. Anche se in aula Verdini si era dichiarato favorevole all'autorizzazione.

Verdini, rivedere le norme che regolano le intercettazioni

Verdini in aula prima del voto ha parlato di "intercettazioni continue" e ha detto che proprio per questo chiede che vengano usate tutte, visto che "ne mancano almeno mille". Ha sottolineato che è sbagliato "estrapolare alcune conversazioni" che invece "vanno inserite nelle altre. Qui si trasforma la vita di ognuno in reato. Rapporti di 30, 40 anni di amicizia diventano questioni criminogene". Per il deputato del Pdl c'é qualcosa di distorto nell'attuale sistema delle intercettazioni: "sono stato messo nel tritarcarne e sono rimasto zitto. Sono andato dai magistrati mentre giravano le chiavette, le famose pendrive che avevano tutti in mano. Questo non mi sembra un privilegio di un parlamentare". Anzi, qui "si discute di una cosa senza senso" perché "queste intercettazioni sono da tutte le parti", le interccetazioni "ce l'hanno tutti, sulle pennette, sui giornali integrali o parziali"". Per Verdini, dunque, "è necessario rivedere le norme che regolano le intercettazioni per evitare quello che è successo a me, travolto da due anni di persecuzione".

 

 

Nuove accuse a Penati, il sindaco Oldrini: innocente fino a prova contraria

di Sara BianchiCronologia articolo

2 agosto 2011

Due accusatori e un testimone. Emergono nuovi particolari dell'inchiesta su presunti finanziamenti contestati a Filippo Penati e ad altri politici di sinistra di Sesto San Giovanni per le aree Falck. L'ex sindaco, poi presidente della Provincia, torna a ribadire la sua "totale estraneità ai fatti contestati". E se dal Pd alcuni chiedono la sua sospesione dal partito (Giuseppe Fioroni e Sergio Cofferati) l'attuale primo cittadino di Sesto, Giorgio Oldrini, lo difende: fino a prova contraria, dice, è innocente.

Dall'opposizione il ministro per l'Attuazione del Programma, Gianfranco Rotondi, bacchetta i democratici: a Milano, sottolinea, "tutti riconoscono che la vita di Penati è stata sempre improntata a rigore, onestà e sobrietà". Se il Pd, prosegue il ministro, "non ha il coraggio che ebbe Bettino Craxi abbia almeno il buon gusto di tacere".

Sui giornali sono apparsi stralci del verbale di perquisizione e sequestro della casa di Filippo Penati nei quali si parla di undicimila euro in contanti trovati nell'appartamento, di una Bmw intestata a una società finanziaria tenuta in box e di una moto di grossa cilindrata. L'ex sindaco di Sesto San Giovanni precisa che l'auto, "vecchia di cinque anni, è del 2006. Non era in garage ma in strada ed è intestata a una società di leasing". Quanto alla moto si tratta di "una motoguzzi 750 nevada, di 10 anni fa, che ho recentemente acquistato usata". E sulle somme in contanti ritrovate - dice Penati - si tratta di denaro che "tengo a disposizione per i miei viaggi in Italia e all'estero".

Intanto emergono le dichiarazioni di Diego Cotti, imprenditore ed ex politico di Sesto San Giovanni, oltre che ex genero (ora separato) di Giuseppe Pasini. Secondo Cotti, che è già stato sentito dai magistrati di Monza, fu di 20 miliardi di lire la richiesta per agevolare l'acquisto e la riqualificazione delle ex Acciaierie Falck. Denaro, afferma Cotti, che secondo lui era destinato alla segreteria degli allora Democratici di sinistra. Cotti cita in particolare Giordano Vimercati, oggi sotto inchiesta, all'epoca influente capo della segreteria del sindaco di Sesto San Giovanni Filippo Penati.

L'architetto Marco Magni, indagato per i fatti in questione dalla Procura di Monza, parla di Piero di Caterina, uno degli accusatori di Penati. E dice: "aveva un sistema sempre aggressivo, carattere coercitivo. È uno che gira con la pistola. Io no". Poi smentisce di aver detto all'imprenditore Di Caterina che sotto la voce "oneri conglobati", inserita nei preventivi dei progetti urbanistici, ci fossero le tangenti. "Sarei stato pazzo a dirglielo", afferma. "La voce oneri conglobati vuol dire solo provare a immaginare quanto possa costare il finanziamento bancario dell'operazione su un certo arco temporale".

L'attuale sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini, in una conferenza stampa dà la sua versione di quello che sta accadendo nell'ex Stalingrado d'Italia. Fino adesso - dice - "da quello che noi capiamo, le accuse si basano sulle dichiarazioni di due persone che qualche motivo di rancore ce l'avevano". E ricorda i contenziosi legali che vedono i comuni di Sesto e Cinisello contrapposti all'imprenditore dei trasporti Di Caterina e come il progetto di Giuseppe Pasini per l'area Falck prevedesse di costruire più di quanto si farà attualmente. Poi precisa di "non aver ricevuto alcun avviso di garanzia". E su Penati spiega: "Penso che abbia diritto a dimostrare la sua innocenza. Ho molta fiducia nei magistrati di Monza, che peraltro conosco, spero che interroghino velocemente Penati e quindi se é colpevole ci saranno delle conseguenze, se é innocente, come lui afferma di essere, lo dimostrerà".

 

Immigrazione, è legge il decreto espulsioni

di Nicoletta CottoneCronologia articolo

2 agosto 2011

L'aula del Senato ha approvato il decreto rimpatri con 151 sì e 129 no. Hanno votato a favore Lega, Pdl e Coesione nazionale; contrari Pd, Idv, Terzo Polo (Api-Fli) e Udc. Il provvedimento è legge. Nel corso della giornata erano stato bocciati tutti i 59 emendamenti dell'opposizione. No anche a una pregiudiziale di costituzionalità presentata dall'Udc al decreto espulsioni. La pregiudiziale riteneva incostituzionale l'elevazione a un massimo di diciotto mesi il periodo di custodia degli irregolari per centri di identificazione ed espulsione (Cie).

Le principali novità

Il testo prevede l'espulsione immediata degli immigrati irregolari considerati "pericolosi", allunga la permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) da 6 a 18 mesi. Si allunga poi da 5 a 7 giorni il termine entro il quale lo straniero deve lasciare il territorio nazionale su ordine del questore, qualora non sia stato possibile il trattenimento presso i centri.

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Dagli incentivi per l'auto elettrica alle misure contro il caro-carburanti (di Nicoletta Cottone)

Dal decreto espulsioni alla nuova abilitazione per i professori universitari

documenti

Il testo del decreto

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Camere al rush finale

Studio relativo ai rimpatri

D'Alia (Udc): incivile e vergognosa la proroga a 18 mesi della permanenza nei Cie

Secondo il capogruppo dei senatori dell'Udc, Gianpiero D'Alia, "la norma che prevede la permanenza di diciotto mesi nei Cie é incivile e fa vergognare. Se questo é il modo con cui pensano di affrontare un tema complesso e delicato come quello del contrasto all'immigrazione clandestina, c'é veramente da indignarsi". Anche l'Italia dei valori attacca il decreto: "è un vero e proprio obbrobrio giuridico", accusa il senatore dell'Idv, Stefano Pedica.

La Lega chiede che la Nato fermi i clandestini

Il Governo ha accolto nell'aula del Senato l'ordine del giorno della Lega che impegna il Governo a "esigere in tutte le competenti sedi internazionali" che alle forze aeronavali Nato impegnate nella missione "Unified protector" in applicazione delle risoluzioni Onu contro la Libia "siano assegnati compiti anche nel campo della prevenzione dei flussi migratori non controllati diretti dal Maghreb verso l'Europa" oltre che "in quello della prestazione dei necessari soccorsi ai natanti che risultassero in difficoltà". Per Giorgio Tonini (Pd) si tratta di un "ordine del giorno gravissimo e tecnicamente inapplicabile". Tonini ha chiesto al ministro dell'Interno Maroni di "parlarsi con i suoi colleghi di Governo" per farsi spiegare la concreta situazione della missione aeronavale nel Mediterraneo. "È un ordine del giorno - ha aggiunto - di propaganda, di cattiva propaganda".

Sit-in dinanzi al Senato contro il decreto

La Cgil ha promosso un sit-in dinanzi al Senato per dire "no al decreto Maroni", che prevede di estendere fino a 18 mesi la permanenza degli immigrati nei Cie, e per rivendicare un radicale cambiamento della legislazione che passi attraverso la costruzione di centri di accoglienza e non di detenzione. Secondo la Cgil i Cie e i Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo) stanno esplodendo rivelando la loro inadeguatezza. Lo dimostrerebbero ampiamente i recenti disordini nei centri di raccolta a Ponte Galeria, Lampedusa, Bari e Crotone. "Stare 18 mesi nei Cie - ha commentato il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti (Pd) - è un'operazione di reclusione che riteniamo sbagliata e ingiusta".

 

 

 

 

 

Burqa fuori legge: primo sì in commissione alla Camera. In aula a settembre

Cronologia articolo

2 agosto 2011

La commissione Affari Costituzionali ha dato il via libera al ddl sul divieto di burqa e niqab. Il provvedimento sarà esaminato a settembre dall'aula di Montecitorio. L'approvazione del provvedimento in commissione, ha spiegato la relatrice, Souad Sbai (Pdl), "serve per dare la sferzata decisiva a un provvedimento di libertà e civiltà. Non ci fermiamo sulla via della liberazione delle donne segregate e senza diritti".

Vietato ogni sistema di travisamento del volto in luoghi pubblici

Il provvedimento vieta il travisamento del volto in luoghi pubblici che renda la persona irriconoscibile e prevede sanzioni pecuniarie per chi contravviene il divieto. No a caschi protettivi, burqa e niqab. Sì alla partecipazione a feste o manifestazioni sportive o tradizionali. Sanzioni fino a 500 euro salvo che il fatto non costituisca reato più grave. Il giudice può anche disporre la commutazone della pena in attività socialmente utili. In caso di costrizione all'occultamento del volto imposto a terzi reclusione fino a 12 mesi e sanzione fino a 30mila euro. Pena aumentata fino alla metà se commessa su minori. La condanna in via definitiva per costrizione all'occultamento del volto imposto a terzi preclude l'acquisto della cittadinanza italiana.

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La relatrice Sbai: in Francia e in Belgio la legge è già realtà

La relatrice ha ricordato che "in Francia, Belgio e nel musulmano Azerbaijan questa legge é realtà, senza che nessuna donna araba musulmana abbia nemmeno pensato di protestare, per quanto la si attendeva. Invece qui qualcuno aveva pensato di intimorirci con lettere ambigue o con dichiarazioni falsamente libertarie: noi andiamo avanti e quando il provvedimento sarà al vaglio dell'aula, la nostra spinta propulsiva sarà ancor più forte. Ce lo chiedono le donne segregate, umiliate e oppresse che ogni giorno aiutiamo a risorgere dal proprio triste destino. Questa legge é per le donne, si, ma vuole anche rendere chiaro a tutti coloro che le vorrebbero segregate, che un burqa non é un diritto di libertà ma solo e sempre un'aberrante imposizione".

Vittoria Franco (Pd): il rimedio è peggio del male

"Che errore una legge che impedisce capi di abbigliamento, per quanto limitativi della libertà". Questo il primo commento di Vittoria Franco (Pd)."Errore ancora più grande prevedere multe e addirittura lareclusione. Il rimedio peggio del male. Una donna costretta a indossare il burqa dall'uomo di casa deve anche subireulteriori vessazioni". (N.Co.)

 

 

Il testo della proposta di legge SUL BURQA

Cronologia articolo

2 agosto 2011

Art. 1.

1. L'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

"Art. 5. - 1. Salvi i casi di giustificato motivo previsti dal comma 2, è vietato celare o travisare il volto o comunque rendere impossibile il riconoscimento personale in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche mediante caschi protettivi o indumenti o accessori di qualsiasi tipo, compresi quelli di origine etnica e culturale, quali il burqa e il niqab. È in ogni caso vietato celare o travisare il volto o comunque rendere impossibile il riconoscimento personale in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico.

2. Fermo il divieto di cui al comma 1, costituiscono giustificato motivo le ipotesi previste o espressamente autorizzate da disposizioni legislative o da regolamenti o la presenza di condizioni di salute certificate o di motivi professionali. Costituisce altresì giustificato motivo la partecipazione a feste o manifestazioni sportive, artistiche o tradizionali.

3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il contravventore del divieto di cui al comma 1 è punito con l'ammenda da 300 a 500 euro. Il giudice può disporre che l'ammenda sia commutata nell'obbligo di prestare servizio non retribuito presso associazioni o enti che svolgono attività sociali e culturali comunque finalizzate al raggiungimento di obiettivi di integrazione sociale".

Art. 2.

1. Dopo l'articolo 612-bis del codice penale è inserito il seguente:

"Art. 612-ter - (Costrizione all'occultamento del volto). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da quattro a dodici mesi e con la multa da 10.000 a 30.000 euro chiunque costringa taluno all'occultamento del volto con violenza, minaccia o abuso di autorità o in modo da cagionargli un perdurante e grave stato di ansia o di paura o da ingenerare nella persona un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di minore o di persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.".

Art. 3.

1. Nella legge 5 febbraio 1992, n. 91, dopo l'articolo 24, è aggiunto il seguente:

"Art. 24-bis - Preclude l'acquisto della cittadinanza la condanna in via definitiva per il reato di cui all'articolo 612-ter del codice penale".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-30

Il subaffitto diventa un caso anche in rete. Cosa prevede la legge per inquilini e proprietari

Cronologia articolo

29 luglio 2011

Il caso di subaffitto di un appartamento da parte del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, sta suscitando domande e commenti in rete, anche per la curiosità di capire quali sono le norme e le disposizioni fiscali che regolano gli affitti. Riassumiamo qui di seguito le questioni più ricorrenti, facendo riferimento alle leggi in vigore e alle indicazioni diramate dall'agenzia delle Entrate.

Il contratto d'affitto deve sempre essere registrato. Il contratto di sublocazione dal conduttore privato a un altro privato deve essere registrato, pagando l'imposta di registro del 2% sul canone. La circolare 37 del 1986 (parte 43) a proposito dell'imposta di registro (articolo 5, n. 1) chiarisce che "pur nel silenzio della legge che non li indica espressamente, debbono considerarsi inclusi nella previsione legislativa anche i subaffitti e le sublocazioni, in quanto in entrambe le fattispecie il conduttore, nel concedere il bene in subaffitto od in sublocazione, assume la veste propria del concedente".

Tutti i contratti di locazione e affitto di beni immobili (compresi quelli relativi a fondi rustici e quelli stipulati da soggetti passivi Iva) devono essere registrati, qualunque sia il loro ammontare, se di durata superiore ai 30 giorni complessivi nell'anno. La registrazione va effettuata entro 30 giorni dalla data di stipula del contratto (o dalla sua decorrenza, se antecedente) presso gli uffici locali dell'agenzia delle Entrate, dopo aver versato l'imposta di registro.

La sublocazione (quando consentita dal contratto di affitto) deve essere comunicata al proprietario. Questa la disciplina vigente:

- sono vietati il subaffitto totale dell'immobile e la cessione a terze persone del contratto per farli subentrare come inquilini e questi comportamenti possono essere motivo di sfratto con risoluzione per grave inadempienza da parte dell'inquilino che ha subaffittato;

- è consentito invece il subaffitto parziale, cioé quello che consente ad altre persone l'utilizzo di parte dell'appartamento assieme all'inquilino principale, salvo il caso in cui nel contratto si inserisca una clausola che lo vieti espressamente;

- nel caso di subaffitto consentito l'inquilino deve comunicare al locatore il nominativo della persona del subconduttore, la durata del contratto e i vani subaffittati.

Gli importi percepiti da chi offre l'immobile in affitto vanno in dichiarazione dei redditi. Chi subaffitta stanze della propria abitazione deve dichiarare l'affitto percepito come reddito diverso (ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera h del Tuir, cioè il Testo unico delle imposte sui redditi, Dpr 917/1986) che impone l'obbligo di inserire nella dichiarazione i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili. L'unica differenza rispetto a un normale contratto d'affitto è che il reddito percepito non va dichiarato come un reddito immobiliare (quadro B Redditi da fabbricati), perché il locatore non è il proprietario dell'immobile, ma come altro reddito (quadro D del 730 e quadro RL del modello Unico).

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-29

Processo lungo: via libera del Senato alla fiducia

di Celestina DominelliCronologia articolo

29 luglio 2011

Sul processo lungo la maggioranza strappa la fiducia numero quarantotto al Senato con 160 sì e 139 no. Hanno votato contro Pd, Idv, Udc, Mpa, Api e Fli. A favore, Pdl, Lega e Coesione Nazionale. Il ddl adesso passa all'esame della Camera, in terza lettura, per l'approvazione definitiva. In aula, al momento del voto, c'è anche il neoministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, il cui nome era stato spesso evocato dall'opposizione nelle ultime ore. Semaforo verde dunque per la norma al centro dello scontro politico, che ha dato il nome al provvedimento e che prevede la possibilità per la difesa di presentare lunghe liste di testimoni e di non considerare più come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato di un altro procedimento. Una modifica che, secondo l'opposizione, si applicherebbe ai processi Ruby e Mills consentendo il prolungamento dei giudizi fino alla prescrizione breve di cui finirebbe per beneficiare Silvio Berlusconi.

Gasparri al Pd: regime? Guardatevi allo specchio

Clima comunque teso in aula durante le dichiarazioni di voto con l'opposizione che si scaglia contro quello che giudica l'ennesimo provvedimento "ad personam". Il momento più caldo si registra quando in aula prende la parola il capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, Maurizio Gasparri, che difende a spada tratta il "processo lungo" (lo fa anche la Lega nonostante i mugugni degli ultimi giorni). "Non accettiamo lezioni di moralità da chi non ha titolo per impartirne - dice rivolgendosi ai banchi del Pd -. Se un regime c'è lo si vada a cercare a Sesto San Giovanni dove di padre in figlio i sindaci alimentano un sistema di illegalità che riguarda la vostra storia. Se cercate il regime guardatevi allo specchio e lo troverete nel vostro passato e nel vostro presente".

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Il Governo ottiene la fiducia al Senato sul disegno di legge del processo lungo

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Processo lungo, il governo pone la fiducia. Domani il voto

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Protesta in aula dell'Idv contro la maggioranza

Quanto basta per scatenare la reazione rumorosa dei dipietristi che accompagnano l'intervento del presidente dei senatori pidiellini inscenando una piccola protesta. Così dai banchi dell'Idv spuntano dei fogli bianchi, agitati da alcuni parlamentari, con la scritta "ladri di giustizia". Il presidente del Senato, Renato Schifani, li richiama all'ordine e prova a riportare la calma in aula. I senatori dipietristi non demordono e il fuoriprogramma cessa solo quando gli assistenti parlamentari tolgono loro dalle mani i fogli incriminati.

Opposizione durissima: è una nuova legge ad personam

Ma la tensione resta ed è altissima. Con l'opposizione che contesta il ddl e la scelta della maggioranza di accelerare per portare a casa il provvedimento entro la pausa estiva. Il Pd non risparmia toni durissimi. "Credo che quando sfilerete sotto quel banco e sentirete sul collo il piede del padrone - tuona Anna Finocchiaro - dentro di voi qualcosa ribollirà". Anche il senatore Gianpiero D'Alia (Udc) è tranchant. "Non votiamo questo provvedimento che avete trasformato in una nuova legge ad personam per allungare i processi del premier e farli andare in prescrizione. State consumando una farsa". Mentre l'Idv, con Luigi Li Gotti, parla di "capolavoro di strafalcioni giudiziari". "Più cercate la fiducia per scappare dal parlamento, più affogate nella sfiducia del popolo italiano. Sarete ricordati come la pagina buia della democrazia".

 

 

Famiglia cristiana: "Processo lungo? La mafia ringrazia"

Cronologia articolo

29 luglio 201

"Processo lungo, la mafia ringrazia". Così Famiglia Cristiana titola un editoriale online in cui il magistrato Adriano Sansa commenta l'approvazione al Senato, con la fiducia posta dal governo, del provvedimento che secondo il settimanale cattolico "farà danni agli onesti e un favore alla mafia". "A chi giova? A chi vuole tirare in lungo il processo - scrive Famiglia Cristiana -: finalmente la verità. Il processo breve era una menzogna, perché significa la morte anticipata della procedura. Qui almeno si dice chiaramente l'obiettivo".

"Mesi di udienza per un furtarello"

"Oggi il giudice, che è organo imparziale - prosegue Sansa - può escludere le prove manifestamente superflue o irrilevanti. Con la legge sul "processo lungo" non potrà più; solo quelle manifestamente non pertinenti potranno essere escluse. Mesi di udienze per un furterello".

Il magistrato sottolinea anche che "non si potranno utilizzare le sentenze, pur se definitive, che accertano un determinato fatto, se non sentendo di nuovo i testi già ascoltati sui quali esse si fondino: come, per intenderci, i testimoni di un processo che abbia già accertato una corruzione". "A chi giova? - si chiede ancora - Poiché la riformetta si applicherebbe anche ai processi in corso in primo grado, servirebbe magari con urgenza a chi fosse notoriamente un imputato. Il quale potrà pure interrogare direttamente i testi che abbiano reso dichiarazioni a suo carico: il mafioso estorsore guarderà significativamente negli occhi, facendogli domande, il poveretto che finalmente ha creduto di poter parlare. Forse sarebbe il caso di riflettere ancora su simili innovazioni".

 

"Rallentati decine di migliaia di processi"

"Su tutto questo, che varrà per decine di migliaia di processi, rallentandoli e vanificandoli, il governo mette la fiducia - conclude l'articolo di Famiglia Cristiana -. Mentre i titoli di Stato italiani vacillano, mentre la corruzione distrugge la credibilità delle istituzioni all'interno e all'estero. Pensare che la legge, al cui interno si sono messe le novità, era nata per escludere il giudizio abbreviato e le sue riduzioni di pena per i delitti puniti con l'ergastolo".

 

 

 

Al Senato a sorpresa torna il processo lungo

D. St. Cronologia articolo

06 aprile 2011

ROMA

Se ne parlava già a settembre, ma poi non se ne fece più niente. Ieri, invece, mentre i riflettori erano puntati sulla Camera e sulle piazze romane a causa del "processo breve", al Senato è apparso il "processo lungo": due emendamenti al ddl sul giudizio abbreviato, presentati in commissione Giustizia dal capogruppo Pdl Franco Mugnai, che vietano di utilizzare le sentenze definitive come prova dei fatti in esse accertati e danno alla difesa la possibilità di presentare liste infinite di testimoni, anche superflui, e di far ripetere prove già assunte senza che il giudice possa impedirlo. Governo e maggioranza hanno dato parere favorevole e oggi si voterà. Per Silvia Della Monica (Pd) è un'altra "norma vergogna", uno "stratagemma per evitare il processo Mills". "Altro che processo breve! - protesta Luigi Li Gotti (Idv) -. Il centrodestra vuole la morte del processo giusto e propone il processo lunghissimo".

Sembra una manovra a tenaglia: da un lato il "processo breve" con annessa "prescrizione breve" per gli incensurati, che ieri ha subìto una battuta d'arresto perché la maggioranza, visti i numeri risicati con cui è stato approvato il conflitto-Ruby, ha preferito non chiedere l'inversione dell'ordine e rinviarne il voto ad oggi o, più probabilmente, a domani; dall'altro lato il "processo lungo", cioè norme destinate a incoraggiare tattiche dilatorie, ad allungare i tempi dei processi e, quindi, a favorire la prescrizione.

Peraltro, oggi sulla "prescrizione breve" si potrebbe abbattere la scure del plenum del Csm: salvo rinvii, sarà approvato un parere negativo sul ddl, che ne segnala gli effetti nefasti sui processi in corso. A cominciare dal processo Mills, in cui il premier è imputato di corruzione giudiziaria e che, con la riduzione della prescrizione, si chiuderà a fine maggio invece che a febbraio 2012.

La bagarre dentro e fuori Montecitorio sta rendendo il cammino del provvedimento più lungo e difficile del previsto. Silvio Berlusconi e i suoi avvocati lo considerano decisivo per eliminare il processo più insidioso di quelli pendenti, perché la precedente condanna dell'avvocato inglese (corrotto) rende probabile anche la condanna del premier in veste di corruttore. Proprio per neutralizzare il peso della sentenza Mills nel processo a Berlusconi, il governo, prima, e la maggioranza, poi, hanno confezionato le norme ribattezzate "processo lungo".

Quelle norme si trovano infatti nel ddl Alfano sul "processo penale" che, dopo mesi di stasi, riparte oggi al Senato (relatore Piero Longo, che difende Berlusconi insieme a Niccolò Ghedini). Ma ieri sono state proposte anche da Mugnai, in una versione appena diversa, come emendamenti al ddl sull'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati puniti con l'ergastolo, già approvato dalla Camera. In sostanza, per utilizzare una sentenza definitiva in un diverso processo (come nel caso Mills), bisognerà citare in giudizio tutte le persone delle cui dichiarazioni si dà atto in quella sentenza. Una deroga all'articolo 238 bis approvato dopo la strage di Capaci. Inoltre, diventano insindacabili dal giudice le liste di testimoni, anche superflui. E la violazione di questo diritto dell'imputato sarà sanzionata con la nullità del processo. È il "trionfo delle tattiche dilatorie", chiosa l'opposizione. Con buona pace del processo breve.

 

 

 

 

 

 

 

2011-07-28

Processo lungo, il governo pone la fiducia. Domani il voto

di Celestina Dominelli Cronologia articolo

28 luglio 2011

Il governo ha posto la fiducia sul ddl del "processo lungo". Lo ha annunciato stamane il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito nell'aula del Senato al termine della discussione generale sul provvedimento. La conferenza dei capigruppo a Palazzo Madama ha poi fissato per domani, intorno alle 10, il voto finale sul disegno di legge subito dopo le dichiarazioni dei gruppi. Oggi pomeriggio, invece, spazio al dibattito in aula.

Casini: governo scollato dal paese

La scelta del governo di porre la fiducia numero 48 sul ddl ha scatenato l'immediata protesta dell'opposizione. Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, ha parlato di "un governo Berlusconi paurosamente distaccato dai problemi del paese". Mentre l'ex pm Antonio Di Pietro (Idv) ha invocato "una mobilitazione di massa" contro l'esecutivo. E il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, ha bollato la scelta del governo come "una decisione inaccettabile".

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Ieri giornata tesissima nell'aula del Senato

La decisione dell'esecutivo di stamane è arrivata dopo una giornata, quella di ieri, lunga e piena di tensioni nel corso della quale l'opposizione aveva tentato in tutti i modi di rallentare l'iter del ddl attraverso 11 pregiudiziali respinte in blocco dalla maggioranza. Con il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che aveva parlato apertamente di ostruzionismo. Tutti i gruppi di opposizione avevano infatti espresso la loro contrarietà nei confronti di un provvedimento che viene definito ancora una volta ad personam a favore di Silvio Berlusconi.

Duro botta e risposta tra Schifani e Zanda

Il clima si era arroventato sulla stretta dei tempi: le opposizioni avevano infatti protestato con forza contro il tentativo di "armonizzazione", vale a dire la decisione della presidenza di approvare il ddl in 9 ore e 20 minuti. E in aula la tensione era esplosa con un duro botta e risposta tra il presidente del Senato e Luigi Zanda (Pd). Per Schifani la presentazione di 11 pregiudiziali da parte delle opposizioni era una "cosa anomala e strana anche se legittima". Detto questo, però, aveva preso la decisione di non contingentare i tempi, almeno per il momento, per "fugare qualsiasi strumentalizzazione".

Il presidente del Senato: io non parteggio per nessuna legge

Zanda aveva ha replicato piccato che è "un diritto dell'opposizione impedire l'approvazione di una legge" e che il presidente del Senato "non può dire di voler far approvare un provvedimento. Un presidente - aveva accusato - deve presiedere, non battibeccare con un senatore" lamentando il fatto di essere stato interrotto da Schifani "quattro-cinque volte". Irritata la risposta di Schifani: "Io non intendo garantire l'approvazione di nessun provvedimento, io non parteggio per un provvedimento o per un altro. Mio dovere è garantire la funzionalità di quest'aula. Lei introduce elementi distorsivi e non mi faccio dare lezioni da lei".

La maggioranza accelera: verso l'ok entro il 4 agosto

L'obiettivo della maggioranza, comunque, è di approvare il processo lungo al Senato entro il 4 agosto. Schifani ha spiegato che il ddl, insieme agli altri all'ordine del giorno, dovrà avere il via libera prima della pausa estiva, così come previsto dalla conferenza dei capigruppo. E, quindi, se non ci saranno le condizioni o ci sarà un eccessivo rallentamento dei lavori, Schifani si è riservato di prendere "ulteriori decisioni". Il Pd, però, non molla e chiede a più riprese che si fermi l'iter del processo lungo: subito dopo la notizia della nomina del nuovo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, i senatori democratici hanno chiesto che il Guardasigilli al più presto venga a riferire in aula a Palazzo Madama per dire cosa pensa del ddl sul processo lungo.

 

 

 

 

 

 

2011-07-21

Caso Papa: la Camera autorizza l'arresto dell'ex pm

di Celestina DominelliCronologia articolo

20 luglio 2011

Tensione alle stelle, urla, applausi polemici, Maroni e alcuni leghisti che votano sì a favore delle telecamere, e soprattutto l'ultimo, accorato, appello di Alfonso Papa che ribadisce davanti ai colleghi "la sua innocenza" prima di affidarsi al responso dell'aula. Ma le sue parole non convincono i colleghi e alla fine la Camera accoglie la richiesta di arresto avanzata dalla procura di Napoli con 319 voti favorevoli e 293 contrari. Nessuno parla, nessuno applaude nell'emiciclo dopo la proclamazione del risultato che punisce l'ex magistrato accusato di corruzione, favoreggiamento personale, rivelazione e utilizzazione del segreto d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta sulla P4.

Berlusconi scuro in volto: è una vergogna

Ma il disappunto della maggioranza è tutto nel volto scuro di Silvio Berlusconi che aveva difeso fino allo stremo la linea garantista. Quando Fini annuncia il sì all'arresto, il Cavaliere fa una smorfia e batte una mano sul tavolo. Poi abbandona frettolosamente l'aula per rifugiarsi qualche minuto nella sala del governo e lì da sfogo a tutta la sua rabbia. "È una vergogna, è una vergogna", si scalda con i suoi. Non parla invece l'ex pm coinvolto nell'inchiesta sulla P4 che raccoglie l'abbraccio di alcuni deputati pidiellini.

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Papa in aula: sono innocente ed estraneo a ogni accusa

A nulla è valso quindi l'accorato appello pronunciato poco prima della votazione. "Sono innocente ed estraneo a tutte le accuse che mi sono mosse nel merito. La verità non ha bisogno di difensori. La verità si manifesta con il tempo". Poi si dice "pieno di dolore dal punto di vista umano" e "turbato unicamente al pensiero dei miei figli di 12 e 10 anni ai quali ho dovuto spiegare stanotte come e perchè questo fine settimana potrei non tornare a casa". C'è scollamento, aveva proseguito Papa, "tra verità degli atti e quanto riportato dalla stampa, ma attraverso il processo dimostrerò la mia innocenza e la mia veritá. Continuerò la mia battaglia di veritá se mi darete la possibilitá di farlo. Comunque, accetterò ogni vostra decisione. Affronterò giudizio con serenità"".

Clima tesissimo prima del voto

Prima del verdetto sull'arresto dell'ex pm Alfonso Papa (Pdl), il clima in Parlamento si era fatto incandescente con il passare delle ore. E la scelta della maggioranza di puntare sul voto segreto, malgrado gli appelli dell'opposizione a rinunciarvi - a chiederlo sono stati i Responsabili con il capogruppo Silvano Moffa che si è beccato un "vergogna, servo" dai banchi dell'opposizione - aveva acceso ancora di più gli animi. Con l'opposizione che, dal Pd ai centristi di Casini, aveva accusato la Lega di aver deciso di "salvare" il deputato del Pdl, coinvolto nell'inchiesta sulla P4 in cambio del ritiro del contestatissimo decreto sull'emergenza rifiuti. In aula, poco prima del voto, il Carroccio aveva ribadito il suo sì per l'arresto dell'ex pm. "La nostra posizione - aveva detto Carolina Lussana - è stata da sempre chiara. Se oggi si è arrivati in aula con un parere favorevole della giunta all'arresto è stato grazie all'astensione dei due rappresentanti della Lega".

Duro botta e risposta tra Pd e Lega in aula

A criticare il Carroccio erano stati Pd e Idv che avevano parlato di "un patto scellerato" tra la Lega e il Pdl. A rivolgersi direttamente alla Lega - che ieri ha sciolto il nodo dichiarandosi favorevole all'arresto ma lasciando libertà di voto ai suoi deputati - era stato il leader democratico Pier Luigi Bersani: "Sui rifiuti c'è un appeasement sulle posizioni della Lega, che lascia intendere quale sia stato lo scambio. Se così non è stato la Lega si metta di traverso sul voto segreto per Papa.". A rincarare la dose ci aveva poi pensato anche il capogruppo del Pd a Montecitorio, Dario Franceschini: "Dovreste essere voi i primi a dire no al voto segreto che coprirà la vostra ipocrisia, un'ipocrisia che i padani non dimenticheranno. Non potete chiedere ai Responsabili di chiedere il voto segreto per coprire la vigliaccheria dei guerrieri padani". E anche il numero uno dellUdc, Pierferdinando Casini, aveva puntato il dito contro il presunto accordo. "Un patto tra Pdl e Lega? Ovvio che c'è".

Reguzzoni: i democratici mettono le mani avanti

Ma la maggioranza aveva rispedito al mittente le critiche. E la replica era stata affidata a stretto giro di posta al leghista Marco Reguzzoni. "È il Pd che sta mettendo le mani avanti: vi preparate a un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto" per evitare l'arresto di Papa. "State mettendo le mani avanti - aveva accusato Reguzzoni - dopo che siete stati colpiti dall'avviso di garanzia a Penati (indagato per concussione e corruzione a Monza, ndr)" ."Rivendichiamo il voto segreto in quest'Aula, perché è giusto che non ci sia un gioco cinico e politico ma è giusto che ogni deputato decida in coscienza", aveva poi ribattuto anche il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, dopo che il finiano Italo Bocchinoaveva bollato come "molto grave" la scelta di ricorrere al voto segreto. Mentre l'Italia dei valori ha fatto sapere che oggi in aula alla Camera i suoi deputati renderanno "fisicamente chiaro" il loro voto.

 

 

Il Senato nega l'arresto di Tedesco

Cronologia articolo

20 luglio 2011

Il Senato ha respinto la richiesta di arresti domiciliari per il senatore Alberto Tedesco (ex Pd, ora gruppo Misto). Spintoni, urla, insulti e parapiglia in Transatlantico al Senato subito dopo il voto. Uscendo dall'aula ci sono stati spintoni tra Domenico Gramazio (Pdl) e il senatore del Pd, Paolo Giaretta, sui voti in più che ha registrato il "no" all'arresto.

"Vergogna, 24 dei vostri hanno votato contro l'arresto" ha urlato Gramazio. Poi spintoni con Giaretta, proprio al centro del Transatlantico. I voti favorevoli agli arresti sono stati 127, 151 i contrari e 11 astenuti. La richiesta di arresti domiciliari è del gip di Bari nell'ambito dell'inchiesta sulla sanità in Puglia.

Tedesco aveva chiesto il sì del Senato e il voto palese

Il senatore Alberto Tedesco era intervenuto in aula al Senato per chiedere all'assemblea di rispondere sì alla domanda della magistratura di arresti domiciliari. Il senatore aveva anche chiesto che non si ricorresse al voto segreto, ma a quello palese. Tedesco ha detto che "vi è un presunto scambio (tra caso Papa alla Camera e caso Tedesco al Senato, ndr) di cui si parla già prima di ascoltare i dibattiti al Senato e alla Camera. È assolutamente intollerabile e non può essere avallata se non da comportamenti trasparenti e lineari". Nelle dichiarazioni di voto Pd, Lega, Udc, Api e Idv si sono detti favorevoli al via libera agli arresti domiciliari. Il Pdl, per voce del senatore Gaetano Quagliariello (Pdl). ha chiesto, invece, il voto segreto sulla richiesta di arresto di Alberto Tedesco e ha detto no all'arresto.

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Ha chiesto il sì alla richiesta di domiciliari

"Sommessamente ma fermamente - ha detto Tedesco - vi invito a dire sì alla richiesta di arresto che la magistratura barese ha avanzato nei miei confronti e vi chiedo di farlo in modo trasparente, mettendoci le facce, senza ricorrere al voto segreto". Tedesco ha ribadito la sua estraneità ai fatti contestati" e ha sottolineato che "la sede naturale per dimostrare la mia estraneità ai fatti contestatimi è la sede del processo".

Lega: si dimetta. Idv: si arriverebbe allo scioglimento delle Camere

Battibecco in aula quando la Lega ha annunciato, tramite il senatore Sandro Mazzatorta, che avrebbe votatp in favore dell'arresto di Alberto Tedesco, quando rivolgendosi al senatore Tedesco, ha chiesto: "Ma se voleva camminare a testa alta perchè non si è dimesso? Avrebbe tolto il Senato dall'imbarazzo". Immediata la reazione del senatore Idv, Luigi Li Gotti. "Se ogni deputato del Pdl per cui vengono chiesti gli arresti si dimette, si arriverebbe allo scioglimento delle Camere per mancanza del numero legale". Per Li Gotti così "avremmo risolto il problema dei costi della politica, con Camera e Senato ridotti a 2-300 unità". Intanto dai banchi della maggioranza gli inviti: "Tedesco dimettiti".

Tensioni fra Pera e Finocchiaro

Tensione quando ha presola parola l'ex presidente del Senato, Marcello Pera, che, oltre a contestare la procedura con cui si arriverá a decidere sugli arresti di Alberto Tedesco, evoca la possibilitá che a indurre il senatore ex Pd a chiedere il proprio arresto sia stata una "Vishinskj in abiti femminili. Il riferimento all'inquisitore sovieticom, per di più inevitabilmente accostato senza nominarla alla presidente Anna Finocchiaro, fa andare su tutte le furie il gruppo del Pd che chiede con veemenza al presidente del Senato Renato Schifani di richiamare Pera al rispetto dei tempi.

Discussione iniziata su una questione procedurale

La discussione in aula si è aperta su una questione procedurale. La Giunta per le Autorizzazioni a procedere non ha approvato, infatti, una relazione conclusiva con un sì o un no agli arresti domiciliari. La procedura del regolamento del Senato prevede che l'aula voti a favore o contro la decisione della Giunta. Il presidente Renato Schifani è intervenuto per chiarire che in assenza di una pronuncia della Giunta l'aula voterà direttamente la richiesta della magistratura: "Non posso costringere la Giunta ad arrivare ad un pronunciamento anche perchè comunque l'assemblea del Senato è sovrana". (N.Co.)

 

 

 

Penati indagato per concussione e corruzione. Bersani: accuse infondate, ma il pm vada avanti

di Celestina DominelliCronologia articolo

20 luglio 2011

Il vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia Filippo Penati (Pd), già presidente della Provincia di Milano e sindaco di Sesto San Giovanni, è indagato per concussione e corruzione. La notizia è stata data stamane dal sito del Corriere della sera. L'inchiesta della procura della repubblica di Monza riguarda l'ex area Falck di Sesto San Giovanni.

Tra gli indagati anche l'assessore comunale Di Leva

Il pm Walter Mapelli ha disposto sette perquisizioni eseguite dalla guardia di finanza negli uffici del consiglio regionale lombardo e in società e abitazioni di Milano e Sesto. Secondo l'accusa, sarebbero state corrisposte, o promesse, somme di denaro per agevolare il rilascio di alcune concessioni o per impostare secondo determinati criteri il Piano di governo del territorio (si parla di tangenti per 4 miliardi di vecchie lire pagate tra il 2001 e il 2002). Oltre a Penati sarebbero 14 gli indagati nell'inchiesta: tra questi c'è anche l'assessore del Comune di Sesto, Pasqualino Di Leva, con delega ai rapporti con le aziende, con enti o società partecipate, dei progetti relativi alle risorse finanziarie e all'edilizia privata.

Bersani: si capirà che sono accuse infondate, ma pm vada avanti

La notizia non è stata commentata dal vicepresidente del consiglio regionale lombardo. Il Sole24ore.com ha provato stamane a raggiungerlo telefonicamente senza successo. "Non ne sapevamo nulla", ha spiegato al Sole24Ore.com uno dei collaboratori più stretti dell'ex presidente della Provincia di Milano. A parlare invece è il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, "La magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda - dice a Repubblica.it -. Credo che alla fine sarà in condizione di verificare che sono cose senza fondamento".

Da Sesto alla presidenza della provincia di Milano

Nato a Monza nel 1952, Penati è stato assessore al Bilancio e all'Urbanistica nel Comune di Sesto San Giovanni, tra il 1985 e il 1993, e poi sindaco della città dal 1994 al 2001. Tra il 2001 e il 2004, Penati ha poi rivestito il ruolo di segretario della federazione provinciale milanese dei Ds. Nel 2004, alla scadenza del mandato della giunta di centro-destra alla provincia di Milano, Penati ha quindi conquistato la guida dell'amministrazione con il 54% dei consensi. Nel 2009, però, ha dovuto cedere la mano a Guido Podestà (Pdl) e non è riuscito a centrare il secondo mandato.

Il passo indietro dopo la sconfitta del Pd alle primarie milanesi

Penati fa parte della direzione nazionale e del coordinamento nazionale del Pd. Nel 2010 è stato candidato dal Pd alla presidenza della Regione Lombardia, ma è stato sconfitto da Roberto Formigoni. Il vicepresidente del consiglio regionale lombardo è stato fino a novembre dello scorso anno anche capo della segreteria politica di Bersani. Incarico lasciato dopo la sconfitta, alle primarie milanesi di novembre scorso, del candidato del Pd, l'architetto Stefano Boeri, da parte dell'avvocato Giuliano Pisapia che ha vinto poi le elezioni. In quell'occasione Penati ha scritto una lettera al segretario democratico con cui ha rimesso l'incarico. "Caro Pierluigi desidero innanzitutto ringraziarti per la fiducia che hai voluto concedermi chiamandomi a svolgere prima il ruolo di coordinatore nazionale della tua mozione nella fase congressuale e poi quello di responsabile della tua segreteria politica. Per me si è trattato di un'esperienza straordinaria e di un grande onore, del quale ti sono profondamente grato. Ma, di fronte al risultato della consultazione e al dibattito che ne è seguito, credo sia necessaria una mia assunzione di responsabilità". Un passo assai apprezzato da Bersani, con il quale Penati ha un rapporto strettissimo. "È un gesto che gli fa onore, e che conferma la mia stima nei suoi confronti".

 

 

Caso Milanese: il Pdl prende tempo, l'esame slitta alla prossima settimana

Con un articolo di Celestina DominelliCronologia articolo

20 luglio 2011

Nel giorno in cui alla Camera si rischia lo scivolone sul caso Papa, la maggioranza prende tempo sull'altra vicenda, quella di Marco Milanese , l'ex consigliere politico di Tremonti (ecco il ritratto), sul quale pende una richiesta di arresto per le accuse di corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere. Su proposta del relatore Fabio Gava (Pdl), la giunta per le autorizzazioni che oggi avrebbe dovuto esaminare il caso ha deciso di rinviare tutto alla prossima settimana, senza neanche incardinare la questione.

Ieri la lettera di Milanese alla Camera: sì alle richieste dei pm

Sul tavolo dell'organismo ci sono, tra l'altro, le due richieste, avanzate dalla procura di Napoli, di acquisizione dei tabulati telefonici di due utenze in uso a Milanese e di perquisizione di alcune cassette di sicurezza per le quali ieri il parlamentare ha sollecitato la Camera ad autorizzare celermente. "Il relatore ha bisogno di un doveroso approfondimento - ha spiegato il vicepresidente della giunta, Francesco Paolo Sisto (Pdl) - tra una settimana ci dirà se intende fare un'unica relazione sulle tre questioni o stralciare le ultime due per procedere separatamente. In ogni caso - aggiunge - i diritti previsti dall'articolo 68 della Costituzione sono indisponibili e non è la volontà di un parlamentare a poter condizionare la giunta".

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L'opposizione protesta: così si rallenta l'inchiesta

Polemica l'opposizione che avrebbe voluto almeno fossero votate le due richieste "accessorie", anche alla luce della posizione favorevole espressa dallo stesso Milanese. "Il relatore è stato più prudente di Milanese", ha sottolineato Pierluigi Mantini dell'Udc. Critica anche Marilena Samperi, capogruppo del Pd in giunta. "Così paradossalmente si lede lo stesso diritto di difesa di Milanese, che aveva chiesto fosse dato il via libera all'utilizzo di tabulati e cassette", ha ricordato, "così si rallenta l'inchiesta".

Probabile uno slittamento a settembre

In ogni caso, se sulla richiesta di arresto la giunta ha un termine di 30 giorni (dall'arrivo delle carte a Montecitorio) per deliberare, sull'acquisizione dei tabulati e le perquisizioni non c'è un termine tassativo per l'aula. È molto probabile però che il tutto venga rimandato a settembre visto che i 30 giorni per la richiesta di custodia cautelare in carcere scadono il 7 agosto, quando la Camera sarà chiusa per la pausa estiva. La decisione sul rinvio per Milanese non ha comunque provocato un'accelerazione sull'altro caso all'attenzione della giunta: la domanda di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, nell'ambito dell'inchiesta sul G8 e gli appalti per il post terremoto in Abruzzo. Era al secondo punto dell'ordine del giorno, ma il capogruppo del Pdl in giunta, Maurizio Paniz, ha spiegato che "il relatore Enrico Costa aveva un altro impegno e il punto non è stato discusso". (Ce.Do.)

 

 

 

Caso Papa, è scontro sul voto segreto. Il Pd accusa la Lega: patto scellerato con il Pdl

di Celestina DominelliCronologia articolo

20 luglio 2011

A poche ore dal verdetto della Camera sull'arresto dell'ex pm Alfonso Papa (Pdl), il clima in Parlamento si fa sempre più incandescente. E la scelta della maggioranza di puntare sul voto segreto (saranno i responsabili a chiederlo) ha fatto accendere ancora di più gli animi. Con l'opposizione che, dal Pd ai centristi di Casini, accusa la Lega di aver deciso di "salvare" il deputato del Pdl, coinvolto nell'inchiesta sulla P4 in cambio del ritiro del contestatissimo decreto sull'emergenza rifiuti.

L'affondo dell'opposizione: patto scellerato tra Pdl e Lega

Pd e Idv si sono quindi lanciati in un duro affondo nei confronti della maggioranza parlando di "un patto scellerato" tra il Carroccio e il Pdl. A rivolgersi direttamente alla Lega - che ieri ha sciolto il nodo dichiarandosi favorevole all'arresto ma lasciando libertà di voto ai suoi deputati - è stato il leader democratico Pier Luigi Bersani: "Sui rifiuti c'è un appeasement sulle posizioni della Lega, che lascia intendere quale sia stato lo scambio. Se così non è stato la Lega si metta di traverso sul voto segreto per Papa.". A rincarare la dose ci ha poi pensato anche il capogruppo del Pd a Montecitorio, Dario Franceschini: "Dovreste essere voi i primi a dire no al voto segreto che coprirà la vostra ipocrisia, un'ipocrisia che i padani non dimenticheranno. Non potete chiedere ai Responsabili di chiedere il voto segreto per coprire la vigliaccheria dei guerrieri padani". E anche il numero uno dellUdc, Pierferdinando Casini, ha puntato il dito contro il presunto accordo. "Un patto tra Pdl e Lega? Ovvio che c'è".

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Reguzzoni: il Pd mette le mani avanti

Ma la maggioranza ha rispedito al mittente le critiche. E la replica è affidata a stretto giro di posta al leghista Marco Reguzzoni. "È il Pd che sta mettendo le mani avanti: vi preparate a un voto dei vostri parlamentari a scrutinio segreto" per evitare l'arresto di Papa. "State mettendo le mani avanti - ha accusato Reguzzoni - dopo che siete stati colpiti dall'avviso di garanzia a Penati (indagato per concussione e corruzione a Monza, ndr)" ."Rivendichiamo il voto segreto in quest'Aula, perché è giusto che non ci sia un gioco cinico e politico ma è giusto che ogni deputato decida in coscienza", ha poi ribattuto anche il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, dopo che il finiano Italo Bocchino aveva bollato come "molto grave" la scelta di ricorrere al voto segreto. Mentre l'Italia dei valori ha fatto sapere che oggi in aula alla Camera i suoi deputati renderanno "fisicamente chiaro" il loro voto.

Nel Carroccio restano le divisioni tra maroniti e cerchio magico

Difficile al momento fare previsioni però sull'esito della partita perché dentro il Carroccio restano le divisioni tra l'ala che fa capo al ministro Roberto Maroni (circa 49 deputati su 59), convinto assertori della linea dura, e la fetta di parlamentari che risponde a Reguzzoni e al cosiddetto "cerchio magico", che propenderebbe invece per il "no" all'arresto malgrado le dichiarazioni ufficiali. Nei giorni scorsi Maroni aveva avuto anche un breve colloquio con Papa ma non si è lasciato convincere. "Non possiamo continuare a far vedere che anche noi contribuiamo a "salvare" la casta. Dobbiamo dare un segno di discontinuità", è il refrain del ministro.

Oggi il Senato decide dell'arresto di Tedesco

Oggi, quindi, è il giorno della verità per la maggioranza. E, nelle stesse ore, in cui Montecitorio si pronuncerà su Papa, nell'altro ramo del Parlamento i senatori dovranno decidere dell'arresto dell'ex assessore pugliese Alberto Tedesco (Pd). Ieri, infatti, la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ha accolto la richiesta avanzata dai democratici di anticipare il voto. "Riteniamo - ha spiegato il vicepresidente dei senatori democratici Nicola Latorre facendo riferimento alla vicenda di Papa - che si debba allontanare il minimo sospetto che su fatti di questa natura ci possano essere miseri scambi politici o strumentalizzazioni. Lo abbiamo fatto ben sapendo che si tratta di vicende diverse e che vanno discusse nel merito".

 

 

 

 

 

 

2011-07-14

Mafia, chiesto il processo per Romano

di Nino AmadoreCronologia articolo

14 luglio 2011

PALERMO - La data dell'udienza è ancora da decidere così come il giudice che dovrà pronunciarsi, ma un fatto sembra scontato: il ministro per le Politiche agricole Saverio Romano potrebbe essere rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa. Il condizionale è d'obbligo anche se è difficile che le cose possano andare diversamente. Poiché se è vero che l'accusa ha in un primo momento sostenuto che non vi fossero elementi per arrivare a un processo chiedendone l'archiviazione (la seconda in 8 anni), dopo gli approfondimenti chiesti dal gip Giuliano Castiglia con un'ordinanza di 100 pagine e alla luce degli elementi individuati dal gip, i pm non si sottrarranno e porteranno avanti la richiesta di processare il ministro. Come del resto sembra chiaro dalla richiesta di rinvio a giudizio depositata ieri nella quale De Francisci e Di Matteo affermano che l'esponente del Pid "avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi".

Castiglia, che ha disposto l'imputazione coatta, ha letto a lungo gli atti del processo all'ex presidente della regione siciliana Totò Cuffaro, poi condannato per mafia a 7 anni e oggi in carcere. E ha ritenuto che vi fossero elementi di prova "spendibili in dibattimento" sulla base di parecchie intercettazioni ambientali, soprattutto tra il boss di Brancaccio, il medico Giuseppe Guttadauro e l'altro medico Mimmo Miceli, poi assessore al comune di Palermo in quota Udc e infine arrestato, processato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Romano si sarebbe speso per candidare Mimmo Miceli alle regionali sulla spinta di Guttadauro. La storia dei rapporti di Romano con la mafia comincia nel 1991: in quell'anno Romano partecipò a un incontro con Cuffaro e il ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra Angelo Siino finalizzato al sostegno elettorale dell'ex governatore siciliano.

Per i magistrati Romano era a conoscenza della "caratura" criminale di Siino. C'è poi il pranzo nel marzo del 2001 a Roma con Francesco Campanella, ex presidente del Consiglio comunale di Villabate, vicino alla cosca dei Mandalà: l'uomo che procurò la carta d'identità a Provenzano. In quell'occasione, racconta Campanella, oggi pentito, Romano avrebbe sottolineato che loro due facevano parte della stessa "famiglia", intendendo, la "famiglia" mafiosa. E ancora, Romano avrebbe ricevuto sempre da Campanella la richiesta di sostenere la candidatura di Giuseppe Acanto, uomo vicino al clan di Villabate, nella lista del Biancofiore alle regionali del 2001 e sarebbe stato a conoscenza che l'allora presidente del Consiglio comunale era "uomo d'onore" e che Acanto fosse sostenuto dalla mafia. Sul piano processuale Romano potrebbe chiedere il giudizio abbreviato e nel caso di assoluzione la Dda non potrebbe riaprire il caso nemmeno in presenza di nuovi elementi. Stizzito il commento del ministro: "C'è un corto circuito istituzionale e giudiziario che riguarda chi da un lato ha condotto le indagini e chi dall'altro le ha severamente sanzionate". E poi ha aggiunto: "Sono vittima di una ritorsione politica, per aver salvato con il mio voto, il 14 dicembre, insieme ad altri deputati, la maggioranza e il governo". Cioè per aver dato il sostegno al governo di Silvio Berlusconi. Per il presidente della Camera Gianfranco Fini, "la permanenza di Saverio Romano, come di Papa e Milanese, al governo non è un problema di incompatibilità ma di opportunità". La replica: "Lui ha favorito i propri familiari".

 

 

 

Papa, Lega divisa e il Pdl chiede tempo

di Donatella StasioCronologia articolo

14 luglio 2011

ROMA - Colpo di scena sull'arresto di Alfonso Papa. In ventiquattr'ore, la Lega si è spaccata tra favorevoli (maggioranza) e contrari, evitando però di prendere una posizione ufficiale ("Li teniamo sulle spine..." andava dicendo ieri Umberto Bossi), e la Conferenza dei capigruppo ha fissato per mercoledì prossimo il voto in aula, alle quattro del pomeriggio.

Quanto basta per far cambiare di nuovo strategia al Pdl, più che mai preoccupato di un possibile via libera all'arresto da parte della Giunta per le autorizzazioni. Di qui la decisione di chiedere tempo e rinviare la conta ad oggi, sempre che nel frattempo sia stato possibile esaminare le 16mila pagine contenute in una chiavetta depositata ieri da Papa e che a suo dire dimostrerebbero "come i pm di Napoli abbiano continuato a pedinarlo e intercettarlo pur sapendo che era un parlamentare". La chiavetta è finita nella cassaforte della Giunta e delle 16mila pagine ne sono circolate una cinquantina che, secondo l'opposizione, riguardano intercettazioni "involontarie e casuali" già dichiarate inutilizzabili dal Gip, a conferma della sua "assoluta terzietà". Ma il Pdl rivendica il diritto-dovere di spulciare l'intero malloppo con attenzione. "Stiamo discutendo di libertà personale, non di cioccolatini", osserva Maurizio Paniz, ricordando che il termine a disposizione della Giunta scade il 15 luglio. L'impressione è che di fronte ai 'tormenti' della Lega e alla prospettiva di finire in minoranza, il Pdl preferisca consumare tutto il tempo a disposizione senza arrivare alla conta, rinviando all'aula il momento della verità. Dove, complice il voto segreto, spera ancora di 'salvare' Papa.

Delle 16mila pagine molto si è favoleggiato nelle scorse settimane, in Transatlantico, sui divani del centrodestra. Pagine "compromettenti anche per l'opposizione", assicurava più d'uno, agitando il fantasma del gossip bipartisan. Di quelle carte il Pdl aveva chiesto l'acquisizione in Giunta, senza ottenerla. Ieri ci ha pensato Papa, creando le premesse per un rinvio. Peraltro, dal verbale della riunione di Giunta risulta che, all'unanimità, è stato concordato di chiudere con il voto entro le 10,00 di stamattina, termine suscettibile di slittare solo di un altro giorno, fino al 15, perché si andrà in aula mercoledì 20 e, in mancanza del voto in Giunta, sarebbe il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti a riferire all'assemblea. Papa assicura di aver voluto depositare le nuove carte solo perché dimostrerebbero che è stato intercettato illegittimamente, ma l'opposizione le considera irrilevanti. "Anzi - osserva Marilena Samperi del Pd - Papa utilizzava illegittimamente utenze telefoniche intestate ad altri soggetti ignari, causando lui stesso intercettazioni involontarie e casuali". Pd, Idv e Terzo Polo confermano di essere a favore dell'arresto mentre la Lega continua a fare melina. I due leghisti presenti in Giunta (Paolini e Follegot) non si sbilanciano, tanto che il finiano Giuseppe Consolo commenta: "Sulla Lega è meglio stendere un velo pietoso".

In realtà il Carroccio è spaccato: in una riunione di gruppo il presidente Marco Reguzzoni avrebbe invitato a votare contro l'arresto, come il Pdl, ma i 'maroniani' (49 su 59) avrebbero risposto picche non solo per prendere le distanze dalle "nefandezze" della casta ma anche per motivi di lotta politica: dare un avvertimento a Tremonti e fargli capire che, dopo il sì all'arresto di Papa, potrebbe arrivare quello per Marco Milanese, braccio destro del ministro per l'Economia. In Giunta, i due leghisti potrebbero dividersi o defilarsi, decretando la sconfitta della maggioranza. Di qui l'idea di 'saltare' quel passaggio e di andare direttamente in aula, dove, se verrà chiesto il voto segreto, può succedere di tutto.

 

 

2011-07-10

 

Berlusconi dà forfait alla festa Mirabello e sceglie il silenzio. Bonaiuti: vuole evitare reazioni a caldo sul Lodo

di Celestina Dominelli Cronologia articolo

10 luglio 2011

Il giorno dopo la sentenza sul Lodo Mondadori, che lo ha condannato al risarcimento di 560 milioni a favore della Cir di De Benedetti, il premier Silvio Berlusconi sceglie la linea del silenzio e non telefona alla festa del Pdl a Mirabello, come annunciato e previsto da giorni. Il sottosegretario Paolo Bonaiuti spiega così il forfait: "Penso che sia legato al fatto che anche ieri Berlusconi non ha parlato, oggi non parlerà perché vuole evitare reazioni a caldo sulla sentenza. Ritiene importante la difesa dell'economia italiana e dei mercati".

Bonaiuti rassicura: economia italiana è solida

Così l'attesa telefonata del Cavaliere non arriva e nessuna dichiarazione sulla sentenza di ieri è attesa per oggi. Bonaiuti chiarisce la scelta del premier. "Berlusconi ha deciso di non parlare - spiega il sottosegretario a margine del suo intervento dal palco alla festa del Pdl a Mirabello - perché domani si aprono i mercati...". Poi ribadisce "che la speculazione dei mercati è in atto. Ci sono dei movimenti che sui mercati si ripropongono ciclicamente pur non avendo un motivo reale alla base". L'economia italiana, però, insiste il sottosegretario, "è assolutamente solida, così come le sue banche. E gli '"stress-test" che usciranno a fine settimana lo dimostreranno. Bisogna avere - conclude - fiducia e tranquillità".

Bersani: per mercati Lodo è caso di corruzione

Proprio sui mercati e sul possibile ritorno di nuovi assalti ai titoli di stato e alle banche come accaduto venerdì interviene il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. E, da Gerusalemme, dove è giunto oggi per una visita di quattro giorni, avverte la maggioranza. "I mercati internazionali e nazionali valuteranno questa vicenda come va valutata: tutto questo è avvenuto a seguito di un caso di corruzione individuato, conclamato e punito. Il mondo non ci vedrà complotti". L'Italia, prosegue il segretario, "non ci farà una bella figura nell'avere Berlusconi come testimonial".

L'ira di Berlusconi. Bossi: sentenza pesante, spero non politica

Insomma, la sentenza sul Lodo continua a tenere banco nel dibattito politico. Berlusconi non parla ma, a quanti lo hanno sentito, consegna tutta la sua rabbia per quella decisione che, appena qualche mese fa, aveva definito "una rapina armata". Il Cavaliere si sente "vittima di una violenza", riferiscono i fedelissimi. "Come fa a governare un Paese una persona che viene trattata in questo modo?", si sarebbe sfogato, prima di confermare che resta saldamente al suo posto e a levarsi di mezzo, come auspica l'opposizione di centrosinistra, non ci pensa proprio ("Questo episodio non toglierà al premier la serenità necessaria per governare", assicura Angelino Alfano). Del resto, ad aver "vinto" è Carlo De Benedetti, "la tessera numero uno del Pd". Quindi, protesta più d'uno dal Pdl, la decisione contro la Fininvest ha un sapore tutto politico. E in serata è arrivato anche il commento di Umberto Bossi. "È una sentenza pesante - ha detto il Senatur intervenendo a un comizio - e spero non politica".

 

 

Senza corruzione vittoria Cir

St.E.Cronologia articolo

10 luglio 2011

MILANO

Gratti un verdetto e ne vinci un altro. La peculiarità della sentenza emessa ieri dalla seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano è che, a leggerla bene, di sentenze ce ne sono due. La prima è quella che va a confutare la tesi degli appellanti (Fininvest) contro il verdetto di primo grado (di condanna) emesso dalla decima sezione civile presieduta da Raimondo Mesiano. Paradossalmente però la più interessante è la seconda: quella contenuta da pagina 159 a pagina 183 (che tecnicamente non è un verdetto ma una valutazione). Cioè quella in cui i giudici Luigi De Ruggiero, Walter Saresella e Giovanni Battista Rollero, hanno riavvolto il nastro indietro di vent'anni per ripercorrere, in una sorta di simulazione di giudizio, le tappe del processo che ha portato alla decisione della Corte d'Appello di Roma presieduta dal giudice Vittorio Metta: la celebre sentenza viziata dalla corruzione, che ha sancito la bocciatura del lodo Mondadori dando il colpo di starter all'intera vicenda. I giudici d'Appello hanno riesumato le tesi a suo tempo sostenute dalle due parti (Cir e famiglia Formenton), rianalizzandole una per una e cercando di contestualizzarle nello spirito e nella normativa del tempo. Ma, soprattutto, hanno cercato di rispondere alla domanda: quale sarebbe stata la sentenza che giudici terzi avrebbero dovuto emettere al netto della conclamata corruzione di Metta? Una corruzione richiamata nel testo della sentenza per ben 18 volte, in varie articolazioni: con domande retoriche e periodi ipotetici del tipo come avrebbe giudicato una Corte "normale", "non corrotta"? Nelle risposte dei giudici d'Appello di Milano va ricercata la ragione della principale delle riforme apportate alla sentenza Mesiano. Per quella sentenza, infatti, la bocciatura del lodo Mondadori Pratis, avrebbe causato al gruppo Cir di Carlo De Benedetti una perdita di "chance", una diminuzione delle opportunità di prevalere. Al contrario i giudici di secondo grado si sono persuasi che "certamente" una corte normale non sarebbe giunta alle conclusioni di Metta, anzi avrebbe indubitabilmente giudicato in modo opposto. E dunque un "danno diretto". Non una chance sfumata.

 

 

 

Ancora possibile il blocco del pagamento

Giovanni NegriCronologia articolo

10 luglio 201

Pochi minuti dopo la pronuncia della sentenza. E già comincia il pressing sulla sospensione della condanna. Che resta ancora possibile pur in assenza della "sacrosanta", per il premier, norma, introdotta di soppiatto nella manovra finanziaria e poi rinnegata, che imponeva al giudice il congelamento delle pronunce al di sopra dei 20 milioni. Niccolò Ghedini, l'ormai "storico" penalista di Silvio Berlusconi, non ha dubbi: "la sentenza è la riprova, se ve ne fosse stato bisogno, che a Milano è impossibile, quando è anche indirettamente coinvolto il Presidente Berlusconi, celebrare un processo che veda l'applicazione delle regole del diritto. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza - prosegue l'avvocato del premier – tale prova sarà ancora più evidente. Comunque la Corte di Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza".

Scontata quindi la volontà di presentare ricorso in Cassazione (ci sono ancora 60 giorni per pensarci, comunque), come pure la conseguente istanza per ottenere il blocco del pagamento dei 560 milioni. A decidere sarà il medesimo collegio della Seconda Corte d'appello di Milano. Ai giudici toccherà considerare se dall'esecuzione della condanna, in attesa del verdetto definitivo della Cassazione, Fininvest possa subire un "grave e irreparabile danno".

L'eventuale sospensione potrà essere accompagnata dall'obbligo di presentare una cauzione. Un po' come era avvenuto in primo grado quando, a fronte della condanna a un risarcimento ancora maggiore (750 milioni), gli avvocati di Fininvest e Cir concordarono che la holding di Silvio Berlusconi nulla dovesse pagare nell'immediato. A due condizioni però: la presentazione di una fideiussione e l'impegno a una sollecita definizione in appello della causa.

La fideiussione in favore del gruppo di Carlo De Benedetti venne prestata da un pool di quattro banche capitanato da Intesa San Paolo con Unicredit, Monte dei Paschi e Popolare di Sondrio. Come pure è stato rispettato l'impegno a raggiungere un verdetto di appello in tempi ragionevoli, circa un anno e mezzo, senza tattiche ostruzionistiche. Ora, si fa molto concreta la possibilità che Cir possa escutere la fideiussione che era stata avanzata per 800 milioni di euro, anche perché non è affatto detto che i legali di Cir questa volta non si mettano di traverso reclamando l'integrale pagamento del risarcimento dei danni.

 

 

 

2011-07-09

Lodo Mondadori: Fininvest condannata a pagare 560 milioni alla Cir. De Benedetti: corruzione confermata

articoli di A. Mincuzzi, G. Negri e C. DominelliCronologia articolo

9 luglio 2011

di Angelo Mincuzzi

Il gruppo Fininvest dovrà pagare alla Cir oltre 540 milioni di euro più gli interessi legali e le spese processuali. Questa la sentenza di condanna sul cosiddetto Lodo Mondadori, depositata oggi dai giudici della seconda sezione civile del Tribunale di Milano. Secondo il collegio milanese Berlusconi è "corresponsabile" della corruzione che nel 1991 portò il giudice Vittorio Metta ad assegnare alla Fininvest il controllo della Mondadori.

Marina Berlusconi: è un esproprio. Cir: confermata corruzione

Immediato il commento di Marina Berlusconi, presidente di Fininvest, pronta al ricorso. "È una sentenza che rappresenta l'ennesimo scandaloso episodio di una forsennata aggressione che viene portata avanti da anni contro mio padre, con tutti i mezzi e su tutti i fronti, compreso quello imprenditoriale ed economico". Per la Cir di De Benedetti, invece, la sentenza "conferma ancora una volta che nel 1991 la Mondadori fu sottratta alla Cir mediante la corruzione del giudice Vittorio Metta, organizzata per conto e nell'interesse di Fininvest". E comunque la vicenda, sottolinea ancora il gruppo di De Benedetti, "riguarda una storia imprenditoriale ed è completamente estraneo all'attualità politica".

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Fininvest: pronti al ricorso contro la sentenza

La sentenza di appello conferma così la condanna di primo grado (anche se con uno sconto della cifra che Fininvest dovrà versare alla Cir) ed è immediatamente esecutiva. Il gruppo di Cologno Monzese è pronto però a ricorrere contro la decisione. "Anche di fronte ad un quadro così paradossale e inquietante - dice ancora Marina Berlusconi - non ci lasciamo però intimorire. Già in queste ore i nostri legali cominceranno a studiare il ricorso in Cassazione. Siamo certi di essere assolutamente nel giusto, dobbiamo credere che le nostre ragioni verranno alla fine riconosciute. Verità e giustizia non potranno continuare ad essere calpestate e piegate a logiche inaccettabili e indegne di un Paese civile".

Un dispositivo di 300 pagine

Nel dispositivo della sentenza, lunga ben 283 pagine, i giudici concludono testualmente affermando che "la corte...accoglie per quanto di ragione sia l'appello principale che quello incidentale e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza n. 11786/2009 resa tra le parti dal Tribunale di Milano in data 3/10/2009, determina in euro 540.141.059,32 (invece che euro 749.955.611,93), l'importo dovuto dalla convenuta alla data del 3/10/2009, quale risarcimento di danno immediato e diretto, e pertanto condanna Fininvest S.p.a. a pagare in favore di Cir spa tale somma, oltre agli interessi legali da detta data al saldo".

Decisione immediatamente esecutiva

La corte - è scritto sempre nella sentenza - "condanna l'appellante Fininvest spa a rifondere in favore dell'appellata Cir spa i residui tre quarti delle spese processuali dei due gradi, come in motivazione partitamente liquidate, già in detta frazione, per il primo grado in complessivi euro 3.296.995,12 e per il presente grado in complessivi euro 3.940.758,75, oltre, per entrambi i gradi, al rimborso forfettario per le spese generali del 12,5 per cento su diritti ed onorari, Iva e Cpa come per legge".

 

 

Lodo Mondadori: la sentenza è immediatamente esecutiva

Cronologia articolo

9 luglio 2011

Adesso si può proprio dire che quella norma sarebbe servita. La sentenza di secondo grado pronunciata dalla seconda Corte d'appello di Milano è infatti immediatamente esecutiva. Tempo pochi giorni e la maxifideiussione presentata da un pool di banche, che mesi fa aveva convinto i giudici a sospendere la condanna di primo grado a 750 milioni (ora rettificati a 560), potrà essere escussa dalla Cir di Carlo De Benedetti.

Evidentemente la Corte d'appello non ha ritenuto che dall'esecuzione della pronuncia possa derivare un "grave e irreparabile danno" a Fininvest. In caso contrario avrebbero congelato, il codice di procedura civile lo consente, l'operatività della condanna in attesa del verdetto della Cassazione cui la difesa di Silvio Berlusconi ha già preannunciato ricorso. Se invece fosse stata in vigore la tanto contestata disposizione, giudicata però "sacrosanta" dal premier, inserita di soppiatto nelle pieghe della manovra finanziaria, i giudici sarebbero stati obbligati a concedere lo stop permettendo alla holding del capo del Governo di godere di una nuova, ampia, finestra di tempo senza dovere pagare nulla.

 

 

Marina Berlusconi: è un esproprio, faremo ricorso. Il Pdl fa quadrato. Di Pietro: comportamento truffaldino

di Celestina DominelliCronologia articolo

9 luglio 2011

La reazione più dura, e non poteva essere diversamente, arriva dalla presidente di Fininvest Marina Berlusconi che si dice "sgomenta e senza parole" e parla "di forsennata aggressione contro mio padre". Secondo la figlia del Cavaliere la sentenza di condanna della Fininvest - che dovrà pagare 560 milioni alla Cir di De Benedetti e che è pronta a presentare ricorso - "è un esproprio che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti nè nelle regole del diritto, neppure un euro è dovuto da parte nostra". Parole che riecheggiano anche quelle usate dall'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, che prima pone l'accento sui contenuti della decisione emessa "contro ogni logica processuale e fattuale" e si dice poi sicuro che la Cassazione ribalterà il verdetto "annullando la sentenza".

La Russa: non ci aspettavamo riconosciute buone ragioni

Ma è tutta la maggioranza, a poche ore dalla decisione dei giudici della Corte d'Appello di Milano, a far quadrato attorno al Cavaliere e al gruppo di Cologno Monzese. La notizia arriva anche a Mirabello, dove è in corso la kermesse del Pdl, e Ignazio La Russa fa spallucce davanti ai cronisti. "Era una sentenza attesa: nessuno si faceva molte illusioni che le buone ragioni di Berlusconi ci ha illustrato più volte venissero riconosciute". Poi il ministro della Difesa torna per un attimo su quel codicillo pro-Fininvest, inserito in manovra ed espunto dopo le polemiche, che avrebbe consentito di sospendere l'esecutività della sentenza e che potrebbe però essere reinserito in sede parlamentare (come, peraltro, auspicato dallo stesso Berlusconi). "Dipenderà dai presidenti dei gruppi parlamentari e dai singoli deputati. Personalmente penso che sia una norma di civiltà, se estesa a tutti e non solo ad alcuni". Mentre Denis Verdini parla di "persecuzione" nei confronti del premier.

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Cicchitto e Gasparri: sentenza annunciata, c'è accanimento

I suoi colleghi di partito usano però toni ancor più duri contro i giudici che hanno confermato la condanna della Fininvest. Fabrizio Cicchitto, in una nota, sottolinea che "mai sentenza è stata più annunciata di questa, essa rientra nell'attacco concentrico che è in atto da tempo, fin dal 1994, contro Berlusconi perché ha osato scendere in campo in politica". Mentre Maurizio Gaspari, capogruppo del Pdl al Senato, parla "sentenza annunciata, frutto di un pregiudizio politico" ed "esempio di un accanimento giuridico contro Berlusconi". Sandro Bondi, coordinatore del partito, auspica invece l'intervento "di osservatori internazionali". E Maurizio Lupi, vicepresidente del Pdl alla Camera, bolla la decisione come "fuori dal mondo".

Bindi: conferma che norma manovra ad personam. Di Pietro: è truffa

Nel Pdl dunque è una gara a difendere le ragioni di Berlusconi, mentre dall'opposizione si leva la voce della presidente del Pd, Rosy Bindi. "Le sentenze si rispettano e naturalmente oggi abbiamo la dimostrazione che quella norma inserita in Finanziaria era ancora una volta una norma ad

personam e ad aziendam. Altro che norma a carattere generale". Critico anche Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori. "Le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. E se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. È inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi". Mentre Carmelo Briguglio, vicepresidente vicario dei deputati di Fli, sottolinea che "la sentenza non è n fatto politico" e che, con la norma salva-Fininvest, "il governo aveva un obiettivo preciso quanto scoperto: evitare gli effetti di questa sentenza e solo di questa che riguarda direttamente gli interessi privati del presidente del Consiglio".

 

 

Una guerra lunga 20 anni per il controllo della principale casa editrice italiana

Cronologia articolo

9 luglio 2011

È stata definita sin dal primo giorno la Guerra di Segrate, cioè la lotta tra la Fininvest di Silvio Berlusconi e la Cir di Carlo De Benedetti per contendersi la Mondadori. Una guerra durata più di 20 anni. Queste le

tappe della vicenda.

10 maggio 1988

Carlo De Benedetti entra da trionfatore a Segrate - grazie all'alleanza con una parte degli eredi del fondatore della Mondadori, la moglie e il figlio di Mario Formenton - andando a ricoprire coi suoi uomini e i suoi alleati tutti i posti in consiglio. È il prologo della battaglia per il controllo della principale casa editrice italiana. Le ambizioni di Berlusconi, entrato qualche anno prima come socio, vengono ridimensionate.

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21 dicembre 1988

I Formenton e la Cir siglano un accordo che porta l'ingegner De Benedetti ad avere la maggioranza di Amef, la società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni di Fininvest, i Formenton vogliono disdire.

25 gennaio 1990

Il cambio di schieramento dei Formenton consente a Silvio Berlusconi di insediarsi come nuovo presidente. De Benedetti protesta invocando l'accordo sottoscritto coi Formenton pochi mesi prima, che prevedeva il passaggio delle quote degli eredi alla Cir entro il 30 maggio 1991. Gli schieramenti non trovano un accordo e decidono di ricorrere a un lodo arbitrale per stabilire se il contratto Formenton - De Benedetti debba avere corso o se i Formenton possano vendere il loro pacchetto a Fininvest.

20 giugno 1990

I tre arbitri, Pietro Rescigno (designato Cir), Natalino Irti (Mondadori) e Carlo Maria Pratis (procuratore della Corte di Cassazione) sanciscono che l'accordo tra De Benedetti e i Formenton è ancora valido a tutti gli effetti, le azioni Mondadori devono tornare alla Cir e De Benedetti ha il controllo del 50,3% del capitale ordinario e del 79% delle azioni privilegiate della Mondadori. Berlusconi è costretto a lasciare la presidenza, ma prepara il ricorso.

24 gennaio 1991

I giudici della Corte d'Appello di Roma, Arnaldo Valente (presidente), Giovanni Paolini e Vittorio Metta (giudice relatore) stabiliscono che il lodo arbitrale è nullo perché una parte dei patti dell'accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir è in contrasto con la disciplina delle società per azioni. Mondadori torna in mano a Berlusconi, ma i direttori e i dipendenti di alcune testate si ribellano e, dopo una complessa mediazione condotta da Carlo Caracciolo, Repubblica e L'Espresso tornano alla Cir, mentre Panorama, Epoca e tutto il resto della Mondadori restano alla Fininvest che riceve 365 miliardi di lire come conguaglio per la cessione delle testate all'azienda di De Benedetti.

1995

La teste Stefania Ariosto racconta ai pm milanesi che Valente e Metta erano amici intimi di Cesare Previti, avvocato Fininvest, e dice di avere sentito quest'ultimo parlare di tangenti a giudici romani. I magistrati rintracciano movimenti sospetti di denaro che andavano da Fininvest ai conti esteri degli avvocati del Biscione e da questi al giudice Metta. Secondo l'accusa, Metta viene 'compratò con un versamento da 425 milioni di lire.

19 giugno 2000Berlusconi, Previti, Attilio Pacifico, Metta e Giovanni Acampora vengono prosciolti dall'accusa di corruzione per avere comprato la sentenza dal gup Rosario Lupo. La Procura impugna il proscioglimento.

25 giugno 2001

La Corte d'Appello emette la sentenza sul ricorso per il Lodo Mondadori. Per Previti, Pacifico, Acampora e Metta si rovescia il proscioglimento e sono rinviati a giudizio. A carico di Berlusconi viene ipotizzato il reato di corruzione semplice, ma i fatti risalgono al 1991 e il reato è già prescritto. A novembre, la Cassazione respinge il ricordo dei legali del Cavaliere che chiedevano l'assoluzione nel merito. Nel maggio dell'anno successivo il processo per il Lodo viene riunito con quello Imi-Sir.

29 aprile 2003

Metta (13 anni), Previti e Acampora (entrambi a 11 anni) sono condannati, mentre nei confronti di Berlusconi viene dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione grazie anche alla concessione delle generiche.

23 maggio 2005

Sentenza ribaltata in appello: tutti assolti per la parte relativa al Lodo e condannati solo per Imi - Sir.

4 maggio 2006

Annullata la sentenza d'appello del 2005. Si ordina il rifacimento del processo solo per il Lodo.

23 febbraio 2007

La Corte d'Appello condanna Previti, Pacifico e Acampora a un anno e mezzo e Metta a due anni e 8 mesi per corruzione giudiziaria: La Cassazione conferma le condanne il 13 luglio, alzando di un mese la pena a Metta.

3 ottobre 2009

Il giudice civile Raimondo Mesiano stabilisce che la Fininvest di Berlusconi deve pagare 749,9 milioni di euro alla Cir per danno patrimoniale da "perdita di chance" perchè "grazie alla sentenza ingiusta resa dalla Corte d'Appello di Roma, la Fininvest potè trattare con la Cir da posizioni di forza".

 

 

 

2011-07-04

Nella bozza della manovra sospensione per le condanne superiori a 20 milioni. Vi può rientrare il lodo Mondadori

di Giovanni NegriCronologia articolo

4 luglio 2011

Giudice obbligato a congelare le maxicondanne in primo grado e in appello. Questo il significato di due disposizioni introdotte nell'ultima versione della manovra. Modificando due norme del Codice di procedura civile viene stabilito il vincolo, sinora era prevista una semplice facoltà, per l'autorità giudiziaria di sospendere l'esecuzione della condanna da 10 milioni in poi, in primo grado, e da 20 milioni in avanti in appello. La sospensione scatta fino al verdetto del successivo grado di giudizio (appello o Cassazione).

La parte interessata al blocco dovrà presentare una cauzione. In una prima versione della norma si disponeva in senso contrario sanzionando fino a 10mila euro le istanze di sospensione manifestamente infondate.

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A potere beneficiare della novità, una volta in vigore, potrà essere Fininvest che attende in questi giorni la sentenza di appello nella causa sul Lodo Mondadori. In primo grado Fininvest è stata condannata a risarcire al gruppo De Benedetti 750 milioni di euro a titolo di risarcimento del danno subito per la corruzione nella vicenda giudiziaria che si concluse con l'assegnazione della casa editrice al gruppo di Silvio Berlusconi. Per effetto della norma, Fininvest, se condannata, con il pagamento di una cauzione, eviterà comunque ogni pagamento sino alla pronuncia di Cassazione.

LA PRIMA VERSIONE

All'articolo 283 del codice di procedura civile è aggiunto, infine, il seguente comma: "Se l'istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio".

QUELLA ATTUALE

Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 283, dopo il primo comma è inserito il seguente: "La sospensione prevista dal comma che precede è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione".

b) all'articolo 373, al primo comma, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: "La sospensione prevista dal presente comma è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a venti milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione".

 

 

Bersani: un insulto al Parlamento la norma che sospende i riarcimenti. Idv: Napolitano non firmerà

Cronologia articolo

4 luglio 2011

"Un insulto al Parlamento". Questo, secondo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, sarebbe la norma inserita nella manovra che prevede la sospensione del pagamento dei risarcimenti nelle cause civili se superiori ai 10 milioni di euro in appello e ai 20 milioni in Cassazione, quindi bloccando anche il pagamento dei 750 milioni a carico della Fininvest verso la Cir di Carlo De Benedetti se fosse confermato dai giudici d'appello di Milano la sentenza di primo grado sul lodo Mondadori.

Sarebbe una vergogna la norma salva-Mediaset nella manovra. Lo dice anche Rocco Buttiglione, presidente dell'Udc, a proposito della norma che potrebbe interessare il lodo Mondadori. "Se fosse vero che nella manovra economica viene inserita una norma salva-Mediaset per la sospensione dei pagamenti superiori ai dieci milioni di euro, ci troveremmo di fronte a una vera vergogna. Mentre non si ha il coraggio di affrontare con serietà i problemi economici degli italiani, ci si dedica ancora una volta a leggi ad personam".

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"La norma inserita in finanziaria per sospendere il pagamento del risarcimento di Mediaset a Cir in relazione al caso Mondadori è un grave atto del governo, sia perché contiene un esplicito favore al premier sia perché non ci sono i requisiti di necessità e urgenza previsti dalla costituzione", afferma infine il vicepresidente di Futuro e libertà, Italo Bocchino, che così prosegue: "Intervenire a gamba tesa in un processo civile in corso è sempre molto grave, ma lo è ancor più se si fa nell'ambito di una manovra economica che serve a tranquillizzare i mercati internazionali. E' auspicabile che il ministro Tremonti in quanto autore e firmatario del provvedimento si sottragga a questo atto a favore di Mediaset che avrebbe come conseguenza anche quella di scalfire la sua immagine internazionale".

L'Idv ha subito attaccato: "Se nel testo definitivo della manovra ci fosse una norma criminogena, volta ad assicurare a Berlusconi - ha detto Antonio Di Pietro - l'annullamento del pagamento dovuto al gruppo De Benedetti, sarebbe la dimostrazione che il governo ha perso il senso del limite e il senno. Come si può approfittare così delle istituzioni?". E il portavoce del partito Leoluca Orlando ha aggiunto: "Siamo certi che Napolitano vorrà evitare questa ennesima vergogna".

Sulla questione si pronuncia anche il presidente dell'Anm, Luca Palamara, secondo cui, "se dovesse essere confermata, si tratterebbe di una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe un'iniqua disparità di trattamento, e che sarebbe, quindi, incostituzionale".

 

 

Sentenza Cirio: Cragnotti condannato a nove anni, Geronzi a quattro anni

con un articolo di Morya Longo Cronologia articolo

04 luglio 2011

Sergio Cragnotti è stato condannato a nove anni di reclusione per il crack da 1.125 milioni di euro del gruppo agroalimentare Cirio. Quattro anni per l'ex presidente della Banca di Roma Cesare Geronzi. Le richieste dei pubblici ministeri erano state più severe. Per Cragnotti era stata chiesta una condanna a quindici anni, mentre per Geronzi erano stati sollecitati otto anni.

Tra gli altri imputati che il tribunale ha ritenuto colpevoli del crac del colosso agroalimentare figurano anche il genero di Sergio Cragnotti, Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi), i figli Andrea (4 anni), Massimo (3 anni) ed Elisabetta (3 anni), e poi Ettore Quadrani (3 anni e mezzo), Francesco Scornajenchi (3 anni), Gianluca Marini (3 anni), Annunziato Scordo (3 anni), e gli ex funzionari della Banca di Roma Pietro Locati (3 anni e 6 mesi), Antonio Nottola (3 anni e 6 mesi) e Michele Casella (3 anni).

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La sentenza è stata emessa dopo una lunghissima camera di consiglio dai giudici della prima sezione del tribunale di Roma presieduta da Giuseppe Mezzofiore. Nessuno degli imputati eccellenti è presente in aula dove è ancora in corso la lettura del dispositivo. Trentacinque gli imputati accusati, a seconda delle posizioni, di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, oltreche di truffa. Il processo era cominciato il 14 marzo 2008.

Unicredit (quale responsabile civile) e gli imputati riconosciuti colpevoli dovranno versare un risarcimento di 200 milioni di euro in via provvisionale. I fondi dovranno essere messi a disposizione dell'amministrazione del gruppo agroalimentare, rappresentata dall'avvocato Nicola Madia. I giudici della I sezione del tribunale penale di Roma hanno deciso anche il risarcimento per le spese di giudizio sostenute dalle altre parti.

Assolti, invece, l'ex amministratore delegato della Banca popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani, e Flora Pizzichemi, moglie di Sergio Cragnotti. Per entrambi i pm avevano chiesto una condanna a sei anni. Le assoluzioni sono state emesse perché il fatto "non è stato commesso". Anche per altri amministratori e manager le accuse sono cadute.

Geronzi: resto tranquillo, tutto si chiarirà in appello

"Resto tranquillo perchè continuo a ritenere di avere agito correttamente, nell'ambito delle responsabilità statutarie, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito. Diversamente, in casi della specie, la funzione di ogni banchiere resterebbe paralizzata", commenta all'Ansa Cesare Geronzi la sentenza di condanna decisa questa sera nei suoi confronti dal Tribunale di Roma. "Per questa ragione e per la fiducia che nutro nella magistratura - aggiunge - confido che in sede di appello sia riconosciuta l'assoluta non colpevolezza del mio comportamento".

 

 

 

 

2011-04-18

Napolitano: contrapposizioni e polemiche, siamo al limite. Manifesto Br-procure ignobile provocazione

Cronologia articolo18 aprile 2011

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Argomenti: Giustizia | PDL | Francesco Coco | Emilio Alessandrini | Fedele Calvosa | Girolamo Minervini | Girolamo Tartaglione | Guido Galli | Mario Amato

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 18:01.

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Manifesto Br-procure di provocazione (Ansa)Manifesto Br-procure di provocazione (Ansa)

"Nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sulla giustizia, si sta toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni". Lo ha scritto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera al vicepresidente del Csm Michele Vietti, ricordando "il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti". Napolitano definisce inoltre "provocazione ignobile" i manifesti affissi a Milano che accostano alle Br le toghe meneghine. Su questo episodio si sono registrate forti tensioni nel capoluogo in consiglio comunale. Intanto il presidente dell'Associazione dalla parte della democrazia, Roberto Lassini, è indagato con altre due persone per vilipendio dell'ordine giudiziario dalla procura milanese e il Pdl milanese sembra orientato a chiedere il ritiro della sua candidatura alle prossime amministrative. Lo stesso Lassini ha dichiarato che non intende rinunciare.

"Il prossimo 9 maggio - si legge ancora nella lettera a Napolitano - si celebrerà al Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Quest'anno, il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche. Le sarò perciò grato se - a mio nome - vorrà invitare alla cerimonia i famigliari dei magistrati uccisi e, assieme, i presidenti e i procuratori generali delle Corti di Appello di Genova, Milano, Salerno e Roma, vertici distrettuali degli uffici presso i quali prestavano la loro opera Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione", scrive il Capo dello stato a ribadire la necessità di una memoria che sia completa e precisa, lontana dalle strumentalizzazioni peggiori del dibattito politico più basso.

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Poi, la sottolineatura del Colle sui fatti di Milano: "La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria costituisce anche una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi con la sigla di una cosiddetta Associazione dalla parte della democrazià, per dichiarata iniziativa di un candidato alle imminenti elezioni comunali nel capoluogo lombardo", spiega Napolitano, "Quel manifesto rappresenta, infatti, innanzitutto una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non. Essa indica, inoltre, come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".

Napolitano "ha interpretato ancora una volta il sentimento di tutti gli italiani", ha detto in serata il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a Trieste, commentando la presa di posizione del Quirinale sulla giustizia.

 

La Ue dà ragione alla Francia: "A Ventimiglia rispettate le regole". Nessun reclamo dall'Italia

Cronologia articolo18 aprile 2011

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Argomenti: Stati membri dell'Unione europea | Maurizio Massari | Italia | Franco Frattini | Claude Gueant | Roberto Maroni | Comitato Esecutivo | Lampedusa | Tunisia

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 11:30.

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La Ue dà ragione alla Francia: "A Ventimiglia rispettate le regole" (Ansa)La Ue dà ragione alla Francia: "A Ventimiglia rispettate le regole" (Ansa)

Parigi non avrebbe violato le regole europee sospendendo temporaneamente ieri il traffico ferroviario in partenza da Ventimiglia verso la Francia.

A quanto si è appreso, le autorità francesi hanno già proceduto a spiegare le ragioni alla base della decisione di ieri ai competenti servizi della Commissione Ue che ora le stanno valutando con attenzione.

Il blocco per alcune ore del traffico ferroviario, sostengono i francesi, sarebbe stato deciso in seguito all'annuncio di tenere una manifestazione non autorizzata a sostegno dei migranti tunisini e quindi per prevenire il rischio di incidenti.

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Secondo le prime indicazioni trapelate da Bruxelles, ciò configurerebbe la sussitenza di uno dei casi - quello legato a motivi di ordine pubblico - per i quali è prevista la temporanea sospensione degli accordi di Schengen.

Nessun reclamo dall'Italia

La Commissione europea, inoltre, non ha ricevuto alcun reclamo dalle autorità italiane. Lo ha confermato il portavoce della commissaria Ue gli Affari interni, Cecilia Malmstrom, rispondendo ai cronisti durante il briefing quotidiano: "Se c'è uno Stato membro che considera che le regole di Schengen non sono rispettate, può rivolgersi alla Commissione, che ha il compito di assicurare l'adempimento delle norme. Se ricevessimo un reclamo, naturalmente dovremmo agire. Gli italiani - ha detto il portavoce - non hanno reclamato". Quello che invece l'esecutivo di Bruxelles non può fare è verificare che la concessione dei permessi di soggiorno provvisori rispetti le regole: questo, infatti, è di competenza degli stati membri. "I permessi provvisori - ha ricordato- non sono documenti di viaggio, per poter circolare liberamente nello spazio Schengen, occorre soddisfare altre condizioni, avere risorse economiche sufficienti e non costituire una minaccia per l'ordine pubblico".

Per il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ieri a Ventimiglia non c'era alcun problema di ordine publico. Commentando l'assenso dell'Unione Europea al blocco dei treni, il ministro ha spiegato che "la Francia ha motivato tale decisione con un problema di ordine pubblico che secondo me non c'era. La nostra protesta è stata particolarmente ferma e il traffico è ripreso. Tutto qua".

La Francia raffredda la tensione

Parigi rispetterà "la lettera e lo spirito" dell'accordo di Schengen sulla libera circolazione in Europa e non vuole tensioni con l'Italia. Lo ha assicurato il ministro dell'Interno, Claude Gueant, a margine di una visita a Bucarest. Con la Francia, la situazione si è chiarita e l'incidente si è risolto, ha dichiarato oggi il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, secondo il quale non c'è nessun isolamento dell'Italia nell'Unione Europea. Anzi, l'opposto. "Con tenacia diplomatica - ha sottolineato - stiamo ottenendo il riconoscimento dell'urgenza di una soluzione sul problema migratorio in ambito europeo". Il portavoce della Farnesina ha inoltre ricordato come sul tema del rilascio dei permessi temporanei, la Commissione abbia dato ragione all'Italia e come anche sulla necessità di solidarietà in Europa si sono espresse le più alte istituzioni europee".

Acqua sul fuoco da Maroni

Acqua sul fuoco dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni. "Mi pare che adesso la situazione sia tornata normale - ha detto il ministro confidando nel vertice italo-francese a Roma del 26 aprile per "risolvere amichevolmente questioni che non ha senso che continuino a rimanere". Sono già una trentina i tunisini che questa mattina, in treno, dalla stazione ferroviaria di Ventimiglia, hanno ripreso il loro viaggio della speranza verso la Francia, muniti di regolare permesso di soggiorno rilasciato dal Commissariato di Ventimiglia. Al momento, non si segnalano respingimenti dal versante francese.

Oltre 330 tunisini rimpatriati da Lampedusa

Con la Tunisia l'accordo procede, ha assicurato Maroni, confermando che "oltre 330 i tunisini sono stati già rimpatriati" da Lampedusa. "Continueremo a farlo - ha detto il Ministro - perchè pensiamo sia un deterrente importante: quelli che vengono dalla Tunisia sanno che saranno tutti rimpatriati". Altra storia quella dei profughi libici in fuga dalla guerra che "non saranno rimpatriati, perchè non possono esserlo".

La notizia snobbata sui giornali francesi

La stampa francese ha dato scarsa attenzione al blocco dei treni a Ventimiglia. Mentre nella penisola la notizia apre le prime pagine di tutti i giornali, in Francia, è per lo più ridotta a una colonna nella pagina di cronaca nazionale, o addirittura a un trafiletto. Unica eccezione Le Figaro, che dedica al "conflitto franco-italiano" che "si avvelena" un lungo articolo, a firma del corrispondente a Roma Richard Heuzè. Il reportage è stato poi ripreso sul sito del quotidiano e commentato da centinaia di utenti francesi che considerano giusto e legittimo il blocco del traffico ferroviario.

 

 

Nicole Minetti scarica la responsabilità su Fede e Mora: "Ruby ad Arcore non l'ho portata io"

Cronologia articolo18 aprile 2011

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Argomenti: Giustizia | Reati | PDL | Chiara Arcore | Radio24 | Ambra Arcore | ANSA | Corte Costituzionale | TG4

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 16:23.

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Nicole Minetti scarica la responsabilità su Fede e MoraNicole Minetti scarica la responsabilità su Fede e Mora

Con una memoria di 12 pagine consegnata ai pm Nicole Minetti si difende dall'accusa di induzione e favoreggiamento della prostituzione della minorenne marocchina Ruby e di 32 ragazze maggiorenni e "scarica" le responsabilità su Emilio Fede e Lele Mora, suoi co-indagati nell'inchiesta già chiusa e che porterà ai primi di maggio la Procura a chiedere il processo. Nel documento, il legale della Minetti, Daria Pesce, ripercorre i vari passaggi della inchiesta e cerca di dimostrare, in particolare, l'inconsistenza dell'accusa di favoreggiamento della prostituzione di Ruby che Minetti respinge, in vista dell'udienza preliminare.

La memoria chiude evidenziando un fatto ben preciso, e cioè

che Nicole Minetti non era presente il 7 settembre 2009 al concorso di bellezza a Taormina dove era giurato Emilio Fede e dove, secondo l'accusa, iniziò l'induzione alla prostituzione di Ruby, il reato che i pm milanesi contestano a Minetti, Fede e Mora. "In questa memoria, ci tengo a sottolinearlo, non accuso nè Emilio Fede nè Lele Mora", ha detto la Minetti all'Ansa".

foto

Ruby, Iris, Nadia, Nicole e le altre

Da Arcore alla tv, le Papi girls in carriera

Al Gran Ballo di Vienna tutti i riflettori su Ruby

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La replica di Fede: servirebbe uno psichiatra

"Ho letto una sintesi della memoria difensiva di Nicole Minetti assistita dall'avvocato Daria Pesce - dichiara in una nota il direttore del Tg4 Emilio Fede - L'unico elemento mancante è che entrambe avrebbero bisogno dell'assistenza di uno psichiatra". Fede non si è fermato qui. Al quotidiano online Affaritaliani.it ha dichiarato: "La memoria depositata da Nicole Minetti è una stronzata per giornalisti in baby-doll. La smentisco. Sono anche accusato di aver assassinato una delle ragazze lungo la strada e averne nascosto il corpo".

La Pesce ha buttato l'amo ed Emilio ha abboccato

"Il pesce, anzi la Pesce in questo caso, di solito butta l'amo. E oggi Emilio Fede ha abboccato". Questo il commento di Lele Mora, in diretta a La Zanzara a Radio 24, in merito alla memoria difensiva presentata oggi da Nicole Minetti e dal suo avvocato Daria Pesce. "Ambra e Chiara Arcore l'hanno visto solo in tv – ha aggiunto Mora - loro non sono mai state nella residenza del presidente del Consiglio. La stessa Minetti l'ho vista solo qualche volta e non ho neanche il suo numero di telefono".

Paniz: stop al processo Ruby per conflitto di attribuzione

Sul caso Ruby è intervenuto il deputato del pdl, Maurizio Paniz, chiedendo che il processo venga bloccato in attesa del pronunciamento della Consulta sul conflitto di attribuzione. Nel corso di un dibattito su sky Tg24 Paniz ha spiegato che "il sistema prevede che se il conflitto di attribuzione é sollevato dalla magistratura, automaticamente il processo si blocca, ma se é sollevato da un'altra istituzione come la Camera il processo non si blocca". Secondo l'autore della prescrizione breve "non é un regime corretto, forse addirittura é anticostituzionale, ed é un tema sul quale riflettere perché potrebbe essere opportuna una modifica legislativa".

 

 

Stefania Craxi: Berlusconi è al tramonto, esca di scena prima di essere travolto dal ridicolo

Cronologia articolo18 aprile 2011

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Argomenti: Governo | Idv | Stefano Pedica | Stefania Craxi | Berlusconi | Lega

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 19:21.

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Stefania Craxi: Berlusconi è al tramonto, esca di scena prima di essere travolto dal ridicoloStefania Craxi: Berlusconi è al tramonto, esca di scena prima di essere travolto dal ridicolo

"È ora di aprire una stagione nuova, con idee nuove, uomini nuovi, linguaggi nuovi. Perché, direbbe mio padre, "non era questa l'Italia che sognavo; derisa all'esterno e miserabile al suo interno"". Lo dice il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi, in un'intervista concessa al settimanale 'A' in edicola mercoledì prossimo. Intervista in cui la Craxi invita Berlusconi a prepararsi a fare un passo indietro.

"Silvio deve uscire di scena nel modo giusto, non può essere travolto dal ridicolo. Deve smetterla di raccontare queste barzellette oscene: non gli fanno onore e non fanno ridere". Il sottosegretario agli Esteri, amica personale del premier, rompe anche il silenzio sulle feste di Arcore: "Su questo dico solo due cose. La magistratura deve perseguire il reato e non moralizzare la società. Ma tutto quello che é successo non é stato uno spettacolo bello".

Berlusconi al Quirinale? Meglio uno giovane

La Craxi è critica anche sulla possibilità che Berlusconi possa diventare presidente della Repubblica: "Vorrei vedere l'età abbassarsi. Siamo un Paese vecchio e la mia generazione si consumerà in questa lunga transizione. Interroghiamoci allora: da quanto tempo i nostri capi dello Stato hanno ottant`anni?". Il sottosegretario agli Esteri gela anche le ambizioni di Alfano come successore: "Non può un`intera classe dirigente politica essere nominata con il favore del potente di turno. Io per prima. Non è questo il modo per selezionare una classe dirigente. Il ministro della Giustizia? Stiamo sempre parlando di classi dirigente scelte dall`alto". Poi, Craxi invita Tremonti a farsi avanti: "Giulio ha fatto bene, ha tenuto la barra dell`economia dritta. Ma troppe volte dà l`impressione di rintanarsi facendo solo conto sulla Lega... Deve ragionare, deve capire che la Lega non gli basterebbe...". Ultimo sì a Casini: "Quando si riorganizzerà il sistema politico eserciterà un fascino. Sicuramente più di altri". E ultimo no a Montezemolo: "Potrà mettere qualche soldo nella politica, ma soldi ce ne sono già a sufficienza".

Pedica: critiche al premier finalmente anche dagli amici

"La Craxi che invita Berlusconi ad uscire di scena non fa che dare credito ad una corrente di pensiero che dai banchi dell'opposizione rimbalza fino in Europa e nel pensiero politico del mondo intero: il premier ha affossato il nostro paese e lui stesso é la raccapricciante caricatura di un uomo che sta passando alla storia sotto il capitolo 'bunga bungà"". Lo afferma, in una nota, il senatore dell'Idv Stefano Pedica. Che aggiunge: "Finalmente dalle persone vicine al premier vi é qualcuno che rompe il silenzio e si fa trasportare da un'esigenza di onestà politica ed intellettuale invitando la magistratura ad andare avanti con il proprio lavoro. Se chi tace acconsente, questa volta é proprio Stefania Craxi, la figlia di colui che Berlusconi l'ha voluto in politica, che parlando dissente"

 

 

 

 

 

2011-04-17

Tettamanzi: molti ingiusti non vogliono essere giudicati

Cronologia articolo17 aprile 2011

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Argomenti: Dionigi Tettamanzi

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 15:54.

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Tettamanzi: molti ingiusti non vogliono essere giudicatiTettamanzi: molti ingiusti non vogliono essere giudicati

Gli ingiusti si facciano giudicare. I ricchi accolgano i poveri. "Quelli che stiamo vivendo oggi, secondo l'Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, sono "giorni strani. I più dotti potrebbero dirli giorni paradossali".

Nella sua omelia per la celebrazione della Domenica delle Palme, l'arcivescovo spiega che le motivazioni di ciò "sono moltissime e differenti. Ad esempio, per stare all'attualità: perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come "guerra" le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?".

Tettamanzi interrogandosi ancora sulla attualità ha spiegato: "Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti. È un criterio caratterizzato da dominio superbo, subdolo, violento, oppure è un criterio contraddistinto da attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene?".

"Siamo allora chiamati a interrogarci sull'unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti - ha aggiunto l'Arcivescovo di Milano - la vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sé, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita".

"Nella società, nella politica, nelle famiglie e anche nella Chiesa - ha concluso Tettamanzi- consideriamo stoltezza mettere gli altri al di sopra di noi e crediamo piuttosto nella forza del denaro, del potere, del successo a ogni costo. Alzare la voce, cercare giusta vendetta, mostrare la nostra forza sono diventati i nostri criteri per regnare", ma solo Gesù ha "il potere".

 

 

 

 

Berlusconi attacca la cellula rossa dei pm - Fini: escalatione vergognosa di menzogne

Cronologia articolo17 aprile 2011

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Argomenti: Giustizia | Letizia Moratti | Milano | Gianfranco Fini | Silvio Berlusconi

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 14:39.

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Berlusconi attacca la cellula rossa dei pm e lancia la sfida per le amministrative (Ansa)Berlusconi attacca la cellula rossa dei pm e lancia la sfida per le amministrative (Ansa)

Silvio Berlusconi torna di nuovo all'attacco della "cellula rossa dei pm" con un discorso di oltre un'ora. L'occasione è la convention al teatro nuovo Milano per sostenere la candidatura di Letizia Moratti a sindaco. "Le accuse su cui si basano i miei processi e sostenute dalla cellula rossa dei pm sono assolutamente infondate". E prosegue: "Tutte le accuse sono infondate l'ho giurato sulla testa dei miei cinque figli e dei miei amatissimi nipoti". E ritorna a insistere sul "patto scellerato Fini-magistrati".

Affermazione che trova subito la replica a distanza del presidente della Camera.

Il discorso a Milano

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Vedi tutti "

Nel discorso a Milano il premier manda un avviso ai "naviganti delle Procure": "la riforma della Giustizia la faremo anche se riusciranno a far fuori Berlusconi perchè avremo sempre la maggioranza al Governo e in Parlamento. Anche se ci scommetto che non riusciranno a farmi fuori". Ha inistito Silvio Berlusconi, dal palco del Teatro nuovo di Milano ribadendo la "ferma volontà" di condurre in porto la riforma della Giustizia, a dispetto dei magistrati, ovvero dei "signori che pensano di farmi fuori da 17 anni".

Il premier ha poi ricordato le 2565 udienze che sono "un record assoluto nella storia dell'uomo e dell'universo", per tornare a ribadire che "la riforma della giustizia è indispensabile". Nel ripercorrere i tanti processi a suo carico e gli altrettanti proscioglimenti e assoluzioni, Berlusconi ha sottolineato che "la grande maggioranza dei magistrati lavora con onestà", per poi riaffondare contro i "più di 1000 magistrati che si sono occupati" di lui e che avrebbero lavorato sul nulla: "non c'è un solo fatto sui cui ha lavorato questa cellula rossa della Procura che si avvicina alla realtà".

Quindi, il progetto: "dobbiamo separare i magistrati giudicanti dai procuratore, devono avere concorsi, carriere, uffici diversi. Se i pm vogliono parlare con il magistrato devono fissare un appuntamento, entrare col cappello in mano, dargli del 'leì come accade per gli avvocati della difesa.

Oggi, invece, i giudici sono soggetti per carriera al volere dei pm e della loro casta". Berlusconi è tornato a ripetere che "non è giusto che nella magistratura ci siano partiti politici".

Il test politico

I messaggi arrivati dalla convention non sono relativi solo alla giustizia. Le prossime amministrative "sono elezioni cittadine ma sono forse di più elezioni nazionali". "Il berlusconismo non è al tramonto, a Milano supereremo i 53 mila voti delle ultime elezioni". "Noi abbiamo introdotto una nuova moralità in politica che è quella di mantenere gli impegni assunti con gli elettori. Una nuova moralità della politica che non significa solo non rubare".

 

 

 

Fini replica a Berlusconi: "Fuori le prove del patto con i magistrati"

Cronologia articolo17 aprile 2011

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Argomenti: Reati | Giuseppe Cacini | Letizia Moratti | Gianfranco Fini | Di Pietro | Silvio Berlusconi | Anm

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 15:42.

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Fini replica a Berlusconi: "Fuori le prove del patto con i magistrati"Fini replica a Berlusconi: "Fuori le prove del patto con i magistrati"

Gianfranco Fini replica subito alle nuove accuse di un patto con i magistrati arrivate da Silvio Berlusconi durante la kermesse elettorale per Letizia Moratti. Il presidente della Camera sottolinea: "L'escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile. Anche oggi, e per l'ennesima volta, il presidente del Consiglio ha detto di avere le prove di un patto scellerato che avrei sottoscritto con la magistratura per impedire le riforme della giustizia - sottolinea Fini - Lo sfido a dimostrare quel che dice: dica il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà, cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna".

Le critiche dell'Anm

Giuseppe Cacini, segretario Anm, parla invece di "una bugia e una grave calunnia": "È prevalente l'aspetto della rottura istituzionale, io non sono mai stato un appassionato della persecuzione dei reati di opinione". Certo "quando Berlusconi dice che l'Anm ha firmato un accordo con il presidente della Camera è una bugia, una grave calunnia. Non posso che rispondere che è totalmente falso". "Berlusconi - ha concluso Cascini - faccia i nomi, ci faccia vedere il documento che dice di possedere e non avveleni le acque senza portare elementi a sostegno di quello che dice".

La denuncia di Di Pietro

Antonio di Pietro ha preannunciato l'intenzione di denunciare Silvio Berlusconi sul presunto patto, di cui il premier ha parlato oggi, tra Gianfranco Fini e i magistrati che indagavano sul presidente della Camera. "Andrò ancora una volta a denunciarlo per un fatto gravissimo".

Su Fini, ha aggiunto, "ha detto cose gravissime. Non credo sia avvenuto un fatto del genere, ma la magistratura deve comunque indagare: o è una calunnia o è un fatto vero".

Per Di Pietro, questo fa parte della strategia di Berlusconi. "Il suo messaggio mediatico è di buttare tutto in polemica politica per non far riflettere sul fatto che è accusato di fatti gravi", ha detto, "fa politica solo per motivi giudiziari. È andato in parlamento per non andare a San Vittore", ha aggiunto.

 

 

 

 

 

2011-04-14

Ai top manager italiani un assegno post crisi da 300 milioni di euro

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Fine anticipata per il processo Mills

di Giovanni NegriCronologia articolo14 aprile 2011Commenti (7)

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Argomenti: Reati | Silvio Berlusconi | Angelino Alfano | Milano | Csm

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 08:16.

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MILANO. Tra 7mila, lo dice Alfano, e 15mila, secondo i calcoli del Csm. L'impatto sui processi in corso delle norme sulla prescrizione breve è ancora oggetto di valutazione, ma per il ministro della Giustizia Angelino Alfano gli effetti dovrebbero essere circoscritti a non più dello 0,2% dei procedimenti penali aperti che sono in tutto 3 milioni e 290mila in tutti i gradi di giudizio, colpiti dal 5% di prescrizione all'anno. La norma però riguarderà solo i processi di primo grado e le relative prescrizioni che sono state in tutto 125mila nel corso del 2009; inoltre il beneficio interessa unicamente gli imputati incensurati che, sulla base dei dati del casellario, rappresentano circa il 55% dei condannati. Risultato, circa 7mila procedimenti fulminati; un dato che il Csm, che valuta la norma come una "sostanziale amnistia", raddoppia sia pure informalmente portandola a 15mila ma allargando la stima anche all'appello.

Alfano, dopo avere ricordato che circa 100mila delle prescrizioni annuali si verificano nella fase delle indagini, "per una selezione di gravità operata dal pubblico ministero", in ogni caso minimizza e sottolinea provocatoriamente (dimenticando però che l'ultimo intervento sui termini di prescrizione è stato effettuato nel 2005 con la legge ex Cirielli da una maggioranza di centrodestra) che pochi dei processi a rischio di prescrizione avrebbero evitato di essere cancellati se anche la norma sulla prescrizione breve non fosse stata approvata.

Di fatto a esserne interessato sarà il processo che vede il premier Silvio Berlusconi imputato a Milano per corruzione in atti giudiziari che con una pena massima di 8 anni, innalzabili di un quarto sino a 10, vedrà ridotto di 6 mesi, quindi a 9 anni e 4 mesi, il tempo per la prescrizione. Così un processo che si sarebbe prescritto tra poco meno di un anno, con almeno una sentenza di primo grado, finirà invece prima dell'estate.

Ma il ministero della Giustizia ha fatto anche il punto su alcuni processi in corso di forte impatto. Così per il disastro di Viareggio del giugno 2009 la prescrizione (accusa di omicidio colposo plurimo) scatterebbe nel 2044; nel 2021 per gli incensurati nel procedimento per i reati legati al terremoto dell'Aquila; per le lesioni volontarie, caso Santa Rita a Milano, si passerebbe da 8 anni e 9 mesi a 8 anni e 2 mesi; per il caso Parmalat, bancarotta fraudolenta aggravata, si passerebbe da 18 anni e 9 mesi a 17 anni e 6 mesi.

In generale, ragionando sui reati, la limatura determinata dalla riduzione del surplus di durata del processo determinato dai cosiddetti atti interruttivi, interesserebbe aggiotaggio e market abuse, ma anche la corruzione, che andrebbero da 7 anni e 6 mesi a 7 anni; furto pluriaggravato, usura e violenza sessuale passerebbero dagli attuali 12 anni e 6 mesi a poco più di 11 anni e 6 mesi. Per delitti molto gravi come l'omicidio colposo in violazione delle norme sulla circolazione stradale e sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro la prescrizione scenderebbe da 17 anni e 6 mesi a 16 anni e 4 mesi.

 

 

Montezemolo a Tremonti: "Visti i dati sulla mancata crescita c'è poco da ironizzare"

Cronologia articolo14 aprile 2011Commenta

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Argomenti: Politica | Emma Marcegaglia | Luca Cordero di Montezemolo | Giulio Tremonti

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 12:59.

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"C'è poca ironia da fare vista la situazione di mancata crescita e di mancate iniziative di politica economica". Così Luca Cordero di Montezemolo commentando la battuta di Giulio Tremonti sugli industriali rimasti soli. "È meglio metterci tutti con meno battute e invece impegnarci di più per avere più risultati. Condivido totalmente l'opinione di Emma Marcegaglia per quanto riguarda gli industriali".

"Il paese reale sta reagendo e si sta dando da fare"

Presentando oggi a Roma un accordo per una iniziativa di solidarietà a sostegno della ricerca, Montezemolo ha detto che "c'è un paese reale che sta reagendo e si sta dando da fare". Alla domanda di alcuni cronisti su quanta distanza vi sia tra il paese reale e quello che si sta discutendo in Parlamento, Montezemolo ha risposto che "iniziative come queste dimostrano che c'è un paese che ha voglia di fare e non di occuparsi solo degli affari propri - ha continuato -. Sono quelli che chiamo gli italiani ignoti, che sono la grande forza di questo paese, malgrado una politica sempre più lontana dai problemi, dalle esigenze vere e da scelte coraggiose che bisogna assolutamente fare per guardare al futuro, a cominciare da non trascurare la ricerca".

 

 

Sconto agli incensurati ma solo in primo grado

di Donatella StasioCronologia articolo14 aprile 2011Commenti (1)

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Argomenti: Reati | Camera dei deputati | Csm | Alfano | Senato

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 08:17.

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ROMA. Il "processo breve" è morto, W la "prescrizione breve". Nei 6 articoli del provvedimento votato ieri dalla Camera, non c'è più traccia della ghigliottina per i processi "lumaca", bandiera impugnata dalla maggioranza con il testo approvato dal Senato più di un anno fa. In compenso c'è un ulteriore taglio della prescrizione, ma solo per gli imputati incensurati. I quali, stando ai dati forniti dal ministro Alfano, sono il 55% dei condannati in primo grado, quindi più dei recidivi. E tuttavia, la nuova legge li premia (perché sono "buoni", mentre i recidivi sono "cattivi") con uno sconto del termine massimo della prescrizione. Un premio per chi in futuro commetterà un qualsiasi reato, ma anche per chi lo ha già commesso ed è imputato in un processo in corso non ancora giunto alla sentenza di primo grado. Decisamente più fortunato (e più "buono") di chi (pur sempre incensurato) al momento dell'entrata in vigore della legge avrà appena varcato la soglia dell'appello, non importa se con alle spalle una condanna o un'assoluzione. Per costoro niente sconto.

La "prescrizione breve" per gli incensurati è diventato il cuore del provvedimento approvato dalla Camera. Dei 10 articoli del testo del Senato ne sono rimasti 6, di cui uno nuovo di zecca - il 3 - che riduce da 1/4 a 1/6 l'aumento della prescrizione in caso di interruzione. Un piccolo, ma significativo ritocco alla legge ex Cirielli, che per la maggioranza serve a "riequilibrare" quel testo in favore degli incensurati. Un segnale di "equità", insomma.

Già nel 2005 gli incensurati furono oggetto di attenzione. La ex Cirielli dimezzò la prescrizione per tutti i reati (tranne la mafia) ma, in caso di interruzione, stabilì aumenti diversi dei termini massimi, in relazione alla tipologia degli imputati: 1/4 per gli incensurati e i recidivi semplici (chi, dopo più di 5 anni, commette un reato diverso dal precedente); la metà per i recidivi reiterati (chi commette entro 5 anni un reato della stessa indole del precedente); 2/3 per i plurirecidivi; il doppio per i delinquenti abituali. Prima della ex Cirielli, una corruzione semplice commessa da un incensurato si prescriveva in 15 anni (10 più la metà); con la ex Cirielli si prescrive in 7 anni e mezzo (6 più 1/4); con la legge votata ieri dalla Camera si prescriverà in 7 anni per gli incensurati (6 più 1/6) e in 7 e mezzo per i recidivi semplici (6 più 1/4).

Uno sconto minimo, che calato nella realtà della giustizia penale sarà foriero di non pochi problemi, anche perché la prescrizione decorre dalla scoperta del reato, non da quando comincia il processo. L'impatto maggiore si avrà sui processi in corso. Il taglio farà infatti saltare la programmazione del lavoro degli uffici: in genere, i processi per reati con una lunga prescrizione danno la precedenza a quelli con prescrizione più breve, ma se nottetempo arriva una legge che taglia i termini, quei processi saltano. Ebbene, la legge votata dalla Camera dice che il taglio della prescrizione si applicherà solo ai processi in corso non ancora arrivati a una sentenza di primo grado. Come il processo Mills. Per effetto del taglio, molti di questi processi si chiuderanno all'istante perché i reati risulteranno prescritti. Molti altri processi, nonostante il taglio, arriveranno alla sentenza ma avranno meno tempo per concludersi in appello e in Cassazione. Dunque, ai 7mila processi che, secondo i dati di Alfano, saranno fulminati in Tribunale, vanno aggiunti quelli che, con il taglio, moriranno anzitempo nei gradi successivi.

Quanto al "processo breve", l'articolo 5 è diventato ormai una norma di indirizzo poiché lo sforamento dei tempi provocherà solo una segnalazione del capo dell'ufficio al Csm e al ministro della Giustizia. Peraltro, la legge contiene un paradosso. Alfano ha ricordato che oggi la durata media del processo è di 4 anni e mezzo, ma la "durata ragionevole" auspicata nel ddl è superiore: 6 anni e mezzo per i reati sotto i 10 anni; 7 e mezzo per quelli puniti con più di 10 anni; 10 anni per i reati di mafia. Senza calcolare le indagini e l'aumento di 1/4 del tempo se il processo è complesso e con molti imputati.

 

 

 

 

2011-04-12

Prescrizione breve: corsa contro il tempo tra opposizione e Colle

di Barbara FiammeriCronologia articolo12 aprile 2011Commenti (10)

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Argomenti: Giustizia | Giorgio Napolitano | Osvaldo Napoli | Api | Silvio Berlusconi | Fabrizio Cicchitto | Pd | Csm | Camera dei deputati

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2011 alle ore 10:07.

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Prescrizione breve: corsa contro il tempo tra opposizione e CollePrescrizione breve: corsa contro il tempo tra opposizione e Colle

ROMA - Il fischio di inizio è fissato oggi alle 15 e terrà inchiodati i deputati di maggioranza e opposizione almeno fino a mercoledì sera, anche se non sono esclusi i supplementari. La partita sul processo breve, ribattezzato prescrizione breve, alla Camera si annuncia cruenta. Il voto finale, in diretta televisiva e con una piazza Montecitorio presumibilmente attorniata dai manifestanti, dovrebbe arrivare mercoledì intorno alle 19.

Almeno così si augura la maggioranza. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl, invita tutti i suoi alla massima "coesione" e "attenzione" mentre l'opposizione si prepara a dar vita a un vero e proprio "Vietnam parlamentare".

Sono infatti circa 200 gli emendamenti già presentati e su cui Pd, Idv, Udc, Fli e Api si preparato alla maratona ostruzionistica. A questi potrebbe aggiungersi quello ieri annunciato dal pidiellino Osvaldo Napoli, per escludere dalla prescrizione breve processi come quello della strage ferroviaria di Viareggio. Un segnale che indica evidentemente la preoccupazione della maggioranza per le ricadute d'immagine sull'opinione pubblica. L'opposizione infatti è intenzionata a menzionare uno per uno i grandi processi, che verranno cancellati con l'accorciamento dei termini di prescrizione per gli incensurati. Tra questi al momento c'è anche quello di Viareggio. Proprio per questo uno dei familiari delle vittime aveva rivolto un appello al Capo dello Stato affinché fermasse la legge. Giorgio Napolitano ovviamente si limitò a sottolineare di seguire con attenzione la vicenda ("faccio quel che posso"). Il Pdl teme però che dal Colle possa arrivare un altolà, se non con il rinvio alle Camere dopo il via libera definitivo, attraverso alcune considerazioni una volta giunto il sì di Montecitorio a quella che il il vicepresidente del Csm Michele Vietti ha definito una vera e propria "amnistia".

Ma per la maggioranza e Silvio Berlusconi questa è una partita decisiva. In ballo c'è il destino del processo Mills e non solo, tant'è che è già stato predisposto un piano di riserva con il cosiddetto "processo lungo": il provvedimento all'esame del Senato che consente alla difesa di allungare la lista dei testimoni e impedisce all'accusa di avvalersi dei contenuti di sentenze passate in giudicato.

Gli schieramenti affilano le armi. E nell'arena di Montecitorio un ruolo da protagonista lo avrà anche l'arbitro ovvero Gianfranco Fini. Il presidente della Camera non sembra affatto intimorito dalle dure contestazioni dei giorni scorsi (su tutte il "vaffa..." del ministro La Russa) e ieri nel suo tour siciliano ha ribadito che "la legge è uguale per tutti e tutti coloro che hanno un conto con la giustizia devono pagarlo" e aggiunge: "Se a Montecitorio si sta discutendo di prescrizione breve invece che di altro è perché c'è una maggioranza e c'è un regolamento parlamentare da rispettare, pur avendo la mia idea personale". E l'idea di Fini è quella di Fli e dell'Udc che, assieme a Pd e Idv, sono pronti a dare battaglia contro quella che definiscono l'ennesima legge ad personam per Berlusconi.

La maggioranza però è intenzionata a procedere a spron battuto. Cicchitto nella lettera recapitata nelle caselle di tutti i parlamentari del Pdl richiama i suoi a non "cadere nelle provocazioni che facilmente possono emergere" determinando pericolosi rinvii.

 

 

 

 

 

 

2011-04-05

Caso Ruby: dalla Camera ok al conflitto d'attribuzione con dodici voti di scarto

Cronologia articolo5 aprile 2011Commenti (6)

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Argomenti: Politica | Umberto Bossi | Silvio Berlusconi | Italo Tanoni | Antonio Di Pietro | Milano | Michela Vittoria Brambilla | Corte Costituzionale | Autorità giudiziaria

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 15:55.

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Caso Ruby: dalla Camera ok al conflitto d'attribuzione con dodici voti di scarto (Ansa)Caso Ruby: dalla Camera ok al conflitto d'attribuzione con dodici voti di scarto (Ansa)

Sarà sollevato il conflitto d'attribuzione tra i poteri dello Stato davanti alla Consulta. La Camera ha infatti approvato con 314 voti a favore e 302 contrari la richiesta avanzata nei giorni scorsi dai capigruppo della maggioranza nel caso Ruby. L'obiettivo è quello di chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla competenza del tribunale dei ministri per il processo che vede coinvolto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sottraendolo a quella dell'autorità giudiziaria di Milano.

I due libdem e l'ex Mpa Misiti votano con la maggioranza

La votazione, avvenuta senza registrazione dei nomi e con il sistema elettronico, rende però evidente alcuni passaggi last minute. Con la maggioranza hanno infatti votato sia i due liberaldemocratici, Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, che pure ufficialmente fanno ancora parte del terzo polo, ma anche l'ex Mpa Aurelio Misiti, in predicato di diventare viceministro, ha assicurato il suo sostegno al Cavaliere. Niente colpi di scena, dunque, nel voto di oggi per il quale, va ricordato, sarebbe comunque bastata la maggioranza semplice. Ma in aula c'è il pienone perché ieri dal Pdl e dal Pd era partito un fortissimo battage verso i deputati cooptati in vista del voto odierno e invitati a cancellare impegni e missioni, senza alcuna eccezione.

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Ministri e sottosegretari al gran completo

Anche tra i banchi del governo si è registrato il tutto esaurito. Nell'Aula della Camera c'erano praticamente tutti i ministri tranne il presidente del Consiglio: sulla poltrona da lui solitamente occupata c'era Michela Vittoria Brambilla, seduta tra i colleghi Umberto Bossi e Franco Frattini. I banchi erano talmente pieni di ministri e sottosegretari che i ministri La Russa e Meloni non hanno trovato posto e hanno dovuto accomodarsi ai banchi da deputato. In aula è arrivato anche Alfredo Mantovano, che nei giorni scorsi ha annunciato le sue dimissioni da sottosegretario all'Interno, in polemica per la gestione dell'emergenza immigrati. Mantovano si è seduto, non ai banchi del governo, ma al tavolo dei relatori, come un semplice deputato.

Ovazione del Pd per l'intervento di Castagnetti

Nel corso delle dichiarazioni di voto non erano poi mancati i toni molto accesi. Come quelli usati da Pierluigi Castagnetti (Pd) che aveva puntato il dito contro la maggioranza. "State trasformando il Parlamento in un collegio difensivo allargato, questa è la violenza che stata perpetrando verso le istituzioni". Un intervento, il suo, accompagnato da una vera e propria ovazione dei colleghi di partito che al termine gli hanno tributato un lungo applauso. La decisione del centro-destra, aveva sottolineato Castagnetti, "è un provvedimento totalmente privo dei presupposti di legittimità. Non è vero che Berlusconi ha agito negli interessi dello Stato quando ha telefonato alla Questura di Milano o ha organizzato le serate ad Arcore: lì c'era tutto e di più tranne l'interesse dello Stato".

Consolo (Fli): no al conflitto per motivazioni giuridiche

Più o meno lo stesso ritornello intonato in Aula anche dall'avvocato finiano Giuseppe Consolo che aveva motivato il "no" di Fli alla richiesta di conflitto d'attribuzione appellandosi a mere "ragioni giuridiche". "La legge - rimarca Consolo- non esplicita chiaramente chi sia il giuidice naturale della ministerialità dei reati. Ma poichè per le immunità la Camera di appartenenza del parlamentare è invece il giudice naturale della competenza, noi riteniamo che per analogia anche sulla ministerialità dei reati. E non criteniamo che in questo caso vi sia la sussistenza per elevare conflitto di fronte alla Corte Costituzionale". Tranchant, poi, l'intervento di Antonio Di Pietro che ha accusato la maggioranza di "essere asservita a un padrone" e di essersi ridotta a votare sostenendo che "Ruby rubacuori sia stata creduta veramente la nipote di Mubarak".

Leone (Pdl): il comportamento dei giudici lede le prerogative della Camera

Dalla maggioranza era invece arrivato un sostegno compatto al Cavaliere. Per Antonio Leone del Pdl "il comportamento dei giudici di Milano lede le prerogative della Camera, che oggi siamo chiamati a difendere con forza". Mentre l'ex Fli, Silvano Moffa, uno dei leader dei Responsabili aveva posto l'accento sulle mancanze dei giudici milanesi. "Non capisco né lo scandalo né tanto clamore, non siamo chiamati ad esprimere giudizi morali sull'operato del presidente del Consiglio", ma a "reagire a una reale menomazione della potestà riconosciuta al Parlamento dall'articolo 96" visto che "i giudici di Milano hanno disatteso alle indicazioni della Camera ed è necessario reagire a una simile rottura della leale collaborazione tra i poteri". (Ce. Do.)

 

 

Il "feuilleton" giudiziario di Berlusconi riprende senza il protagonista, ma tutto il mondo aspetta Ruby

di Elysa FazzinoCronologia articolo5 aprile 2011Commenti (2)

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Argomenti: Giustizia | John Hooper | Cristiano Ronaldo | George Clooney | Belen Rodriguez | Camera dei deputati | Miguel Mora | Milano | Independent

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 15:06.

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Il "feuilleton" giudiziario di Berlusconi riprende senza il protagonista – Ma tutto il mondo aspetta il processo RubyIl "feuilleton" giudiziario di Berlusconi riprende senza il protagonista – Ma tutto il mondo aspetta il processo Ruby

Anche se Silvio Berlusconi è assente dal tribunale, i suoi processi restano sotto i riflettori della stampa internazionale. Ieri l'udienza preliminare nel caso Mediatrade, domani l'avvio sul Rubygate, mentre oggi torna in aula alla Camera la prescrizione breve.

Il britannico Guardian mette in evidenza in un titolo l'ultima accusa della procura di Milano: "Berlusconi accusato di frode fiscale mentre era in carica". Secondo quanto affermato dal pm Fabio De Pasquale nel procedimento Mediatrade sulle presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi di Mediaset, Berlusconi sarebbe stato socio occulto delle società di comodo di Frank Agrama anche quando era premier.

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"Berlusconi ha schivato le tasse anche mentre era capo del governo al quale erano dovute", scrive il corrispondente del Guardian John Hooper, facendo notare che la maggior parte delle accuse fatte negli anni a Berlusconi hanno riguardato le sue attività prima di entrare in politica o mentre era all'opposizione. Ma secondo le accuse del pm, "egli era coinvolto nel defraudare il Tesoro italiano anche quando era primo ministro".

Berlusconi respinge le accuse, nega che la sua società Mediaset abbia "ingannato gli azionisti ed evaso milioni di euro di tasse", precisa il Guardian.

De Pasquale – continua il quotidiano britannico - ha chiesto che Berlusconi sia processato per frode fiscale e appropriazione indebita. Ha detto di "avere le prove per dimostrare che il magnate-dei-media-diventato-politico-conservatore ha cospirato insieme ad altre 11 persone, tra cui suo figlio PierSilvio, per evadere milioni di euro di tasse tra la fine degli anni '80 e il 2008". "Per quanto posso saperne io, può essere che lo faccia ancora", ha aggiunto De Pasquale.

Berlusconi e i suoi presunti complici – spiega il Guardian - sono accusati di avere usato una filiale di Mediaset per comprare diritti televisivi a prezzi gonfiati tramite un intermediario. La differenza di prezzo sarebbe stata dirottata verso società offshore sotto il controllo di Berlusconi. Alla prima udienza preliminare, il 28 marzo, Berlusconi aveva negato ogni coinvolgimento e aveva detto di essere "la persona più imputata della storia e dell'universo".

Il premier ha fatto sapere che non sarà presente neppure all'apertura di quello che il Guardian chiama il "più sensazionale" dei quattro processi in corso, quello in cui è accusato di avere pagato una prostituta minorenne e abusato della sua posizione nel tentativo di mettere tutto a tacere.

L'Independent pubblica sul suo sito internet una breve notizia Ap - "Continuano le udienze per frode fiscale" – mentre il Financial Times, nella cronaca della missione del premier a Tunisi, osserva che l'assenza dall'Italia ha consentito al primo ministro di saltare l'udienza preliminare nella quale i pm hanno chiesto al giudice di rinviarlo a giudizio per frode fiscale legata al suo impero mediatico.

 

 

Napolitano: autonomia e indipendenza della magistratura sono principi inderogabili

di Claudio TucciCronologia articolo5 aprile 2011

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Argomenti: Presidenza della Repubblica | Giustizia | Giorgio Napolitano | Presidenza della Repubblica | Anm

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 13:25.

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Napolitano: autonomia e indipendenza della magistratura sono principi inderogabiliNapolitano: autonomia e indipendenza della magistratura sono principi inderogabili

Giorgio Napolitano auspica "un più sereno clima istituzionale" e ha ribadito il convincimento che "l'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Lo scrive il Quirinale in una nota diffusa al termine dell'incontro tra il capo dello Stato e la giunta dell'Anm, l'Associazione nazionale magistrati che gli ha espresso preoccupazioni e perplessità sul testo del disegno di legge costituzionale in tema di riforma della giustizia approvato l'11 marzo 2011 dal consiglio dei Ministri e non ancora trasmesso al capo dello Stato per la presentazione alle Camere. Pronta la replica del governo: il provvedimento sarà entro oggi 5 aprile nella disponibilità del presidente Napolitano, assicurano fonti del ministero della Giustizia, secondo le quali il testo è stato inviato ieri sera a palazzo Chigi seguendo la procedura ordinaria. Il ddl è stato quindi licenziato stamattina da palazzo Chigi con la sua relazione di accompagnamento e - sottolineano le stesse fonti - inviato al Quirinale, dove sta seguendo il regolare iter.

Nel corso del vertice Anm-Napolitano, sono state manifestate anche, prosegue la nota del Quirinale, vive preoccupazioni per le gravi ricadute sul sistema giustizia che potrebbero avere recenti iniziative di legge ordinaria e in generale per il continuo rinnovarsi di polemiche indiscriminate nei confronti della magistratura nel suo complesso.

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Palamara: grande attenzione da parte del Colle

"Abbiamo avuto grande attenzione da parte del presidente Napolitano", ha detto il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara. "La posizione dell'Anm - ha proseguito Palamara - non è di chiusura corporativa ma di volontà di mantener fermi quei principi che riteniamo capisaldi dello Stato di diritto e che sono a garanzia e tutela dei cittadini come l'autonomia e l'indipendenza della magistratura che riteniamo fortemente alterata nell'eventuale approvazione del disegno di legge sulla riforma costituzionale della giustizia". Al capo dello Stato, ha detto ancora Palamara, i rappresentanti dell'Anm hanno voluto inoltre rilanciare quelle che ritengono priorità per far funzionare meglio la macchina della giustizia e cioè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, l'informatizzazione della giustizia, e maggiori risorse. È in arrivo uno sciopero dei magistrati? "Prima intendiamo concludere il percorso istituzionale avviato questa mattina con l'incontro con Napolitano", ha tagliato corto Palamara.

Napolitano: su riforma serve ampia condivisione

Dal canto suo il capo dello Stato ha espresso "la convinzione che l'apertura di un confronto su proposte di modifica del Titolo IV della Costituzione possa costituire terreno di impegno per tutte le forze politiche e culturali e in particolare per tutte le componenti del mondo della giustizia: ferma restando la necessità che un tale confronto avvenga senza pregiudiziali e con la massima disponibilità all'ascolto e alla considerazione delle diverse impostazioni e proposte. In termini più generali, Napolitano ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948: "rimodulazione - scrive il Colle - che in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia". Napolitano ha sottolineato infine che le regole fissate nell'articolo 138 della Costituzione, sono "ispirate al principio della ricerca di un'ampia condivisione, che deve comprendere anche la definizione di puntuali orientamenti per le leggi ordinarie attuative della riforma costituzionale".

 

 

L'Anm: la prescrizione breve viola la Costituzione, attività legislativa piegata a interessi di parte

Cronologia articolo25 marzo 2011Commenti (4)

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Argomenti: Giustizia | Silvio Berlusconi | Luca Palamara | Maurizio Paniz | Angelino Alfano | Camera dei deputati | ABC | Antonello Ardituro | Giuseppe Cascini

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 16:04.

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Luca PalamaraLuca Palamara

Si riaccende lo scontro tra magistrati e governo sulla giustizia. Questa volta nel mirino del sindacato delle toghe finisce la riduzione dei termini di prescrizione prevista dall'emendamento inserito nel ddl sul processo breve che, sottolinea l'Anm in una nota durissima, "nulla ha a che vedere" con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e "rischia solo di determinare l'impunità per autori di gravi delitti". Insomma, per i magistrati la prescrizione breve, firmata dall'esponente pidiellino Maurizio Paniz, "è una sconfitta per tutti: per lo Stato che non riesce ad accertare la responsabilità dei reati; per le vittime che non ottengono giustizia per il torto subito; per l'imputato che, se innocente, non vuole la scappatoia della prescrizione, ma una assoluzione nel merito".

La Cirielli bis è offesa per tutti i cittadini

Nel comunicato, firmato dai vertici del sindacato, Luca Palamara (presidente), Antonello Ardituro (vice) e Giuseppe Cascini (segretario), la prescrizione ridotta per gli incensurati, che avrà un impatto immediato se approvata nei processi a carico del premier Silvio Berlusconi, "è un'offesa per tutti i cittadini onesti di tutto il Paese". Perché, ricorda ancora l'Anm, già nel 2005 con la ex Cirielli i termini di prescrizione erano stati "drasticamente ridotti, tanto che, nel 2009 il numero dei reati distinti per prescrizione è stato di oltre 140mila". In un solo anno, lamenta il sindacato delle toghe, "più di 140mila persone accusate di un reato hanno beneficiato della scappatoia della prescrizione" ed è "evidente - aggiungono - che un ulteriore riduzione dei termini di prescrizione, in assenza di qualsiasi intervento diretto ad assicurare un migliore funzionamento del sistema giudiziario determinerà soltanto un significativo incremento del numero dei processi destinati alla prescrizione".

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IL PUNTO / Lo spinoso percorso della riforma della giustizia (di Stefano Folli)

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L'affondo del sindacato delle toghe: attività legislativa piegata a interessi di parte

Un affondo che l'Anm dirige anche contro la riforma della giustizia. "Non era mai successo che l'attività legislativa - scrivono ancora Palamara, Ardituro e Cascini - venisse piegata in maniera così esplicita a interessi particolari". Quegli interessi che, secondo i vertici del sindacato dei giudici, sono stati tutelati sia attraverso il taglio dei termini della prescrizione sia con una modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati punitiva e intimidatoria.Con un emendamento della Lega al ddl Comunitaria calendarizzato per lunedì in aula alla Camera, è arrivata infatti la norma che allarga la responsabilità civile dei magistrati e anticipa di fatto quanto previsto dalla riforma della giustizia approvata dal governo nelle scorse settimane.

Alfano difende la riforma: serve a rendere il processo più giusto

La maggioranza dunque tira dritto, mentre da Torino il guardasigilli Angelino Alfano difende il riassetto messo a punto dai tecnici di Via Arenula (leggi l'Abc). "Se si dice che la riforma costituzionale della giustizia non rende il processo più rapido, si dice il giusto: la riforma serve non per rendere il processo più rapido, ma più giusto". Quindi il ministro sottolinea di volersi assumere "la piena responsabilità politica" delle riforme sulla giustizia che hanno provocato le proteste". Soldi, aggiunge ancora il ministro, "non ce ne sono, la congiuntura internazionale è complicata. Chi mi chiede più soldi e più personale mi chiede la luna". (Ce. Do.)

 

 

 

 

 

 

 

2011-04-04

Il processo breve torna in aula, domani il voto sul conflitto di attribuzione per il caso Ruby

con un articolo di Andrea Maria CandidiCronologia articolo04 aprile 2011

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Argomenti: Reati | Corte Costituzionale | Milano | PDL | Montecitorio | Politiche Europee | Silvio Berlusconi | Camera dei deputati | Comunitaria

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2011 alle ore 07:50.

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È la settimana del processo a Berlusconi. Per mercoledì è fissata la prima udienza del Rubygate presso il tribunale di Milano. Ci si arriva – se mai c'era qualche dubbio – in un clima politico incandescente, reso ancora più infuocato dalla bagarre parlamentare dei giorni scorsi alla Camera sul processo breve e che non resterà certo indifferente a quanto succederà da domani sempre a Montecitorio. L'aula è, infatti, chiamata a pronunciarsi sia sulla richiesta della maggioranza di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale proprio sul caso Ruby, sia sulla prescrizione breve.

Sulla prima questione, che arriva in assemblea dopo che la scorsa settimana l'ufficio di presidenza non ha votato un parere in merito perché tra le parti c'è stato il pareggio dei voti, la maggioranza non dovrebbe avere problemi. I numeri, infatti, ci sono per far passare la linea che impone di interpellare la Consulta sul fatto se la procura di Milano sia incompetente a decidere sul reato di concussione contestato al presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. La vicenda – secondo Pdl, Lega e Responsabili – dovrebbe, infatti, finire davanti al tribunale dei ministri, visto che l'eventuale reato (la telefonata del premier al funzionario di polizia per far rilasciare Ruby, accreditata di essere la nipote dell'ex presidente dell'Egitto Mubarak) sarebbe stato compiuto da Berlusconi nella veste di presidente del Consiglio.

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La compagine governativa, per quanto confortata da una conta sulla carta, non può, però, dormire sonni tranquilli. I numeri, infatti, per quanto a favore, restano comunque risicati. E le vicende parlamentari dei giorni scorsi – con il pareggio dei voti in aula sulla deliberazione del resoconto relativo alle tensioni scatenatesi dopo aver accordato una corsia veloce al disegno di legge sul processo breve – lasciano aperta la situazione. Tanto più che il rimpasto è ancora per buona parte da portare a termine. Rimane sempre da sistemare la casella del ministro delle Politiche comunitarie e c'è da trovare la quadra sulla nomina dei sottosegretari. Poltrone che possono servire per calmare appetiti, ma al tempo stesso possono anche creare malumori negli aspiranti lasciati fuori dagli incarichi e che potrebbero trasformarsi in franchi tiratori.

Domani dovrebbe essere anche la giornata del processo breve dopo le infuocate sedute della settimana scorsa. Nell'occhio del ciclone la norma che introduce la prescrizione breve, che riduce a un sesto – non più a un quarto – il limite del prolungamento della durata della prescrizione a causa delle interruzioni previste dal Codice penale. A godere del taglio gli incensurati, anche nei procedimenti in corso purché non sia già stata pronunciata sentenza di primo grado. Vero è che il disegno di legge contiene anche altro, ad esempio cancella l'esenzione dal pagamento del contributo unificato, vale a dire la tassa d'accesso alla giustizia, per le richieste di indennizzo previste dalla legge Pinto nei casi di superamento del termine ragionevole di durata dei processi, ma l'attenzione è tutta sul versante dell'impatto sui processi del premier. In primo luogo il processo Mills nel quale il gioco dei nuovi termini dovrebbe garantire a Silvio Berlusconi di beneficiare della prescrizione.

Non è però detto che domani l'aula di Montecitorio riesca a esaminare il testo perché è stato inserito come ultimo punto all'ordine del giorno. Dopo la pronuncia sul conflitto di attribuzione relativo al caso Ruby, la Camera dovrà infatti affrontare altri tre provvedimenti, sui piccoli comuni, sulla Comunitaria 2010 e sulla nuova governance economica europea. E proprio al Ddl sulla Comunitaria è legata la sorte delle norme sulla responsabilità civile dei magistrati. Ma, per il momento, questo capitolo è congelato.

 

 

 

 

 

2011-04-03

Berlusconi: politica impotente, avanti con le riforme e con la nuova maggioranza. "Domani sarò a Tunisi"

Cronologia articolo3 aprile 2011

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Argomenti: Politica | Rete Itala | Corte Costituzionale | Roberto Formigoni | Rete Italia | Riva del Garda | Lampedusa | Silvio Berlusconi | Africa

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2011 alle ore 15:38.

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Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, torna a parlare di immigrazione e di riforma della giustizia in collegamento telefonico con l'assise di Rete Italia organizzata a Riva del Garda dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. "Ciò che sta avvenendo in questi giorni ripropone la validità dei nostri valori a cui si ispira il nostro impegno politico", ha detto Berlusconi nel corso del suo intervento telefonico al convegno di Rete Itala. Parlando delle migliaia di immigrati che arrivano in Italia il Cavaliere sottolinea come "siano tutti spinti da un'ansia di libertà e giustizia.

La crisi immigrazione a Lampedusa

"A Lampedusa la situazione è difficile. Anche questa notte sono arrivati altri 346 immigrati con gli ultimi imbarchi stasera ne resteranno 2500, le condizioni del mare hanno reso impossibile ieri l'imbarco dei profughi". Così Berlusconi spiega la situazione nell'isola siciliana dove arrivano i profughi dalla Tunisia e non solo. E proprio in Tunisia volerà domani il premier, la conferma è arrivata proprio da Riva del Garda: il premier sarà a Tunisi per provare a mettere un "freno" a quello che ha definito lo "tsunami umano" proveniente dai paesi del nord Africa. La situazione non è facile, dice, perché il governo di Tunisi "non è certo forte" in quanto "non è legittimato dai cittadini. Vedremo se potrà trovare il modo per opporsi alle partenze". "Di fronte a problemi gravi occorrono nervi saldi", ha osservato, criticando l'atteggiamento dell'opposizione che usa il problema dell'immigrazione per attaccare il governo. "Abbiamo davanti a noi problemi gravi - ha detto il premier - che invece di trovare aiuto nei nostri avversari, trovano la provocazione da una opposizione alla quale del bene comune non importa proprio nulla. La cosa che ferisce di più è un'opposizione che cerca di seminare odio contro di me". La visita in Tunisia servirà per chiedere al Paese nord africano di tenere fede agli impegni presi. Secondo fonti diplomatiche infatti l'Italia avrebbe già attivato 150 milioni per la parte della cooperazione e 70 per l'equipaggiamento in modo che Tunisi controlli le coste e freni il fenomeno dell'immigrazione clandestina.

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"Politica impotente, giustizia contropotere"

Berlusconi ha poi parlato anche della giustizia ed è tornato a contestare l'atteggiamento della magistratura e a promettere riforme strutturali per ridare potere alla politica. "Oggi in Italia - ha sostenuto - la politica è debole, a volte impotente. Noi siamo diventati dei capri espiatori, dei parafulmini della società. I poteri che contano sono quelli dell'economia, della finanza, quello pervasivo della giustizia, che in Italia è diventato un vero e proprio contropotere". Per Berlusconi, "la politica è impotente e messa all'angolo da un potere che non gode della legittimità popolare: i cittadini in democrazia devono avere il diritto di decidere il proprio futuro. Per questo sono necessarie, indispensabili e non rinviabili le riforme, da quelle istituzionali a quella della giustizia a quella tributaria".

Berlusconi se l'è presa anche con il nostro modello di parlamentarismo: "Il nostro Paese è nell'ambito delle democrazie occidentali l'unico in cui il potere esecutivo è sovrastato dai poteri delle Camere, del potere della magistratura e della Corte costituzionale, tutte corporazioni che si oppongono al cambiamento". L'obiettivo, ha detto Berlusconi, è completare la legislatura, forti di quelli che ritiene numeri parlamentari sufficienti a varare le riforme: "Avanti così con questa nuova maggioranza in Parlamento che per la prima volta dopo i veti di Fini e Casini" ha davanti due anni per approvare le riforme.

Serve coerenza, continua Berlusconi, che nel suo intervento telefonico al convegno di Rete Italia ha parlato di una "politica nuova". "Credo che la politica - ha osservato il presidente del Consiglio - non si debba ammantare solo di parole, di status, di privilegi a cui non corrisponde un'effettiva tensione al cambiamento della società e dello sviluppo. Allora veramente c'è un indebolimento della democrazia". "La politica - ha aggiunto - ha bisogno di fondarsi su valori, programmi e la capacità di realizzarli. Noi agiamo in grande coerenza perché senza coerenza fra ciò che mettiamo nei nostri programmi e ciò che facciamo la politica perde la fiducia della gente e il consenso dei cittadini".

 

 

2011-03-30

Dopo lo scontro slitta l'esame del processo breve. Opposizione sulle barricate

Cronologia articolo30 marzo 2011Commenti (10)

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Argomenti: Giustizia | Antonio Leone | Idv | Udc | Silvio Berlusconi | Gianfranco Fini | Ignazio La Russa | Camera dei deputati | Fabrizio Cicchitto

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 19:22.

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Clima sempre più teso sulla giustizia tra maggioranza e opposizione. Con il Pdl che accelera per incassare subito il via libera sul processo breve e sulla prescrizione ridotta per gli incensurati. Così il centro-destra ha chiesto e ottenuto stamane di invertire l'ordine del giorno della seduta dell'aula (guarda l'agenda dei lavori) per esaminare e votare immediatamente il provvedimento sul processo breve facendo slittare la legge Comunitaria che contiene la norma sull'ampliamento della responsabilità civile dei magistrati. "Non si tratta di processo breve, ma di processo europeo che abbia tempi decenti come richiede l'Europa e come richiedono i cittadini", ha quindi commentato il premier Silvio Berlusconi da Lampedusa dove è giunto oggi per l'emergenza sbarchi.

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Scontro tra La Russa e Fini che sospende la seduta. Esame del ddl slitta a domani

La temperatura del confronto tra i poli è poi salita nel corso della giornata. Così, durante il sit-in di protesta organizzato nel pomeriggio dal Pd davanti a Montecitorio, non sono mancati i momenti di tensione tra la polizia e i manifestanti decisi a raggiungere il portone di Montecitorio. Dal corteo è quindi partito un lancio di monetine all'indirizzo del ministro della Difesa Ignazio La Russa accompagnato da urla e slogan: "Mafiosi, ladri, vergogna". Il ministro La Russa è stato quindi costretto a rientrare nel palazzo e in aula ha ricostruito l'accaduto. "Si tratta di una contestazione premeditata contro la maggioranza, gli organi costituzionali e la libertà del Parlamento", ha detto La Russa che ha accusato poi il Pd "di essere complice dei violenti". Al termine del suo intervento il ministro si è quindi alzato in piedi applaudendo in maniera ostentata l'intervento del capogruppo Pd, Dario Franceschini. A questo punto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha richiamato La Russa che gli avrebbe risposto "non mi rompere, sto applaudendo". Al secondo richiamo di Fini, La Russa ha poi pronunciato un rotondo "vaffa". Da qui la replica di Fini ("non le permetto di insultare al presidenza") e la decisione di sospendere la seduta. Alla ripresa il vicepresidente Antonio Leone ha comunicato che l'esame del testo sul processo breve slitta a domani e sempre domani è stato convocato l'ufficio di presidenza di Montecitorio che dovrà verificare quanto accaduto "dentro e fuori dalla Camera".

La telefonata di scuse di La Russa a Fini

In serata, poi, Ignazio La Russa ha telefonato a Gianfranco Fini per scusarsi per quanto avvenuto oggi in Aula. Il titolare della Difesa, a quanto si apprende, ha spiegato al presidente della Camera di non aver mai voluto offenderlo, ma di aver rivolto il suo gesto al capogruppo del Pd alla Camera Dario Franceschini. Fini avrebbe risposto che "non è stata una offesa alla persona ma all'istituzione. La gravità di quanto accaduto sarà quindi valutata dagli organismi di Montecitorio". Infatti, Fini ha incaricato i questori della Camera di preparare una relazione su quanto accaduto a Montecitorio. Per questo motivo, i questori di Montecitorio hanno incontrato stasera alla Camera il Questore di Roma Francesco Tagliente per avere un quadro preciso della situazione. Domani la relazione sarà sul tavolo dell'Ufficio di presidenza.

 

Caso Ruby: pareggio in ufficio di presidenza, sul conflitto deciderà l'Aula della Camera

Cronologia articolo30 marzo 2011Commenti (10)

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Argomenti: Presidenza della Repubblica | Silvio Berlusconi | Corte Costituzionale | Montecitorio | Gianfranco Fini | Camera dei deputati | Movimento per l'Autonomia | Autorità giudiziaria | Prima Linea

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 17:00.

L'ultima modifica è del 30 marzo 2011 alle ore 17:11.

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È finita con un pareggio, nove voti a favore e nove contrari, la votazione nell'ufficio di presidenza della Camera sul conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale per il caso Ruby. Sulla vicenda si esprimerà quindi l'aula di Montecitorio. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non ha partecipato al voto. Assente alla votazione l'esponente dell'Mpa, Angelo Lombardo, che avrebbe portato a dieci i voti dell'opposizione. "Alla luce del voto che ha certificato l'impossibilità dell'ufficio di presidenza di portare un proprio parere in aula - è il commento di Fini al termine della votazione - è ancor più necessario che sia l'assemblea ad esprimersi". La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha poi deciso che l'aula si esprimerà sulla questione martedì prossimo, 5 aprile, alle 15, il giorno prima del via al processo Ruby a Milano. La seduta, che sarà trasmessa in diretta televisiva, potrebbe però slittare se la Camera non riuscisse a oncludere l'esame del ddl sul processo breve.

L'indicazione di Fini: sul conflitto l'ultima parola all'aula di Montecitorio

Gia stamane il presidente della Camera aveva indicato la necessità di consentire all'aula di valutare il conflitto d'attribuzione nel caso Ruby dopo che ieri si era invece espressa la giunta per il regolamento senza però arrivare a un parere formale (la maggioranza dei membri si era detta però contraria alla richiesta avanzata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili). "Quali che siano le conclusioni cui perverrà l'ufficio di presidenza - aveva detto Fini in mattinata -, l'assemblea deve essere comunque chiamata a pronunciarsi sulla questione secondo le modalità procedurali che la prassi ha consolidato a riguardo".

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Nell'ufficio di presidenza maggioranza sotto di un voto

Dunque il leader di Fli aveva confermato la linea emersa dalle indiscrezioni circolate già ieri sera passando poi la palla all'ufficio di presidenza dove la maggioranza politica è diversa da quella numerica. L'opposizione infatti può contare su 10 membri (11 se si considera anche Fini che, per prassi, non vota): 5 per il Pd (Bindi, De Biasi, Bocci, Albonetti e Lucà); 2 centristi (Buttiglione e Lusetti), un esponente dell'Mpa (Lombardo, oggi assente però), uno di Fli (La Morte) e una dipietrista (Mura). La maggioranza, invece, annovera al momento 9 voti: 7 Pdl (Leone, Lupi, Colucci, Mazzocchi, Fallica, Fontana, Milanato), un leghista (Stucchi) e un responsabile (la new entry Pisacane).

I tre precedenti citati da Fini

Aprendo la riunione di stamane Fini aveva quindi sottolineato che la vicenda sollevata dalla maggioranza "presenta aspetti speciali ed unici" e sottolineato che la discrepanza legata alla composizione dell'ufficio di presidenza "rappresenta un fatto di assoluta novità" rispetto ai tre precedenti in materia che aveva ricordato. Gli stessi già citati nel corso della riunione del 2 marzo: il caso Fagiano Sardelli del 2003 (l'ufficio di presidenza respinse la proposta di sottoporre alla Camera l'elevazione del conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria rispetto alla prerogativa della Camera di giudicare i titoli di ammissione dei deputati); il caso del consiglio regionale della Toscana datato 2008 (anche qui l'ufficio oppose un no a un possibile conflitto di attribuzione legato all'elezione di D'Elia, ex dirigente di Prima Linea ed ex terrorista, a segretario di presidenza della Camera); il caso Mancini del 2008 (sorto attorno a una richiesta di elevazione di conflitto avanzata dallo stesso deputato per una presunta violazione dell'articolo 68 della Costituzione in materia di intercettazione).

Lo stop dell'assemblea alla richiesta di perquisizione degli uffici del premier

Peraltro, aveva poi aggiunto Fini, in quei tre casi non erano state avanzate richieste di sottoporre la questione all'aula e i deputati di maggioranza erano comunque in numero superiore rispetto ai rappresentanti dell'opposizione. "Nella presente circostanza- aveva puntualizzato il leader di Fli - la decisione dell'ufficio di presidenza in merito all'elevazione o meno del conflitto, a causa della composizione dell'organo, può sottrarsi al criterio della maggioranza politica quale risulta dal complessivo assetto dei rapporti tra i gruppi". Fini aveva quindi ricordato che la richiesta avanzata da Pdl, Lega e Responsabili si collega "oggettivamente" alla deliberazione dell'aula del 3 febbraio scorso quando fu respinta la domanda di autorizzazione alla perquisizione degli uffici a milano del tesoriere di fiducia del premier Silvio Berlusconi, Giuseppe Spinelli, rispetto alla quale, aveva detto ancora Fini, "è prospettata come strumento per assicurare, in sede di contenzioso costituzionale, una tutela affettiva alla volontà precedentemente manifestata dall'assemblea". Nei precedenti casi menzionati, invece, non si riscontrava il collegamento con una decisione assunta dall'assemblea sulla stessa materia. (Ce. Do.)

 

Dopo lo scontro slitta l'esame del processo breve. Opposizione sulle barricate

Cronologia articolo30 marzo 2011Commenti (10)

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Argomenti: Giustizia | Antonio Leone | Idv | Udc | Silvio Berlusconi | Gianfranco Fini | Ignazio La Russa | Camera dei deputati | Fabrizio Cicchitto

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2011-03-25

De Tilla (organismo unitario dell'Avvocatura): con la mediazione civile è caos

Cronologia articolo25 marzo 2011

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Argomenti: Ministeri | Angelino Alfano | Idv | Udc | Consiglio di Stato | Pd | Camera dei deputati | PDL | Lega

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 17:35.

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De Tilla: con la mediazione civile è caos (LaPresse)De Tilla: con la mediazione civile è caos (LaPresse)

"Confusione" e "disagi" per i cittadini nel giorno dell'entrata in vigore della mediazione civile obbligatoria, "prima tappa della svendita e della rottamazione della giustizia civile". La denuncia arriva dall'Organismo unitario dell'Avvocatura, guidato da Maurizio de Tilla, che traccia un primo bilancio della protesta contro la mediazione che, da mercoledì scorso, vede impegnati oltre 200mila avvocati contro la nuova legge. In una intervista al Sole 24 Ore il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha sottolineato che con la mediazione obbligatoria si tagliano di un terzo ai tempi del processo.

Per de Tilla il ministro rifiuta il dialogo

Secondo de Tilla, il ministro della Giustizia sulla mediazione"rifiuta ancora una volta il dialogo. Positivo invece il bilancio del tavolo di consultazione politica". L'Oua già ha incontrato numerosi parlamentari di Pdl, Lega, Udc, Pd, Fli e Idv, "che hanno dimostrato - sostiene il leader dell'Organismo unitario - di essere vicini alla battaglia che stiamo conducendo per il rispetto della Costituzione e per affermare la dignità dell'avvocato e del diritto di difesa del cittadino".

L'astensione dalle udienze proseguirà

Anche domani è prevista l'astensione dalla udienze, ma sono già previste altre giornate di astensione e ulteriori manifestazioni pubbliche a Roma, Milano, Napoli, Venezia e in altre città per sensibilizzare i cittadini. "Continueremo la mobilitazione - ha detto de Tilla - e promuoveremo iniziative affinchè anche in Commissione Giustizia al Senato venga subito approvata la modifica normativa nei sensi indicati dall'Avvocatura".

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Due ddl per modificare la media-conciliazione

Maurizio de Tilla ha reso nota la calendarizzazione al Senato di due ddl per la modifica della media-conciliazione (Benedetti Valentini e Della Monica) che "testimoniano l'impegno bipartisan dei partiti di maggioranza e opposizione a favore delle nostre osservazioni e che raccolgono le proposte emerse dalle proteste di questi giorni. La realtà - conclude - è che il ministro vuole ignorare che l'impianto della mediaconciliazione è, nel suo complesso, incostituzionale".

Alpa: sulla responsabilità civile dei giudici non c'è ancora una posizione ufficiale dell'avvocatura

Non c'è ancora una posizione ufficiale dell'avvocatura perchè "abbiamo ricevuto oggi il testo" dell'emendamento del Carroccio approvato ieri dalla commissione Giustizia della Camera che prevede la responsabilità civile per i magistrati, però "chi amministra la giustiza deve avere garanzia di esprimere liberamente il proprio giudizio in conformità alla legge", ha detto presidente del Cnf, Guido Alpa a margine di una conferenza

stampa di presentazione delle iniziative per l'anno dell'avvocatura. "Dobbiamo valutare in che modo il principio" collegato all'orientamento della Corte Europea di Giustizia cui l'emendamento alla legge comunitaria si riferisce "è conforme ai principi costituzionali. E se il giudice può serenamente applicare la legge". Bisogna intendersi, per Alpa, sulle modalità in cui si commette l'errore: "nell'attività giudiziaria bisogna distinguere errori dovuti all'oscurità della legge (e in tal caso il Consiglio di Stato esclude responsabilità) dagli errori giudiziari veri e propri". L'avvocatura ricorda inoltre che con l'attuale disciplina, dall'88, anno in cui la legge Vassilli sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, sono stati "una decina i casi di condanna dello Stato a risarcire le vittime".

 

L'Anm: la prescrizione breve viola la Costituzione, attività legislativa piegata a interessi di parte

Cronologia articolo25 marzo 2011Commenti (1)

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Argomenti: Giustizia | Silvio Berlusconi | Luca Palamara | Maurizio Paniz | Angelino Alfano | Camera dei deputati | ABC | Antonello Ardituro | Giuseppe Cascini

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 16:04.

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Luca PalamaraLuca Palamara

Si riaccende lo scontro tra magistrati e governo sulla giustizia. Questa volta nel mirino del sindacato delle toghe finisce la riduzione dei termini di prescrizione prevista dall'emendamento inserito nel ddl sul processo breve che, sottolinea l'Anm in una nota durissima, "nulla ha a che vedere" con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e "rischia solo di determinare l'impunità per autori di gravi delitti". Insomma, per i magistrati la prescrizione breve, firmata dall'esponente pidiellino Maurizio Paniz, "è una sconfitta per tutti: per lo Stato che non riesce ad accertare la responsabilità dei reati; per le vittime che non ottengono giustizia per il torto subito; per l'imputato che, se innocente, non vuole la scappatoia della prescrizione, ma una assoluzione nel merito".

La Cirielli bis è offesa per tutti i cittadini

Nel comunicato, firmato dai vertici del sindacato, Luca Palamara (presidente), Antonello Ardituro (vice) e Giuseppe Cascini (segretario), la prescrizione ridotta per gli incensurati, che avrà un impatto immediato se approvata nei processi a carico del premier Silvio Berlusconi, "è un'offesa per tutti i cittadini onesti di tutto il Paese". Perché, ricorda ancora l'Anm, già nel 2005 con la ex Cirielli i termini di prescrizione erano stati "drasticamente ridotti, tanto che, nel 2009 il numero dei reati distinti per prescrizione è stato di oltre 140mila". In un solo anno, lamenta il sindacato delle toghe, "più di 140mila persone accusate di un reato hanno beneficiato della scappatoia della prescrizione" ed è "evidente - aggiungono - che un ulteriore riduzione dei termini di prescrizione, in assenza di qualsiasi intervento diretto ad assicurare un migliore funzionamento del sistema giudiziario determinerà soltanto un significativo incremento del numero dei processi destinati alla prescrizione".

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IL PUNTO / Lo spinoso percorso della riforma della giustizia (di Stefano Folli)

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L'affondo del sindacato delle toghe: attività legislativa piegata a interessi di parte

Un affondo che l'Anm dirige anche contro la riforma della giustizia. "Non era mai successo che l'attività legislativa - scrivono ancora Palamara, Ardituro e Cascini - venisse piegata in maniera così esplicita a interessi particolari". Quegli interessi che, secondo i vertici del sindacato dei giudici, sono stati tutelati sia attraverso il taglio dei termini della prescrizione sia con una modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati punitiva e intimidatoria.Con un emendamento della Lega al ddl Comunitaria calendarizzato per lunedì in aula alla Camera, è arrivata infatti la norma che allarga la responsabilità civile dei magistrati e anticipa di fatto quanto previsto dalla riforma della giustizia approvata dal governo nelle scorse settimane.

Alfano difende la riforma: serve a rendere il processo più giusto

La maggioranza dunque tira dritto, mentre da Torino il guardasigilli Angelino Alfano difende il riassetto messo a punto dai tecnici di Via Arenula (leggi l'Abc). "Se si dice che la riforma costituzionale della giustizia non rende il processo più rapido, si dice il giusto: la riforma serve non per rendere il processo più rapido, ma più giusto". Quindi il ministro sottolinea di volersi assumere "la piena responsabilità politica" delle riforme sulla giustizia che hanno provocato le proteste". Soldi, aggiunge ancora il ministro, "non ce ne sono, la congiuntura internazionale è complicata. Chi mi chiede più soldi e più personale mi chiede la luna". (Ce. Do.)

 

2011-03-22

Via libera della commissione giustizia alla norma taglia-prescrizione nel processo breve

Cronologia articolo22 marzo 2011Commenta

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Argomenti: Governo | Calogero Mannino | Maurizio Paniz | Pierluigi Mantini | Antonio Di Pietro | Daniela Melchiorre | Camera dei deputati | Idv | Pd

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 17:37.

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Maurizio PanizMaurizio Paniz

Ok della commissione giustizia della Camera all'articolo 4 bis proposto con un emendamento del relatore al provvedimento, Maurizio Paniz, che riduce da un quarto a un sesto il tempo necessario alla prescrizione per gli incensurati. Malgrado le barricate dell'opposizione che ha votato contro la misura, considerata una nuova norma salva-premier, la maggioranza incassa quindi una prima importante vittoria sulla giustizia. La commissione ha poi concluso l'esame del testo con Pd, Udc e Fli che per protesta hanno abbandonato a un certo punto i lavori della commissione, mentre i dipietristi sono rimasti al loro posto e hanno votato fino alla fine

In mattinata bocciati tutti i subemendamenti dell'opposizione

Stamane era ripreso l'esame degli emendamenti al ddl sul processo breve con lo slittamento a oggi pomeriggio del via libera alla norma targata Paniz. Nel corso della mattinata erano stati poi bocciati tutti i subemendamenti dell'opposizione all'articolo firmato dall'esponente pidiellino con una maggioranza di cinque voti (25 a 20, in media, è stato il risultato di ogni votazione). Uno scarto più ampio quindi di quello sulla carta che vede 24 voti sicuri di Pdl, Lega e responsabili contro i 23 sicuri di Pd, Idv e Udc oltre ai due voti "ballerini" di Calogero Mannino e Daniela Melchiorre, annoverati rispettivamente con maggioranza e opposizione ma che hanno disertato le ultime votazioni compresa quella di oggi.

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IL PUNTO / Lo spinoso percorso della riforma della giustizia (di Stefano Folli)

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L'Udc contro la maggioranza: testo migliorato ma c'è trucco di favore ad personam

L'opposizione aveva da subito criticato la norma taglia-prescrizione. "Il testo - ha rilevato il centrista Pierluigi Mantini - è stato molto modificato e molto migliorato ma contiene il trucco modesto di un favore ad personam sulla prescrizione agli incensurati fatto con lo scopo di abbreviare i processi del premier, un mezzuccio dozzinale per evitare che Berlusconi venga processato, un piccolo e chirurgico beneficio per il presidente del Consiglio". Secondo l'altro deputato Udc Lorenzo Ria "il premier essendo un uomo pubblico dovrebbe rinunciare alla prescrizione".

Di Pietro: norma incostituzionale e immorale

Critico anche il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, per il quale si tratta di una norma "incostituzionale" perché fissa "due categorie di incensurati: quelli che tirano per le lunghe i processi e non arrivano al primo grado e quelli che sono stati già giudicati colpevoli o innocenti in primo grado. La prescrizione breve di Paniz si applica solo ai primi". È una norma "immorale" perché "chiaramente personale, non ha ragion d'essere, va a incidere solo su limitatissimi casi compreso quello di Berlusconi". La maggioranza, aveva attaccato la capogruppo Pd in commissione, Donatella Ferranti, "approfitta della distrazione dell'opinione pubblica per fornire al premier uno strumento processuale che sarà di immediata applicazione e che toglierà definitivamente di mezzo il processo Mills. La prescrizione breve è una norma irragionevole cucita addosso a Berlusconi".

La difesa di Paniz (Pdl): norma non influisce sui processi del premier

Paniz aveva però rispedito al mittente le critiche accusando l'opposizione di voler "svilire" il suo lavoro e negando che l'introduzione dell'articolo 4 bis nel provvedimento potesse influire sui procedimenti in corso a carico del premier. "In nessun modo - aveva spiegato l'esponente del Pdl - si arriverebbe alla fine del processo Mills a fine febbraio dell'anno prossimo, e se siete onesti voi lo sapete bene". Paniz aveva quindi rivendicato di aver svolto il suo lavoro ascoltando il dibattito in commissione e le audizioni svolte e si era detto pronto a nuove modifiche.

 

 

2011-03-19

Magistrati in stato d'agitazione in segno di protesta contro la riforma della giustizia

Cronologia articolo

19 marzo 2011

L'Associazione nazionale magistrati si ricompatta di fronte al disegno di legge di riforma costituzionale presentato dal governo, che mira secondo il documento finale, approvato all'unanimità dal Comitato direttivo centrale dell'Anm, riunito oggi a Roma, al "controllo della politica sulla magistratura". Il documento, che proclama lo stato di agitazione anche se l'ipotesi di uno sciopero per ora non è presa in considerazione, in attesa dell'incontro di una delegazione delle toghe con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è stato votato anche dalla minoranza interna, culturalmente più vicina al centrodestra, di Magistratura indipendente.

Le toghe di Mi, tuttavia, hanno presentato anche una mozione per chiedere al vertice dell'associazione di "evitare atteggiamenti che espongano a strumentalizzazioni" e di "attenersi alla più rigorosa correttezza istituzionale". Una critica, in parte emersa anche dal dibattito di oggi, alle dure parole sulla mancanza di "legittimità" della maggioranza parlamentare, pronunciate ieri dal segretario dell'Anm Giuseppe Cascini. Il magistrato aveva detto che "il governo non ha legittimazione storica, politica, culturale e neppure morale" per affrontare il tema della riforma costituzionale della giustizia.

Lo stesso Cascini oggi ha puntualizzato che "non è mai stata in discussione la legittimazione del Parlamento, democraticamente eletto, a modificare una legge" e che la sua frase di ieri era "estrapolata da un discorso molto articolato, impropriamente riportata dalle agenzie". La mozione di Mi, in ogni caso, è stata respinta.

Vietti: "Cascini ha sbagliato, sbagliate le argomentazioni moralistiche"

Tuttavia oggi anche il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, ha preso le distanze dalle parole del magistrato: "Cascini è un magistrato apprezzato da tutti, e da me per primo, per la sua serietà e per la sua professionalità: ma questa volta ha sbagliato". Per Vietti "capita a tutti noi in qualche occasione di "scivolare" sulle parole e perciò non mi scandalizzo. Ma ha sbagliato perché la riforma proposta dal Governo si può criticare, anche radicalmente, ma senza far ricorso ad argomentazioni moralistiche sulla legittimazione dei proponenti, che finiscono per trasformarsi in un boomerang per chi le utilizza e per fare il gioco di chi si vuol contraddire".

Il 5 aprile l'incontro con il presidente della Repubblica

Durante la riunione del Comitato dell'Anm, il presidente Luca Palamara aveva chiamato i giudici alla "mobilitazione generale", annunciando che il prossimo 5 aprile una delegazione della Giunta dell'Anm incontrerà il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Palamara ha riferito al comitato direttivo centrale dell'Anm di aver scritto il 16 marzo scorso al capo dello Stato chiedendo un incontro "per rappresentare le nostre preoccupazioni sulla riforma". Nella stessa giornata, riferisce ancora il leader dell'Anm, è arrivata la risposta del Colle. "Questo incontro - ha detto il presidente dell'Anm - dimostra che la Giunta ha intenzione di muoversi nel pieno rispetto delle istituzioni". Anche Magistratura indipendente, l'unica tra le correnti a non avere un rappresentante in Giunta, è stata invitata da Palamara ad indicare il nominativo di un suo rappresentante per farlo partecipare alla riunione al Quirinale".

"Non vogliamo sostituirci al Parlamento"

"La giunta dell'Anm non vuole sostituirsi al Parlamento ma esprimere, con motivazioni tecniche, da operatori della giustizia, i rischi presenti nella riforma proposta dal governo che allarma e preoccupa tutta la categoria perché intacca l'assetto costituzionale diminuendo le garanzie per i cittadini", ha detto Palamara.

"Sin dall'inizio avevamo deciso di non esprimere valutazioni prima di venire a conoscenza del testo della riforma della giustizia, perché non volevamo rivestire il ruolo dell'avversario preconcetto e pregiudiziale", ma adesso che il testo è noto "la nostra posizione è unitaria, con un dissenso profondo per il merito della riforma e per il metodo usato", ha aggiunto il presidente dell'Anm.

Palamara ha ricordato che la presentazione della riforma è stata preceduta da un "clima di dileggio e offese" nei confronti della magistratura. "Quando parliamo di riforma punitiva - ha proseguito Palamara - ci riferiamo anche al metodo e alla tempistica non disgiunta, evidentemente, da tutte le vicende giudiziarie accadute in questi mesi". Il presidente dell'Amn ha ricordato che a novembre "il ministro Alfano ci disse che non sarebbero state fatte riforme ma sarebbero stati soltanto ritoccati gli aspetti organizzativi del funzionamento della giustizia, affermazioni che sono state del tutto smentite".

 

 

 

 

 

 

2011-03-16

Modificato il processo breve: prescrizione più rapida per gli incensurati e segnalazione del pm lento

Cronologia articolo16 marzo 2011Commenta

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Argomenti: Reati | Silvio Berlusconi | Presidente del Consiglio | Pd | Camera dei deputati | Maurizio Paniz | Donatella Ferranti | PDL

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2011 alle ore 21:15.

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Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz (Ansa)Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz (Ansa)

Il relatore del testo sul processo breve Maurizio Paniz ha presentato mercoledì sera in commissione Giustizia della Camera un emendamento che di fatto riscrive completamente il progetto di legge. La prescrizione in tempi più accelerati per gli imputati incensurati rispetto a quelli recidivi entra nella riscrittura del testo depositato, "ma non sarà applicabile ai processi di Berlusconi". Lo ha spiegato lo stesso parlamentare del Pdl, sottolineando che sul punto della prescrizione breve "ho voluto semplicemente introdurre una sacrosanta distinzione di trattamento fra chi è recidivo e chi no, toccando il termine di aumento della prescrizione in caso di sua interruzione (sarà di un sesto per gli incensurati, di un quarto per i recidivi) con una formulazione che escludo categoricamente possa essere applicabilie in qualunque modo ai processi nei confronti del Presidente del Consiglio".

"La mia - ha argomentato ancora Paniz- è una proposta dettata da una mia ben nota e antica convinzione giuridica: va penalizzato e punito il recidivo, sono stato l'unico parlamentare del mio partito a non votare per questo a suo tempo l'indulto". Ed in ogni caso, "questa come ogni mia altra proposta di revisione della legge, sono proposte a dispozione della commissione su cui aprire il confronto e lavorare". Dal testo originario sono stati infatti "intermente eliminati", ha sottolineato ancora il relatore, gli articolo 1 e 4 mentre è stato modificato l'articolo 5, "con l'obbligo di segnalazione dei giudici che non concludono i processi entro i termini di legge al Pg della Cassazione e al ministro della Giustizia, da parte del capo dell'ufficio giudiziario dove si celebra il processo".

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IL PUNTO / Lo spinoso percorso della riforma della giustizia (di Stefano Folli)

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La novità più importante della riscrittura dell'articolo 5 del provvedimento riguarda l'obbligo di segnalazione al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, da parte dei capi dell'ufficio giudiziario, del magistrato che non ha concluso il processo nei tempi stabiliti dalla legge. Insomma, il pm lento viene segnalato alle più alte sfere.

Secondo la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, con l'emendamento Paniz sulla prescrizione breve "è caduta la maschera, il processo breve era solo il titoletto per nascondere all'opinione pubblica le vere intenzioni della maggioranza: far scappare Berlusconi dai suoi processi. L'emendamento Paniz è sconcertante perché attraverso un cavilloso meccanismo interviene per ridurre i termini massimi della prescrizione del reato per gli incensurati. Guarda caso, proprio quello che chiedeva il collegio difensivo del presidente del consiglio".

Ma lo stesso premier Silvio Berlusconi, parlando mercoledì sera nel corso dell'ufficio di presidenza del Pdl, avrebbe invitato i dirigenti ad "andare in tv e in radio, documentandosi al meglio per spiegare la riforma della giustizia". Bisogna "fornire argomentazioni ai nostri sostenitori - avrebbe aggiunto il premier - e spiegare al meglio la riforma ai cittadini".

 

 

2011-03-14

Reati tributari in forte crescita fra 2008 e 2010. Milano in testa con oltre 1.700 pratiche aperte

di Andrea Maria Candidi e Giovanni ParenteCronologia articolo14 marzo 2011

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Argomenti: Agenzia Entrate | Guardia di Finanza | Corte Costituzionale | Fausto Zuccarelli | Milano | Pierfilippo Laviani

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 06:36.

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Milano guida il boom di reati tributariMilano guida il boom di reati tributari

I numeri non mentono. I fascicoli sui reati tributari nelle procure italiane sono quasi raddoppiati in due anni. Dietro le cifre il segnale di una pressione più forte sull'evasione da parte del fisco. E non solo. La collaborazione tra amministrazione finanziaria e procure sta portando alla luce sempre più spesso fenomeni molto sofisticati come l'utilizzo di società fittizie o di "cartiere". Un'"ingegneria" fiscale attraverso cui passa molto spesso il giro di false fatturazioni che rappresentano la fetta maggiore delle segnalazioni che guardia di finanza e agenzia delle entrate inviano agli uffici giudiziari.

Senza dimenticare i tempi supplementari che il fisco guadagna comunicando la notizia di reato: i termini di accertamento raddoppiano. Ad esempio, si passa da quattro a otto anni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi. Anche se sulla norma (introdotta nel 2006) che consente questa opzione è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale.

Il monitoraggio del Sole 24 Ore su 55 procure mette in luce come l'aumento sia di fatto generalizzato su tutto il territorio italiano: il salto in alto dal 2008 al 2010 è stato addirittura dell'80 per cento (in valori assoluti significa 3.500 illeciti in più). Se si guarda al dettaglio, si vede come alcune aree metropolitane abbiano di fatto guidato questo effetto crescita. È il caso di Napoli e Milano. Nel capoluogo partenopeo, l'aumento in termini percentuali è addirittura a tre zeri (oltre il 1.300 per cento). Fausto Zuccarelli, procuratore aggiunto e coordinatore della sezione criminalità economica, individua due spiegazioni: "Da un lato un diffuso ricorso al sistema delle false fatturazioni per evadere imposte e acquistare quote di mercato. Dall'altro un più incisivo intervento delle autorità finanziarie e giudiziarie". La crescita delle segnalazioni va letta anche con l'aumento delle dichiarazioni di fallimento: la cartina di tornasole è rappresentata da soggetti fittizi. "In molti casi sono chiusure "pilotate" – ricostruisce Zuccarelli – per trasferire l'intero pacchetto di beni ad altre società. Si viene a creare in questo modo una filiera di società che nascono e muoiono solo per evadere le imposte e fa leva sui tempi dei controlli, che avvengono quando i passaggi si sono già verificati".

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Milano è la procura tra quelle censite con il valore assoluto più alto di reati tributari (1.714) e i fascicoli sono addirittura triplicati negli ultimi due anni. La parte più rilevante – come in gran parte delle altre realtà italiane – riguarda le dichiarazioni fraudolente con false fatture, l'emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti, ma anche le dichiarazioni infedeli. Mentre nei primi due casi non c'è una soglia che fa scattare la segnalazione, nell'ultimo, invece, la punibilità penale può determinarsi in presenza di una doppia condizione: se l'imposta evasa va oltre i 103.291,28 euro e se comunque gli importi sottratti a tassazione sono superiori al 10% di quanto è stato dichiarato. Quindi la crescita, sotto questo profilo, è ancora più significativa. Da rilevare come a Prato, questo tipo di contestazione sia quadruplicata (da 16 a 68) nel periodo in osservazione.

In generale ci sono anche strumenti più incisivi a disposizione. "Lo Stato può confiscare la parte corrispondente a quanto il contribuente ha evaso – rileva Pierfilippo Laviani, procuratore aggiunto a Roma – "aggredendo" il suo patrimonio in via preventiva per poi procedere alla confisca vera e propria in caso di condanna". Questo comporta un diverso modo di procedere: "Prima un processo durava tre mesi, oggi ne dura sette – conclude Laviani – perché bisogna operare con accertamenti in profondità sul patrimonio dei contribuenti".

 

 

2011-03-13

Berlusconi difende ancora la riforma della giustizia: i pm cittadini come gli altri, se sbagliano devono pagare

Cronologia articolo13 marzo 2011

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Argomenti: Governo | Michele Coppola | Angelino Alfano | Il Cavaliere | PDL | Gianfranco Fini | DC | Pd | Europa

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 14:55.

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Berlusconi difende la riforma della giustizia: i pm cittadini come gli altri, se sbagliano devono pagareBerlusconi difende la riforma della giustizia: i pm cittadini come gli altri, se sbagliano devono pagare

Due telefonate a breve distanza, la prima a Catania alla manifestazione organizzata dalla Dc di Giuseppe Pizza, la seconda Torino a durante una convention del Pdl per il lancio della candidatura di Michele Coppola. Ma il refrain non cambia. Così Silvio Berlusconi, dopo il messaggio di ieri ai promotori della libertà, torna sulla riforma della giustizia (leggi l'Abc). Assicura che non ci "saranno forzature, ci sarà l'impegno ad adeguare il nostro paese a quanto avviene negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna". Sprona poi i suoi a a spiegare la riforma agli italiani perché "prevedo un'offensiva intensissima da parte di tutti magistrati di sinistra" e da parte di "tutta la gente di sinistra per far credere che questa sia una riforma contro i giudici e a favore di Berlusconi". Quanto poi agli altri provvedimenti del pacchetto giustizia, il guardasigilli Angelino Alfano, intervenendo al programma "In mezz'ora", annuncia che proporrà "il ritiro della norma transitoria dal processo breve così com'è scritta".

L'abc della riforma costituzionale della giustizia in 15 voci (di Claudio Tucci)

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L'autoelogio: sono coraggioso e temerario, forse anche un po' eroico e matto

Il Cavaliere rimarca poi "che non c'è alcuna norma ad personam, ma è una riforma organica" che ci allinea agli altri paesi. "Le carriere separate - aggiunge Berlusconi - esistono in tutto il mondo, sono la regola. Così come la responsabilità civile dei magistrati che se sbagliano devono pagare perché questo è il minimo richiesto in uno Stato di diritto". Poi il premier si lancia in un autoelogio. "Sono coraggioso, temerario, anche un po' eroico e forse un po' matto. Ho detto variamo subito questo importante riforma e lo abbiamo fatto".

Di nuovo contro Fini: ci siamo liberati di minoranza statalista e laicista

Berlusconi torna poi a rispolverare gli argomenti delle ultime settimane. Ribadisce così che il centrodestra è più coeso e determinato a rispettare il contratto con gli elettori: si è liberato di una minoranza statalista, laicista e giustizialista che aveva come primo obiettivo quello di bloccare la nostra azione riformatrice". Non fa nomi il premier, ma è chiaro il riferimento a Gianfranco Fini che già ieri aveva attaccato nel messaggio ai promotori della libertà giudicandolo ancora una volta il principale ostacolo all'azione riformatrice del governo. Ma il premier ne ha anche per gli altri, Pd in testa.

La sinistra? Condannata a lunghi anni di opposizione

Al centro-sinistra non risparmia infatti fendenti a cominciare dal tema dell'immigrazione. In un momento come questo, ragiona Berlusconi, "con alle porte un possibile esodo biblico dal Nord Africa verso di noi e verso l'Europa, ci sarebbe bisogno di una forte coesione nazionale e invece le nostre opposizioni stanno davvero offrendo ancora una volta uno spettacolo sconsolante". Poi, durante l'intervento telefonico al convegno di Pizza, attacca ancora la sinistra. "Ha coniato lo slogan "piazza continua", passa da una manifestazione all'altra e spera di dare al governo attraverso la piazza quella spallata che non è riuscita a dare in Parlamento. Io credo che così facendo si sta condannando a una definitiva marginalità e anche ad altri lunghi anni di opposizione perché la politica ha un senso, lo sappiamo, se riesce a dare risposte positive e concrete ai cittadini".

La replica di Bersani: lui è al tramonto, il futuro siamo noi

Il leader del Pd, Pierluigi Bersani, replica però a stretto giro all'ennesimo affondo del Cavaliere. "Io penso all'opposto - dice da Abano Terme il segretario - credo invece che il suo sia un tramonto, purtroppo pericoloso per il paese, perché non riusciamo ad affrontare nessuno dei problemi di questo paese, e perché vediamo picconate ai presidi democratici e costituzionali". Stiamo lavorando, prosegue Bersani, "per un progetto per un risveglio italiano. Per noi si tratta di fare opposizione ma anche di costruire un progetto per il futuro. Il futuro siamo noi". (Ce. Do.)

 

 

Fini apre sulla riforma ma bacchetta il premier: non c'è dittatura dei giudici. Casini al Pd: non vada sull'Aventino

di Celestina DominelliCronologia articolo13 marzo 2011

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Argomenti: Montecitorio | Udc | Pier Ferdinando Casini | ABC | Gianfranco Fini | Pd | Italia | Pierluigi Bersani | Silvio Berlusconi

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 15:41.

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Fini apre sulla riforma ma bacchetta il premier: non c'è dittatura dei giudici. Casini al Pd: non vada sull'AventinoFini apre sulla riforma ma bacchetta il premier: non c'è dittatura dei giudici. Casini al Pd: non vada sull'Aventino

Certo non ha gradito l'ennesimo affondo di Berlusconi che ieri, in un messaggio ai promotori della libertà, è tornato ad attaccarlo. "È il solito ritornello, non mi va di polemizzare, cerca un capro espiatorio". E non gli è piaciuta nemmeno la citazione di Alexis De Tocqueville fatta dal premier. "Non c'è alcuna dittatura dei giudici". Ma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non chiude la porta alla riforma della giustizia appena varata dal Consiglio dei ministri. Una cauta apertura, insomma, insieme alla promessa di una discussione in Parlamento "senza pregiudizi". Fini, però, non nasconde la dose di "diffidenza" che Fli si porterà dietro, ma riconosce che il testo del governo è tagliato su misura del Cavaliere.

Berlusconi difende ancora la riforma della giustizia: i pm cittadini come gli altri, se sbagliano devono pagare

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Giusto sedersi al tavolo senza pregiudizi

Il leader di Fli ribadisce dunque le sue condizioni. Quindi si sofferma a lungo sul merito del provvedimento riconoscendo che il testo uscito dal Cdm "non è ad personam" (guarda l'Abc) a differenza invece del processo breve all'esame della commissione Giustizia di Montecitorio che contiene "una norma transitoria che agevolerebbe Berlusconi". Quindi, spiega Fini ai microfoni di Skytg24, "è giusto sedersi al tavolo, in Parlamento", "senza pregiudizi" ma "con diffidenza" perché "alcune questioni non sono chiare": dalla fine dell'obbligatorietà dell'azione penale alla responsabilità dei magistrati. "Si discuta e vedremo di cosa si tratta". Per Fini infatti la "Costituzione non è intangibile può essere modificata ma non a di colpi maggioranza: occorre uno sforzo per arrivare a maggioranze condivise".

In Italia non c'è alcuna dittatura dei giudici

La cautela tuttavia per il presidente della Camera è d'obbligo: non gli sono piaciuti gli attacchi del premier, ma nemmeno le uscite con cui ha accompagnato la presentazione della riforma. Dalla citazione di Tocqueville sulla dittatura dei giudici ("in Italia non c'è", ha osservato Fini) a quella su Tangentopoli che non ci sarebbe stata se la riforma di Berlusconi fosse stata in vigore. "Che significa? Che un sistema di corruzione non sarebbe stato svelato? È evidente che se per Tangentopoli si intende un sistema diffuso di corruzione, voglio trovare qualcuno che dica che sarebbe stato meglio tenerlo nascosto. Se invece si intende che alcuni imputati sono stati poi assolti questa è un'altra cosa". Infine il leader di Fli ha invitato il governo a non occuparsi solo di giustizia".

Il segretario del Pd: dialogo è parola fumosa

Insomma, Fini apre pur con tutta la prudenza del caso. E al Cavaliere apre anche il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, che già nei giorni scorsi aveva confermato la sua volontà di dialogare senza pregiudiziali sulla riforma della giustizia. Così il numero uno dei centristi ribadisce le sue intenzioni, mandando un messaggio anche al segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che stamane con una battuta aveva liquidato la possibilità di un confronto con la maggioranza sulla riforma. "Sento parlare di dialogo, ma dialogo è una parola fumosa e se devo fumare fumo il toscano. Io dico una cosa precisa e cioè che c'è il Parlamento, noi siamo lì e discutiamo lì".

Botta e risposta tra Casini e Bersani

Parole che, però, non sono piaciute a Casini. "È un errore - avverte - dare un alibi a Silvio Berlusconi. Se il premier vuole fare pasticci o approvare provvedimenti ad personam non possiamo togliergli le castagne dal fuoco, ma abbiamo il compito di andare a vedere cosa c'è nella riforma della giustizia". Poi torna su alcuni dei tasselli del riassetto. "Quando parliamo di responsabilità dei magistrati o di separazione delle carriere tanti italiani sono d'accordo. Anche per questo se il Pd prende cappello e va sull'Aventino commette un errore politico". Bersani risponde a stretto giro. "Noi non facciamo nessun Aventino: siamo in Parlamento e lì discutiamo. Casini ha la sua posizione, che mi pare molto legata al voler segnalare una disponibilità, purchè Berlusconi non vari nuove leggi ad personam: su questo, inviterei Casini ad aspettare qualche settimana".

 

L'abc della riforma costituzionale della giustizia in 15 voci

di Claudio TucciCronologia articolo10 marzo 2011Commenti (5)

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Argomenti: Norme sulla giustizia | Corte di Cassazione | Consiglio dei Ministri | Csm | Consiglilo | Sezione II

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 14:33.

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L'abc della riforma costituzionale della giustizia in 15 voci (Imagoeconomica)L'abc della riforma costituzionale della giustizia in 15 voci (Imagoeconomica)

Diciotto articoli per riformare la giustizia italiana: dal "doppio" Csm, alla separazione tra giudici e pm, all'appellabilità delle sentenze di assoluzione "soltanto nei casi previsti dalla legge". In più, le nuove norme intervengo pure sul trasferimento dei magistrati, sui rapporti con la polizia giudiziaria e sulle regole disciplinari. Viene introdotta anche una nuova sezione, la II-bis, alla Costituzione per disciplinare la responsabilità civile dei magistrati.

Ecco comunque in 15 voci tutto quello che prevede il ddl costituzionale approvato oggi 10 marzo dal consiglio dei ministri.

Appellabilità delle sentenze (articolo 14). SI prevede che contro le sentenze di condanna sia sempre ammesso appello, salvo che la legge non disponga diversamente in relazione alla natura del reato, delle pene e della decisione. Le sentenze di proscioglimento sono appellabili soltanto nei casi previsti dalla legge.

Csm, si cambia (articoli 1 e da 6 a 8). Arrivano due Csm: uno, per la magistratura giudicante, l'altro per la requirente che non possono adottare atti di indirizzo politico nè esercitare funzioni diverse da quelle previste nella Costituzione. Viene introdotto poi l'articolo 104 bis della Costituzione che prevede che il Consiglio Superiore della magistratura giudicante è presieduto dal presidente della Repubblica. "Ne fa parte di diritto il primo presidente della cassazione. Gli altri componenti sono eletti per metà da tutti i giudici ordinari tra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal parlamento in seduta comune fra professori ordinari di università in materia giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio". Il consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal parlamento. I membri elettivi del consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili. Non possono, finchè sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, nè far parte del parlamento o di un consiglio regionale, provinciale o comunale. Per quanto riguarda la magistratura requirente, viene introdotto l'articolo 104 ter della Costituzione che prevede che il consiglio superiore è presieduto dal presidente della Repubblica. Ne fa parte di diritto il procuratore generale della Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per metà da tutti i pubblici ministeri fra gli appartenenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e per metà dal parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio. Il consiglio elegge un vicepresidente tra i componenti designati dal parlamentio e specularmente per quanto avviene per magistrura giudicante i membri elettivi durano in carica quattro anni, non sono rieleggibili nè possono essere iscritti mentre sono in carica "in albi professionali o far parte del parlamento o di un consiglio regionale provinciale o comunale". Quanto ai compiti dei due Csm, si stabilisce, con la sostituzione dell'articolo 105 della Costituzione, che "spettano al Consiglio superiore della magistratura giudicante e al Consiglilo superiore della magistratura requitrente, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni nei riguardi dei giudici ordinari e dei pubblici ministeri". Specifica importante: i consigli superiori non possono adattare atti "di indirizzo politico nè esercitare funzioni diverse da quelle previste nella Costituzione".

 

 

 

 

 

 

2011-03-12

L'affondo di Berlusconi: con la riforma della giustizia eviteremo la dittatura dei giudici

Cronologia articolo12 marzo 2011Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2011 alle ore 15:26.

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Chi si aspettava un premier in versione colomba rimarrà deluso. Perché in un messaggio inviato oggi ai promori della Libertà, Silvio Berlusconi rispolvera la sua vis polemica contro i magistrati e spiega che la riforma della giustizia è stata varata per porre fine "alla dittatura dei giudici". "Il grande Alexis de Tocqueville diceva: "Tra tutte le dittature la peggiore è quella dei giudici. Con questa riforma noi cercheremo di evitare che questo accada". Toni per niente concilianti. Sin dall'esordio il premier torna a scagliarsi contro i magistrati, la sinistra e l'ex alleato Gianfranco Fini. "Ora che Fini e i suoi - prosegue Berlusconi - non sono più con noi la maggioranza è più coesa e determinata e questo ci consentirà di portare in Parlamento una riforma assolutamente equilibrata e moderna".

L'abc della riforma costituzionale della giustizia in 15 voci (di Claudio Tucci)

La fiducia dei cittadini nella giustizia è ormai a zero

Una riforma che, ribadisce il Cavaliere come aveva già fatto all'indomani del via libera del Consiglio dei ministri, "non è una legge ad personam, non è una riforma per una persona o contro una persona e quindi l'opposizione non potrà dire che si applica ai miei processi". La riforma, chiarisce Berlusconi, "è per gli italiani, è rispettosa dei principi costituzionali e ha come obiettivo il giusto processo e una giustizia finalmente nell'interesse dei cittadini". Perché, lamenta Berlusconi, "l'equilibrio tra accusa e difesa non c'è più e non c'era da tempo, la bilancia della giustizia pendeva e pende senza eccezioni dalla parte dell'accusa a svantaggio dei cittadini, non è davvero un caso se la fiducia nella giustizia sia ormai a zero".

Il premier contro il Csm: terza Camera politica che critica governo e parlamento

Poi il premier non risparmia critiche. A cominciare dal Csm, "ormai diventato una specie di terza camera politica sempre pronta a criticare il governo e il Parlamento e a intervenire addirittura con commenti sulle leggi in discussione alle Camere". Quindi, avverte, "nei prossimi giorni e nelle prossime settimane dovremo rispondere ai numerosi attacchi che la sinistra e le toghe rosse hanno già iniziato a rovesciarci addosso nel tentativo di ostacolare questa riforma". Che, ripete ancora una volta, "se fosse stata fatta per tempo" avrebbe evitato Tangentopoli, ma anche l'abbattimento "del nostro primo governo nel 1994 e che ha determinato anche la caduta di un governo di sinistra a causa della loro improvvida proposta di riformare la giustizia avanzata dal ministro Mastella". Infine un messaggio all'opposizione: "Questa volta indietro non si torna, anche se noi, con lo spirito liberale che ci muove, saremo sicuramente aperti a integrazioni e a miglioramenti che potranno anche esserci suggeriti dai nostri oppositori purchè non si snaturi l'impianto complessivo della riforma". Bersani&co sono avvisati. (Ce. Do.)

 

 

2011-03-10

ll governo approva la riforma della giustizia - Anm: è punitiva. Pd: opposizione dura - L'Abc della legge

di Celestina Dominelli e Claudio TucciCronologia articolo10 marzo 2011Commenti (16)

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 11:08.

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di Celestina Dominelli

Il Cdm ha approvato il ddl costituzionale di riforma della giustizia dopo che il guardasigilli Angelino Alfano ha illustrato ai suoi colleghi i contenuti del riassetto. Ieri il ministro era salito anche al Quirinale per sottoporre la riforma al capo dello stato, Giorgio Napolitano. Il premier Silvio Berlusconi non trattiene l'entusiasmo per il traguardo appena raggiunto che la maggioranza inseguiva dal 1994. "È un punto di svolta non è contro nessuno", ragiona il Cavaliere con i ministri provando così a smorzare le polemiche che si sono scatenate dopo le prime indiscrezioni sul riassetto, soprattutto nel pianeta giustizia dove i magistrati sono in allarme già da tempo.

L'Abc del provvedimento (di Claudio Tucci)

Il Pd avverte: faremo opposizione dura

DOCUMENTI / Il ddl giustizia approvato dal governo

Berlusconi: riforma 20 anni fa? NessunaTangentopoli

Avanti tutta, dunque. Poi il premier di fronte ai cronisti, subito dopo il Cdm, assicura di non essersi mai interessato alle altre leggi sulla giustizia (dal processo breve alle intercettazioni) e conferma che il lunedì sarà in aula per difendersi dai processi. "Questa volta mi prenderò la soddisfazione di essere processato nelle aule processuali - dice il premier -. Mi prenderò delle belle soddisfazioni e spiegherò agli italiani come sono le cose. Ho la pretesa di venire assolto nei processi, come è stato fatto tante altre volte". Poi il Cavaliere si leva qualche sassolino dalla scarpa. E, quando un cronista gli chiede cosa sarebbe successo se la riforma fosse stata approvata vent'anni fa, ecco la risposta di Berlusconi. "Probabilmente non ci sarebbe stata l'esondazione della magistratura, la sua invasione della politica e tutte quelle situazioni che hanno portato, per esempio, all'annullamento di un'intera classe dirigente nel '92; all'abbattimento di un governo nel '94; alla caduta di un governo di centrosinistra per le riforme prospettate dal ministro della giustizia mastella; al tentativo di eliminare per via giudiziaria il governo in carica".

Giustizia, un progetto con molte incognite (di Michele Ainis)

La riforma è soprattutto un'operazione politica ben congegnata (di Stefano Folli)

Alfano cerca l'ok del Colle (di Donatella Stasio)

IL PUNTO - Video / Lo spinoso percorso della riforma della giustizia (di Stefano Folli)

Alfano: obbligatorietà azione penale secondo legge

In conferenza stampa il guardasigilli ha quindi illustrato il riassetto e ha assicurato che la riforma "non si applicano ai procedimenti penali in corso". Il cardine sarà "nella divisione tra giudici e pm". La riforma, ha aggiunto Alfano, "pone al centro la parità tra accusa e difesa. È un impegno che abbiamo assunto con i cittadini. Ed è quello che stiamo ostenendo dal 1994". Il ministro ha quindi confermato le indiscrezioni della vigilia e cioè che i due Csm (per metà togati e per metà laici) saranno presieduti dal capo dello Stato (esce dunque l'iipotesi di un Csm dei pm guidato dal procuratore generale della Cassazione). Ribadito anche l'intervento sull'obbligatorietà dell'azione penale che sarà esercitata, ha spiegato ancora Alfano, "secondo i criteri stabiliti dalla legge" che spetterà al parlamento predisporre con l'elenco delle priorità.

Il guardasigilli: non ci sarà appello se assolti in primo grado

Alfano ha poi annunciato che il riassetto conterrà anche l'inappellabilità per le sentenze di assoluzione in primo grado. "Il cittadino che viene prosciolto in primo grado non potrà essere più processato in appello per lo stesso reato. È sempre ammesso l'appello contro una condanna, ma non è permesso per chi ha il proscioglimento in primo grado".

Undici leggi ordinarie per attuare la riforma

Dal canto suo il premier ha evidenziato come saranno necessarie dieci leggi per dare completa attuazione al riassetto e che cammineranno singolarmente in Parlamento: 1) seprazione delle carriere; 2) organizzazione degli uffici dei pm; 3) istituzione dei due Csm (legge elettorale, componenti dei Consigli, etc.); 4) istituzione della Corte di disciplina; 5) i criteri di trasferimento dei magistrati da parte dei Csm in caso di sedi vacanti; 6) rapporti fra pm e polizia giudiziaria; 7) criteri per l'esercizio dell'azione penale (i criteri saranno indicati dal parlamento); 8) inappellabilità delle sentenze di assoluzione di primo grado; 9) nomina elettiva dei magistrati onorari; 10) responsabilità civile dei magistrati. In realtà nell'elenco poi fornito da Alfano ("le presenteremo quanto prima in Parlamento") spunta anche un undicesimo ddl di modifica dell'ordinamento giudiziario.

Berlusconi: è punto di svolta, non è contro nessuno

Durante la riunione il premier si è anche soffermato sui numeri in parlamento assicurando nuovi ingressi a puntello della maggioranza: l'obiettivo resta quota 330 che il Cavaliere si è detto sicuro di poter raggiungere in breve tempo. Ma l'attenzione e la grinta di Berlusconi sono tutti per l'ok alla riforma. "È dal 1994 che volevo questa riforma, è la nostra bandiera", è il ragionamento sviluppato dal premier, "e finalmente riusciamo a realizzare un punto fondamentale del nostro programma. Berlusconi è poi tornato ad assicurare che la riforma non ha nulla a che fare con i processi che lo vedono imputato (ben quattro in questo momento: Mills, Mediaset-diritti tv, Mediatrade e Ruby). "È un riassetto organico, di prospettiva e di profondo cambiamento che non ha nulla a che fare con i processi in corso".

Un lungo applauso accoglie l'ok alla riforma in Cdm

È bastata così un'ora e mezza per licenziare quella che Berlusconi stesso aveva definito nei giorni scorsi una riforma "epocale". La riunione del Cdm è infatti cominciata con un leggero ritardo per via di un nuovo vertice interministeriale sulla Libia che ha preceduto la riunione sulla giustizia. Il confronto è scivolato via senza intoppi e al termine dell'illustrazione il guardasigilli ha incassato un lungo applauso dal premier e dagli altri colleghi. Che hanno approvato all'unanimità il testo proposto dal ministro senza ulteriori modifiche. La soddisfazione dei componenti del governo è riassunta dalle parole del titolare dell'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, tra i primi a lasciare palazzo Chigi."È una riforma attesa da anni, i cittadini la apprezzeranno e, se chiamati, la voteranno massicciamente", ha detto il ministro alludendo all'iter del ddl. Che, per tagliare il traguardo, dovrà superare lo scoglio parlamentare ed eventualmente anche quello di un referendum popolare confermativo.

 

 

 

 

Berlusconi: discuteremo riforma giustizia con tutti. Ma il Pd avverte: opposizione dura. L'Anm: è punitiva

di Celestina DominelliCronologia articolo10 marzo 2011Commenti (3)

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 13:32.

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Assicurano subito dopo il Cdm che la riforma della giustizia appena varata dal governo sarà discussa con l'opposizione. Anzi, il guardasigilli Angelino Alfano si affretta a chiarire che "prenderà direttamente contatto con i partiti per consegnare il testo". Ma il premier Silvio Berlusconi e il ministro della Giustizia in versione dialogante convincono poco il centrosinistra, soprattutto democratici e dipietristi. Così passa pochissimo tempo tra il varo e le prime reazioni che non sembrano certo di apertura.

Pd: paese inchiodato su problemi di Berlusconi

Per il Pd interviene subito il capogruppo alla Camera, Dario Franceschini. "Faremo un'opposizione dura e intransigente", avverte l'esponente dei democrats bollando tutto come "un'operazione solo di immagine" e "punitiva per i magistrati". Mentre il segretario Pierluigi Bersani si limita a sottolineare che "come al solito questo paese è sempre sulle priorità politico-personali di Berlusconi e mai sulle priorità vere". Subito giunge anche la stoccata del sindacato delle toghe. "È una riforma punitiva il cui disegno complessivo mina l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e altera sensibilmente il corretto equilibrio tra i poteri dello stato. È una riforma contro i giudici che riduce le garanzie per i cittadini", sottolineano i vertici dell'Anm, Luca Palamara e Giuseppe Cascini.

Di Pietro tranchant: referendum spazzerà via la riforma

Insomma, le prime reazioni sono all'insegna della tensione. Il Pd promette battaglia affiancato, in questo senso, anche dall'Idv di Antonio Di Pietro, certo che la riforma verrà spazzata via dal referendum popolare. Sulla giustizia, avverte l'ex pm, "è stata proposta una riforma così antidemocratica da stravolgere lo stato di diritto". E comunque Di Pietro sfida ora "il governo ad andare fino in fondo, convinti come siamo che in Italia ci sia una maggioranza di cittadini che vuole difendere la Costituzione e lo stato di diritto" e che lo farà con il referendum. Molto netto anche l'ex ministro della Giustizia Oliviero Diliberto ora portavoce nazionale della Federazione della sinistra. "La pseudo riforma licenziata dal Consiglio dei ministri sulla giustizia non è altro che un'ennesima legge ad personam, scritta sotto diretta dettatura di un premier oramai disperato".

Terzo polo: forti perplessità ma pronti a discutere

Pd e Idv sono quindi molto critici, più cauti invece i terzopolisti che dopo una riunione a Montecitorio definiscono una linea comune. "Il Terzo polo non chiude alla riforma della giustizia proposta oggi dal governo, pur rilevando "forti perplessità" su alcuni punti "che dovranno essere risolte", si legge in una nota diffusa al termine della riunione. Il terzo polo prende poi atto "delle positive affermazioni del presidente del Consiglio che ha dichiarato chiusa la stagione delle leggi "ad personam"" e annuncia che "presenterà le proprie proposte nel corso dell'iter parlamentare". Insomma non una bocciatura definitva come quella di democratici e di pietristi in linea con quanto aveva dichiarato stamane il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova. "Bisogna leggere quello che c'è scritto. i titoli della riforma sono da tempo all'ordine del giorno, non abbiamo nessun pregiudizio".

Alfano: scioperi Anm? Non ce ne sono i motivi

Sul riassetto, però, cominciano a registrarsi anche le prime prese di posizione dei magistrati. Alfano in conferenza stampa non ha per la verità risparmiato stoccate all'indirizzo dei giudici e a un cronista che lo interpellava sulla possibilità di uno sciopero delle toghe contro la riforma ha risposto senza troppi giri di parole. "Se l'Anm (il sindacato delle toghe, ndr) proclamerà degli scioperi vedremo come li motiveranno, crediamo che non ci siano motivi perché si tratta di una riforma molto equilibrata". Il parlamento,ha spiegato il guardasigilli, "è sovrano nel nome del popolo per il quale il giudice emette le sentenze. Se si rompe questo circuito è una invasione di campo della magistratura nella sfera della politica. Noi vogliamo mantenere la serenità nel dibattito".

Caselli: parlare di riforma è quasi presa in giro

Ma i magistrati sono già in allarme da tempo e ieri i consiglieri togati del Csm avevano messo nero su bianco tutta la loro preoccupazione per il "clima torbido" che si sta addensando attorno alla magistratura. Oggi, poi, è arrivata il giudizio negativo del procuratore della Repubblica di Torino, Gian Carlo Caselli. "Parlare di riforma della giustizia, secondo me, è giocare con le parole: quasi una presa in giro. Sarebbe una riforma - ha detto Caselli - se il funzionamento del sistema migliorasse anche solo di poco; se si facesse qualcosa per avere tempi processuali più brevi; se aumentassero i mezzi per la magistratura per rendere quel servizio che i cittadini hanno il sacrosanto diritto di pretendere. Qui invece - ha aggiunto il procuratore di Torino - c'è la sedicente riforma della giustizia che non migliora niente di niente sul versante dell'efficienza del sistema".

 

 

 

 

 

2011-03-06

Sì di Bossi alla riforma della giustizia. Rutelli: una proposta dal terzo polo

Cronologia articolo06 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 14:44.

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Giovedì la riforma della giustizia sarà presentata in consiglio dei ministri. ll ministro Angelino Alfano ha messo in evidenza i punti principali delle riforma: parità tra accusa e difesa e separazione tra le carriere, responsabilità civile dei magistrati, sdoppiamento del consiglio superiore della magistratura e scorporo della sezione disciplinare. La riforma è costituzionale, quindi prevede una doppia approvazione. con la maggioranza assoluta nella seconda.

Le reazioni. Via libera alla riforma della giustizia, ma non si tratta di una sorta di scambio con quella del federalismo. Lo ha voluto chiarire il leader della Lega Umberto Bossi. "Sì, ci sarà il nostro appoggio alla riforma della Giustizia - ha affermato -, ma "non è una merce di scambio, perchè il federalismo Berlusconi ce lo doveva dare comunque, è nel patto elettorale". "Berlusconi è uno che mantiene la parola, con noi l'ha sempre mantenuta", si è limitato ad aggiungere il segretario della Lega Nord prima di lasciare una festa del Carroccio a Bergamo.

Il leader dell'Api Francesco Rutelli ha posto i primi paletti. L'importante, è stato il suo ragionamento, è che le modifiche siano sistematiche, e non venga proposta "una leggina nell'interesse di una sola persona". "Io penso che il terzo polo debba avanzare una proposta di riforma sistematica della Giustizia. Nei prossimi giorni con Udc e Fli definiremo le condizioni per un intervento in materia". Lo ha detto il leader dell'Api, Francesco Rutelli, a margine del convegno nazionale dei giovani del suo partito che si è concluso oggi a Roma. "Sono favorevole a una più marcata divisione delle funzioni tra giudici e pm - ha aggiunto rispondendo ai giornalisti che gli dicevano che il leader dell'Udc Casini si era detto non contrario a una separazione delle carriere ai magistrati - e vedremo di trovare con gli altri del terzo polo un punto di sintesi. Ma se la scelta del Governo è portare gli inquirenti sotto l'Esecutivo non se ne parla". "Serve - ha concluso - una proposta di riforma sistematica che sbarri la porta, però, agli interventi ad personam che sono stati il cancro di questi diciassette anni di governo Berlusconi"

 

 

 

È subito giallo sui processi in corso

di Donatella StasioCronologia articolo6 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 14:33.

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Raccontano che quando uno dei suoi avvocati-parlamentari gli ha fatto balenare la prospettiva di passare alla storia come il "Beccaria del terzo millennio", Silvio Berlusconi abbia deciso di rompere ogni indugio sulla "grande, grande, grande riforma" costituzionale della giustizia. L'idea di essere paragonato al grande illuminista del Settecento lo avrebbe convinto persino più della possibilità di dare uno schiaffo politico al suo ex alleato, ora acerrimo nemico, Gianfranco Fini. Così, dopo due anni e mezzo di annunci, sette rinvii e numerose retromarce, giovedì sarà il giorno del debutto della riforma al Consiglio dei ministri. "Epocale", l'ha ribattezzata il premier, anche se il testo che il governo varerà "non è - ammette Niccolò Ghedini - scritto sulla pietra", perché cambierà prima di arrivare al traguardo. Se ci arriverà. Ne è sicuro il ministro della Giustizia Angelino Alfano. "Nessuno potrà dire che stiamo facendo una riforma per Silvio Berlusconi perché una riforma costituzionale non può essere applicata ai processi in corso", ha puntualizzato, aggiungendo che la riforma "sarà completata subito prima delle prossime politiche ed entrerà in vigore tra qualche anno". E però già è scoppiato un piccolo giallo: il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto dice che "si sta discutendo se togliere la norma transitoria all'interno del progetto organico di riforma della giustizia che verrà presentato la prossima settimana dal ministro Alfano". Ma Ghedini esclude "categoricamente" che se ne sia mai discusso. "Nella bozza - assicura - non c'è alcuna norma transitoria".

Eppure, il 23 novembre '99, quando fu approvata con voto bipartisan la riforma costituzionale del "giusto processo" (articolo 111 della Costituzione), la norma transitoria c'era eccome. L'articolo 2 diceva che la legge avrebbe regolato "l'applicazione dei principi della presente legge costituzionale ai processi in corso". E a gennaio 2000 venne infatti varato un decreto urgente per evitare contraccolpi sui processi in corso.

Da via Arenula trapela solo che "la riforma costituzionale sarà accompagnata da leggi attuative". Alcune modifiche rimanderanno infatti alla legge ordinaria per i dettagli. Sarà così per la separazione delle carriere, per il doppio Csm (uno per i giudici e l'altro per i pm), forse per l'obbligatorietà dell'azione penale e per l'uso della polizia giudiziaria sganciato dai pm, per la responsabilità degli atti compiuti dai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni. La riforma fisserà i princìpi. Per esempio, la composizione e la proporzione tra laici e togati nei due Csm e la presidenza (nell'ultima bozza Alfano è affidata al Capo dello Stato). Ma alcune modifiche, senza norma transitoria, potrebbero applicarsi fin dall'entrata in vigore della riforma, come il divieto per il Csm di approvare atti di "indirizzo politico" (le pratiche a tutela) o i pareri non richiesti dal ministro. O quelle sulla "parità delle parti", se dovessero tradursi in integrazioni dell'articolo 111 sul giusto processo.

Problemi tecnici ma anche politici. Per il Pd, la riforma "è solo un modo per affrontare i problemi di Berlusconi" e per l'Udc è "vendicativa nei confronti della magistratura". Mercoledì Alfano la illustrerà ai Responsabili e alla Lega, che a quanto pare non sarà accontentata sull'elezione dei capi degli uffici giudiziari. Ma è difficile che il ministro riesca ad aggregare un consenso ampio, auspicato dal Quirinale per le riforme costituzionali ma anche necessario per avere una maggioranza qualificata e evitare il referendum popolare confermativo. Tra l'altro, fino a ieri il Quirinale non era stato ancora aggiornato, né con un testo scritto né oralmente, sul ddl di riforma. La prassi istituzionale vuole che il Capo dello stato, garante della Costituzione, sia preventivamente informato, come del resto aveva fatto lo stesso Alfano a ottobre, quando salì al Colle per illustrare a Napolitano le linee generali della riforma, senza peraltro ottenere alcun entusiasmo. Poi non se ne fece niente. "Tutta colpa di Fini e dei finiani, e dei loro no insuperabili", si giustifica oggi Berlusconi, rinfacciando al presidente della Camera anche la mancata approvazione del ddl intercettazioni. Ma ora che Fini è all'opposizione, il premier non esclude qualche forzatura pur di lasciare ai posteri la sua riforma. Anche se resterà solo sulla carta e non taglierà mai il traguardo.

 

 

Dal premier sì anche a doppie udienze

Stefano ElliCronologia articolo06 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 08:15.

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MILANO

Il cambio di strategia è evidente. Il premier Silvio Berlusconi intende essere presente il più possibile in tutte le aule in cui si dibattono i casi che lo vedono imputato o indagato. Dal processo Mediaset, a quello Mediatrade, dal processo Mills al caso "Ruby". Un mutamento di approccio, che rievoca il comportamento tenuto da Giulio Andreotti nel corso del processo di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Le ragioni della decisione sarebbero da ricercare negli esiti di alcuni sondaggi che vedrebbero in salita l'"indice di gradimento" del presidente del Consiglio qualora partecipi direttamente alle udienze.

Dunque non più la strenua opposizione ai giudici del legittimo impedimento, quanto la richiesta, formalizzata anche nell'incontro tenutosi venerdì scorso tra i legali del premier Niccolò Ghedini e Piero Longo e il presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro, di armonizzare il calendario delle udienze per contemperare le esigenze del tribunale con quelle istituzionali della presidenza del Consiglio. Ieri, prima che iniziasse l'udienza preliminare sul caso Mediatrade, Ghedini ha chiarito ancora meglio il concetto. "Bisogna bilanciare gli impegni istituzionali di Berlusconi con quelli processuali. Ma lui è disponibile anche a doppie udienze il lunedì e ha spiegato Ghedini, "non a due dibattimenti ma a un dibattimento e a un'udienza preliminare nello stesso giorno. Da noi è arrivato un notevole sforzo collaborativo ed è il massimo che si può pretendere da un presidente del Consiglio".

In altre parole Berlusconi si è reso disponibile per quattro udienze al mese, il lunedì, salvo recuperare in casi estremi, il sabato, una giornata solitamente dedicata a incontri internazionali. Quanto all'udienza preliminare di ieri sul caso Mediatrade, dove il premier è indagato con altre 12 persone, tra cui il figlio Pier Silvio e Fedele Confalonieri, per frode fiscale e appropriazione indebita, è durata soltanto pochi minuti: il tempo necessario al gup milanese Maria Vicidomini per constatare come, per alcuni indagati, vi sia stato un difetto di comunicazione: in particolare nel caso del legale di Pier Silvio Berlusconi, Filippo Dinacci, la notifica è avvenuta irregolarmente via fax. Tre settimane di tempo, sino al 28 marzo, giorno in cui è stata fissata la prossima udienza e che coincide con l'avvio nell'aula della Camera del processo breve. Entro quella data la cancelleria dell'ufficio gip presieduto da Gabriella Manfrin dovrà effettuare nuovamente la notifica.

Il calendario di udienze in cui il premier Berlusconi è chiamato a rispondere è fitto. La vicenda Mediaset diritti tv (di cui la vicenda Mediatrade rappresenta uno stralcio) riprenderà l'11 aprile ma le difese dovranno depositare nuove liste di testimoni entro il 31 marzo. Mentre il 6 aprile prossimo inizierà il processo con il rito immediato per la vicenda "Ruby", nella quale Berlusconi è imputato per concussione e prostituzione minorile. Slitta intanto di alcuni giorni la notifica a Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede dell'avviso di chiusura delle indagini a loro carico, il cosiddetto 415 bis.

 

 

 

"Riforma della giustizia epocale"

di Luca OstellinoCronologia articolo06 marzo 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2011 alle ore 08:14.

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"Sarà una riforma epocale". Tra le critiche dell'opposizione Silvio Berlusconi annuncia che giovedì prossimo la riforma costituzionale della giustizia approderà in Consiglio dei ministri. "È un momento storico", sottolinea il Guardasigilli Angelino Alfano, impegnato a portare avanti quella che si presenta come una modifica organica e profonda, anche dal punto di vista culturale, del sistema giustizia. "Nessuna di quelle misure andrà a ricadere sui processi a Berlusconi" assicura da Bergamo Roberto Calderoli.

Una riforma "epocale", appunto, che dopo annunci e rinvii, arriva per la prima volta a Palazzo Chigi, e che, dice ancora Alfano, non ha alcun intento punitivo nei confronti della magistratura e "non serve a Berlusconi, ma ai cittadini". Dovrà essere completata a ridosso delle prossime elezioni, cioè tra due anni, ha spiegato il ministro, confermando la previsione fatta ieri dal premier in un messaggio inviato alla prima Conferenza nazionale sul lavoro e occupazione femminile del Pdl e nel corso di un intervento telefonico alla convention di "Noi riformatori" ad Avezzano, in Abruzzo. "Non ci saranno elezioni politiche anticipate", ha detto il premier, sottolineando che sarebbe un grave danno dare un segnale di instabilità alla "finanza internazionale" e di fronte a quanto sta accadendo "in Egitto in Tunisia e in Libia".

Oltre alla riforma della giustizia, Berlusconi ha parlato della scuola e della riforma fiscale, non mancando di attaccare duramente la sinistra e Gianfranco Fini. Senza i "no preventivi" del presidente della Camera, ha sostenuto, "adesso è possibile andare avanti anche con la legge sulle intercettazioni, perfezionando il testo varato dal Senato e fermo alla Camera".

Nel mirino del presidente del Consiglio c'è l'opposizione e la sinistra in particolare. "Noi abbiamo questa palla al piede della sinistra, una sinistra che si inventa di tutto, adesso anche un mio attacco alle istituzioni, mentre è falso, sono io che subisco attacchi senza soluzione di continuità da 17 anni". Già ieri mattina, nel messaggio alla Conferenza del Pdl, aveva contestato alla "sinistra di non esitare di fronte a nulla nell'ultimo disperato tentativo di ottenere con scorciatoie mediatico-giudiziarie quello che non riesce a ottenere nelle urne. Chi cerca di strumentalizzare politicamente le donne non le difende, ma le mortifica", ha aggiunto polemicamente.

Anche sulla scuola, la sinistra si è "inventata" gli attacchi del premier a quella pubblica. Berlusconi ha ribadito di "non aver mai attaccato la scuola pubblica, come preteso dalla sinistra", spiegando però che bisogna riconoscere a chi manda i figli alla scuola pubblica "il diritto a non veder insegnati valori diversi da quelli in cui credono". Occorre così "aiutare queste famiglie, magari con un buono scuola, perché anche quelle meno abbienti possano mandare i loro figli alla scuola che vogliono". Quindi ha ricordato la riforma della scuola, fatta anche "per ridare dignità agli insegnanti che ricevono per quello che fanno uno stipendio inadeguato. Per la sinistra invece la scuola è sempre stato un serbatoio elettorale dove organizzare il consenso".

Berlusconi ha poi rilanciato l'azione del governo sul nucleare – dicendosi "fiero" che Umberto Veronesi abbia accettato la presidenza dell'Agenzia per il nucleare. "Non è possibile perdere altro tempo", ha avvertito, attaccando il "falso ambientalismo ideologico della sinistra" - e sulla riforma tributaria, a cui il governo "sta lavorando insieme a sindacati e imprese".

 

 

 

Alfano: la riforma della giustizia serve ai cittadini, non a Berlusconi. I tre principi cardine della riformaAlfano: la riforma della giustizia serve ai cittadini, non a Berlusconi. Tre i principi cardine

Cronologia articolo5 marzo 2011Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2011 alle ore 15:29.

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La riforma costituzionale della giustizia che giovedì prossimo il Guardasigilli Angelino Alfano porterà in Consiglio dei ministri "non serve a Berlusconi ma serve ai cittadini". Intervenendo ad Avezzano alla comvention di "Noi riformatori", il ministro della Giustizia ha precisato che la riforma costituzionale della giustizia sarà completata "a ridosso delle prossime elezioni, cioè tra due anni. E parte all'attacco della sinistra: "noi non siamo "il meglio", ma certamente siamo migliori di voi".

I tre principi cardine

Alfano ha anticipato che la riforma della giustizia si basa su tre principi cardine: parità tra accusa e difesa, responsabilità dei magistrati e ripensamento del Csm. "Accusa e difesa - ha precisato il Guardasigilli - devono essere alla pari e quindi devono essere giudicati da un giudice imparziale. Oggi pm e giudici si danno del tu e hanno stessi uffici e uguale Csm. Se poi un magistrato sbaglia - ha proseguito Alfano - come per i medici e gli avvocati deve esserne responsabile". Infine, riforma del Csm perchè "se la magistratura deve essere autonoma dai poteri, deve essere anche senza nessuna influenza interna e, quindi, devono essere giudicati da un organismo terzo".

Ghedini: il premier sarà in aula di lunedì

Intanto Niccolò Ghedini, parlamentare del Pdl e avvocato del premier, ha dato la

disponibilità del presidente del Consiglio a essere in aula ogni lunedì. In casi particolari si potrà ricorrere anche alla doppia udienza tra processi diversi. In ogni caso, ha sottolineato Ghedini, "bloccare l'agenda del presidente del Consiglio il lunedì per consentirgli di partecipare ai processi in cui è imputato è il massimo che si può pretendere".

Finocchiaro (Pd): bulimia oratoria

"È impressionante la mole di parole che il presidente del Consiglio usa in queste settimane per la sua propaganda e le sue bugie". Parte all'attacco Anna Finocchiaro, presidente del Gruppo Pd al Senato, commentando le parole di stamane di Silvio Berlusconi che ha detto che sulla giustizia il centrodestra "darà vita a una riforma epocale" e andrà avanti su tutto, a partire dalla riforma delle intercettazioni, visto che ormai "sono venuti meno i no preventivi" che Fini diceva "quando presentavamo provvedimenti sulla giustizia". Per Anna Finocchiaro le parole del premier "sono penose e ridicole. La sua bulimia oratoria é ormai pari alla sua incapacità di governare. Gli unici temi che la sua maggioranza e il suo governo, anche in queste ore, stanno cercando di affrontare concretamente sono quelli che riguardano la giustizia, ma non nel senso che tutti diamo a questa parola, ma nel senso della difesa degli interessi e delle paure di Silvio Berlusconi". Solo chiacchiere e "giustizia ad personam".

Belisario (Idv): di epocali sono le menzogne

Commentando la riforma "epocale" della giustizia annunciata dal premier, il capogruppo dell'Idv al Senato, Felice Belisario dice: "di epocali ricorderemo, un giorno, soltanto le menzogne del presidente del consiglio". Per Belisario "sono quasi venti anni che promette riforme, ma il paese si é perso dietro al suo immobilismo, Le uniche riforme che riesce a portare avanti sono quelle che riguardano i suoi affari privati. Per fortuna tutti i sondaggi indicano che é ormai alla frutta. Ha perso consenso perché ormai gli italiani si sono accorti che, a parte i vizi privati, non esistono pubbliche virtù, ma solo un'incapacità ormai cronica a

governare e a intercettare le esigenze di un paese sempre più in crisi economica e morale". (N.Co.)

 

 

Berlusconi: legge sulle intercettazioni e riforma tributaria. "Mai attaccato la scuola pubblica"

Cronologia articolo5 marzo 2011Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2011 alle ore 11:39.

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"Giovedì, in un consiglio dei ministri straordinario, presenteremo una riforma che certamente sarà epocale. Presenteremo la riforma della giustizia. E davvero sarà epocale". Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi in collegamento telefonico con avezzano (L'Aquila), al convegno di "noi riformatori", trasmesso in diretta da Sky tg24, torna a parlare di giustizia rilanciando il progetto di riforma.

I tre cardini della riforma

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha confermato che la prossima settimana presenterà in Consiglio dei Ministri la riforma della giustizia che "contiene tre principi cardine". "Accusa e difesa devono essere alla pari e quindi devono essere giudicati da un giudice imparziale. Oggi pm e giudici si danno del tu e hanno stessi uffici e uguale Csm", ha spiegato il ministro, indicando la strada della separazione delle carriere. "Se un magistrato sbaglia - ha proseguito -, come per i medici e gli avvocati deve esserne responsabile". L'ultimo cardine, ha indicato il ministro, è la riforma del Csm perchè "se la magistratura deve essere autonoma dai poteri, deve essere anche senza nessuna influenza interna e, quindi, devono essere giudicati da un organismo terzo".

Avanti sulle intercettazioni

Il premier ha ribadito l'intenzione di andare avanti sul fronte intercettazioni. Si tratta di un fronte su cui c'è la possibilità di andare avanti, mentre "prima Fini ce lo impediva". "I cittadini - ha detto il premier - sono stufi di leggere sui giornali intercettazioni di telefonate anche personali. Dobbiamo tornare alla tutela della privacy".

Lavoriamo alla riforma tributaria

Tra le altre riforme a cui il governo sta lavorando ci sarebbe anche quella tributaria che, ha detto Berlusconi, il governo starebbe pensando assieme a sindacati e imprese".Questa riforma, ha aggiunto, "è assai importante perchè abbiamo leggi che risalgono a 40 anni fa, che sono così complicate che nemmeno i più bravi commercialisti sono in grado di applicare".

No a elezioni anticipate

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha assicurato che "non ci saranno elezioni politiche anticipate" perchè "sarebbe veramente un danno per il nostro Paese dare un segnale di non avere stabilità di governo", soprattutto alla "finanza internazionale". È "molto importante avere un governo stabile e nel pieno dei poteri anche per quello che succede in Egitto in Tunisia e in Libia", ha detto.

Mai attaccato la scuola pubblica

Il premier è tornato anche sulla polemica per le parole da lui pronunciate sulla scuola pubblica. "Noi abbiamo difeso in modo concreto la scuola pubblica" con la riforma e riteniamo che gli insegnanti abbiano "un ruolo fondamentale nell'educazione dei nostri figli". Berlusconi ha anche sottolineato che gli insegnanti "ricevano uno stipendio assolutamente inadeguato" per questo ruolo. "Io non ho mai attaccato la scuola pubblica", ha detto il presidente del Consiglio. "La scuola alla sinistra è servita solo come ammortizzatore sociale, come serbatoio politico. Abbiamo difeso la scuola pubblica con le riforme".

Sul caso Ruby donne strumentalizzate

In giornata il premier ha inviato anche un messaggio alla prima Conferenza nazionale sul lavoro e occupazione femminile del Pdl. Sulla scia delle polemiche per lo scandalo Ruby nonché delle manifestazioni delle donne italiane pronte a scendere ancora in piazza per difendere la loro dignità il premier Silvio Berlusconi ha detto: "Chi cerca di strumentalizzare politicamente le donne, non ne difende la dignità, ma le mortifica". "Me l'avete sentito dire tante volte - ha detto Berlusconi- voi donne siete più brave di noi, più brave a scuola, all'università nel lavoro. Lavorate come e più di noi. Sapete progettare, gestire, creare. Avete talento e determinazione in qualsiasi attività affrontiate. Noi uomini riconosciamo questo talento in ogni ambito della vita e vogliamo che divenga un fatto normale e non eccezionale che le donne ricoprano ruoli decisionali nella nostra società nel pubblico come nel privato". Per il premier "le donne sono il miglior esempio di quel fare che nostro governo si é posto come obiettivo e come metodo. Siete pragmatiche e vi ponete obiettivi concreti per lo sviluppo e il miglioramento dell'italia".

 

2011-02-19

Berlusconi ci vuole tutti zitti, subito legge bavaglio

di Ninni Andriolo | tutti gli articoli dell'autore

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Avanti tutta sulla giustizia: carriere separate per giudici e pm, doppio Csm, immunità parlamentare, alta corte di disciplina per le toghe e chi più ne ha più ne metta. "Non ci faremo intimidire", replica il presidente dell’Anm, Palamara, al Presidente del Consiglio.

Ma per servire la sua vendetta, dopo il caso Ruby, il Cavaliere può giocare solo sull’effetto annuncio. Per la Lega, infatti, ogni diversivo - tipo grande riforma della giustizia - suonerebbe come atto di guerra: prima il federalismo, poi si parla d’altro. Il patto tra Silvio e Umberto (una riforma a te e una legge ad personam a me) regge.

Il voto contrario dei ministri leghisti alla festa nazionale per l’Unità d’Italia del 17 marzo non la scalfisce. Il rilancio in grande stile della legge bavaglio, la responsabilità civile dei magistrati, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento costituiscono ingredienti della rivoluzione liberale che il Cavaliere rispolvera nel tentativo di ridare smalto al suo governo.

Ma le priorità di Bossi non coincidono con quelle di Berlusconi che, per mostrare i muscoli a Napolitano, a Fini, all’opposizione, ai magistrati e via elencando - ostentazione di forza indispensabile per sedurre nuovi "responsabili" - deve affidarsi ad una relazione e no ad un concreto provvedimento. All’elenco di intenti illustrato ieri dal delfino Alfano e approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. I disegni di legge? Verranno dopo. "Presto", promette Silvio, ma non dice quando.

In attesa della "riunione straordinaria" del governo che dovrebbe approvare la riforma, il premier - intanto - insedia un comitato tecnico formato da ministri e da esperti che si dovrebbe riunire già martedì prossimo. I "tempi rapidi" che minaccia il presidente del Consiglio? Tornano in mente gli annunci del 6 ottobre 2010.

L’ENNESIMO ANNUNCIO All’indomani della prima fiducia post strappo di Fini il premier mise in calendario consigli dei ministri a raffica per varare una miriade di grandi riforme. "Il prossimo riguarderà la giustizia", spiegò Silvio, da Palazzo Grazioli, durante la conferenza stampa di quel tardo pomeriggio.

Quattro mesi dopo il premier riformula l’annuncio. Troppa carne al fuoco, però, sembra messa lì apposta per annebbiare gli obiettivi salva-premier che si nascondono tra le maglie della rivoluzione "di civiltà" promessa sulla giustizia.

19 febbraio 2011

 

 

Anm: riforme punitive, non ci intimidiscono

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"È un copione già visto: ogni volta che emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti, poi seguono iniziative legislative punitive per i magistrati".

Lo dichiara Luca Palamara, presidente dell'Anm, interpellato in merito alla discussione, in Consiglio dei ministri, sul pacchetto di riforme della giustizia. "Noi non ci faremo intimidire - aggiunge il leader del sindacato delle toghe - e continueremo ad applicare la legge con serenità, imparzialità e in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero".

 

Basta attacchi ed aggressioni da parte di ministri contro la magistratura. A chiederlo è Luca Palamara, presidente dell'Anm, interpellato sulle polemiche degli ultimi giorni sul caso Ruby. "Ciò che più preoccupa in questa fase - osserva Palamara - sono le posizioni di ministri in carica, Istruzione, addirittura Esteri e persino Giustizia, che partecipano senza alcuna remora, che pure sarebbe doverosa per la carica istituzionale ricoperta, alla sistematica aggressione nei confronti dei magistrati".

18 febbraio 2011

 

 

Berlusconi: "Con Chiesa bene come sempre"

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ITALIA-S.SEDE: BERLUSCONI, 'BENISSIMO COME SEMPRE'

Silvio Berlusconi ha lasciato palazzo Borromeo al termine della bilaterale Italia-S.Sede: "Benissimo, come sempre", ha risposto ai cronisti che gli hanno chiesto come era andato l'incontro per l'anniversario dei Patti Lateranensi e del Concordato.

I cardinali Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco hanno lasciato Palazzo Borromeo, al termine dell'incontro bilaterale Italia-S.Sede per l'anniversario dei Patti Lateranensi e del Concordato. Il presidente della Cei è andato via passando per l'ingresso principale, senza rilasciare dichiarazioni. Il segretario di stato card. Bertone ha lasciato la sede dell'ambasciata passando per un'uscita riservata.

18 febbraio 2011

 

 

Festa 17 marzo, la Lega contraria

Bersani: è una vergogna

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Al decreto legge che ha istituito la festa il 17 marzo non hanno aderito tre ministri. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Per evitare il problema degli oneri derivanti dall'istituzione della festa del 17 marzo, gli effetti giuridici e contrattuali della festa delle Forze Armate del 4 novembre per il 2011 sono spostati sulla nuova data. È il ministro della Difesa Ignazio La Russa a spiegare la soluzione trovata dal Consiglio dei Ministri all'obiezione sollevata dai ministri della Lega.

Soluzione che però non è stata sufficiente a convincere i ministri leghisti a votare il decreto. "Si è fatto notare correttamente che l'istituzione del 17 marzo comportava oneri per lo Stato, ma vengono coperti con la decisione contestuale di trasferire gli effetti economici e gli istituti giuridici del 4 novembre al 17 marzo", spiega La Russa in conferenza stampa.

Dunque "il Cdm in tempi ragionevolmente brevi ha risolto il problema, sia pure con una riserva e con la non adesione di tre ministri e si è deciso di deliberare in questo senso e votare il decreto legge in questione". La Russa tiene a sottolineare che "sui giornali di oggi è stato erroneamente scritto che è stata abolita la festa del 4 novembre: non è vero, non cambia nulla, già era così, cambiano gli effetti giuridici e contrattuali, nel senso che il diverso trattamento economico viene spostato dal 4 novembre al 17 marzo".

Dunque "siamo soddisfatti: senza trionfalismi di nessun genere perchè nessuno si era mai sognato di non considerare importante il 17 marzo. Questa ci è sembrata la scelta più giusta, sarebbe stato quasi comico che la Festa dei lavoratori si celebrasse stando a casa e invece la festa di tutti si celebrasse andando a lavoro".

Nessuna frattura, solo una differenza di opinioni". Così il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in conferenza stampa a Palazzo Chigi al termine del Cdm, ha commentato le parole del ministro leghista Calderoli che ha definito la festa del 17 marzo una "follia incostituzionale".

18 febbraio 2011

 

 

Affittopoli a Milano

Case a vip a prezzi di favore

milano affittopoli

LA LISTA DEGLI AFFITTUARI DEL TRIVULZIO.

Appartamenti di pregio e nel centro di Milano affittati a prezzi stracciati a vip. Il Comune di Milano voleva l'elenco dal Pio Albergo Trivulzio. Alla fine l'istituto di cura ha consegnato a Palazzo Marino l'elenco degli affittuari del suo patrimonio immobiliare. Elenco in cui compaiono nomi celebri. Ma la lista potrebbe essere incompleta.

Iniziano ad uscire i nomi degli inquilini degli appartamenti di proprietà del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Nella lista, consegnata alla commissione casa del Comune, c'è il direttore sportivo del Milan, Ariedo Braida, che vive nella centralissima Piazza del Carmine nel quartiere Brera e paga per un appartamento di 84,59 metri quadrati un canone annuo di 17.300 euro, a cui si aggiungono 1.244 euro di spese.

La etoile Carla Fracci per l'appartamento di 187 mq in via della Spiga, strada del Quadrilatero della Moda, paga dal 2003 un canone annuo di circa 46 mila euro e oltre 6 mila euro di spese: poco più di 4,3 mila euro al mese. Sergio Bonelli, editore di fumetti, paga invece per 82 metri quadri in via Alfieri poco più di 600 euro al mese. Nella lista compaiono anche alcuni politici: Piero Testoni, parlamentare del Pdl e nipote del presidente emerito Francesco Cossiga, per 80 metri quadrati nella centralissima via Santa Marta paga meno di 1.000 euro al mese. E nella stessa via, l'ex assessore comunale Guido Manca, oggi consigliere, paga circa 7 mila euro l'anno per circa 60 metri quadrati.

Tra gli altri inquilini c'è un funzionario della Squadra mobile di Milano, che per un appartamento di 75,20 metri quadri in via San Marco, angolo Montebello, a pochi passi dalla Questura, paga all'anno 11.262 euro più 980 di spese. Un ufficio di piazza Mirabello è affittato a D.Cordero di Montezemolo, parente di Luca Cordero. L'ufficio, di 43,10 metri quadri, vale un canone di 9.100 euro, a cui vanno aggiunte 1.804 euro di spese.

La lista degli inquilini del Pio Albergo Trivulzio consegnata al Comune di Milano potrebbe però non essere completa: lo sospetta la finiana Barbara Ciabò, presidente della commissione consiliare Casa che ha aperto aperta la busta sigillata con l'elenco consegnato ieri a Palazzo Marino dai vertici della Baggina. "Sembra che manchino 150 immobili - ha attaccato Ciabò - se questo sospetto trovasse fondamento sarebbe gravissimo: un vero affronto al consiglio comunale di Milano". E per Vincenzo Giudice, esponente del Pdl e dipendente del Pat, nell'elenco mancherebbero gli immobili di via Sottocorno e di via Menotti. Una chiave potrebbe essere legata al fatto che beni non presenti nell'elenco potrebbero essere stati venduti in questi anni.

Ed è proprio sulle dismissioni immobiliari che il Pd è pronto a dar battaglia. "Di sicuro - ha attaccato la democratica Carmela Rozza - l'elenco è incompleto perché noi abbiamo chiesto di conoscere anche le vendite immobiliari del Trivulzio degli ultimi cinque anni. Se entro lunedì non avremo queste informazioni, chiederò l'intervento della magistratura".

18 febbraio 2011

 

 

Wikileaks e i giudizi Usa:

"Berlusconi danneggia l'Italia"

Wikileaks

Inizia oggi la pubblicazione di almeno 4000 cable di wikileaks sull'Italia. La Repubblica e l'Espresso, in anteprima mondiale, ne pubbicano alcuni stralci.

Su Repubblica si trova un consiglio della diplomazia Usa al presidente Barack Obama in vista del G8 dell'Aquila: "Berlusconi danneggia l'Italia ma ci è utile e va aiutato: Obama deve salvarlo al G8 dell'Aquila".

L'Espresso apre con il titolo: "Quel premier è un clown" dove poi si legge: "ecco come gli usa vedono Berlusconi... dai dispacci emerge un leader che ha sfruttato le istituzioni e danneggiato il paese ma la cui debolezza permette agli americani di ottenere tutto...". E ancora, tra i vari documenti, un dispaccio dell'ex ambasciatore Spogli: "Il lento ma costante declino economico dell'Italia compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell'arena internazionale. La sua leadership manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo....".

18 febbraio 2011

 

 

Luca e Paolo: "I festini? Gli è andata un po' sfiga..."

luca e paolo le iene sanremo

Anche Max Pezzali scartato

Anche Max Pezzali scartato. Un "bravo" dall'Ariston. Chiusa una serata non troppo esaltante, spesso noiosa come show, è andata meglio in alcune versioni delle canzoni.

Tricarico escluso, fischi

Tricarico escluso con il suo "Tricolore". Alcuni fischi in sala.

Chi va in finale

Chi passa alla finale di sabato: i La Crus, Giusy Ferreri (una delle peggiori), Van De Sfroos, Madonia con Battiato. L'ordine è sparso, segnala Gianni. Ancora i 'promossi': Nathalie (giusto). Anna Tatangelo (peccato sia passata), Emma e i Modà (vengono accreditati come possibili vincitori). Al Bano supera il turno: monumento o mausoleo? Come la Tatangelo è stato 'ripescato'. Vecchioni salta l'ostacolo: bene (ma ricordiamo sempre che la musica italiana al meglio non passa mai o quasi di qui). Anche Luca Barbarossa con Rosario canteranno domani.

Vanno per le lunghe

Morandi & co. devono dire chi sono i due esclusi (su dodici) nella categoria cosiddetta 'big'. La 'tensione' la sentono solo sul palcoscenico. La fanno ovviamente lunga.

Raphael Gualazzi vince tra i giovani: il migliore dei giovani

Giovani, vince Raphael Gualazzi con "Follia d'amore". Poi televoto e orchestra confermano: scelgono lui. Dei quattro a nostro giudizio il migliore. Sa suonare. E con un bravo trombettista ad affiancarlo. Vince anche il premio della critica accreditata dalle radio. Ha battuto Micaela con "Fuoco e cenere", terzo Roberto Amadè con "Come pioggia" e quarta Serena Abrami con "Lontano da tutto". Sul palcoscenico salgono in tre. Micaela è minorenne e dopo mezzanotte non può.

Applausi stanchi, ma Belen ci prova

Sui tempi il festival inciampa parecchio. Per l'ingresso di Belen che ora canta 'latin' e balla c'è stato un vuoto. Ed è tardi. Lei comunque si dimostra una show girl o almeno ci prova. A differenza della Canalis.

Luca e Paolo "qualunquisti": lui non ha sbagliato, gli è andata di sfiga

Tornano i due comici, Luca e Paolo. E si va sulla politica: la vergogna! Un uomo così, con ragazze così giovani, festini tristi. Ma poi... l'harem... Poi però mi fa male - dicono - promettere ruoli istuzionali. Però, dicono, se qualcuno dà qualcosa si restituisce. Poi gli fa male l'uso del corpo della donna. E le donne hanno fatto bene a scendere in piazza. Discutono davanti a degli scacchi er un fiasco di vino. E però anche quello, sottintendono.... Il guaio è denigrare le istituzioni... Ma chi le rispetta le istituzioni? Tutti fanno la telefonata. Interpretano il qualunquismo italiano. 'Dov'è che ha sbagliato lui?' "Non ha sbagliato, stavolta gli è andata un po' di sfiga". Sono stati piuttosto morbidi. Purtroppo chissà quanti la pensano realmente così.

Applausi stanchi

Si sono esibiti i quattro giovani. Neppure il pubblico ne può più in sala: applausi stanchi.

Luca e Paolo: Berlusconi comunista per Pd, IL TESTO

Luca e Paolo hanno rielaborato il brano 'Uno su mille'. Il loro testo è questo: "Se si va al voto chi ci guiderà? Ci vuole un leader altrimenti non ci votano non ce l'abbiamo adesso, ma chissà Uno tra mille ci sarà che guidi questa opposizione ci basta un prestanome Con Bersani proprio no non puoi andare alle elezioni puoi anche vincere però ti cascano i maroni A Veltroni non mi va di aumentare il suo patema l'ha pugnalato già anche D'Alema, lui usa sempre quel sistema e Prodi già lo sa E Franceschini? Io direi di no ha più mordente un comodino in legno d'acero Di Niki Vendola io non saprei c'e questa cosa che è un pò gay e gli ex DC sono all'antica, vogliono la cara vecchia... Matteo Renzi forse si, può anche darsi che non perda però ad Arcore c'e andato e ha pestato già una merda Per guidarci sai ci serve un uomo vero e quindi..avrei pensato a Rosy Bindi ma visto come siam ridotti scongela Bertinotti Troppe correnti, serve un capo che ci tenga insieme nel partito democratico, uno che unisca le diversità Tra i nostri mille non ci sta, Per compattar le opposizioni, c'e solo Berlusconi! Allora diamo a lui il mandato! Dal 6 aprile è sul mercato, chissà che per tornare in pista lui non diventi comunista".

Ancora incertezza su Stallone. Sai che thrilling

È ancora incerta la partecipazione di Sylvester Stallone alla serata finale del festival di Sanremo. "Al momento, infatti, non è stato ancora raggiunto un accordo contrattuale", rende noto l'organizzazione del festival. Sai che thrillling... (e qualcuno o qualcuna più interessante Sanremo poteva cercarli).

Emma, Modà e Renga: accoglienza calorosa

Da registrare: Emma e i Modà con Francesco Renga hanno ricevuto una delle accoglienze più calorose di una serata senza impennate.

Addaveni' Berluscone

Per chi non è tra i nostri amici su Facebook: l'uscita dei due comici su Berlusconi comunista e l'opposizione suscita reazioni opposte. Per alcuni sono stati grandi, per altri no. Vale citare Ivo Labardi: "addavvenì berluscone!" E qualcuno scrive: per par condicio ora dovrebbero sbeffeggiare la destra.

Luca, Paolo: Berlusconi diventi comunista

Uno convince Luca e Paolo per far vincere l'opposizione: Berlusconi. Chissà che per tornare in pista non diventi comunista. Va beh, non è che abbiano graffiato tantissimo. Però strappano un sorriso...

Luca, Paolo: Renzi ha pestatato una merda ad Arcore

Per Luca e Paolo Renzi potrebbe vincere. Ma è andato ad Arcore e ha già pestato una merda. La Bindi? Non va bene nessuno, ai due... Neanche Vendola.

Luca, Paolo: uno fra mille ci sarà nel Pd

Luca e Paolo omaggiano "gli artisti del circo". Promette bene il berretto con stella rossa. Uno fra mille ci sarà. Le foto del Pd. Bersani lo escludono. Veltroni - dicono - l'ha pugnalato D'Alema.

De Sfroos porta un po' di ritmo

Van De Sfroos senza orpelli e un po' più folk. Grazie della grinta e del ritmo nel duetto con Irene Fornaciari, figlia di Zuchero. Il suo omaggio a Sandokan e Salgari in comasco non vuole essere leghista: lo ripetiamo perché la Lega vuole appropriarsi del musicista (d'altronde ha solo il "Trota, da portare sui palcoscenici).

Canalis: la banalità del festival (l'ha ammesso lei)

Domanda banale (l'ha ammesso la Canalis) ai Take That: com'è stato ritrovarsi dopo essersi lasciati? Gli autori potrebbero sforzarsi. Il ritmo latita. Robbie Williams costretto a incitare il pubblico ad applaudire. Poi spot per la band: a luglio a Milano live.

Take That ex boy band

Ora tocca ai Take That riuniti con Robbie Williams. Era una boy band, un po' matura ora per essere piena di boys. Si sente. E il loro è sempre stato un pop ipercommerciale.

Morandi: Belen, noi Elisabetta...

Senza Benigni come fanno? Morandi - come qualcuno ha scritto su Facebook - non è ubriaco, è un po' troppo emozionato. Ha chiamato la Canalis Belen.

Vecchioni: meglio con Pfm che con orchestra

Roberto Vecchioni qui con la Pfm (e Luca e Paolo ricordano De André nel presentarli): la canzone senza arrangiamento orchestrale suona molto più convincente. Ma in gara al festival il regolamento vuole per forza archi e ottoni. Il brano è sicuramente uno dei pochi meritevoli. Chissà se vincerà?

Luca e Paolo: c'è crisi, De Niro due volte

Luca e Paolo: c'è la crisi, si vede anche qui, De Niro due volte sul palco...

Morandi: come si dice "Taxi driver?"

Morandi: amo "Taxi Driver", e chiede: come si dice Taxi driver in inglese? Sembra Benigni in Daunbailò.

De Niro: Toro scatenato il film più impegnativo

Il suo film preferito? "Toro scatenato non quello preferito ma che l'ha imnpegnato di più".

De Niro: sì, voterei a Ferrazzano

Canalis insiste: vorrebbe essere italiano? Vorrebbe votare a Ferrazzano come ha detto? Mah, sì, risponde lui senza impegnarsi. E' il paesino da cui vengono i suoi antenati. Ha ragione chi, sulla nostra Facebook, chiede: ma 20 minuti sulle sue origini italiane non sono troppi? Decisamente troppi.

De Niro: Little Italy "imborghesita"

Morandi chiede com'era Little Italy. "Era come un paesino italiano oggi". Ora si è imborghesita, 'gentrified'. La Canalis non sa tradurlo.

De Niro salva - serata?

Lo show dopo ieri è moscio. Si aggrappano a di nuovo Robert De Niro, ospite in carne e ossa. Elisabetta Canalis sfoggia il suo inglese. Tanto per ricordarci che sta con George Clooney. Con Morandi, lo intervistano sulle sue origini italiane e perché ci tiene tanto rispetto ad altre terre di cui porta il sangue. Francamente a un attore con la sua storia non c'erano domande più interessanti e meno banali? Di sicuro sì. Ha fatto la storia del cinema. Gli americani hanno ante origini.

Nathalie e L'aura, meglio della Tatangelo

Dopo Belen un po' sbeffeggiata (mica tanto) perché Paolo preferirebbe la Canallis (ma si vede che è tutto finto) canta Nathalie affiancata da una delle voci emerse da Sanremo di recente, L'Aura. Anche se per alcuni critici la cantante non ha ancora confermato appieno quanto potrebbe e quanto prometteva. Le due hanno comunque una voce e un'impostazione migliore della Tatangelo, che sembra cantare solo sul filo di una singola intonazione.

Carmen, Madonia e Battiato: la Sicila canta

Tra i duetti (in senso ampio), quello tutto siciliano di Madonia e Battiato affiancato da Carmen Consoli sembra tra i più riusciti.

Salta Stallone? Sopravviveremo

Secondo un'agenzia di stampa manca l'accordo economico tra Rai e agente di Sylvester Stallone, e la prevista presenza dell'attore americano di origine italiana domani sera alla finalissima del Festival di Sanremo è ormai data per improbabile, se non impossibile. Ce ne faremo una ragione. Altre agenzie lo danno per presente. Oltre a lui arriverà Avril Lavigne, cantante canadese che va forte tra le giovanissime.

De Niro: mi piacciono donne non troppo magre

Robert De Niro, prima entrata. La star americana è ospite a ruota della Bellucci: entrambi sono nel film "Manuale d'amore 3" in uscita nelle sale italiane. L'attore ha affrontato film migliori... Non gli piacciono le donne troppo magre.

Gaffe di Morandi con Monica Bellucci

L'attrice di Città di Castello apre la carrellata degli ospiti di stasera. La Rai punta molto su di loro per gli ascolti. Morandi la intervista sull'età, sulla vecchiaia, sul suo essere mamma. Le dà dapprima del lei. Poi gaffe: avrei voglia di...

Luca e Paolo: festa d'Italia il 6 aprile

Luca e Paolo con i fiori sul palco. Li danno a Morandi, non a Belen e Canalis. Parlano del 17 marzo come festa d'Italia. I politici non erano d'accordo, alla fine hanno deciso, il 6 aprile. Insistono, con le allusioni a B.

Belen ed Elisabetta, vestiti bislacchi

Di solito non commentiamo i vestiti delle signore, ma stasera Belen ed Elisabetta sono entrade indossando abiti quanto meno bislacchi.

Facebook: bisognava proprio ripescare Anna Tatangelo?

Su Facebook la domanda s'impone: era davvero necessario ripescare la Tatangelo. Ottima domanda.

Orchestra e televoto

Stasera votano i cantanti l'orchestra e il televoto. La Rai continua ad avvisare su pericolo call center.

La formula della serata: duetti

Stasera i cantanti in gara duettano con i loro brani con artisti da loro scelti. E' che il festival deve coprire 5 serate da anni e la tirano per le lunghe.

Marcorè-Barbarossa, battute al via per la quarta serata

Con un balletto tra Belen e la Canalis e poi uno scambio di battute Luca Barbarossa - Neri Marcoré (geloso perché l'amico canta con Rosario e non con lui) è iniziata la serata numero quattro di Sanremo. Dovrà decretare i 10 (ma su 12) che domani restano in finale. "Tu a Luca devi dargli tre pilloline, altrimenti quello...E la pillola blu gliela devi dare una volta alla settimana...". È la gag finale di Neri Marcorè con Raquel Del Rosario al termine dell'esecuzione con Luca Barbarossa del brano 'Fino in fondo' che rimanda al fare l'amore di una coppia.

Lite Moranti-Williams alle prove

Discussione tra Gianni Morandi e Robbie Williams nel tardo pomeriggio alle prove al teatro Ariston in vista della performance dei Thake That, in programma stasera. La band inglese è arrivata tardi alle prove e il 'capitano' del festival, dopo aver ricordato a Robbie di aver giocato con lui a pallone, gli ha fatto notare il ritardo, provocando la sua reazione stizzita.

LA POLEMICA DIRETTORE RAI1 SU GRAMSCI

Dopo la lettura di Gramsci di Luca e Paolo, ieri, oggi Mazza ha dimostrato di non aver gradito.

Mazza, direttore Rai1, critica scelta Gramsci

Il direttore di Rai Uno Mauro Mazza critica la scelta di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu di recitare "Gli indifferenti" di Gramsci sul palco dell'Ariston: "Io non avrei scelto Gramsci, avrei preferito che sullo sfondo ci fosse l'immagine di Piero Gobetti".

Morandi: giusto leggere Gramsci

Il conduttore della kermesse, Gianni Morandi, invece sostiene i due comici genovesi: "Gramsci l'avrei citato anch'io e forse avrei citato anche De Gasperi e molti altri grandi italiani ma sono talmente tanti che non si poteva citarli tutti".

Luca & Paolo: "Chi più libero del discorso di Gramsci?"

Luca Bizzarri ribatte a Mazza: "A me che quelle parole le avesse scritte Gramsci non mi interessava per niente, mi interessava soltanto il loro valore". "Non mi viene in mente qualcosa di più libero e liberale di un discorso sulla responsabilità civile di tutti", ha aggiunto Paolo Kessisoglu: "Uno degli autori che si è fatto carico di scegliere il discorso di Gramsci è di Comunione e Liberazione".

19 febbraio 2011

 

 

Benigni, ascolti: quasi 20 milioni

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BENIGNI SFIORA 20 MILIONI DI SPETTATORI

Quando il comico entra in scena alle 22.30 sul cavallo bianco, auto omaggio a Telepatria international dei primi anni '80, su Raiuno ci sono 13-14 milioni di spettatori che al suo arrivo schizzano a 18 milioni in un crescendo fino a sfiorare i 20 milioni, ossia 19.737.803 alle 22.42, con la percentuale record del 65,32%. Tutto il monologo è sopra i 18 milioni e spesso i 19. Sugli altri canali, share ai minimi termini, con Canale 5 al 3-4%, tranne che per Annozero, 10% di share pure con Benigni.

NAPOLITANO SI COMPLIMENTA CON BENIGNI

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha telefonato ieri sera a Benigni, complimentandosi per la passione e la competenza con cui ha spiegato le parole ed il senso dell'inno

BERSANI: ROBERTO "GENIALE"

Roberto Benigni a Sanremo è stato "geniale", ha dato "un'anima" alla ricorrenza dell'unità d'Italia. Lo dice il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, conversando con i cronisti: "Mi è piaciuto, mi è piaciuto molto. È riuscito a dare un'anima a una vicenda risorgimentale, in modo tale che possa vivere nella memoria degli italiani. Soprattutto quando ha detto che quella era gente di 20 anni. Anche l'intimismo dell'inno è una chiave geniale che tira fuori la vicenda unitaria dalla retorica e la vivere nella vita quotidiana degli italiani".

ASCOLTI RECORD PER ROBERTO

Boom di ascolti ieri sera per la serata del Festival dedicato ai 150 anni dell'Unità d'Italia che ha ospitato anche il ciclone Roberto Benigni: la prima parte (20:40 - 23:21) ha tenuto davanti alla tv 15 milioni 398 mila spettatori pari ad uno share del 50.23%. La seconda parte della terza serata del Festival (23:26 - 01:09) ha totalizzato invece 7milioni 529 mila spettatori e uno share del 53.21%. La media ponderata della serata è stata di 12 milioni 363 mila spettatori pari ad uno share del 50.90%, ben al di sopra della media ponderata della terza serata del Festival 2010 targato Clerici (46%), e del Festival 2009 targato Bonolis (47,17%). Il principale competitor della serata di ieri, Annozero di Michele Santoro, ha totalizzato quattromilioni 250 mila spettatori e uno share del 14,13%.

Benigni ha fatto il suo ingresso all'Ariston alle 22,30, andando avanti fino alle 23,20. Una ulteriore conferma che per la Rai l'artista toscano è sempre una scommessa vinta a occhi chiusi.

MASI: RISULTATO STRAORDINARIO

Il dato degli ascolti della serata di ieri di Sanremo "è un risultato straordinario", ha commentato il direttore generale della Rai Mauro Masi, "e sono soddisfatto - ha aggiunto - perchè è arrivato nella serata che Rai e festival hanno organizzato per i 150 anni dell'Unità

d'Italia".

SERENA ABRAMI LA PREFERITA TRA GIOVANI

Il brano di Serena Abrami, "Lontano da tutto", è il più gettonato dalle radio tra i giovani ed è il quinto tra tutte le canzoni in gara in questa edizione del Festival di Sanremo. Il brano è inoltre al primo posto della classifica (diffusa oggi) Nielsen Music Control-NMC. Serena Abrami sarà in gara questa sera nella finale riservata ai giovani. La sua è in effetti una delle poche canzoni degne davvero d'ascolto.

18 febbraio 2011

 

 

Sanremo Benigni: l'inno, Ruby e "le mie prigioni"

SANREMO LA DIRETTA DI GIOVEDI' 17

Sono seguite altre canzoni, un balletto con Belen che dovrebbe - lo dicono al festival - essere un omaggio a Fellini, Al Bano premiato per le canzoni sui 150 anni d'Italia. Ma quel che restano sono Benigni, con i riferimenti a Silvio e la rilettura dell'inno di Mameli, e la sorpresa gramsciana di Luca & Paolo.

LUCA & PAOLO LEGGONO GRAMSCI: "ODIO INDIFFERENTI"

Luca & Paolo leggono. Sono molto seri. "L'indifferenza è abulia, odio gli indifferenti, l'indifferenza opera potentemente nella storia". Contro l'indifferenza, contro l'abulia. E' Gramsci: dalla rivista 'La città futura' del 1917, numero unico pubblicato dalla Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista.

CANTANTI IN OMBRA

I La Crus con il Gnu Quartet fanno Parlami d'amore Mariù. Tricarico con Toto Cutugno in 'L'italiano' di Cutugno, con un coro multietnico formato da ragazzi nati tutti in Italia. Ma dopo Benigni scorrono via come l'acqua.

BENIGNI: CANTA INNO MAMELI

Solo con la voce, luci basse, canta l'Inno d'Italia. E' quasi raccolto, intimo. Sembra commosso. A Sanremo cantare senza orchestra né altri è un azzardo che nessuno osa. Al comico è riuscito e ha saputo rendere l'inno qualcosa di personale. Senza retorica. Applausi scroscianti. Poi se ne va.

BENIGNI: ITALIA FATTA DAL POPOLO

Italia fatta dal popolo. Loro sono morti per la patria perché noi imparassimo a vivere per la patria. Immagina un ragazzo sul campo che ripensa alle parole dell'inno e se lo canta. E annuncia che canta. "Mi gioco tutto".

BENIGNI: FELICITA' NON E' CARA

Arriva ai versi conclusivi. Vorrei che foste felici, viviamo in un paese memorabile. E se qualche volta la felicità si scorda di voi, voi non scordativi della felicità. Che non è cara.

BENIGNI: L'ANALISI DELL'INNO

L'artista compie una lettura esegetica dell'inno di Mameli, sul modello delle sue celebri interpretazioni dei canti della Commedia di Dante. Ma anche l'analisi filologica e appassionata di Fratelli d'Italia non sfugge ai richiami al presente, come quando il premio Oscar si rivolge direttamente al leader della Lega Nord Umberto Bossi. "Dov'è la vittoria, le porga la chioma, chè schiava di Roma Iddio la creò. Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il soggetto è la vittoria!", avverte Benigni. E poi: "Il federalismo è un'altra cosa. Qui parliamo dell'unità del Paese, che è la ricomposizione quasi religiosa di un corpo fatto a pezzi". E ancora, più avanti: "L'unità è talmente bella che permette pure che qualcuno dice: non la festeggio!".

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BENIGNI: DA GENOVA A PALERMO

Il passo successivo è Genova nel '700. Poi nella Palermo degli Angioini occupata dai francesi. Una terra occupata sempre da stranieri.

BENIGNI: INVENTATO NOI I COMUNI

Risale al primo '500 quando Carlo V con gli spagnoli assediò la repubblica di Firenze. Siamo noi - annota - che abbiamo inventato i Comuni.

BENIGNI: A LEGNANO SVENTOLATE IL TRICOLORE

Con Legnano arriva al Carroccio, alla Lega Lombarda: distrussero Federico Barbarossa. L'unione è dentro l'inno di Mameli. Ogni volta che dite Legnano potete sventolare il tricolore.

BENIGNI: LE DONNE DEL RISORGIMENTO

Non potete sapere cos'hanno fatto le donne del Risorgimento. Hanno combattuto per noi. Come Anita Garibaldi morta incinta. Ma non hanno mai avuto diritti: il voto è nel 1946. E prima donna ministra Tina Anselmi nel 1976. Democristiana, cattolica, fatto la Resistenza: la omaggia.

BENIGNI: TRICOLORE DALLA DIVINA COMMEDIA

Passa alla Divina Commedia (inciampa nelle parole per un momento) e dice che la nostra bandiera viene da Dante che riporta, nella visione di Beatrice, i tre colori.

BENIGNI: L'ITALIANO NOSTRA IDENTITA'

In dialetto non si può scrivere la Critica della ragion pura o la Divina commedia. La nostra lingua è la nostra identità più profonda.

BENIGNI: CHURCHILL QUANDO PERSE VINSE

Churchill uno dei suoi preferiti. Ci sono nostalgici perfino della nazione. Quando seppe, Churchill, di aver perso le elezioni disse "Abbiamo vinto" perché aveva vinto il nazismo per avere libere elezioni.

BENIGNI: MAMELI PAROLA PER PAROLA

Con ritmo più veloce, analizza il testo come aveva fatto con Dante e la Divina commedia. Ricorda che Metternich l'austriaco non riuscì ad aver ragione di Mazzini.

BENIGNI A UMBERTO: E' LA VITTORIA CHE E' SCHIAVA DI ROMA

Si rivolge direttamente a Bossi.

BENIGNI: ITALIA SVEGLIATI

Italia, svegliati, esorta il comico. Analizza le parole di Mameli. Da Scipione (Scipio) contro Annibale: Scipione cambiò la storia. Nascono da atti eroici i fatti grandi. Passa ai romani: già moderni, hanno inventato il diritto.

BENIGNI: RACCONTA DI NOVARO E MAMELI

Risorgere lo scrisse l'Alfieri, è un verbo mistico, osserva. I dirigenti Rai sono cupi: applaudono quando li riprende la telecamera. Benigni continua a elogiare i grandi d'Italia. Mameli 20 anni. Novaro, autore musica, morto poverissimo. Scrisse una marcetta. Noi, dice, siamo un popolo allegro. Fa l'inno all'Inno. Racconta che i garibaldini avevano giubbe rosse perché rubate, erano destinate a macellai argentini per non far vedere il sangue.

BENIGNI: CAVOUR GARIBALDI MAZZINI USCITI POVERI DA POLITICA

I nostri patriotti non vivevano per il Carpe Diem, non li fermava nessuno. Cavour, Garibaldi e Mazzini: entrati in politica e usciti più poveri, ma hanno arricchito gli italiani.

BENIGNI: NATA PRIMA CULTURA POI NAZIONE

Tutti , dice l'artista, si tassavano, elogia sempre Garibaldi, Mameli. L'Italia unico paese al mondo dove nata prima la cultura e poi la nazione.

BENIGNI: GIOVANI ITALIANI DETTERO LA VITA

Benigni: sono contento della par condicio. Ma, ricorda, la storia del nostro paese è memorabile: quelle persone nel risorgimento hanno dato la vita. Tutto il mondo guardava l'Italia: era una grandezza intrisa di gioventù. Erano ragazzi tutti morti giovani, hanno dato la vita. Garibaldi era famoso nel mondo.

MORANDI PREOCCUPATO ASCOLTA BENIGNI

Morandi è preoccupato.

BENIGNI: SILVIO PELLICO, LE MIE PRIGIONI

Cita Silvio Pellico, "Le mie prigioni". Prima di avere un altro Silvio che scrive un libro così...

BENIGNI: SILVIO, MEGLIO SE VAI AL CINEMA

Ci sono due persone che telefonano, una è qui (Masi, dg Rai), l'altra stasera è meglio se va al cinema: su questo canale ci sono io Silvio, se non ti piace qui cambia canale, vai sul 2, no c'è Santoro".

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Non si trattiene, parla di Ruby Rubacuori: "tutto sto tempo perso con le procure per sapere se era nipote di Mubarak. Bastava andare ad anagrafe e vedere se Mubarak di cognome fa Rubacuori.

BENIGNI: ITALIA MINORENNE, ANCHE LA CINQUETTI NON AVEVA L'ETA'

Quando Mameli lo scrisse (l'inno, ndr) aveva 20 anni, e all'epoca si diventava maggiorenni a 21, quindi era minorenne. Qui sul palcoscenico di Sanremo la questione delle minorenni è cominciata con Gigliola Cinquetti che si era spacciata per nipote di Claudio Villa.

BENIGNI: ITALIA MINORENNE

Cita il testo. "dov'è la vittoria", sembra scritto dal Pd. Parlerò dell'unità d'italia solo. L'Italia ha 150 anni e che sono per un Paese? Nulla. L'Italia è una bambina, una minorenne.

BENIGNI: PROSSIMO FESTIVAL A BERSANI

Siamo qui solo per l'inno di Mameli. Esclusivamente. Tutto il mondo ci ride dietro per Sanremo con Morandi. Siamo popolo responsabile. C'è già par condicio, c'è Barbarossa per la Lega.

BENIGNI: PROSSIMO FESTIVAL A BERSANI

Elogia Morandi. Il prossimo festival facciamolo condurre a Bersani.

BENIGNI AI CAVALIERI ORA NON DICE BENE

Avevo dubbi, ai cavalieri non dice bene in questo periodo. Chiarisce: l'ha pagato la Rai.

BENIGNI SU CAVALLO BIANCO E TRICOLORE

Benigni: "Viva l'Italia". Il cavallo è sul palcoscenico.

benigni cavallo sanremo

BENIGNI A MINUTI

Dopo lo spot arriva Benigni. Speriamo.

VECCHIONI FA IL NAPOLETANO

Dopo Max Pezzali con Arisa in "mamma mia dammi cento lire" (sempre 'sta mamma), Vecchioni canta "O surdato 'nnamurato". Lui milanese, chiede Morandi? Da genitori napoletani, chiarisce netto. Buona versione.

EMMA E MODA' PER SACCO E VANZETTI

Per Emma e i Moda' "Here's to you" di Joan Baez e Morricone su Sacco e Vanzetti, anarchici giustiziati negli Usa. Erano emigranti.

LE CANZONI D'ITALIA PER I NOSTRI AMICI DI FACEBOOK

A parte Bella ciao i nostri amici su Facebook per i 150 anni dell'Italia vorrebbero queste canzoni: Contessa, Bandiera rossa, l'Internazionale, naturalmente De André, poi citano i Baustelle, Capossela, gli Afterhours. La "Terra dei cachi" di Elio e le storie tese. Di Bertoli scelgono "Italia d'oro". E "Dio e morto" di Guccini.

BELLA CIAO DILAGA ON LINE

"Bella ciao" vietata all'Ariston è risuonata davanti al teatro grazie al Popolo viola. E nel web centinaia di utenti mettono il testo on line.

I DUETTI DI DOMANI.

Duetti e ospiti domani all'Ariston per la quarta serata del festival di Sanremo. Ad affiancare Luca Madonia con Franco Battiato con 'L'Alieno' sarà Carmen Consoli; Anna Oxa ('La mia anima d'uomò) canterà con Marta sui Tubi; Max Pezzali ('Il mio secondo tempò) con Lillo & Greg; Roberto Vecchioni ('Chiamami ancora amorè) con la Premiata Forneria Marconi; Tricarico ('3 colorì) con il Coro di Voci Bianche Si La So...L; Albano ('Amanda è liberà) con Michele Placido; Nathalie ('Vivo sospesà) con L'Aura; Emma e i Mod… ('Arriverà) con Francesco Renga; Davide Van De Sfroos ('Yanez') con Irene Fornaciari; Patty Pravo ('Il vento e le rosè) con Morgan; Giusy Ferreri ( 'Il mare immensò) con Francesco Renga; Anna Tatangelo ('Bastardò) con Loredana Errore; La Crus ('Io confessò) con Nina Zilli; Luca Barbarossa e Rachel Del Rosario ('Fino in fondò) con Neri Marcorè.

DE NIRO, BELLUCCI, TAKE THAT E ROBBIE OSPITI DOMANI

Al festival parteciperanno domani come ospiti Robert De Niro e Monica Bellucci, protagonisti del film 'Manuale d'amore 3' di Giovanni Veronesi, e i Take That con Robbie Williams.

GIUSY STRAZIA "IL CIELO"

Giusy Ferreri fa "Il cielo in una stanza". La sta straziando. A Gino Paoli converrebbe essere altrove.

LUCA & PAOLO: 'MASI HA RISO'

La parte migliore restano Luca & Paolo. Almeno scherzano e prendono per i fondelli Morandi. E il dg Rai Masi: "Ha riso!". Certo la loro satira non intimorisce chi lavora per Berlusconi.

BATTIATO DIRETTORE

Patty Pravo con un filo di charme, ma un po' rigida, in Mille lire al mese. Per Luca Madonia Battiato dirige l'orchestra in "La notte dell'addio" di Remigi. Brano, segnala Morandi, degli anni 60 ingiustamente dimenticato.

IL RINASCIMENTO DI GIANNI

Morandi torna cantante. Interpreta l'inedito "Rinascimento". Con parole di Mogol, l'ha scritto Gianni Bella. Colpito da ictus tempo fa, ricorda il cantante. "Finirà lo smarrimento", intona. Testo generico. Non è uno dei pezzi memorabili cantati da Gianni. Teatro in piedi ad applaudire.

AL BANO, RETORICA AL MASSIMO GRADO

Al Bano in 'Va' pensiero' dal Nabucco: porta la retorica al massimo grado.

POPOLO VIOLA CANTA 'BELLA CIAO'

Una trentina di manifestanti del Popolo Viola canta Bella Ciao davanti al teatro Ariston. La dimostrazione è pacifica, In sala Anna Oxa in azzurro attillatissimo e in O' sole mio.

LUCA E PAOLO: LA RUSSA MINISTRO, SPERANZA PER TUTTI

Luca e Paolo sbeffeggiano La Russa: se lui è ministro c'è speranza per tutti. Ministro livido. Poi gli chiedono di non manifestare in pubblico la sua stima per loro: a casa dei due comici non gradiscono. La Russa ride a denti stretti.

LUCA E PAOLO: MASI IN PLATEA, COSI' NON CHIAMA

Luca e Paolo contenti di vedere in platea Masi. Così non li chiama.

TATANGELO SEMBRA DI CERA

Anna Tatangelo in un vestito bianco sembra di cera. Canta "Mamma". Per andare sul sicuro.

DE GREGORI: VAN DE SFROSS SFUMA IL GRAFFIO

Prima la retorica del 'siamo tutti uniti'. Poi apre il set delle canzoni Van De Sfroos. Lui che canta sempre in dialetto interpreta "Viva l'Italia" di De Gregori in italiano. Bravo, ma sfuma via il 'graffio' amaro dell'artista romano.

GABER AVREBBE GRADITO OMAGGIO?

Dopo il presentatore, dopo l'ingresso di Belen e Canalis, il duo Luca & Paolo rende omaggio a Gaber. Chissa se avrebbe gradito. Per fortuna il duo sdrammatizza: canzone dell'orgoglio gay.

TRICOLORI A GO GO

Rossini, il balletto di Ezralov con ballerini e ballerine in bianco, rosso e verde, una mega bandiera. Per Morandi un balletto meraviglioso. Mah!

CANZONI D'ITALIA, CHI CANTA COSA

Patty Pravo canta 'Mille lire al mese', i Modà con Emma "Here's to you" di Joan Baez sugli anarchici Sacco e Vanzetti. Giusi Ferreri interpreta di Gino Paoli 'Il cielo in una stanza, il duo Luca Madonia-Franco Battiato 'La notte dell'addio' di Iva Zanicchi. Anna Oxa intona 'O sole mio' (sulla carta suona quanto mai improbabile), la vincitrice di 'X Factor' Nathalie canta 'Il mio canto libero' di Mogol e Battisti. La coppia Luca Barbarossa-Raquel Del Rosario canta l'inno del Risorgimento 'Addio mia bella addio', mentre Roberto Vecchioni ha scelto 'O surdato 'nnamurato'. Davide Van De Sfroos canta 'Viva l'Italia' di De Gregori, Anna Tatangelo 'Mamma'. Gli Gnu Quartet si aggiungono ai La Crus per 'Parlami d'amore Mariù. Toto Cutugno con Tricarico fanno 'L'Italiano' di Cutugno stesso, E Al Bano con Iannis Plutarchos e Theodossiou Dimitra il coro verdiano del Nabucco 'Và pensiero'. E Max Pezzali, affiancato stasera da Arisa, rileggono il canto degli emigranti 'Mamma mia dammi cento lire'. Infine canta pure Gianni Morandi con 'Rinascimento', brano inedito di Mogol e Gianni Bella sull'oggi.

CANZONI D'ITALIA, MANCANO DE ANDRE' E 'BELLA CIAO'

La serata per i 150 anni dell'unità del paese è sui canti e le canzoni che hanno fatto la storia d'Italia: dagli inni del Risorgimento alle canzoni storiche anteguerra ai brani dei cantautori italiani (però mancano Dalla e soprattutto Fabrizio De André). Morandi voleva "Bella ciao", la Destra allora ha detto "Giovinezza", né la canzone partigiana né quella fascista saranno in scaletta.

BENIGNI ENTRA A CAVALLO?

Benigni entrerà sul palcoscenico a cavallo? E' un'indiscrezione che circola a Sanremo. Il suo monologo sarà sull'inno di Mameli.

LA RUSSA: BENIGNI SPERO NO DI PARTE

Il ministro della Difesa La Russa è a Sanremo per la serata sui 150 anni dell'unità d'Italia. Teme Benigni? "Mi aspetto che sia all'altezza del Benigni migliore, quello dI 'Johnny Stecchino', film che mi è piaciuto molto". Lo ha detto durante la conferenza stampa per la serata sui 150 anni dell'Italia al Festival. "Vale per Benigni quello che ho detto in precedenza sulla satira. Credo che ci si aspetti che Benigni dica qualcosa sull'Inno nazionale, e che abbia la sensibilità da grande comico e da grande uomo dello spettacolo quale è di non utilizzare questa serata per fini di parte". In precedenza il ministro ha detto: "La satira è sempre accettabile quando non è unilaterale e quindi, nell'arco delle serate, non mi pare che lo sia. E quando non è finalizzata a sovvertire gli equilibri politici ma a far sorridere e pensare, secondo me non va mai condannata". Insomma, non deve far male a chi ha il potere.

BORGHEZIO: "BENIGNI SHOW E' PROSTITUZIONE"

Pur di far notizia l'europarlamentare della Lega Mario Borghezio le spara grosse: "Fa schifo il prostituirsi di un artista alle esigenze della retorica di una parte del Paese contro l'altra", ha detto a Klauscondicio parlando del comico atteso al festival. Per Borghezio "Morandi fa pena, ma non è un profittatore. Benigni invece prende un sacco di soldi per fare un untuoso ossequio ai valori risorgimentali. Questi signori sono dei 'marchettari'". Per il leghista le presunte prostitute di Arcore "hanno certamente più dignità di Benigni". E su Morandi: "Molto simpatico, ma resta un agit-prop comunista".

Benigni alle 22.15: sarà "serio?"

Il toscanaccio Roberto arriverà alle 22.15. Il festival, come sempre e com'è logico, non lo "usa" subito ma lo tiene in serbo oltre le 22 per tener su gli ascolti. Riserbo su cosa dirà. Sarà un intervento sui 150 anni d'Italia: le agenzie parlano di un taglio "serio". Ma non si può mai dire, con il comico di Vergaio.

Bella ciao con il Popolo viola davanti all'Ariston

"'Bella Ciao' non è stata inserita tra i brani che stasera celebreranno i 150 anni dell'Unità d'Italia e mi fa piacere se la cantano fuori dall'Ariston. Se passo la canto pure io". Gianni Morandi voleva la canzone simbolo della Resistenza, non ha potuto inserirla in scaletta, e in conferenza stampa si dice d'accordo con il Popolo viola che ha deciso di cantare oggi fuori dal Teatro Ariston la canzone partigiana esclusa dalla serata di oggi sui 150 anni dell'unità d'Italia.

Luca & Paolo: essere dopo Benigni è come porno dopo Siffredi

A Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu piacerebbe "un'Italia in cui si possa scherzare su tutti". Lo hanno detto durante la conferenza stampa di oggi del Festival di Sanremo a proposito della satira. E riguardo alla presenza di Benigni stasera: "Ubi maior minor cessat. Abbiamo rivisto la scaletta: sarebbe stato come fare un film porno dopo che lo ha fatto Rocco Siffredi", scherza Luca Bizzarri. E annunciano un omaggio a Giorgio Gaber "simile a quello di ieri per Ric e Gian".

Lega: ridate Van De Sfroos a Lago di Como

Per una volta la Lega Nord non ha tutti i torti, anche se i parlamentari avrebbero altro di cui occuparsi. I deputati Nicola Molteni e Davide Caparini hanno fatto appello alla Rai di avvisare i telespettatori di risintonizzarsi dopo il guasto di ieri sera al ripetitore di Sommafiume che ha lasciato al buio il lago di Como durante l'esibizione di Davide Van De Sfroos. Il Carroccio insiste nel volersi appropriare del cantautore che a Sanremo partecipa con una canzone in comasco. Lui però ha fatto una versione scritta del testo in molti dialetti italiani dal nord al sud.

Gli allibratori: Emma e Modà primi, sale Vecchioni

Gli allibratori puntano sempre su Emma e i Modà come possibili vincitori, ma come secondo indicano Roberto Vecchioni e il suo brano "Chiamami ancora amore", seguito da Nathalie mentre risulta in calo Giusy Ferreri, ora quarta per gli scommettitori. Quinti la coppia Barbarossa-Del Rosario.

18 febbraio 2011

 

Bagnasco: "Con il premier

incontro di prassi istituzionale"

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Un incontro istituzionale, di prassi, che ha il suo valore simbolico e anche contenutistico sostanziale, quindi nella norma dell'incontro e del rapporto tra le istituzioni".

L'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, commenta così l'incontro di ieri tra i vertici dello Stato italiano e quelli della Santa Sede per la ricorrenza della firma dei Patti Lateranensi. L'incontro, ha aggiunto il porporato a margine dell'inaugurazione dell'anno giudiziario ecclesiastico, è andato "come risulta, sostanzialmente bene in maniera tranquilla, andiamo avanti".

19 febbraio 2011

 

 

Wikileaks e i giudizi Usa:

"Berlusconi danneggia l'Italia"

Wikileaks

Inizia oggi la pubblicazione di almeno 4000 cable di wikileaks sull'Italia. La Repubblica e l'Espresso, in anteprima mondiale, ne pubbicano alcuni stralci.

Su Repubblica si trova un consiglio della diplomazia Usa al presidente Barack Obama in vista del G8 dell'Aquila: "Berlusconi danneggia l'Italia ma ci è utile e va aiutato: Obama deve salvarlo al G8 dell'Aquila".

L'Espresso apre con il titolo: "Quel premier è un clown" dove poi si legge: "ecco come gli usa vedono Berlusconi... dai dispacci emerge un leader che ha sfruttato le istituzioni e danneggiato il paese ma la cui debolezza permette agli americani di ottenere tutto...". E ancora, tra i vari documenti, un dispaccio dell'ex ambasciatore Spogli: "Il lento ma costante declino economico dell'Italia compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell'arena internazionale. La sua leadership manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo....".

18 febbraio 2011

 

 

Berlusconi pensa a una stretta sulle intercettazioni e allarga ancora la maggioranza - Il Punto di Folli

Cronologia articolo18 febbraio 2011Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 18:00.

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Due binari, giustizia e allargamento della maggioranza, per provare a uscire dall'angolo. Silvio Berlusconi riparte da questi due obiettivi e oggi, nel consiglio dei ministri, ha gettato con i suoi il primo tassello per portare avanti quella riforma della giustizia vagheggiata nel programma del 2008 e rimasta finora lettera morta. La road map che emerge da palazzo Chigi è tutta nella relazione del guardasigilli Angelino Alfano, approvata all'unanimità (dentro si delinea, tra l'altro, la separazione delle carriere di giudici e pm, la divisione del Csm e più poteri al ministro della giustizia, la responsabilità civile dei magistrati): sarà un Cdm straordinario a varare il piano non prima di due settimane.

Il governo approva la relazione sulla riforma della giustizia. Il 17 marzo Festa dell'Unità d'Italia. Lega: una follia (di Nicoletta Cottone e Claudio Tucci)

Berlusconi dopo l'incontro con i vertici del Vaticano: è andata benissimo come sempre

VIDEO / La forza di Berlusconi è nella debolezza dei suoi avversari (di Stefano Folli)

Berlusconi accelera sulle intercettazioni

Ora, però, l'attenzione del Cavaliere è tutta concentrata sulle intercettazioni. Berlusconi ha chiesto infatti ai suoi uomini di accelerare sul giro di vite per gli ascolti. L'intendimento sarebbe quello di tornare al testo precedente alle modifiche imposte soprattutto dai finiani e dall'opposizione, in sostanza quello uscito dal Senato. Che il provvedimento, difeso a spada tratta dall'agguerrita presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Giulia Bongiorno, finiana di ferro, non piace al premier è storia nota. Tanto che Berlusconi ha smesso di interessarsene a un certo punto considerando pressoché inutile il compromesso raggiunto alla Camera. Ora, però, sull'onda del caso Ruby il premier è deciso a modificare un sistema che ha bollato più volte come "barbaro" (guarda il video).

Subito anche l'immunità parlamentare. Le toghe sugli scudi

Insomma, avanti tutta sulle intercettazioni, in attesa lunedì di procedere poi sul fronte del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta per il Rubygate. Mentre rimane per ora nel cassetto il progetto di una mobilitazione della piazza ventilata per il 26 marzo: l'idea di un grande bagno di folla non dispiacerebbe al Cavaliere, ma il rischio è che si trasformi in una nuova iniziativa anti-pm proprio nel pieno del ciclone giudiziario. Il premier è poi intenzionato a ripristinare l'immunità parlamentare prevista dall'articolo 68 della Costituzione. Un vecchio pallino del Cavaliere che vuole tempi stretti per arrivare a una soluzione. Intanto però le toghe replicano all'annunciata stretta della maggioranza. "È un copione già visto: ogni volta che emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti, poi seguono iniziative legislative punitive per i magistrati - avverte Luca Palamara, presidente dell'Anm -. Noi non ci faremo intimidire e continueremo ad applicare la legge con serenità, imparzialità e in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero".

Alla Camera continua la caccia ai numeri

La maggioranza lavora poi alacremente ad allargare i numeri in Parlamento profittando delle defezioni e delle difficoltà tra i futuristi. Raccontano che il pressing sia diretto soprattutto su un gruppetto di finiani: oltre ai moderati Carmine Patarino e Luca Bellotti, nel mirino di Verdini e compagni ci sono anche Adolfo Urso, Andrea Ronchi e la compagna di quest'ultimo, Giulia Cosenza. Il Pdl punta a riportare all'ovile almeno cinque deputati nel breve periodo: i nomi che circolano sono quelli di Fernando Latteri e Carmelo Lo Monte (Mpa), dei due libdem Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, e dell'ormai ex Fli, Luca Barbareschi. Anche se il ministro Ignazio La Russa, tra il serio e il faceto, avverte. "Noi non lo vogliamo: se entrasse lui usciremmo in 50".

Al Senato si lavora a un nuovo gruppo pro-premier

Ma il ritorno dell'attore tra le braccia del Cavaliere è quasi certo. Come è certo che dal Pdl partiranno dei prestiti per rinforzare il gruppo dei responsabili, ora a quota 23 dopo gli ingressi ieri di Paolo Guzzanti e oggi del pidiellino Giancarlo Lehner. A via dell'Umiltà, secondo gli ultimi conteggi, si ipotizzano quattro-cinque passaggi considerando che Latteri, Lo Monte, Tanoni e la Melchiorre dovrebbero presto trasferirsi nei responsabili. Anche al Senato continua poi il lavorio per provare a ribaltare gli equlibri della maggioranza nella bicameralina del federalismo. Così, dopo il gruppo voluto da Thaler e Quagliariello, il sottosegretario Andrea Augello lavora a una nuova formazione nella quale, si vocifera, potrebbero trovare posto alcuni dei senatori in rotta con Gianfranco Fini. (Ce.Do.)

 

 

Il cardinale Bagnasco smorza Berlusconi: con il premier un incontro di prassi

Cronologia articolo19 febbraio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 11:22.

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"Un incontro istituzionale, di prassi, che ha il suo valore simbolico e anche contenutistico sostanziale, quindi nella norma dell'incontro e del rapporto tra le istituzioni". L'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, commenta così l'incontro di ieri tra i vertici dello Stato italiano e quelli della Santa Sede per la ricorrenza della firma dei Patti Lateranensi. L'incontro, ha aggiunto il porporato a margine dell'inaugurazione dell'anno giudiziario ecclesiastico, è andato "come risulta, sostanzialmente bene in maniera tranquilla, andiamo avanti". Parole che intiepidiscono quelle del premier Silvio Berlusconi, che ieri aveva sottolineato come l'incontro fosse andato "benissimo, come sempre".

Bagnasco ha poi riservato un commento al tema della fedeltà in politica, un valore "a tutti i livelli". "La fedeltà - ha affermato il presidente della Cei - è una categoria fuori moda dal punto di vista culturale, perché è sinonimo di noia, di ripetizione noiosa delle stesse cose, quasi di prigione della libertà, della spontaneità dei sentimenti, delle azioni e delle esperienze". "Bisogna recuperare la categoria delle fedeltà - ha proseguito - sia sul piano dell'amore, dell'amicizia, della vita in generale, del proprio lavoro, dei propri doveri, come la categoria che veramente consente nella ripetizione motivata dei propri doveri la costruzione dell'uomo".

 

 

 

 

2011-01-14

Berlusconi indagato per il caso Ruby dal 21 dicembre per concussione e prostituzione minorile

Cronologia articolo14 gennaio 2010Commenti (13)

Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 10:47.

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è indagato dalla Procura di Milano per le ipotesi di reato di concussione e di prostituzione minorile, in relazione al caso Ruby. La notizia è uno scoop pubblicato dal sito del Corriere della Sera. La conferma è poi giunta da una nota del procuratore di Milano, Edmondo Bruti Liberati: il premier è indagato dal 21 dicembre per il caso Ruby. Oggi gli è stato notificato dalla procura di Milano un invito a comparire. Invito "corredato dalla dettagliata indicazioni delle fonti di prova" per le ipotesi di reato a lui ascritte". Edomondo Bruti Liberati ha sottolineato che la nota della procura di Milano si è resa necessaria "in relazione a parziali e frammentarie notizie che sono state diffuse, al fine di una puntuale informazione, nel rispetto del principio costituzionale di non colpevolezza".

L'accusa

Secondo la nota della procura di Milano il reato di concussione sarebbe stato commesso a Milano, il 27 e 28 maggio 2010, mentre quello di prostituzione minorile,"in Arcore, dal febbraio al maggio 2010". Il reato di concussione sarebbe stato compiuto nel momento in cui, facendo leva sul suo ruolo di presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi avrebbe fatto pressioni sul capo di gabinetto della questura di Milano, Pietro Ostuni, perché Karima El Mahroug, detta Ruby fosse rilasciata. Il reato di concussione inoltre sarebbe stato compiuto per coprirne un altro, quello di prostituzione minorile, commesso ad Arcore. Su questo fronte Berlusconi é indagato per il reato 600-bis, comma 2, del codice penale, il quale prevede che chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, é punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164. I funzionari della questura sarebbero stati indotti ad affidare indebitamente l'allora 17enne marocchina Ruby, fuggita da una comunità per minori, alla consigliere regionale lombarda Pdl Nicole Minetti.

Indagati anche Emilio Fede e Lele Mora

La polizia ha perquisito questa mattina per circa un'ora gli uffici della consigliere regionale Nicole Minetti, indagata per favoreggiamento della prostituzione. Sarebbe stato sequestrato materiale informatico. Stessa ipotesi di reato per Lele Mora ed Emilio Fede. "Che io sia indagato i giornali lo scrivono da mesi - ha commentato Fede - ma con tutto il rispetto che ho per il lavoro dei miei colleghi devo dire che a me non risulta assolutamente. Se essere indagato significa aver ricevuto un atto di garanzia, non lo sono assolutamente". Fede ha ricordato di aver conosciuto Ruby in casa di Berlusconi, ma di non averla presentata al presidente: "nè so chi lo abbia fatto, nè sapevo che all'epoca fosse minorenne".

Capezzone: solito copione, accuse inverosimili

"Dinanzi al consueto e logoro copione, fatto di fughe di notizie e di accuse inverosimili, i cittadini possono ancora una volta scegliere se indignarsi o sbadigliare". Questa la prima reazione del portavoce del Pdl, Daniele Capezzone. Se "ancora c'è qualcuno, nella politica e non solo, che pensa di sconfiggere Silvio Berlusconi per via giudiziaria - ha aggiunto - avrà ancora una volta cocenti delusioni. Possibile che a sinistra non vi siano più nè garantisti, e questo non sorprende, ma neppure politici accorti, capaci di capire che la scorciatoia giudiziaria li porta in un vicolo cieco?".

Di Pietro: è Berlusconi che perseguita se stesso

Antonio Di Pietro commenta con una battuta le novità che arrivano da Milano sul

caso Ruby: "Berlusconi dice che le procure lo perseguitano? Non sarà che invece è Berlusconi che perseguita se stesso?". Per il leader dell'Idv "invece di telefonare, come presidente del Consiglio, al questore di Milano per dire che una minorenne è la nipote di Mubarak, Berlusconi potrebbe andare in tribunale e spiegare come stanno le cose".

 

 

 

Lo scudo bocciato in parte, al giudice il potere di controllo. Il premier: è ininfluente. Videoanalisi

di Stefano FolliCronologia articolo14 gennaio 2011Commenti (12)

Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 08:58.

L'ultima modifica è del 14 gennaio 2011 alle ore 07:43.

A questo punto è bene che il presidente del Consiglio si attenga al proposito manifestato due giorni fa, alla vigilia della sentenza: la pronuncia della Corte, aveva detto Berlusconi, non influirà sull'attività di governo. Il che oggi significa due cose: primo, rispettare il verdetto della Corte Costituzionale senza commentarlo d'istinto ed evitando le asprezze polemiche del recente passato; secondo, vedere il bicchiere mezzo pieno, anche se forse si tratta di un bicchiere mezzo vuoto.

VIDEOANALISI/ La Corte è arbitro, per Berlusconi un sentiero stretto (di Stefano Folli)

Scudo bocciato in parte (di Donatella Stasio)

Berlusconi: sentenza ininfluente,sul governo

È vero, peraltro, che la sentenza ha salvaguardato l'impianto generale della legge, il cosiddetto "scudo giudiziario". Ha riconosciuto che il legittimo impedimento del premier può essere legittimo, ma ha rimesso nelle mani del giudice la facoltà di valutare caso per caso le buone ragioni dell'impedimento (gli impegni istituzionali che impediscono al capo dell'esecutivo di rispondere alla convocazione processuale). Su questo punto cruciale gli eventuali e probabili conflitti fra governo e magistratura saranno competenza della Corte Costituzionale. E così, alla fine di un giro tortuoso, i giudici della Consulta diventano arbitri della vicenda.

Sullo sfondo c'è il referendum abrogativo caro a Di Pietro. Dovrà passare al vaglio della Cassazione e con ogni probabilità il quesito sarà corretto. Tuttavia, visto che la Corte non ha abrogato la legge, è possibile che la consultazione ottenga il via libera. Vorrebbe dire che il referendum diventerà in primavera un problema politico non indifferente, uno scoglio non aggirabile per la maggioranza e il suo leader.

Al momento Berlusconi ha tutto l'interesse a mantenere i nervi saldi. Il compromesso non è destabilizzante per gli equilibri di governo e non decapita il presidente del Consiglio. Una consolazione a metà: forse la legge sarebbe stata più efficace e avrebbe superato il vaglio della Corte se a suo tempo fossero stati accettati gli emendamenti proposti da Vietti, allora esponente dell'Udc e oggi vicepresidente del Csm. Ma è andata così.

Adesso il sentiero di Berlusconi si restringe, benchè il presidente del Consiglio sia abituato da anni a misurarsi con i magistrati. Continuerà a farlo, persuaso nel suo intimo che questa condizione gli giova sul terreno elettorale. Resta il fatto che la decisione della Consulta s'inserisce in un quadro generale già logorato.

Di per sé la sentenza non costituisce una spinta verso le elezioni anticipate, perché non taglia la strada al governo e si limita a rendere più faticoso il cammino di Berlusconi come premier. Tuttavia è un ulteriore tassello che va a indebolire una legislatura in affanno. Ci si può domandare, ad esempio, quale effetto avrà (se ne avrà) sui numeri della coalizione a Montecitorio. Renderà più agevole la ricerca di nuovi adepti, chiamati a puntellare l'esecutivo, o al contrario allontanerà i dubbiosi?

Se Berlusconi desse l'impressione di sentirsi oggi più vulnerabile, anche i numeri della maggioranza potrebbero risentirne. Per questo Palazzo Chigi evita di prendersela con la Corte, come fece in passato. Si accontenta del bicchiere mezzo pieno. Certo, la speranza di raggiungere nel 2013 la fine naturale della legislatura è sempre più aleatoria. È evidente che il referendum di Di Pietro si trasformerà in un grande referendum pro o contro Berlusconi. Con tutti i rischi connessi. E questa prospettiva è un argomento in più per il ritorno alle urne.

 

 

 

"Scudo" bocciato in parte

Donatella StasioCronologia articolo14 gennaio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 06:38.

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ROMA

Al "politicamente corretto" la Corte costituzionale ha preferito il "giuridicamente corretto". E così, nonostante le pressioni dirette e indirette, ha bocciato lo scudo processuale confezionato su misura per il premier Silvio Berlusconi, svuotando di fatto la legge sul legittimo impedimento. Cadono alcuni punti cardine, come l'automatismo della sospensione del processo nonché l'impedimento continuativo e futuro certificato dalla Presidenza del Consiglio. Viene restituito al giudice il potere/dovere di valutare in concreto il legittimo impedimento e la sua indifferibilità. Torna la necessità di bilanciare gli interessi in gioco, ovvero il diritto di difesa e l'interesse all'esercizio delle funzioni di governo con le esigenze della giustizia. Formalmente, la legge n. 51 del 2010 sopravvive ma, fanno notare a palazzo della Consulta, ne resta poco più che l'involucro. Il suo contenuto, dice la Corte, contrasta con i principi dello stato di diritto perché introduce un'immunità in capo al presidente del Consiglio, arbitro incontrastato degli stop del processo, anche per lunghi periodi; discrimina in modo irragionevole premier e ministri rispetto ai comuni cittadini; spoglia il giudice del potere di controllo sul legittimo impedimento; sacrifica le esigenze processuali a quelle dell'attività di governo.

"Sono molto contento" commenta il presidente Ugo De Siervo al Sole 24 Ore qualche ora dopo dopo la comunicazione alla stampa del vedetto. "Anche perché - aggiunge - sulla decisione si è formata una larga maggioranza". I boatos di palazzo della Consulta dicono che il verdetto finale è stato votato da 12 dei 15 giudici. Al no di Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano (passati alle cronache per la famosa cena con Berlusconi, a casa del primo) si è aggiunto quello di Alfio Finocchiaro. Nelle votazioni sui singoli punti, la maggioranza non è mai scesa sotto gli 11 voti.

La camera di consiglio è cominciata alle 9.30 di ieri ed è andata avanti per l'intera mattina. Dopo una breve sospensione, è ripresa alle 15.30 ma alle 17.00 il comunicato stampa con il verdetto era già nelle redazioni dei giornali. Tre i punti toccati dalla Corte: l'impedimento continuativo (fino a sei mesi) attestato dalla presidenza del Consiglio - che faceva scattare il rinvio del processo - cade di netto per violazione degli articoli 3 (uguaglianza) e 138 (necessità di una legge costituzionale) della Costituzione. Per la stessa ragione è illegittima la norma che imponeva di rinviare l'udienza di fronte agli impegni addotti dal premier e dai ministri: la Corte l'ha corretta ripristinando il potere del giudice di controllare "in concreto" il legittimo impedimento fatto valere (tecnicamente, si tratta di un intervento "additivo"). Infine, sopravvive la norma secondo cui è legittimo impedimento "il concomitante esercizio" di una serie di attività del premier indicate dalla legge, nonché di quelle "preparatorie, consequenziali e coessenziali alle funzioni di governo", ma a patto che - scrive la Corte - si continuino ad applicare i criteri previsti dall'articolo 420 ter del Codice di procedura penale, che disciplina il legittimo impedimento. Qui - ma solo qui - si è scelta la strada dell'"interpretativa di rigetto", con cui si torna, in buona sostanza, alle regole vigenti. Il giudice deve poter valutare sempre l'impedimento addotto, non solo la sussistenza (come sostenevano gli avvocati) ma anche la concretezza. Quindi, il merito. L'impegno, anche quello astrattamente previsto dalla legge, deve essere appunto concreto, credibile, insuperabile, ineluttabile. Solo così si trasforma in legittimo impedimento. Un comitato interministeriale, ad esempio, pur rientrando astrattamente tra le attività "tipiche", potrebbe non giustificare il rinvio del processo se il giudice ritenesse che è un impegno routinario e rinviabile.

Gli avvocati del premier Niccolò Ghedini e Piero Longo fanno buon viso a cattiva sorte: "La legge nel suo impianto generale è stata riconosciuta valida ed efficace e ciò è motivo evidente di soddisfazione", hanno scritto in una nota, rimproverando peraltro la Corte di essere incorsa in un "equivoco" sulla portata della legge, nata per tutelare meglio il diritto di difesa e il sereno svolgimento dell'attività di governo poiché, secondo i due legali, i giudici di Milano sono venuti meno ai doveri di "leale collaborazione" quando hanno "disconosciuto" che un Consiglio dei ministri costituisse legittimo impedimento.

È possibile che nella motivazione della sentenza (affidata a Sabino Cassese) la Corte riconosca la legittimità, in astratto, di un trattamento speciale dell'attività di governo del premier e dei ministri, purché rispettoso dei principi dello stato di diritto. Ma poiché la legge 51 è andata ben oltre, la Corte, pur non avendola cancellata in toto, ne ha cambiato radicalmente la sostanza.

 

 

 

 

Una sentenza da rispettare in un quadro generale che si logora

Cronologia articolo14 gennaio 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 06:38.

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A questo punto è bene che il presidente del Consiglio si attenga al proposito manifestato due giorni fa, alla vigilia della sentenza: la pronuncia della Corte, aveva detto Berlusconi, non influirà sull'attività di governo. Il che oggi significa due cose: primo, rispettare il verdetto della Corte Costituzionale senza commentarlo d'istinto ed evitando le asprezze polemiche del recente passato; secondo, vedere il bicchiere mezzo pieno, anche se forse si tratta di un bicchiere mezzo vuoto.

È vero, peraltro, che la sentenza ha salvaguardato l'impianto generale della legge, il cosiddetto "scudo giudiziario". Ha riconosciuto che il legittimo impedimento del premier può essere legittimo, ma ha rimesso nelle mani del giudice la facoltà di valutare caso per caso le buone ragioni dell'impedimento (gli impegni istituzionali che impediscono al capo dell'esecutivo di rispondere alla convocazione processuale). Su questo punto cruciale gli eventuali e probabili conflitti fra governo e magistratura saranno competenza della Corte Costituzionale. E così, alla fine di un giro tortuoso, i giudici della Consulta diventano arbitri della vicenda.

Sullo sfondo c'è il referendum abrogativo caro a Di Pietro. Dovrà passare al vaglio della Cassazione e con ogni probabilità il quesito sarà corretto. Tuttavia, visto che la Corte non ha abrogato la legge, è possibile che la consultazione ottenga il via libera. Vorrebbe dire che il referendum diventerà in primavera un problema politico non indifferente, uno scoglio non aggirabile per la maggioranza e il suo leader.

Al momento Berlusconi ha tutto l'interesse a mantenere i nervi saldi. Il compromesso non è destabilizzante per gli equilibri di governo e non decapita il presidente del Consiglio. Una consolazione a metà: forse la legge sarebbe stata più efficace e avrebbe superato il vaglio della Corte se a suo tempo fossero stati accettati gli emendamenti proposti da Vietti, allora esponente dell'Udc e oggi vicepresidente del Csm. Ma è andata così.

Adesso il sentiero di Berlusconi si restringe, benchè il presidente del Consiglio sia abituato da anni a misurarsi con i magistrati. Continuerà a farlo, persuaso nel suo intimo che questa condizione gli giova sul terreno elettorale. Resta il fatto che la decisione della Consulta s'inserisce in un quadro generale già logorato.

Di per sé la sentenza non costituisce una spinta verso le elezioni anticipate, perché non taglia la strada al governo e si limita a rendere più faticoso il cammino di Berlusconi come premier. Tuttavia è un ulteriore tassello che va a indebolire una legislatura in affanno. Ci si può domandare, ad esempio, quale effetto avrà (se ne avrà) sui numeri della coalizione a Montecitorio. Renderà più agevole la ricerca di nuovi adepti, chiamati a puntellare l'esecutivo, o al contrario allontanerà i dubbiosi?

Se Berlusconi desse l'impressione di sentirsi oggi più vulnerabile, anche i numeri della maggioranza potrebbero risentirne. Per questo Palazzo Chigi evita di prendersela con la Corte, come fece in passato. Si accontenta del bicchiere mezzo pieno. Certo, la speranza di raggiungere nel 2013 la fine naturale della legislatura è sempre più aleatoria. È evidente che il referendum di Di Pietro si trasformerà in un grande referendum pro o contro Berlusconi. Con tutti i rischi connessi. E questa prospettiva è un argomento in più per il ritorno alle urne.

 

 

 

 

Rischio di azzeramento per la politica nucleare

Federico RendinaCronologia articolo14 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 06:37.

ROMA

Un quesito sull'inequivocabile orientamento "anti" o pro" degli italiani sull'atomo? Niente affatto. Il referendum proposto dall'Italia dei valori con il placet giunto dalla Consulta assomiglia molto, moltissimo (e per la verità non può essere altrimenti) alla vecchia chiamata referendaria del 1987 che ha portato alla chiusura delle nostre centrali atomiche.

Ecco le mine normative per demolire minuziosamente il dedalo di norme (una settantina) messe in campo dal governo Berlusconi per spianare la strada al ritorno dell'atomo elettrico. Dall'articolo 7, comma 1, lettera d della legge 133/2008 (che delega il governo a congegnare l'operazione), a quelle della legge 99/2009 (la "sviluppo" varata in agosto che fissa i criteri base per autorizzare gli impianti atomici e impegna lo Stato ad una "opportuna campagna di informazione"), fino alla polpa del conseguente decreto legislativo n.31/2010 che traccia i criteri per la localizzazione degli impianti e le compensazioni alle popolazioni.

Il quesito referendario salva solo la delega al governo per la disciplina per lo stoccaggio del combustibile irraggiato, dei rifiuti e del deposito nazionale delle scorie. Nella consapevolezza, evidentemente, che di rifiuti nucleari ne dobbiamo in ogni caso gestire parecchi: quelli vecchi delle quattro centrali atomiche ancora in dismissione, quelli nuovi comunque prodotti dall'attività medica e scientifica.

Ciò non impedirà né potrà impedite al governo di legiferare nuovamente, ricostruendo da capo la base normativa per il ritorno all'atomo. Ma tutto, in caso di successo del referendum, dovrà iniziare da capo. Compreso l'allestimento della neocostituita (ma ancora non funzionante) Agenzia per la sicurezza nucleare affidata alla guida di Umberto Veronesi.

Obiettivo della compagine antinuclearista che si va aggregando attorno all'Italia dei valori è ora la propaganda per il sì, ma soprattutto (elemento critico, visti gli ultimi referendum) il raggiungimento del quorum della metà più uno degli elettori.

Obiettivo per nulla scontato, rimarca anche il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli. Che incita gli "anti" a organizzarsi subito, costituendo un "comitato ampio e partecipato che raccolga tutte le realtà politiche, civili, associative, produttive, sindacali, e i singoli cittadini". Destinate, inutile nasconderlo, ad evidenziare spaccature trasversali che renderanno la gestione referendaria non meno ingarbugliata dei suoi quesiti.

Che dire della presenza di Cisl e Uil, ma non della Cgil, tra i membri del Forum nucleare protagonista della controversa campagna pubblicitaria, formalmente neutrale ma palesemente nuclearista, che popola in questi giorni i media? In tutto ciò il ministro dello Sviluppo Paolo Romani si augura che questo referendum "di difficile comprensione" porti comunque ad "un dibattito sereno con l'esito finale del ritorno dell'Italia all'atomo".

 

 

 

 

2011-01-12

Via libera al referendum Idv sul legittimo impedimento. Sì anche al quesito sul nucleare e a due sull'acqua

Cronologia articolo12 gennaio 2010Commenti (1)

Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2011 alle ore 17:23.

Sì al referendum sul legittimo impedimento, via libera anche a quello sul nucleare e a due referendum sull'acqua. Sull'acqua non ammessi due quesiti, di cui uno dell'Idv. Dunque la Corte costituzionale ha ammesso 4 referendum su 6. Immediato il commento del leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. "Con l'ammissibilità del referendum sul legittimo impedimento e con un giudizio di illegittimitàcostituzionale pendente, la resa dei conti con la giustizia perSilvio Berlusconi si avvicina, anzi è inevitabile e inesorabile". Per Di Pietro "tutti siamo uguali difronte alla legge ed è immorale e contro lo stato di diritto di un paese democratico farsi le leggi per non farsiprocessare".

Via libera al quesito sul legittimo impedimento

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum promosso dall'Idv per l'abolizione totale della legge sul legittimo impedimento che mette al riparo il premier Berlusconi dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade). L'effettivo svolgimento dellaconsultazione dipenderà però dal verdetto di domani della stessa Consulta sullo scudo Se infatti la Consulta dovesse bocciare del tutto la legge, allora nienteconsultazione popolare, che invece ci sarebbe senz'altro in caso di sentenza interpretativa di rigetto oppure di un verdetto diinamissibilità o infondatezza dei ricorsi. Il voto sarebbe inforse se la Consulta bocciasse lo scudo solo in parte: in questo caso spetterebbe all'Ufficio centrale della Cassazionevalutare se sussista ancora l'interesse alla consultazionereferendaria.

Due su 4 i quesiti sull'acqua ammissibili, oltre a quello sul nucleare

La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei quattro referendum contro la privatizzazione dell'acqua e uno sul nucleare. Ad essere stati rigettati sono stati il quesito promosso da Di Pietro per abrogare parte del decreto Ronchi-Fitto e quello promosso dal Comitato "Sì acqua pubblica" per cancellare le norme del precedente governo Prodi in materia di ambiente sulle forme di gestione e sulle procedure di affidamento delle risorse idriche. Via libera invece della Consulta agli altri due quesiti del Comitato "Si acqua pubblica": uno per l'abrogazione delle norme del decreto Ronchi-Fitto sulle modalità di affidamento con gara a privati dei servizi pubblici di rilevanza economica, l'altro per la cancellazione delle norme del governo Prodi riguardanti al determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Ammesso anche il quesito sul nucleare promosso dall'Idv di Di Pietro per cancellare circa 70 norme contenute nei provvedimenti che con il governo Berlusconi hanno riaperto la strada a nuove centrali.

 

 

 

 

 

 

 

2011-01-09

Consulta alla mediazione sul legittimo impedimento

Marco LudovicoCronologia articolo09 gennaio 2011

Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2011 alle ore 08:14.

ROMA

Il corridoio di braci, per il legittimo impedimento, comincia alla Consulta lunedì prossimo e termina giovedì 13. Le quotazioni più alte per l'esito della sentenza della Corte costituzionale sulla sorte giudiziaria - e politica - del premier Silvio Berlusconi riguardano, al momento, una pronuncia di mediazione: né la costituzionalità del legittimo impedimento, né la sua bocciatura.

Ma, si sta ipotizzando in queste ore, una decisione "interpretativa" della norma in ballo. Per sancire, in definitiva, che tocca al giudice nel processo stabilire se e quando il presidente del consiglio ha un impedimento che non gli consente, a giusto titolo, di venire in aula. E che non è dunque automatico il legittimo impedimento.

È chiaro che in questo modo il capo del governo sarebbe comunque sotto pressione: non appena la decisione della Consulta diventasse pubblica, il premier si ritroverebbe a fare i conti con i procedimenti giudiziari finora congelati e, soprattutto, a dover discutere attraverso i suoi legali, Niccolò Ghedini e Pietro Longo, la sua presenza davanti alle corti giudiziarie interessate. E va anche detto che si potrebbe configurare, con questo tipo di decisione, l'ipotesi di sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

In realtà tra i 15 giudici del palazzo della Consulta ci sono, al momento, sia i falchi che le colombe. Posizioni nette per condividere, in un caso, la tesi dei magistrati di Milano, e cioè che quella legge è incostituzionale perché costituisce un trattamento di disparità tra il capo del governo - e i suoi ministri - e, invece, un comune cittadino, legittimato a non partecipare a un'udienza di tribunale solo se c'è "assoluta impossobilità a comparire per caso fortuito o forza maggiore".

Nell'altro caso ci sono i togati che considerano invece la legge incriminata in linea con i principi della carta costituzionale: come ha fatto sapere ufficialmente Luigi Mazzella, uno dei 15 membri della Corte, ex ministro della Funzione pubblica con il precedente governo Berlusconi, che ha inviato ai colleghi una lettera per mettere nero su bianco il suo sì alla norma. Ogni voto, insomma, potrebbe essere decisivo per l'esito finale. Atteso, dunque, per giovedì prossimo, quando si riunirà la camera di consiglio. Per poi rendere noto il verdetto sulle disposizioni che, per ora, hanno messo in sospeso tre processi a carico del presidente del consiglio (Mills, Mediatrade e Mediaset). Il dispositivo della sentenza sarà comunicato subito per evitare qualunque insinuazione o equivoco. Proprio come accadde con le sentenze della Corte costituzionale sul lodo Schifani e Alfano, entrambi considerati illegittimi.

Le conseguenze politiche e giudiziarie saranno, in ogni caso, inevitabili e clamorose. Ma la tensione, già ora elevata, entrerà nel vivo la mattina di martedì prossimo, alle nove e trenta. Quando il presidente della Corte costituzionale, Ugo De Siervo, aprirà la seduta pubblica.

Il caso sarà illustrato dall'attesa relazione di Sabino Cassese. A seguire ci saranno le tesi sostenute dai magistrati di Milano, quelle dei legali del premier, l'intervento dell'avvocatura dello stato. Poi, però, si dovrebbe proseguire con le altre cause e non si procederà, dunque, alla camera di consiglio per la decisione, com'era in programma all'inizio. Una scelta, quella di spostare a giovedì la discussione tra i giudici e la sentenza finale, assunta dal presidente De Siervo per garantire la presenza dall'inizio alla fine del processo di tutti e 15 i togati. Compresa Maria Rita Saulle, che per motivi di salute avrebbe rischiato di non essere presente ma che ha chiesto di poter partecipare a ogni fase del giudizio. Con l'assenza di un componente, in teoria, sarebbe stato possibile persino un pareggio e una spaccatura tra i giudici, 7-7.

Non che nel giorno di mezzo, mercoledì, alla Consulta non si parli di legittimo impedimento. Al contrario: in discussione c'è la proposta di referendum abrogativo presentata dal leader dell'Idv (Italia dei valori), Antonio Di Pietro. Ci sono poi altre cinque iniziative referendarie, una sul nucleare e quattro sulle norme per la privatizzazione dell'acqua. Camera di consiglio pubblica, con gli avvocati dei promotori, e, nel pomeriggio, pronuncia sull'ammissibilità dei quesiti.

Il giorno dopo, dunque, il giro finale sul legittimo impedimento. Massimo riserbo, per ora, sugli orientamenti dei singoli membri, anzi bocche sempre più cucite con l'avvicinarsi del traguardo. La posta in gioco è altissima.

 

 

 

 

2010-12-10

Ugo De Siervo è il nuovo presidente della Corte costituzionale, ma soltanto fino al 29 aprile

Cronologia articolo10dicembre 2010Commenti (1)

Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 alle ore 11:25.

Ugo De Siervo è il nuovo presidente della Corte Costituzionale. Trentaquattresimo presidente della Consulta, succede a Francesco Amirante, il cui mandato novennale è scaduto lo scorso 6 dicembre. A eleggerlo sono stati, a scrutinio segreto, i 15 giudici della Consulta. De Siervo, nominato giudice costituzionale nel 2002 dal parlamento, terminerà il suo mandato a palazzo della Consulta il 29 aprile del 2011.

Appena insediato De Siervo ha annunciato lo slittamento a gennaio della decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Il neo presidente ha detto che l'udienza pubblica per la discussione della legittimità costituzionale della legge sul legittimo impedimento sarà fissata per l'11 o il 25 gennaio. L'appuntamento della Consulta sul legittimo impedimento era precedentemente atteso per il 15 dicembre.

Nato a Savona, classe 1942, De Siervo ha ricoperto fino a oggi il ruolo di vicepresidente della Consulta. Laureato con il massimo dei voti nel 1965 in diritto costituzionale all'università di Firenze, ha iniziato la sua carriera accademica nel 1969 come assistente nella stessa università. Attualmente è professore in aspettativa di diritto costituzionale nell'ateneo fiorentino.

Autore di molti scritti di storia e dirirtto costituzionale, dal sistema delle fonti, all libertà e diritti costituzionali, dal sistema regionale, al processo di costituzionalizzazione dell'Europa, è stato componente dal 1970 al 1974 del comitato regionale di controllo della regione Toscana, mentre dal 1986 al 1993 ha fatto parte del consiglio superiore della pubblica amministrazione. Dal 1997 al 2001, poi, è stato tra i membri dell'autorità garante per la protezione dei dati personali.

Nella corsa alla presidenza della Consulta è stata dunque rispettata l'anzianità di carica e De Siervo ha avuto la meglio sull'altro candidato, il giudice costituzionale Alfonso Quaranta.. Tra le numerose sentenze scritte come giudice costituzionale, spiccano quelle sul conflitto tra Stato e regioni sul nucleare.

 

 

 

 

 

 

 

2010-11-28

I magistrati: sì alla riforma dei processi, ma nell'interesse dei cittadini

Cronologia articolo28 novembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 17:04.

I magistrati non sono contro la riforma della giustizia, anzi la chiedono con forza. Ma a condizione che sia "nell'interesse dei cittadini". Tutto l'opposto, insomma, degli interventi annunciati e adottati negli ultimi anni, che sono stati "episodici e occasionali" e "dettati dall'esigenza di risolvere situazioni legate a singole vicende processuali". Sono alcuni dei passaggi della mozione con cui l'Associazione nazionale magistrati (Anm) ha chiuso il suo XXX Congresso nazionale. Il testo è stato approvato all'unanimità e per acclamazione: un dato significativo, perché la giunta che oggi guida l'Anm non rappresenta tutte le correnti della magistratura.

Più efficienza nei tribunali. Quello che arriva dalla magistratura è un vero e proprio appello al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, perché intervenga al più presto con i provvedimenti necessara a rimettere in caorreggiata la macchina della giustizia, a partire dal taglio dei tribunali inutili. I magistrati pongono al centro del dibattito anche i temi "dell'autoriforma, della questione morale e dell'organizzazione". Parole come valutazione della professionalità e organizzazione degli uffici non sono più tabù. E si dice apertamente che le correnti e le logiche corporative vanno limitate. Al tempo stesso, però, ribadiscono i magistrati, i processi interminabili "non si risolvono con un'ennesima riforma dei giudici limitandone l'autonomia e l'indipendenza, minate ripetute volte dalle annunciate riforme costituzionali in materia di separazione delle carriere, di obbligatorietà dell'azione penale e di Csm, nonché in occasione dei non meno insidiosi progetti di legge ordinaria in materia di intercettazioni, processo breve e polizia giudiziaria svincolata dal pm".

Protestano i giudici di pace. Intanto i giudici di pace sono pronti a incrociare le braccia. L'Unione nazionale ha convocato il direttivo nazionale per l'immediata proclamazione dello sciopero. Motivo della protesta, la volontà del ministro – anticipata dal sottosegretario Caliendo – di presentare al prossimo consiglio dei ministri un disegno di legge identico a quello già presentato l'anno scorso e poi ritirato proprio dopo le proteste dei giudici di pace. Il disegno di legge, accusano i magistrati, "non prevede la continuità del servizio del giudice di pace, né forma alcuna di tutela previdenziale, mortifica la professionalità e limita gravemente le garanzie di imparzialità e indipendenza del giudice di pace, escluso da tutti gli organi di autogoverno della magistratura e dalla stessa direzione degli uffici".

 

 

 

 

Gli avvocati si compattano in un no alla mediazione. Video interviste

di Jada C. FerreroCronologia articolo27 novembre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2010 alle ore 12:21.

Tutte le videointerviste dal congresso di Genova

No alla mediazione, unanime. I circa 1.200 delegati dell'assise congressuale forense di Genova bocciano uniti il nuovo istituto che prevede l'obbligatorietà della media conciliazione a partire dal marzo 2011. Secondo ragioni esposte dall'Oua, l'organismo unitario dell'avvocatura, e condivise dall'avvocatura, essa costituisce incostituzionale limitazione dell'accesso dei cittadini alla giustizia, e produrrà aumento dei costi, abbassamento della qualità del servizio offerto, il proliferare di mediatori di relativa qualificazione – la stima è di oltre 30mila – sullo scenario della giustizia. "Sul regolamento varato dal ministero – chiarisce Maurizio de Tilla, presidente dell'Oua - è anche già stato presentato un ricorso al Tar. Sulla questione proprio in queste ore è riscesa di nuovo in campo con un comunicato stampa la Confindustria, e questa è la risposta degli avvocati, di tutti gli avvocati. Al ministro Alfano diciamo che forse è meglio che ascolti il messaggio netto dell'assise di Genova".

Il ministro della Giustizia, avvocato, ieri ha affrontato la platea di ex colleghi che chiedevano la revoca, o in subordine il rinvio dell'applicazione dell'istituto, senza però grandi aperture, salvo l'avvio di un tavolo.

Gazzarra, in Aula, sull'autoregolamento sulle specializzazioni, di cui si è dotato il Cnf (in attesa della riforma) e che entrerà in vigore a giugno (contro cui alcuni avvocati di Roma hanno presentato un ricorso al Tar, prima udienza 29 gennaio 2011). Il testo divide il consesso, in modo articolato, con diverse sfumature. Sono state così votate due diverse mozioni, l'una a favore di un ripensamento del testo, l'altra contro il regolamento, entrambe approvate. Ok a diverse altre mozioni su aspetti specifici della giustizia penale, civile, tributaria, mentre diverse sono state trasformate nel corso del dibattito in semplici raccomandazioni.

A conclusione del congresso, rinnovato l'assetto del Assemblea dell'Oua: 79 gli eletti in rappresentanza degli ordini forensi di tutta Italia.

L'assiste si chiude dando appuntamento al prossimo congresso, 31esima edizione, fissato a Bari nel 2012.

 

 

Alfano: pm mai sotto il governo

Donatella StasioCronologia articolo28 novembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 06:37.

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ROMA

Il giorno prima, a Genova, aveva dovuto fare i conti con una platea inviperita di avvocati, fischi, cartellini rossi e nastri neri di contestazione. Ieri, al XXX Congresso dell'Anm, Angelino Alfano se l'è cavata con qualche brusio, incassando persino un paio di applausi. Il ministro della giustizia sapeva che i magistrati non gli avrebbero giocato brutti scherzi, ma forse non si aspettava di dover fare i conti con il "signor Rossi". Non un "signor Rossi" qualsiasi, ma Nello Rossi, Procuratore aggiunto a Roma, leader carismatico dell'Anm e di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe più odiata dal governo Berlusconi. È lui a salire sul pulpito quando Alfano entra nell'affollatissimo teatro Capranica. Ed è a lui che più volte si rivolgerà il guardasigilli nel suo intervento a braccio, dribblando il tema spinoso della riforma costituzionale (peraltro rinviata da Berlusconi a dopo il voto di fiducia), giustificando l'azione di governo sul fronte dell'efficienza con la penuria di soldi ("Quest'olio abbiamo per friggerci") e preannunciando una deroga del governo (forse con decreto, già martedì) al divieto di destinare i magistrati di prima nomina nelle sedi disagiate per coprire i buchi in organico. Unico passaggio, questo, davvero apprezzato. Quanto al resto, "il discorso del guardasigilli non fa che confermare che la priorità del governo non è risolvere i problemi della giustizia", commentano il presidente dell'Anm Luca Palamara e il segretario Giuseppe Cascini.

"Signor ministro - esordisce Rossi - due anni fa, quando venne al nostro precedente Congresso, lei era un giovane ministro all'esordio e il suo discorso suscitò la speranza di buone riforme per la giustizia. Ma oggi il bilancio è in rosso, con un saldo negativo". Il "signor Rossi" sgrana quindi il rosario delle "aggressioni e delle invettive" rivolte ai magistrati dai "vertici dello Stato"; i "fatti concreti" ai quali "la politica è rimasta sorda"; le "riforme eccentriche finite nel pantano", come intercettazioni, processo breve e riforma del processo penale. "Noi - osserva - siamo parte dello Stato, perciò non saliremo sui tetti per protestare. Abbiamo fatto i conti con la questione morale, l'autoriforma e il deficit organizzativo e oggi avanziamo proposte concrete su cui le chiediamo di risponderci. Sì o no, ma vogliamo risposte, perché questa è la responsabilità della politica". Con una "promessa" finale: ad aggressioni e invettive "continueremo a reagire per difendere onore e dignità professionale" e all'idea di riformare l'assetto costituzionale della magistratura "continueremo ad opporci con le armi della discussione pubblica, della critica argomentata, dell'intelligenza istituzionale".

"Anch'io mi illusi, Rossi, quando venni da voi la prima volta - replica Alfano -. Nel 2008 ci dicemmo che il vostro programma era il mio. Così non è stato". Ma la "colpa" è nella "diversa lettura" dei fatti e delle leggi approvate. L'Anm lamenta aggressioni? "Noi lamentiamo centinaia di dichiarazioni di magistrati sul merito delle leggi durante l'iter parlamentare" e questo è stato "percepito come aggressione alla sovranità del Parlamento". L'Anm contesta alcune leggi? Eppure processo breve, intercettazioni, riforma del processo penale non sono state approvate, sottolinea Alfano come fosse merito del governo. La verità, dice, è che "in questi anni siamo stati vittime di un'illusione ottica tra ciò che scrivono i giornali e ciò che è scritto nella Gazzetta ufficiale", dove ci sono altre riforme: processo civile, legislazione antimafia, stalking. Brusii in sala. Idem quando rivendica di non aver mai aggredito né dato del "fannullone" a un magistrato e quando dice che, se non ci sono i soldi per la benzina delle macchine blindate dei giudici, "pure quella del ministro si ferma" perché le risorse non ci sono né per Alfano né per Gelmini né per Bondi né per Prestigiacomo. "E se Rossi fosse ministro dopo di me, non sarebbe in grado di darvi più soldi", assicura. Esclude che il governo voglia, anche "surrettiziamente" attraverso la polizia giudiziaria, sottoporre il pm all'esecutivo, perché "non abbiamo fiducia in un altro governo. Quanto alla riforma (a costo zero) della geografia giudiziaria chiesta dall'Anm (peraltro prevista nel programma elettorale del Pdl) è "importante" ma "non è la panacea". Quindi fa appello al "pragmatismo": poiché è impopolare, spiega, "proponete voi una soluzione, basata su criteri oggettivi, da offrire al Parlamento di concerto con il Csm, così da trovare una larga maggioranza. La politica, infatti, deve pensare al "bene comune" ma anche al "consenso".

 

2010-11-10

Il pm dei minori si rivolge al Csm per Ruby: mai autorizzato l'affido, le versioni di Maroni e Bruti contrastano con la mia

Cronologia articolo10 novembre 2010Commenti (1)

Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 15:19.

Escort e sicurezza. D'Alema scrive a Berlusconi: venga al Copasir

Nuova puntata della vicenda Ruby, la giovane minorenne marocchina arrestata e rilasciata dalla questura di Milano dopo una telefonata del premier. Il pm dei minori Anna Maria Fiorillo si è rivota con una lettera al Csm "in quanto le parole del ministro Maroni, che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati, non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso. Si deve sapere che io non ho mai dato alcuna autorizzazione all'affido della minorenne".

Il pm Fiorillo si occupò nella notte tra il 27 e il 28 maggio della vicenda della marocchina Ruby, la quale secondo la prassi doveva andare in comunità. "Chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita", ha sottolineato Fiorillo. "Penso che sia importante soprattutto il rispetto delle istituzioni e della legalità, cosa a cui ho dedicato la mia vita e cosa in cui credo profondamente - ha dichiarato Anna Maria Fiorillo -. Proprio per questo rispetto della legalità e della giustizia quando le vedo calpestate parlo, perchè altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio come un essere umano".

A decidere domani (11 novembre) sulla sorte della lettera inviata da Anna Maria Fiorillo a palazzo dei Marescialli sarà il Comitato di presidenza del Csm, l'organo di vertice guidato dal vice presidente Michele Vietti e composto dal primo presidente Ernesto Lupo e dal procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito. Il comitato stabilirà se debba essere affidata a una delle Commissioni del Csm per un'eventuale istruttoria o se invece non ci siano gli estremi per un intervento di palazzo dei Marescialli.

"Non ho nessuna dichiarazione da fare, né niente da aggiungere a quanto ho già detto nei giorni scorsi", ha commentato il capo della procura di Milano, Edmondo Bruti Liberati. Il capo della procura di Milano aveva spiegato nei giorni scorsi di considerare chiarita la vicenda perché sulla base dell'esame delle carte a disposizione (memorie del pm dei minori e della Questura) la polizia la notte del 27 maggio scorso aveva agito correttamente identificando e fotosegnalando l'allora minorenne Ruby per poi affidarla a Nicole Minetti, consigliere regionale del Pdl.

Ancora più lapidario Maroni: "Il caso è chiuso". Il ministro ha poi sottolineato che la sua posizione "è la stessa del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati".

Dopo le parole del pm dei minori il Pd chiede la riapertura dell'indagine, come sottolinea la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti. Il Pd si dice "deluso e sorpreso" dalle spiegazioni fornite dal ministro dell'Interno sulla telefonata del presidente del Consiglio alla Questura di Milano sulla vicenda Ruby, ribadite mercoledì 9 novembre nell'informativa alla Camera (martedì 8 novembre al Senato). Il ministro ha confermato l'assoluta correttezza nell'operato della questura. "Ci ha colpito - ha detto in aula il deputato Antonello Soro - l'incredibile tono burocratico e distaccato con cui Maroni ha letto la relazione frettolosa, banalizzante ed elusiva su fatti gravi che rappresentano plasticamente il crepuscolo personale e politico dell`uomo che guida il Paese".

Per Soro "vi è una questione di abuso di potere del presidente del Consiglio che da palazzo Chigi, nel cuore della notte, interferisce con la normale attività di una questura in favore di una minorenne accusata di furto e per chiederne l'affidamento a una singolare collaboratrice che qualche minuto dopo, senza il minimo scrupolo, abbandona la ragazza al suo destino. E per fare questo ricorre alla menzogna, affermando che la minorenne è parente del presidente Mubarak". Poi l'esponente del Pd tocca il capitolo della sicurezza del premier. "Lo stile di vita di Berlusconi, di cui egli è orgoglioso, lo rende vulnerabile. Se i suoi numeri di telefono privato circolano nel mondo della prostituzione, egli è ricattabile".

Per il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, il ministro Maroni "ha spostato l'attenzione" sul caso Ruby dalla ragazza "sui funzionari della questura" di Milano, "che meno male hanno fatto il loro dovere e per questo li ringraziamo".Il problema per Di Pietro "non è cosa abbiano fatto o non fatto quelli della Questura di Milano, quanto ciò che ha fatto, con artifici e raggiri, il presidente del Consiglio per cercare di trarre in inganno i funzionari, facendo credere loro che la nipote di Mubarak era stata erroneamente fermata, mentre si trattava di una ragazza minorenne, che stava in questura senza documenti e accusata di aver rubato. Soltanto perché lui aveva trascorso insieme alla ragazza graziose serate ha cercato di coprire il tutto e, anzi di più, ha cercato di far credere ai funzionari e al giudice che una persona qualificata e responsabile si sarebbe occupato della giovane.

Per l'eurodeputato dell'Idv e responsabile giustizia del partito Luigi De Magistris, il ministro Maroni ha chiuso il caso per editto. "Mentre infatti Maroni sostiene per editto che il caso non esiste, il pm dei minori, la dottoressa Fiorillo, rende nota la decisione di rivolgersi al Csm parlando di rispetto, legalità e giustizia come valori calpestati. Siamo veramente al paradosso: un ministro dell'Interno che per coprire il presidente del Consiglio è pronto a scaricare la magistratura, occultando il tentativo di ingerenza del capo dell'esecutivo nell'operato della questura di Milano. Il fatto che la questura di Milano abbia agito correttamente rispettando le procedure, come sostiene il ministro Maroni, non azzera la necessità che sia fatta luce sull'intento di Berlusconi di condizionarne l'azione. Soprattutto dopo la decisione presa dal pm Fiorillo che evidentemente sostiene un'altra versione dei fatti".

 

 

Il ddl "svuota carceri" diventa legge

Cronologia articolo17 novembre 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 20:56.

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Il Senato ha approvato in via definitiva il ddl che consente la detenzione domiciliare per chi deve scontare condanne inferiori a un anno. Il provvedimento, definito "svuota carceri" per tamponare la situazione di sovraffollamento nei penitenziari è già stato approvato alla Camera e diventa legge.

Hanno votato a favore il Pdl, la Lega Nord e Fli, si sono astenuti il Pd, l'Idv e l'Udc che sostengono che questo provvedimento "non risolve" il problema delle carceri. Non hanno partecipato al voto i senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti.

Ne beneficeranno, entro il 31 dicembre 2013, quei detenuti a cui mancano 12 mesi per completare il periodo di detenzione e poter tornare in libertà

 

 

La Dia: 'ndrangheta infiltrata in Lombardia con cartelli di imprese, favorita dal massimo ribasso

Cronologia articolo17 novembre 2010Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 14:21.

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La "consolidata presenza" in alcune aree lombarde di "sodali di storiche famiglie di 'ndrangheta" ha "influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi". È quanto rileva la relazione al Parlamento della Dia (Direzione investigativa antimafia), relativa al primo semestre 2010. La relazione sottolinea il "coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede ad impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l'assegnazione di appalti ed assestato oblique vicende amministrative".

Per penetrare nel tessuto sociale, le cosche - che in Lombardia godono di una certa autonomia ma dipendono sempre dalla 'casa madre calabrese, come ha dimostrato l'inchiesta "Crimine" che ha ricostruito l'organigramma della 'ndrangheta - si muovono seguendo due filoni: "quello del consenso e quello dell'assoggettamento".

Tattiche che, sottolineano gli esperti della Dia, "da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall'altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici". Con questa strategia, e favorita da "una serie di fattori ambientali", si consolida la "mafia imprenditrice calabrese" che con "propri e sfuggenti cartelli d'imprese" si infiltra nel "sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti dell'edilizia privata" come il "multiforme compartimento che provvede alle cosiddette opere di urbanizzazione".

Secondo la Dia dunque, si assiste ad un vero e proprio "condizionamento ambientale" da parte della 'ndrangheta che è riuscita "a modificare sensibilmente le normali dinamiche degli appalti, proiettando nel sistema legale illeciti proventi e ponendo le basi per ulteriori imprese criminali".

La penetrazione nel sistema legale dell'area lombarda, è favorita, dice la Direzione investigativa antimafia, da "nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi fattori condizionanti: il ricorso al massimo ribasso" nelle gare d'appalto e la "decisiva importanza contrattuale attribuita ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere".

 

 

Arrestato Antonio Iovine, il boss dei casalesi. Maroni: una bellissima giornata. Alfano: firmo subito per il 41 bis

Cronologia articolo17 novembre 2010Commenti (1)

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 17:03.

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Maroni attacca Saviano: non doveva dire che la Lega è referente della mafia

La Dia: 'ndrangheta infiltrata in Lombardia, favorita dal massimo ribasso

Il boss della camorra e capo storico del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, è stato arrestato nel pomeriggio di mercoledì 17 novembre dalla polizia. Iovine era latitante da oltre 14 anni. Era stato condannato all'ergastolo nel 2008 nel maxi processo Spartacus. L'arresto è avvenuto a Casal di Principe, roccaforte del clan dei Casalesi. L'operazione è stata condotta dalla squadra mobile di Napoli e in serata il boss è stato condotto nel carcere di Poggioreale.

Al momento dell'arresto Iovine ha tentato la fuga dal terrazzo della villetta in cui si nascondeva ma l'edificio era circondato e le manette sono scattate ugualmente. La casa era sotto controllo da giorni e oggi gli uomini della Catturandi l'hanno perquisita a fondo nel tentativo di trovare documenti utili alle indagini. Anzi, secondo fonti non ancora confermate, carteggi interessanti sarebbero in parte già stati rinvenuti.

Il capo clan era nella lista del Viminale dei 30 latitanti più pericolosi, assieme - tra gli altri - a Matteo Messina Denaro, numero uno di Cosa Nostra; Michele Zagaria, dei Casalesi; gli 'ndranghetisti Sebastiano Pelle e Domenico Condello; il bandito Attilio Cubeddu, coinvolto nel sequestro Soffiantini e fuggito nel 1997 dal carcere dove era detenuto.

"Oggi è una bellissima giornata per la lotta alla mafia e tra poco saprete perché". Il ministro del'Interno, Roberto Maroni, a Montecitorio aveva anticipato così ai cronisti la notizia, arrivata qualche minuto dopo da Caserta, dell'arresto di Iovine. Il boss è arrivato alle 16,48 in una Mercedes in uso alla polizia in Questura a Napoli. Era sorridente. Il boss dei Casalesi è stato fatto salire al secondo piano dai garage, mentre applausi e urla di soddisfazione da parte poliziotti risuonavano nei corridoi. Qualcuno applaudiva anche dalle finestre.

"Firmerò subito la richiesta di 41 bis (ovvero il regime di carcere duro)", ha affermato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlando con i giornalisti a Montecitorio dell'arresto del camorrista Antonio Iovine. "Una ulteriore conferma - ha aggiunto - che la squadra Stato vince e l'antimafia giocata batte quella parlata".

"Aspettavo questo giorno da quattordici anni. L'arresto di Antonio Iovine "O Ninno", rappresenta un passo fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata", ha commentato lo scrittore Roberto Saviano in una dichiarazione all'Ansa. "Iovine è un boss imprenditore, in grado di gestire centinaia di milioni di euro. Ora - ha continuato Saviano - spero che si possa fare pulizia a 360 gradi. Come dimostrato dalla relazione della Dia di oggi, bisogna aggredire il cuore dell'economia criminale, la Lombardia, dove le mafie fanno affari e influenzano la vita economica, sociale e politica".

 

 

2010-12-09

Saviano: la macchina del fango uccide la democrazia Show di Benigni su escort e Berlusconi

Cronologia articolo8 novembre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2010 alle ore 22:23.

Dopo le polemiche sui compensi, il tira e molla con il direttore generale della Rai che nelle scorse settimane aveva messo in discussione la partenza stessa del programma, "Vieni via con me" di Fabio Fazio e Roberto Saviano va in onda. Il cuore del programma è il lungo monologo dello scrittore, alternato dalla proiezione di vecchi spezzoni televisivi e interventi di artisti. Le note della canzone di Paolo Conte da cui prende il nome accompagnano una puntata il cui tema è quello della diffamazione di quella che l'autore di Gomorra definisce "una sua ossessione": la macchina del fango.

La casa di Montecarlo di Gianfranco Fini e il caso Boffo "direttore cattolico che inizia a criticare il governo da un giornale cattolico (Avvenire, ndr). E ancora la vicenda della "presunta omosessualità di Caldoro" diventata "l'arma usata da un suo collega di partito, Cosentino". Roberto Saviano cita questi casi per raccontare come funziona il sistema (non li cita ma è chiaro il riferimento ai giornali vicini al premier ndr.) che prende di mira chi si pone contro l'attuale governo.

"C'è differenza tra inchiesta e diffamazione" argomenta lo scrittore. L'inchiesta parte da tanti fatti, "la diffamazione parte da un elemento" che viene isolato, ingigantito e utilizzato per attaccare la reputazione e la credibilità di una persona. "La democrazia è in pericolo - ha detto Saviano - nella misura in cui se tu ti poni contro certo poteri, contro questo governo, quello che ti aspetta è un attacco della macchina del fango, che parte da fatti minuscoli della tua vita privata". Lo scopo del meccanismo è "poter dire: siamo tutti uguali" e invece "dobbiamo sottolineare le differenze".

Rispettare la privacy è un conto, ma ci sono aspetti della vita privata di un politico che hanno rilevanza pubblica dice Saviano nel suo nel lungo monologo. "Una cosa è la privacy, un'altra è scegliere le proprie amiche da candidare; un'altra è finire nelle mani di estorsori: quella smette di essere privacy e inizia ad essere condizionamento della cosa pubblica". Lo scrittore si è poi rivolto direttamente ai giovani: "Mi piacerebbe raccontarvi di una persona che è riuscita a resistere a una macchina del fango gigantesca, Giovanni Falcone". Di qui un lungo excursus, scandito da brani di articoli di quotidiani - in parte letti anche dall'attrice Angela Finocchiaro - sulle accuse e sui tentativi di delegittimazione del giudice e dell'intero pool antimafia siciliano.

Molto applaudito l'intervento di Nichi Vendola che ha recitato ventisette sinomini per "omosessuale". Tra questi "Checca sfranta", "busone", "arruso", "bucaiolo". In seguito Roberto Saviano ha letto una lista di abitudini che, in certe regioni, ti fanno prender per omosessuale. Tra queste: bere la birra con una fettina di limone, lavarsi più di due volte a settimana, il calippo mangiato in pubblico, l'uso dei bastoncini per le orecchie. Inevitabile il riferimento alle frasi del premier, decisamente preso di mira, sugli omosessuali: "Molto meglio guardare le belle ragazze che essere gay". "Meglio essere felici" risponde il leader di Sinistra e Libertà.

E alla vicenda Ruby è dedicato lo show di Roberto Benigni. "La mafia una volta ti ammazzava, ora invece ti manda due escort in bagno... Io ho il terrore di questo. La mafia può arrivare a delle cose terribili, quando si vendica fa queste cose tremende", ha detto il comico che ha fatto riferimento alle stesse parole del premier che nei giorni scorsi aveva ipotizzato una vendetta della mafia dietro lo scandalo. Benigni ha definito "spettacolare" questa frase del premier ed ha aggiunto: "Io dico allora che la mafia ha cambiato stile. Siete delle bestie, vendicatevi con me, fate schifo maledetti mafiosi: vi fornisco l'indirizzo dove sto in albergo a Milano, via Garibaldi, terzo piano stanza 14, non è che stasera mi fate trovare due brasiliane in camera...?".

 

 

 

 

2010-10-29

Presentati gli emendamenti su difesa, sicurezza e fondi per l'università

di Claudio TucciCronologia articolo29 ottobre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 17:50.

Sono circa 600 gli emendamenti al ddl di stabilità presentati in commissione Bilancio della Camera. Quasi tutti sono stati proposti da parlamentari Pd, mentre, per ora non risultano proposte di modifica presentate dalla Lega. Il Carroccio nei giorni scorsi aveva pensato di correggere il patto di stabilità interno, ma al momento ha preferito non tradurre in proposte le sue idee.

Il Pdl ha presentato una ventina di modifiche, "un numero contenuto", ha sottolineato il capogruppo in Commissione, Gioacchino Alfano, perché "condivide la riforma e la logica della manovra e si è scelto di non toccare temi che saranno affrontati nei provvedimenti di merito". Le proposte di modifica del Pdl riguardano in particolare difesa, sicurezza, pesca e agricoltura. Alfano non esclude che possano essere ritirati. Lo scopo, spiega, "é richiamare l'attenzione su questi argomenti".

Sono una quindicina invece gli emendamenti al Ddl stabilità presentati da Futuro e libertà. In particolare, rileva il capogruppo Commissione Bilancio a Montecitorio, Antonino Lo Presti, le proposte puntano in primo luogo a finanziare la riforma dell'università, garantendo le risorse per i ricercatori, 45 milioni per 2011, 90 milioni per 2012, 135 milioni per 2013. Un'altra proposta mira a introdurre a partire dal 2011 la cedolare secca al 20% sui nuovi contratti di affitto in attesa che si sblocchi la trattativa sul federalismo fiscale con i

Comuni (misura che costerebbe 400 milioni di euro).

La proposta più impegnativa di Fli é probabilmente quella che ripropone l'emendamento alla Finanziaria 2010 del presidente della commissione Finanze del Senato, Mario Baldassarri sul taglio delle imposte alle attività di impresa, famiglia e banda larga. La copertura viene trovata con un taglio lineare dei consumi intermedi. Altri due emendamenti riguardano il potenziamento dei fondi per ricerca e sviluppo e l'inquadramento di 2mila vigili del fuoco. Qualcosa infine c'è anche sugli italiani all'estero e sui contributi alle Tv locali, ritenuti importanti per aprire il mercato televisivo a un maggior pluralismo.Martedì della prossima settimana si terrà il vaglio di ammissibilità, che quest'anno sarà particolarmente severo dopo la riforma della contabilità pubblica e l'inusitata asciuttezza del primo disegno di legge di stabilità (un solo articolo più le tabelle).

 

 

 

 

Il premier: giustizia macigno sulla democrazia. Fini sulla riforma: errore pm sottomessi all'esecutivo

di Celestina DominelliCronologia articolo29 ottobre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 12:15.

Sulla giustizia il premier Silvio Berlusconi ha lanciato un aut aut da Bruxelles dove è arrivato ieri per il Consiglio europeo. Se non ci sarà un accordo sulla riforma, è l'avvertimento del Cavaliere, "allora produrrò un intervento in Parlamento in cui togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia, dirò agli italiani partendo dal Parlamento qual è la situazione della giustizia e della magistratura italiana". Perché la giustizia, ammonisce Berlusconi, "costituisce un macigno sulla vita democratica del nostro paese".

Berlusconi ha poi chiarito che il timing di questo intervento non è ancora fissato. "La data no è ancora decisa - ha spiegato il premier - e non so ancora dire se e e quando si farà" perché "sono in attesa di vedere come andranno i tentativi di accordo in corso con le altre forze parlamentari" e "non voglio anticipare un mio intervento forte che potrebbe influire negativamente su lavoro che si sta facendo". Ma se questo lavoro "non dovesse portare ad un risultato positiovo - dice Berlusconi - mi presenterò in Parlamento".

Intanto Gianfranco Fini ha ribadito oggi da Bari il suo no a una riforma della giustizia che assoggetti i pm al potere esecutivo. "Sarebbe grave - ha avvertito il presidente della Camera dal palco del teatro Piccinini - tornare alla soggezione dei pm all'esecutivo, com'era nel fascismo". Secondo il leader di Futuro e libertà, dunque, "non sarebbe motivo di scandalo separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, ma è una riforma da fare senza rinunciare all'indipendenza della magistratura. Carriere separate sì - ha sottlineato - ma senza assoggettamento all'esecutivo".

ll presidente della Camera, però, ha rimarcato anche il suo no a una modifica dell'assetto del Csm, come vagheggiato in una delle ultime bozze di riforma della giustizia firmata dal guardasigilli Angelino. L'attuale composizione dell'organo di autogoverno della magistratura, è il ragionamento di Fini, è "adeguatamente bilanciata". Se invece si aumentasse la componente "politica" del consiglio, "si esporrebbe l'organo a una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato".

Fini è poi tornato battere sul tasto degli investimenti da destinare a giudici e processi. "La priorità di ogni riforma della giustizia è disporre di maggiori risorse finanziarie". Per la terza carica dello Stato, con maggiori risorse "si potrebbe incrementare il numero dei magistrati perché non è vero che quello attuale è sufficiente, e si potrebbero migliorare anche le dotazioni, i mezzi e gli uffici a disposizione dei magistrati. E potrebbe essere migliorata e incentivata l'informatizzazione". Una maggiore disponibilità finanziaria consentirebbe poi, secondo Fini, di "dare vita alla costruzione di nuove carceri, perché il problema del loro affollamento non può essere risolto con indulti o chiudendo gli occhi".

Sulla giustizia e sulla necessità di restituire efficienza all'intero sistema, la posizione di Fini resta quindi immutata. È questa l'unica "stella polare" di una eventuale riforma, ha ragionato ancora il presidente della Camera, "risparmiare sulla giustizia è un lusso che il Paese non si può permettere, il risparmio è un boomerang che finisce con l'avere costi molto alti". IIl leader di Fli punta quindi il dito contro le "intollerabili carenze di organico negli uffici giudiziari, la scarsa celerità nella risoluzione delle controversie dei processi pesa nella lotta alla evasione fiscale e alla criminalità organizzata facendo fuggire imprese e investitori". La giustizia, ha aggiunto, "in linea generale, non è ingiusta. Piuttosto, il suo peggior male sta nella sua lentezza anacronistica, che ci colloca agli ultimi posti delle classifiche europee". L'applicazione delle leggi penali, ha sottolineato Fini, "non sopporta lentezza, che vuol dire scarsa tutela degli imputati e perdita di garanzia. Vuole dire inefficacia del sistema della pena, che invece deve essere pronta e certa. Non si possono riempire le carceri di detenuti in attesa di giudizio perché si ripercuote sulle garanzie".

2010-10-26

La procura di Roma chiede l'archiviazione per la casa di An a Montecarlo: non c'è stata alcuna truffa

Cronologia articolo26 ottobre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 17:42.

Deve essere archiviata l'inchiesta per truffa aggravata sulla vendita dell'appartamento a Montecarlo appartenuto ad An e ora in affitto a Giancarlo Tulliani, cognato del presidente della Camera, Gianfranco Fini. È questa la conclusione - dopo mesi di battaglia condotta a colpi di prime pagine e fiumi d'inchiostro da parte di una parte della stampa italiana - a cui sono arrivati il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, e l'aggiunto Pierfilippo Laviani, titolare dell'indagine, che hanno chiesto al Gip di archiviare il fascicolo di indagine.

Per i magistrati non esistono i presupposti legali per configurare il reato di truffa che, si apprende solo ora, era stato ipotizzato a carica dello stesso Fini e dell'ex tesoriere di An, Francesco Pontone, vale a dire coloro che nel 2008 decisero e realizzarono la vendita a Monaco dell'immobile per 300mila euro. Nel fascicolo, infatti, erano indagati l'ex presidente di An e ora leader di Fli Gianfranco Fini e il senatore Francesco Pontone, già tesoriere di An. I magistrati avevano proceduto alle iscrizioni dopo l'audizione dello stesso Pontone e l'acquisizione di atti e documenti presso la sede di An a Roma in via della Scrofa.

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-10-24

Fini, presenteremo un emendamento per raddoppiare la tassazione delle rendite finanziarie

Cronologia articolo23 ottobre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 15:38.

Futuro e libertà presenterà in Parlamento un emendamento per alzare l'aliquota di tassazione delle rendite finanziarie dal 12,5 al 24-25%, in linea con la media europea. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, durante il suo intervento al workshop "Dialoghi asolani" con Massimo D'Alema. "La tassazione delle rendite finanziarie - ha detto il fondatore di Fli - non è né di destra né di sinistra". Fini pensa in questo modo di reperire fondi per aiutare la riforma sull'università proposta dal ministro Gelmini".

"Il presidente della Camera - afferma il vice presidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli, commentando la proposta lanciata dal presidente della Camera ad Asolo - ha provato a spiegare al leader di Futuro e libertà, Gianfranco Fini, la grave superficialità con cui ha parlato di un raddoppio delle aliquote fiscali sulle rendite finanziarie, così come fece il suo predecessore Fausto Bertinotti? Temo che non lo abbia fatto". "Chi invoca, come fanno Fini e, presumo, il compagno di merende Massimo D'Alema, di intervenire sulle aliquote fiscali lo fa o perché ignora i problemi connessi alla gestione del terzo debito pubblico al mondo, oppure perché non ha letto i giornali negli ultimi sei mesi e quindi non è al corrente degli attacchi speculativi portati contro il debito pubblico di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda - sottolinea Napoli -. Oppure, ma non credo alla terza ipotesi, si invoca un giro di vite nella speranza che parta un attacco al debito pubblico italiano per destabilizzare il quadro politico e sociale. In ogni caso, trovo delittuoso che si voglia affossare l'Italia in odio a Berlusconi".

"Il presidente del Consiglio ha più di ogni altro il dovere di governare. Dice spesso di avere il diritto di governare ma ha anche e soprattutto il dovere. Quindi, magari più che dire che farà quando si tornerà a votare, dica cosa fa adesso che il voto non c'è". Ha ancora detto oggi Gianfranco Fini. Quindi, magari più che dire che farà quando si tornerà a votare, dica cosa fa adesso che il voto non c'è". Secondo Fini l'attuale dibattito politico non pone in discussione "se questa maggioranza può dare di più di quello che ha dato: dobbiamo capire se c'è la possibilità di un confronto unitario su questioni che possono essere affrontate da maggioranza e minoranza".

"Il partito carismatico è il miglior strumento per vincere le elezioni, ma il peggiore per governare". Aveva detto in precedenza Fini. Sottolineando poi il clima di concordia tra i due relatori, Fini ha spiegato che la differenza sui toni del dialogo tra le aule parlamentari e un'assise convegnistica come questa "deriva dal fatto che il cosiddetto partito carismatico forse non è "cosiddetto", essendo basato su un rapporto diretto tra il leader e il popolo, essendo spesso senza intermediari, senza un dibattito interno e una democrazia".

 

 

Napolitano su Lodo Alfano: interpretazioni estranee ai rilievi

Cronologia articolo23 ottobre 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 16:26.

Le "conseguenze politiche" annunciate dopo l'intervento del capo dello Stato sul Lodo Alfano "sono del tutto estranee agli intendimenti del presidente della Repubblica", che puntano "sempre a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale". Lo sottolinea una nota del Quirinale, all'indomani della lettera inviata da Napolitano al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Vizzini, sullo scudo processuale per premier e presidente della Repubblica.

In quella lettera, precisa il Colle, Napolitano "ha ritenuto di dover manifestare le sue "profonde perplessità" su un punto specifico - tale da incidere sullo status del Presidente della Repubblica - della proposta di legge costituzionale all'esame della prima Commissione del Senato". Per il capo dello Stato "le soggettive interpretazioni e le generalizzazioni del contenuto della lettera apparse in diversi commenti di stampa, così come le conseguenze politiche che taluni annunciano di volerne trarre - evidenzia il Quirinale - sono del tutto estranee agli intendimenti del Presidente della Repubblica, sempre volti a favorire con la massima imparzialità la correttezza e la continuità della vita istituzionale".

Intanto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dice no alla reiterabilità dello scudo processuale previsto dal Lodo Alfano e impegna Futuro e libertà a presentare emendamenti in questa direzione. Lo ha detto durante un intervento al workshop sulla legalità "Dialoghi asolani" con Massimo D'Alema. "Se la filosofia di quel provvedimento - ha detto Fini - è la tutela di una funzione, (cioè quella del presidente del Consiglio, ndr) e non di una persona, non credo possa essere reiterabile perché finirebbe ad essere un privilegio garantito a una persona". "Mi auguro che il Parlamento - ha aggiunto il presidente della Camera - nelle quattro letture tenga conto di questo aspetto e Futuro e libertà si impegnerà a presentare emendamenti per la non reiterabilità del Lodo".

Intanto il premier ha annunciato che chiederà il ritiro del Lodo Alfano, sottolineando che si tratta di una legge non di sua iniziativa, ma di proposta dal partito, che non è più interessato a portare avanti. Dichiarazione che ha sollevato una immediata reazione dell'Italia dei valori. "Berlusconi è come Scajola- ha detto il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando - gli fanno le leggi a sua insaputa. Proprio oggi, infatti, veniamo a sapere dalla sua bocca che non voleva il lodo Alfano e che è stata una proposta del suo partito. Se non fosse il presidente del Consiglio ci verrebbe da ridere ma, purtroppo, è tutto vero". Ritirino "immediatamente la legge ad vergognam".

Anche Il presidente del Copasir, Massimo D'Alema (Pd) è tornato sul Lodo Alfano.Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con la lettera sul lodo Alfano inviata ieri a Carlo Vizzini, secondo D'Alema ha confermato "il rigore del suo ruolo di garante della Costituzione". La bozza sul lodo Alfano, ha spiegato, "rischiava di entrare in urto con l'articolo 90 della Costituzione in modo abbastanza grave, alternando il senso costituzionale del Capo dello Stato che ha inteso intervenire e suggerire al Parlamento le opportune correzioni". Non mi pare, ha aggiunto D'Alema, "che ci sia nessuna svolta, nessun retroscena, se non il rigore del suo ruolo di garante della Costituzione che ha ispirato la sua azione fin d'inizio".

Meno male, ha sottolineato il leader di Sinistra Ecologia e Libertà Nichi Vendola, "che c'è Napolitano. È importante che gli attori della vita pubblica ragionino sui rischi drammatici che corre la nostra democrazia".

Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd al Senato, annuncia che martedì chiederà il ritiro del Lodo Alfano. "Non ci sono molte altre considerazioni da fare oltre quelle che abbiamo fatto e che sono state fatte da commentatori autorevoli e dopo quello che è avvenuto. E non mi interessano le bugie di Berlusconi che dice di non aver mai voluto il lodo Alfano. Oggi il re è nudo. Martedì chiederò, formalmente, in Commissione Affari Costituzionali, al Senato, il ritiro di questo provvedimento sbagliato, pericoloso e che serve solo a difendere gli interessi della solita unica persona".

 

 

 

Lo scudo sbriciolato all'ombra del Quirinale

di Stefano FolliCronologia articoloCommenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 10:31.

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Giorgio Napolitano ha sbriciolato lo "scudo giudiziario". Ne ha smontato la filosofia di fondo, in base alla quale non è il solo Silvio Berlusconi, come capo del governo, a beneficiare dell'immunità in corso di mandato in quanto essa si estende al presidente della Repubblica. Ma questo bizzarro dualismo delle "alte cariche" non è gradito al Quirinale. Napolitano ritiene di essere ampiamente garantito dall'articolo 90 della Costituzione; ogni altra formula finisce per creare una serie di paradossi e di contraddizioni e di sminuire la figura e il ruolo del capo dello stato così come sono definiti dalla Costituzione.

Ecco allora la lettera inviata al presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Un passo senza dubbio clamoroso. Napolitano esprime la sua preoccupazione e non lascia dubbi sul fatto di giudicare incostituzionale la norma all'esame dei senatori. Parla anzi di "palese irragionevolezza" della nuova disciplina all'esame del Parlamento. Un'espressione molto dura, di sapore giuridico, che pone un problema drammatico di congruità fra la Carta vigente e le nuove norme costituzionali che la maggioranza vorrebbe approvare.

Ora tutto cambia. Gianfranco Fini si era sforzato di votare il "lodo", pagando un prezzo d'immagine, e ora dovrà ripensare qualcosa nella sua strategia. Berlusconi, a sua volta, è consapevole che procedere con l'esame della legge significa consegnarsi a un conflitto istituzionale dalle conseguenze imprevedibili, visto che il presidente della Repubblica non fa mistero delle proprie riserve.

Al governo non resta che modificare in fretta il testo del "lodo", con ciò rendendo più evidente la sua natura di legge "ad personam", concepita e scritta per dare una salvaguardia al presidente del Consiglio.

È chiaro, date queste premesse, che il testo avrà una vita ancora più tormentata e ben pochi saranno disposti a scommettere qualcosa sulla sua approvazione finale, quando dovrà essere convocato il referendum popolare previsto dalla Costituzione per le leggi di natura costituzionale varate senza una maggioranza qualificata.

Da ieri il fragile castello di carte costruito dal premier intorno a un centrodestra lacerato ha cominciato a traballare. Fra meno di due mesi la Consulta dovrà pronunciarsi sul "legittimo impedimento", la legge-ponte che preserva Berlusconi dai processi.

Dopo l'uscita di Napolitano, si capisce che quella legge rischia di essere un ponte proteso verso il nulla.

Allo stato delle cose la nuova normativa costituzionale è tornata in alto mare e nessuno sa quale forma assumerà, semmai riuscirà ad averne una. La verità è che la lettera del Quirinale equivale a un sasso gettato nello stagno. Toglie alibi al presidente del Consiglio e ne mette in luce la debolezza sostanziale. Costringe la maggioranza alla marcia indietro, apre nuove incognite sugli assetti di potere che sorreggono il governo.

Si potrebbe aggiungere che quel sasso solleva il velo su un punto cruciale. Dietro il "lodo" esteso al capo dello stato si stava delineando una lotta politica all'ultimo sangue con l'obiettivo di favorire o di contrastare l'elezione di Berlusconi al Colle nel 2013. Da un lato si vorrebbe preparare il terreno anche costituzionale per l'ascesa dell'attuale premier, dall'altro s'intende impedire tale esito a ogni costo.

Da oggi tutti dovranno giocare questa partita a viso scoperto: i seguaci del premier come i suoi avversari irriducibili.

 

 

 

 

Perplessità del Colle sullo scudo giudiziario. Il Pdl promette modifiche. Fini: stop leggi ad personam

Cronologia articolo22 ottobre 2010Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2010 alle ore 18:46.

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In una lettera indirizzata al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini, Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano esprime "profonde perplessità" sulla norma che prevede "la sospensione dei processi penali anche per il presidente della Repubblica". Una norma, sottolinea, "che non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008".

Il presidente ribadisce la propria volontà di restare "estraneo" all'elaborazione della legge sul Lodo Alfano. Ma osserva come lo scudo giudiziario per il capo dello Stato ne riduca l'indipendenza. "Come già ribadito più volte, è mia intenzione rimanere estraneo nel corso dell'esame al merito di decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in questo caso - riguardino proposte d'iniziativa parlamentare e di natura costituzionale", scrive Napolitano.

"Non posso peraltro fare a meno di rilevare - sottolinea - che la decisione assunta dalla Commissione da lei presieduta incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del presidente della Repubblica riducendone l'indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni". Estendere lo scudo giudiziario alla carica del presidente della Repubblica ne riduce l'indipendenza perché, scrive Napolitano nella lettera a Vizzini, "tale decisione, che contrasta con la normativa vigente risultante dall'articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale, appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del Presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dal citato articolo 90".

Su incarico del presidente Napolitano, il segretario generale della Presidenza della Repubblica ha inviato al presidente del Senato, e per conoscenza al presidente della Camera, copia della lettera che richiama l'attenzione della Commissione del Senato sulle conseguenze che le decisioni finora assunte possono avere sull'esercizio delle funzioni del capo dello Stato. In base a tali decisioni, infatti, conclude la lettera pubblicata anche sul sito internet del Quirinale, "il Parlamento potrebbe essere chiamato a pronunciarsi a maggioranza semplice sulla prosecuzione di procedimenti penali per fattispecie diverse da quelle previste dall'art. 90 della Costituzione, possibilità invece esclusa dalla normativa costituzionale vigente e dalla costante prassi applicativa, possibilità non contemplata neppure dalla legge Alfano n. 124 del 2008".

"Semplice presa d'atto" delle parole di Giorgio Napolitano sul Lodo Alfano, ma nulla di più, per mantenere, mentre è in corso l'iter parlamentare, la "distinzione assoluta tra le prerogative del Capo dello Stato e quelle del Parlamento". Così il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, Vizzini, in una dichiarazione riguardo alla lettera ricevuta dal presidente della Repubblica sulla nuova versione del lodo Alfano, peraltro criticata in alcuni punti anche dalla componente finiana della maggioranza. Ma pochi minuti dopo è stata diramata una nota congiunta da Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo del Pdl al Senato. Nel documento sono state annunciate modifiche al testo in discussione alla Commissioni e Affari costituzionali del Senato. "Le osservazioni del presidente della Repubblica non troveranno indifferenti il nostro gruppo parlamentare".

Dall'opposizione la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti ha commentato. "Dopo un atto così rigoroso e di estremo equilibrio, il governo e la maggioranza si fermino e ritirino definitivamente quel mostro giuridico del lodo Alfano che mira allo stravolgimento delle basi della nostra Costituzione repubblicana". Il centrodestra - ha detto il presidente dei senatori dell'Italia dei Valori, Felice Belisario - ritiri immediatamente il lodo Alfano costituzionale. Se neanche di fronte alle fondate osservazioni del Quirinale Berlusconi si arrende, significa che siamo di fronte a un tentativo di golpe". Il Capo dello Stato "chiede chiaramente di non essere coperto da uno scudo incompatibile all'ordinamento costituzionale e di non essere trascinato nelle trame oscure del premier che, pur di non farsi processare, non esita - conclude Belisario - a coinvolgere anche la più alta carica dello Stato".

Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Le valutazioni del capo dello Stato sono sempre sagge. Mi auguro che il parlamento tenga conto delle criticità espresse dal capo dello Stato".

Fini ha poi affondato i colpi durante un dibattito al teatro Petruzzelli di Bari difendendo il sì espresso da Fli in Senato sul lodo Alfano. "A Mirabello dissi mai più leggi ad personam. Dissi che bisogna tutelare la funzione e non la persona, come fece la Francia quando Chirac era il capo dello Stato. Ci si accusa di aver accettato la retroattività ma non avrebbe senso tutelare la funzione se così non fosse. I giuristi sanno che fu un errore madornale l'omissione della retroattività".

Del resto "bisogna essere intellettualmente onesti - ha aggiunto Fini - e non cavalcare tigre la rischio di esserne sbalzati e divorati. È chiaro che è giusto fissare un arco temporale massimo dei processi. Ma è inaccettabile che all'ultimo minuto su quel treno si aggiunga il vagone della retroattività, cancellando migliaia di processi in corso. Queste ipotesi non ci troveranno mai consenzienti". E ancora. "Si può tutelare la funzione del presidente del Consiglio, ma non tutelare il premier cancellando migliaia di processi".

Infine un'altra stilettata al premier. "Berlusconi dice che vuol candidarsi nel 2013? La notizia sarebbe stata se avesse detto che non si ricandidava", ha ironizzato la terza carica dello Stato: "Il 2013 è lontano. Non faccio polemiche e non rispondo. Va bene che Berlusconi voglia ricandidarsi nel 2013, ma governiamolo adesso questo Paese. Il Governo governi e non pensi al candidato perchè mancano tre anni".

 

 

 

 

La riforma della giustizia fra colpi d'acceleratore e frenate. Critiche dei finiani su guardasigilli e Csm

Cronologia articolo22 ottobre 2010Commenta

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2010 alle ore 15:53.

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I tre punti più importanti per una riforma della giustizia sono "la separazione delle carriere di procuratore della Repubblica e di giudice; l'accelerazione dei processi; e, terzo, il rafforzamento dei diritti civili". Silvio Berlusconi assicura che "nessuno dei tre punti riguarda me direttamente". Ma i fedelissimi di Fini bocciano tre punti non di secondo piano della riforma costituzionale della giustizia targata Alfano. Frenate e colpi d'acceleratore, dunque, per la riforma della giustizia. Un cantiere in evoluzione, dove si disegnano e ridisegnano i progetti del testo, che la prossima settimana dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri.

E intanto il presidente della Camera bacchetta governo e maggioranza, dicendo che in Italia "il problema numero uno è sempre la giustizia, mai la precarietà del lavoro dei giovani".

In primo luogo i finiani di Futuro e libertà non gradiscono il notevole aumento dei poteri disciplinari del ministro della Giustizia, oggi di competenza del Consiglio superiore della magistratura. Hanno anche dubbi sulla riforma del Csm che, nella nuova composizione, metterebbe in minoranza i membri togati (quelli per interderci eletti dai magistrati) rispetto a quelli laici (eletti dal parlamento). Per esempio, in caso di parità, il voto del vicepresidente laico vale il doppio. Altro punto contestato dai fedelissimi di Fini la cancellazione dell'articolo 109 della Costituzione, in base al quale l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Punti sui quali Fini é irremovibile. Comunque Futuro e Libertà non viene meno agli impegni assunti con il governo, dopo il sì al lodo Alfano costituzionale, e chiede che lodo Alfano e ddl anticorruzione viaggino "in parallelo".

Pollice verso alla riforma del governo per la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. "Ho letto sui giornali l'ennesima bozza della riforma della giustizia. Se corrisponde al vero quello che ho letto, si tratta di una schifezza". Secondo Finocchiaro "la riforma prospettata nella bozza ucciderebbe l'autonomia della magistratura, renderebbe, di fatto, il ministro il governatore della giustizia". È "un disegno esterno e lontano dai principi della nostra Costituzione" conclude Anna Finocchiaro. Pd e Udc, forse anche con Idv, presenteranno alla Camera una mozione unitaria per riscrivere l'agenda giustizia che privilegia l'efficienza del servizio ai cittadini alla materia costituzionale.

"La riforma della giustizia di cui si parla nel pacchetto proposto dalla maggioranza è soltanto un modo per salvaguardare Berlusconi dai processi in cui è coinvolto". È il commento del leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. "La riforma della giustizia - ha aggiunto - è necessaria, ma non è quella che hanno messo all'ordine del giorno i signori della maggioranza. Con queste proposte i processi non si fannoprima ed il cittadino non avrà una giustizia migliore". Secondo Di Pietro, "si introduce una distribuzione di ruoli di poteri tra ministero della Giustizia e magistratura che nullahanno a che fare con la funzionalità quotidiana dei processi,che ha bisogno, invece, di più risorse, più mezzi e più uomini". Per Di Pietro "l'unica riforma della giustizia che si deve fare nell'interesse dei cittadini è mettere più soldi e stabilire regole di funzionamento piùveloci, garantendo la certezza del diritto e della pena".

Il premier dribbla le critiche dell'opposizione e in parte di Futuro e libertà e assicura che le riforme sono necessarie perchè si è in presenza di problemi seri nella giustizia. E lprecisa di non avere fatto richieste per essere protetto dalle inchieste: "Non sono io che ho chiesto le leggi ad personam. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia". Poi un nuovo attacco alla magistratura. "Sulla nostra democrazia grava un macigno. Nella magistratura abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando di procedere contro chi è stato eletto legalmente dal popolo. I processi vanno avanti già da molto tempo. Tutto è cominciato nel 1994 durante la mia prima legislatura. Due anni dopo sono stato assolto, ma i processi intanto avevano fatto cadere il governo e in questo modo la sinistra è giunta al potere. Ora l'opposizione vorrebbe procedere allo stesso modo".

Intanto la Lega ha presentato al Senato una proposta di legge che chiede di equiparare a mafiosi e terroristi i responsabili di delitti che "hanno destato particolare allarme sociale per l'efferatezza e la crudeltà con cui sono stati commessi". Regime di carcere duro, dunque, ed esclusione dai benefici per i condannati per crimini di particolare efferatezza. In pratica la proposta di legge del Carroccio introduce nel codice penale l'articolo 41-ter e l'articolo 58-quater. Il primo riguarda il regime penitenziario duro, sulla scorta di quello previsto dal 41-bis per mafiosi e terroristi, per chi è accusato di delitti particolarmente efferati: un colloquio ogni due mesi, un'ora d'aria al giorno, visto di censura sulla corrispondenza, limitazione di somme beni e oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno. Il secondo prevede il divieto di concessione di benefici ai condannati in via definitiva per omicidio con le aggravanti "se non abbiano effettivamente espiato almeno i tre quarti della pena o, nel caso di ergastolo, almeno 26 anni". A chiedere l'applicazione di questi articoli può essere il ministro della Giustizia o quello dell'Interno. (N.Co.)

 

 

 

2010-10-22

Sì allo scudo ripetibile, Pd e Idv sulle barricate

Cronologia articolo22 ottobre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2010 alle ore 06:39.

ROMA

L'esame del Ddl sul Lodo Alfano va avanti in commissione Affari costituzionali del Senato e lo scontro tra maggioranza e opposizione si inasprisce. Ieri la contrapposizione è scattata sulla reiterabilità dello scudo. Si tratta della possibilità che l'ombrello giuridico possa scattare di nuovo se il presidente del Consiglio viene rieletto nella sua carica o viene eletto presidente della repubblica.

L'opposizione ha presentato vari emendamenti per la "non reiterabilità" del Lodo per impedire che possa esser utilizzato di nuovo da Silvio Berlusconi, considerato "l'unico beneficiario" di questo ddl costituzionale bollato come "un mostro giuridico ad personam". Ma la maggioranza fa quadrato e si prepara a respingere la prossima settimana tutti gli emendamenti su questo punto nodale.

Intanto ieri la commissione ha bocciato un emendamento sulla sospensione dei processi che ha portato alla decadenza di uno dei primi sub-emendamenti che trattano il tema della non reiterabilità del lodo. Ciò ha suscitato le proteste del Pd. Per la precisione è stato fatto decadere un sub-emendamento dei democratici in cui si stabiliva che la sospensione dei processi per il presidente del consiglio e il presidente della repubblica "opera solo nel primo biennio e non è reiterabile".

In attesa che lo scontro su questo tema entri nel vivo la prossima settimana, l'opposizione sta adottando la tattica dell'ostruzionismo con lunghi interventi a favore o in dissenso sugli emendamenti presentati ai due articoli del ddl costituzionale. Il presidente della prima commissione Carlo Vizzini ha predisposto per la prossima settimana, a partire da martedì prossimo, sedute notturne.

A parte la questione di poter utilizzare di nuovo lo scudo da parte del presidente del consiglio, la maggioranza in commissione ha respinto altri emendamenti dell'opposizione che chiedevano una maggioranza qualificata per ottenere la sospensione, con tre ipotesi: maggioranza assoluta, dei tre quinti o dei due terzi. Rimane così la possibilità per il parlamento di concedere la sospensione del processo, anche per reati extrafunzionali al presidente della repubblica e al presidente del consiglio con la maggioranza semplice.

Ma sulla strategia di contrasto al lodo ieri si è innescato un acceso scontro anche all'interno dell'opposizione. La lite tra Pd e Idv è scoppiata sulla primogenitura del referendum confermativo che le opposizioni potrebbero chiedere qualora il ddl costituzionale fosse approvato dal parlamento senza la maggioranza dei due terzi. Il segretario pd Pier Luigi Bersani si è detto pronto a "fare le barricate" contro il lodo Alfano e a ricorrere al referendum. L'idea è stata accolta con sarcasmo da Antonio Di Pietro: "L'improvvisa folgorazione di Bersani stupisce soprattutto per la folgorante superficialità e tardività della proposta". "Non mi approprio di niente - ribatte Bersani - non capisco cosa intenda". Solo il Pd, ricorda Luigi Zanda, ha i numeri per chiedere il referendum e Di Pietro usa toni sgradevoli.

Oltre ai finiani, anche Pd e Udc sparano a zero contro la riforma annunciando l'intenzione di presentare una mozione per "stravolgere l'agenda politica" sulla giustizia. Le "vere priorita" per i cittadini, affermano il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando e il deputato Udc Roberto Rao, sono altre: "Bisogna rendere più rapido ed efficiente il rito civile, va sciolto il nodo carceri e vanno riorganizzati gli uffici giudiziari prevedendo l'informatizzazione dei Tribunali".

 

 

 

 

Tre stop dai finiani per la bozza di riforma della giustizia di Alfano

Cronologia articolo20 ottobre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2010 alle ore 19:45.

Il Pdl accelera sulla riforma della giustizia, ma Fli pianta ben saldi i suoi paletti. Prima di tutto, spiega il presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno al termine del vertice di Futuro e Libertà, "no al rafforzamento dei poteri del Guardasigilli e no a togliere la polizia giudiziaria dal controllo dei Pm. No, infine, al cambiamento delle funzioni del Csm e alla previsione di un ampliamento della componente laica. La consulente giuridica di Fini ha letto le bozze provvisorie della riforma e dice chiaro e tondo che così com'è non va: ci sono dei principi che "non possono essere condivisibili", spiega.

 

Uno dei punti sui quali si può riflettere, invece, sembra quello della responsabilità civile dei magistrati. È evidente che si tratta di bozze provvisorie, precisa, ma è meglio mettere subito le cose in chiaro. "Sì alla separazione delle carriere perchè era nel programma del Pdl, ma no a stravolgere norme come quelle che riguardano funzioni e ruolo del Csm. Aumentare il numero dei laici significherebbe mettere l'organo di autogoverno della magistratura sempre più nelle mani del potere politico. Quindi meglio lasciar perdere. Così come non è il caso di rafforzare i poteri del ministro della Giustizia soprattutto sul fronte disciplinare".

Ma sulla trattativa a oltranza spinge il Pdl nel tentativo di trovare una composizione complessiva con i finiani, anche per i temi su cui le distanze sembrano al momento siderali. Lo ha sottolineato il ministro Alfano, lo ha ribadito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti.

Resta il fatto che dopo la rivolta di questi giorni della base finiana per il "sì alla norma sulla retroattività del Lodo Alfano, Fli segna di nuovo la distanza tra la sua politica giudiziaria e quella imposta dal premier. Il Guardasigilli non sembra voler leggere sfavorevolmente le critiche dei Futuristi e parla di "strada spianata" verso un'intesa. Comunque sia l'esame del testo al Cdm slitterà di almeno due settimane.

Dal Pdl si insiste precisando che la trattativa con i finiani è ancora aperta. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti sottolinea che "come sempre si discute su tutte le questioni, anche sui tre punti, come ha detto il ministro Alfano".

Oltre ai finiani, anche Pd e Udc sparano a zero contro la riforma annunciando l'intenzione di presentare una mozione per "stravolgere l'agenda politica" sulla giustizia. Le "vere priorita" per i cittadini, affermano il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando e il deputato Udc Roberto Rao, sono altre. Bisogna rendere più rapido ed efficiente il rito civile, va sciolto il nodo carceri e vanno riorganizzati gli uffici giudiziari prevedendo l'informatizzazione dei Tribunali.

Intanto al Senato è di nuovo bagarre sul Lodo Alfano. Stavolta sul principio della reiterabilità. La maggioranza boccia una proposta di modifica che fa decadere un subemendamento che contiene il 'no' al prolungamento del beneficio. Stefano Ceccanti (Pd) esce dalla commissione e dice alle agenzie che il Lodo di fatto ora è reiterabile. Esplode la polemica. Ma il presidente della commissione Affari Costituzionali Carlo Vizzini interviene sostenendo che i veri emendamenti sul tema saranno affrontati la prossima settimana.

Nell'attesa le forze politiche prendono posizione. Pierluigi Mantini (Udc) avverte che se si dice di 'no' alla limitazione, i centristi si metteranno di traverso. I finiani invece non hanno ancora deciso. E scioglieranno la riserva subito prima del voto in commissione. Le opposizioni annunciano battaglia.

Tra le mille polemiche infuria anche quella tra Pd e Idv. Motivo: l'intenzione annunciata dal segretario democratico Pierluigi Bersani di sostenere il referendum sul Lodo. L'idea viene accolta con sarcasmo da Antonio Di Pietro. "Stupisce la superficialità e il ritardo del Pd" sulla questione, osserva.

"Non mi approprio di niente - ribatte Bersani - non capisco cosa intenda". Solo il Pd, ricorda Luigi Zanda, ha i numeri per chiedere il referendum e Di Pietro usa toni sgradevoli.

Il legale del premier Niccolò Ghedini, intanto, si sfoga con la stampa straniera: "I magistrati di Milano - afferma - non hanno mai rispettato il codice" nei processi contro Berlusconi; il processo breve prima o poi si farà anche se sulla norma transitoria non si farà una questione di principio ("non approvarla però sarebbe un'ingiustizia"); Fini "è una persona seria pertanto rispetterà il mandato ricevuto dagli elettori".

Scudo processuale retroattivo e reiterabile: il lodo Alfano agita i finiani. Lite Bersani-Di Pietro

 

 

Berlusconi: in Italia un governo stabile, ma se si vota io mi ricandido (Frankfurter Allgemeine Zeitung)

di Elysa FazzinoCronologia articolo22 ottobre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2010 alle ore 15:26.

Se si vota, Silvio Berlusconi si ricandida: lo ha detto il premier in un'intervista rilasciata al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. "Mi candiderò comunque. In caso di elezioni, vedremo se il programma del partito di Fini sarà tale da consentire di integrarlo nella coalizione", ha affermato Berlusconi.

Nell'ampia intervista, che si può leggere anche sul sito internet del quotidiano, il primo ministro italiano sostiene di non avere mai chiesto che fosse introdotto il lodo Alfano, ma fa notare che "una legge del genere esiste in molti paesi". Berlusconi sferra un nuovo attacco ai magistrati: "Sulla nostra democrazia grava un macigno. Nella magistratura abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando di procedere contro chi è stato eletto legalmente dal popolo".

Alla domanda "Quanto stabile è l'Italia?", Berlusconi risponde che "l'Italia continua a essere un paese con una guida politica stabile e un esecutivo forte, che poggia sul consenso della grande maggioranza degli italiani. Dopo il 2008 – continua – il mio partito ha prevalso in tutte le elezioni. Mi sono presentato alle Camere con il programma per i prossimi tre anni, sul quale ho ottenuto la fiducia. Suppongo che il partito di Fini continuerà a sostenere il governo".

Il premier non immagina "un nuovo centro in grado di formare un governo" e cita i sondaggi secondo cui "un'alleanza elettorale di tutti i partiti di centro otterrebbe soltanto tra il 10 e il 12% dei voti". "Negli ultimi anni, sotto la mia guida, l'Italia ha fatto un passo importante verso il bipolarismo".

Berlusconi respinge con forza le accuse di evasione fiscale. "I giornali parlano di irregolarità fiscali commesse nel 2003 a Roma. In quel periodo ero presidente del Consiglio e non avevo più nulla a che fare con il gruppo Mediaset presieduta da mio figlio e mia figlia".

Sulla finanza pubblica, il premier rivendica al governo di avere saputo mantenere i conti in ordine e dice che bisogna continuare a risparmiare: "In luglio il deficit del bilancio pubblico ammontava al 5% del Pil, lo dobbiamo ridurre al 3% entro il 2012".

Berlusconi è alla ribalta oggi anche su El Pais, ma per il caso Antigua. "Berlusconi condonò il 90% del debito estero di Antigua nel 2004", titola il quotidiano spagnolo riprendendo quanto pubblicato da La Repubblica.

"Grazie alla generosità del precedente governo di Silvio Berlusconi, il paradiso fiscale di Antigua e Barbuda, nel quale il capo del governo ha investito 22 milioni di euro in terreni e immobili, ha i conti in regola con l'Italia".

El Pais riassume le accuse contro il premier, con la denuncia per diffamazione annunciata contro Report, il programma di Rai 3 che ha fatto un reportage sugli investimenti e l'urbanizzazione della Esmerald Cove. Milena Gabanelli "ha reagito con calma alla notizia".

L'Independent, in una nota del corrispondente Peter Popham, nota che Berlusconi sembra avere "i giorni contati", ma "non c'è nessuno con un'oncia di carisma per sostituirlo".

Il Cavaliere "prende gusto al tè", scrive Popham, ovvero ha lanciato l'idea di fare anche in Italia un Tea Partv movement, che negli Usa ha mobilitato molta base conservatrice. Ma la versione americana, obietta, è un "un movimento di base, antigovernativo". "Come può un primo ministro organizzare una cosa del genere?". Ecco "la chiave dell'appeal di Berlusconi": nonostante sia da un decennio e mezzo ai vertici dell'establishment politico, è sempre riuscito a presentarsi come un "outsider", come l'alleato del comune cittadino contro tasse e magistrati. "Ma la crisi economica – avverte - sta mettendo questo trucco a dura prova".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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